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Autore: tikki    21/02/2012    6 recensioni
Cosa sarebbe successo se Hermione avesse deciso di andare a recuperare il corpo di Piton nella Stamberga Strillante, dopo la battaglia? E se, incredula, l'avesse trovato ancora vivo e avesse deciso di salvarlo?
Forse Hermione avrebbe potuto rivalutare Severus, il suo coraggio, il suo valore, ma anche la sua dolcezza.
Genere: Malinconico, Romantico, Sentimentale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Hermione Granger, Severus Piton
Note: What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Da Epilogo alternativo
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Angolo autrice: Chiedo umilmente perdono per il terribile ed imperdonabile ritardo! In quest'ultimo periodo ho avuto qualche problema personale che mi ha sottratto il tempo che avrei dovuto dedicare alla storia. In ogni caso: ecco qui il nuovo capitolo! spero vi piaccia!
Baci
Tikki






Sono passati giorni dal nostro incontro nel sotterraneo, e non ho più visto Piton. Non sono andata a trovarlo in infermieria e le poche volte in cui sono passata da Madama Chips per visitare i feriti meno gravi, quelli che non sono stati trasferiti al San Mungo, Piton dormiva, o fingeva molto bene di farlo.
Mi sono soffermata a lungo ad osservarlo, perchè mi affascina. Non ero mai riuscita a vederlo come un uomo, l’avevo sempre e solo ritenuto semplicemente un professore. Avevo dato per scontato che non avesse sentimenti, che la sua massima gioia fosse nel torturare gli studenti, mentre adesso mi ritrovo ad avere una visione completamente diversa che mi destabilizza, che ha distrutto le mie certezze e che non posso ignorare. Sono ancora ferma nell’intento di volerlo aiutare, ma non so come.
Nel frattempo, Ron è venuto più volte da me, con occhi speranzosi. Non so se volesse parlare di quello che c’è stato tra di noi o se stesse semplicemente sperando di riuscire a pomiciare ancora un po’, ma non gliene ho lasciato il tempo. Ho inventato scuse, sono scappata via dicendomi troppo impegnata nell’aiutare le opere di riscostruzione del castello. Ron ha perso un fratello, voglio che si concentri solo sul suo dolore, deve metabolizzarlo e comprenderlo, e io non voglio interferire in tutto questo.

L’euforia iniziale ha lasciato spazio solo al dolore, che si esprime nel silenzio. Nessuno sa cosa dire per consolare perdite inconsolabili. Vedo troppe ferite aperte, che non verranno mai sanate, e lacrime cariche di dolore, che tracciano segni profondi nelle anime di chi le versa e di chi si trova costretto a osservarle, ipotente. In tutto questo dolore, però, mi stupisco sempre di scorgere la forza. Vedo persone che piangono negli angoli bui, da sole, ma poi si rialzano, si fanno coraggio e vanno avanti.
E’ questo il grande dono degli uomini. Gli uomini non hanno artigli, non hanno zanne e non hanno veleno, ma posseggono il coraggio di ricominciare, sempre, da capo. Si lasciano alle spalle le lacrime, si sforzano di dimenticare e vanno avanti, ricostruiscono ciò che è stato distrutto, riallacciano sapientemente le fila della propria vita. Le cicatrici rimangono, ne sono consapevoli, ma sono proprio quelle cicatrici a fare di loro ciò che sono. Non dimenticano, ma vanno avanti.
Vorrei che Piton capisse questo, vorrei che avesse il coraggio di non nascondersi dietro una maschera di odio e di rivelarsi per ciò che è. Vorrei che capisse, che accettasse le proprie cicatrici e le rendesse parte dell’uomo che è diventato, senza rinnegarle più. Forse è impossibile, forse sono solo una stupida, ma in questo momento vorrei solo aiutarlo.


E’ sera, un’altra giornata è trascorsa, uguale alle altre. Mi dirigo in infermeria per aiutare Madama Chips a somministrare le pozioni ai malati. La sala è silenziosa e buia, si sente solo il respiro quasi unisono dei malati. Madama Chips mi dice che per questa sera non ha bisogno del mio aiuto, perchè la gravità dei feriti sta man mano diminuendo, e quindi riesce a cavarsela da sola.
Il coraggio di questa donna mi riempie d’orgoglio. Lei è una di quelle persone che non si arrendono mai, sono sicura che avrebbe mille cose da dire, se solo volesse.
Mentre mi congedo da Madama Chips noto che il letto occupato da Piton è vuoto.
“Mi scusi, Madama Chips” le chiedo “come mai il professor Piton non è più ricoverato?”
“Oh, signorina, lei sa come è fatto il professor Piton. Non sopporta di dover dipendere da nessuno.  Appena ha recuperato abbastanza forze da reggersi in piedi è ritornato nelle sue stanze, nei sotterranei”.
Tipico.
Esco dall’infermeria e mi dirigo a grandi passi verso la sala comune di Grifondoro. Poi inizio a pensare a Piton, mi dispiace sapere che è solo ancora una volta, soprattutto perché si sta solo ora riprendendo da quella terribile ferita.
Sono stanca ed assonnata, ma faccio dietro-front e vado nei sotterranei. Busso delicatamente alla porta del suo studio ed entro.
Non capisco immediatamente cosa stia succedendo. E’ tutto buio, non si vede quasi nulla. L’unica fonte di luce è il camino. C’è una poltrona rivolta verso il fuoco scoppiettante, e su di essa intravedo la sagoma di un uomo, seduto compostamente.
“Ehm” balbetto “Professore, va tutto bene?”
“Cosa c’è, Granger? Sei venuta a controllare che non stia piangendo come un infante al ricordo del mio defunto amore? Pensavi che mi sarei ucciso, in preda ad un dolore insopportabile? Beh, Granger, ficcatelo nella testa: io non ho bisogno di te. Anzi: io non ho bisogno di nessuno. Non voglio sguardi di compassione, preferisco di gran lunga essere odiato che compatito. Sai, Granger, cosa accomuna tutti gli uomini? Li accomuna il fatto che pensano di conoscerti. Non importa cosa tu voglia o cosa tu dica, tutti pensano sempre di avere il diritto di aiutarti. Si sentono tutti paladini della giustizia e sia aspettano anche che tu sia grato nei loro confronti. Io vorrei solo essere lasciato in pace. Questo è tutto.”
Si è alzato dalla portrona, nel frattempo, e ora mi sta guardando. Ha in mano una bottiglia di Whisky Incendiario, è vuota. E’ arrabbiato, e lo vedo. Il fuoco del camino deforma i suoi lineamenti, insieme alla rabbia.
Non so cosa dire, mi sento una stupida per avere anche solo pensato di poterlo aiutare. Lo fisso in silenzio, a lungo. Poi finalmente trovo le parole, e il coraggio per pronunciarle.
“Lei vuole essere lasciato in pace solo perché è un codardo. E’ molto più facile fare così, crede che io non lo sappia? Lei si sta crogiolando nel suo dolore e adora trasformarlo in disprezzo per il mondo che La corconda. Ma non capisce che così sta semplicemente allontanando tutto e tutti? Non capisce che c’è tanta bellezza nel mondo, e lei la sta ripudiando?.”
Sta per ribattere, ma non gliene concedo il tempo. Continuo a parlare, quasi senza prendere fiato.
“Forse sono solo una stupida ragazzina, è vero. Forse non so nulla della morte e del dolore e non ho il diritto di dirle come vivere la sua vita. Io so solo che non possiamo distruggerci pensando al passato, non possiamo vivere la nostra vita nel ricordo di ciò che è stato, né possiamo tormentarci per come abbiamo agito. Lei sta tentando di espiare un peccato che non verrà mai perdonato, e non sto parlando del senso cristiano del termine, sto solo dicendo che lei è la prima persona a doversi perdonare. Fino a quando non vorrà farlo, beh, fino ad allora continuerà a vagare su questa terra, odiando tutti e odiando se stesso in attesa che qualcosa cambi nella sua vita. Ma non succederaà, non succederà nulla finché lei non capirà che il passato è passato, e che Lily Evans sarebbe fiera di lei per ciò che ha fatto per suo figlio.”
Mi guarda, e io quasi non resisto alla profondità dei suoi occhi. Leggo il dolore inconsolabile che li caratterizza, e capisco che ho ragione. E’ brutto da dire, ma ho ragione. Quest’uomo non portà mai vivere la sua vita se non sarà il primo a perdonarsi.
Non so cosa mi prende, mi sento solo molto triste. Per lui, per me, per questa situazione senza via d’uscita. Mi viene da piangere.
 E allora faccio una cosa stupida. Mando tutto a quel paese, mi avvicino a Piton e lo abbraccio. Non è un abbraccio di circostanza, è un abbraccio reale. E’ il mio corpo contro il suo, le mie braccia attorno alle sue spalle. Lo stingo forte, come se lui fosse l’unica persona in grado di tenermi ancorata alla realtà.
E lui ricambia.
Sento le sue braccia cingersi attorno alla mia vita e stingere. Sento il suo mento appoggiarsi alla mia spalla.
Rimaniamo così per quello che potrebbe essere un secolo. Guancia contro guancia. Ognuno respira l’odore dell’altro e ci si perde dentro. Ci stiamo estraniando per un attimo dalla nostra realtà, dai ruoli che ricopriamo, dalle nostre storie e dalle nosrte paure.
Siamo solo umani, siamo un uomo e una donna, uniti in un abbraccio.
  
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