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Autore: _iridescentyack    21/02/2012    1 recensioni
Victoria era sempre sembrata una ragazza difficile, una di quelle che odiano avere contatti con qualcuno diverso da loro, che danno continuamente problemi ai genitori, la solita sedicenne isolata dal resto del mondo.
Invece nessuno l’aveva mai capita davvero, forse nemmeno lei stessa si era mai capita ma cosa importava? Poco e nulla, anzi se l’avessero capita sarebbe stato ancora peggio, l’avrebbero ritenuta una pazza e sarebbe diventata ancora più emarginata. Chi potrebbe però dar torto a qualcuno che definisce strana una ragazza capace di comunicare con L'altro Mondo?
Genere: Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Non so se è una cosa che capita a me sola, ma è raro che non mi senta felice mentre veglio nella camera di un morto, se nessuno di chi divide il compito con me piange e si dispera. Assisto a una pace che né la terra né l'inferno possono turbare, e provo la certezza di un aldilà infinito e imperturbabile.

-Brontë Emily; Cime tempestose: cap. XVI

 

 

«Victoria, non ti allontanare!» Le parole di mio padre risuonano nella mia testa come se fossi di nuovo in quel campo di spighe di grano. Quel posto era la mia via d'uscita dal mondo e dai miei problemi se una bimba di appena sette anni ne può avere. Scorrazzavo gaiamente per il campo vasto circondato solo da dolci colline dalle forme arrotondate, piuttosto diverse dalle montagne imponenti a cui ero abituata. L'assenza di rumori tipici della città era per me qualcosa di straordinario, quasi impossibile ma reale.

Il vento soffiava leggero facendo ondeggiare le spighe e i rari papaveri che crescevano indisturbati in quel piccolo paradiso nascosto agli occhi del resto del mondo. Io correvo, non riuscivo a fermarmi, a fermare i miei piedi scalzi e quell'euforia che mi aveva catturata, la chioma rossa come il fuoco quasi si confondeva con i fiori scarlatti e si lasciava scompigliare dal vento della corsa.

Anche ora, chiusa in soffitta con uno spettro piuttosto irato voglio scappare. Ma non temo affatto la donna perlacea che tenta invano di bloccarmi il passaggio, invece ciò da cui desidero ardentemente fuggire via è il senso di colpa, la mia mente che mi sta lentamente convincendo che debba esserci qualcun altro al mio posto, qualcuno che lo meriti davvero, come Camille.

Lo scorso mese ho provato a fuggire per poche ore dalla realtà quotidiana, ho preso la vecchia bici di mio padre e ho pedalato fino al nostro posto per scoprire che ci avevano costruito un grosso parcheggio per il centro commerciale poco lontano. Probabilmente al mondo ci sono luoghi magnifici e nascosti alla nostra vista, anche più spettacolari del campo di grano ma quel luogo quasi mi apparteneva, era parte della mia vita e sapere che qualcuno lo ha distrutto mi fa sentire come se mancasse una parte di me, una parte della mia storia, una parte del rapporto che avevo con mio padre. Lo consideravo casa perché per me “casa” è il luogo dove ti puoi rifugiare e sentirti al sicuro.

«Ti avevo detto di bruciarlo, cosa stai facendo, ragazzina?» Cosa posso mai risponderle? Ha ragione ma non ho resistito alla curiosità di sapere qualcosa in più su questa donna che, pensandoci bene, non si é ancora presentata.

«Non posso accendere un falò in pieno giorno, poi fuori piove.»

«Allora trova un'altra soluzione per distruggere quella scatola.» ribatte lei minacciosa. Se ha intenzione di spaventarmi non ha speranze, ne ho viste troppe per avere paura di uno spettro morto dopo aver fatto la doccia.

«Cosa c'è dentro di tanto importante?» domando allora fingendomi ignara del contenuto di quella scatola, non è certamente disposta a rivelarmi i suoi più oscuri segreti dato che sono solo una ragazzina per lei.

Ride. È piuttosto tetra questa risata senza eco.

Svanisce lentamente lasciandomi impressa nella memoria la sua immagine semi-trasparente e quella risata ancora lì a riecheggiare nel mio cranio senza darmi tregua.

Infilo nuovamente il braccio in quello spazio polveroso, afferro la scatola e la tiro su. Quando me la ritrovo tra le mani capisco che devo distruggere ogni singola foto senza eccezioni e senza indugiare, riesco a trovare il coraggio di buttar via i ricordi di una intera vita di quella donna.

 

Rimango seduta vicino al vetro per ore prima di riuscire finalmente ad ammirare la mia opera d'arte terminata. Le foto sono tagliuzzate e chiuse in un barattolo, non vi è più nessuna prova, la donna ha salvato il suo segreto qualunque esso fosse. Come si possono buttare anni di ricordi con così tanta facilità? Vorrei davvero saperlo perché mi basterebbe cancellare solo pochi minuti per rendere tutta la solitudine che provo insensata.

Dopo aver gettato via ciò che resta delle fotografie torno nella Terra di Mezzo per discutere con Annmarie.

La trovo, come al solito, intenta a forgiare qualcosa. Lei si considera un'artista, la comunità (se così si può chiamare un paese abitato da spettri) la considera una matta da legare, io invece la considero simile ad una scienziata che crede ostinatamente nella sua idea nonostante sia irrealizzabile, perché è questo che fa. Nell'ultimo periodo, per esempio, sta cercando di creare una collana come le nostre in grado di far viaggiare tra i due mondi non solo i poveri sventurati che hanno visto la morte in faccia ma anche il resto della popolazione mondiale.

Le racconto dettagliatamente la mia giornata senza tralasciare l'incontro con quel ragazzo.

Al termine del racconto alza lo sguardo dal suo lavoro, mi fissa insistentemente e sento lo stomaco rivoltarsi dal terrore. É una donna dal fisico slanciato ed asciutto, i suoi lunghi capelli castani sono striati di grigio e spesso legati in una semplice crocchia. Nonostante io sia più alta di lei riesce sempre ad incutermi terrore con un solo gelido sguardo. In quegli occhi riesco a percepire il suo dolore, la sua disperazione, la sua paura, i desideri mai avverati e i sogni rimasti sigillati a doppia mandata nel suo cassetto. Non me ne ha mai parlato ma sto diventando sempre più brava a capire la gente, peccato che nessuno mi capisca davvero.

«Victoria tu sai bene che quelli come noi sono rari ed estremamente importanti.» esordisce Annmarie. Questo discorso lo conosco, me l'ha fatto troppe volte e risentirlo mi fa venir voglia di rintanarmi in un angolo, rannicchiarmi e cercare di non sentirmi enormemente in colpa.

«Non aveva certo l'aria di uno che non comprendeva cosa gli accadeva.» Rispondo sulla difensiva. Quel ragazzo sapeva di me e anche di essermi simile, è qualcuno che sa troppo oppure qualcuno che deve sapere così tanto? Non riesco a darmi una risposta e tantomeno riesco a smettermi di pormi la stessa domanda.

«Ascoltami, quando vai in giro dai uno sguardo e cercalo, studia i suoi movimenti e riferiscimi quello che succede.» mi raccomanda con aria severa. Io annuisco ma non sono certa di poter girare per la Terra di Mezzo e studiarlo senza essere notata.

Svogliatamente saluto Annmarie e torno a casa per prepararmi alla cena con mia zia.

 

Per un paio di settimane non vedo quel ragazzo in giro né tra i vivi né nella Terra di Mezzo. Mi ero quasi dimenticata totalmente della sua presenza quando un sabato mattina, dopo aver convinto una bambina a passare oltre, lo vedo. Sorridente cammina su una sponda del lago affiancato da un’imponente figura perlacea. Lui parla e gesticola animatamente, lo spettro lo segue interessato e serio. Si comporta in modo così affabile che chiunque gli darebbe ascolto, peccato che non si comporta così con gli altri, o almeno con me.

Rimango lontana dal lago con le narici colme dell’odore di fiori e terra umida, in attesa di vedere lo spettro attraversare il ponte e scomparire nella fitta nebbia. Osservo il ragazzo all’opera; ovviamente non è alle prime armi come crede Annmarie, sembra essere piuttosto allenato come se far passare gli spettri dall’altro lato sia un’abilità che si trasmette di padre in figlio. Lo spettro, un uomo, annuisce e tenta di dare una calorosa pacca sulla spalla al ragazzo ma il suo braccio lo attraversa. Riesco colo vagamente ad immaginare cosa abbia provato: gelo, dolore, tristezza, solitudine, confusione, è quasi come essere attraversati da una folata di vento.

Lo spettro s’incammina allegro ma dal lato sbagliato.

«Grazie Aaron!» dice lo spettro. Aaron, ecco come si chiama. Seguo con lo sguardo quella figura perlacea e presto mi trovo costretta ad alzarmi e spostarmi di qualche metro. Continua a camminare e Aaron non lo ferma. Perché?

Troppo occupata a pormi domande senza risposta non mi accorgo del sasso dietro di me e, indietreggiando, cado. Mi aspetto di sentire la terra dura sotto la testa, il prato tra i capelli, il fiato mancarmi per qualche secondo. Invece un paio di braccia mi afferrano al volo e troppo tardi mi accorgo a chi appartengono. Sento il volto avvampare. Un paio di occhi magnetici mi guardano, un sorriso spaventoso appare sul suo volto, ha l’aria di essere divertito dalle mie sventure.

«Victoria. Da quanto tempo che non ci vediamo.»

 

Come al solito ringrazio la mia unica fan Cassandra che, almeno credo, mi odia perché la infastidisco con le mie storie, i miei problemi e tutto il resto. Grazie per i tuoi commenti, saranno ben accetti anche quando mi dirai che la mia storia fa pena (quando troverai il coraggio). Grazie anche a voi lettori che non commentate. Siete senza cuore? Ho bisogno di sapere cosa ne pensate! D: 

Alla prossima. 

Lara :)

  
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