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Autore: Gulminar    22/02/2012    2 recensioni
Tanya Cindy Larsson, nata a Londra da madre russa e padre scandinavo. Diplomata a Hogwarts con ottimi voti. Fra le più promettenti reclute dell’Accademia Auror londinese. Entrata giovanissima nella Squadra Phoenix, il corpo scelto del comandante Harry James Potter. Medaglia del Ministero della Magia per servizi resi alla comunità magica. Trasferitasi a Liverpool in seguito allo scioglimento della Phoenix. Incaricata ufficiale per il caso della Cacciatrice.
Sembrava proprio un angelo, stesa in quel letto d’ospedale. I boccoli biondi come un velo che copriva il cuscino, il volto sereno, lontano dalle preoccupazioni, nel sonno indotto dalla magia.

Liverpool, anno 2021. L'Auror Tanya Larsson si dibatte fra un passato che non riesce a dimenticare e un presente da incubo, può darsi che i vecchi amici ed ex colleghi di Londra siano i soli in grado di aiutarla.
Delirio post Doni della morte, escludendo l'Epilogo "19 anni dopo".
Genere: Avventura, Azione, Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Harry Potter, Hermione Granger, Nuovo personaggio, Ron Weasley | Coppie: Harry/Ginny, Ron/Hermione
Note: What if? | Avvertimenti: Contenuti forti | Contesto: Altro contesto
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Frammenti di un disastro


Uscì dal bar lasciando il frappé praticamente intatto. Non ne aveva avuto voglia nemmeno ordinando, ma sarebbe stato maleducato fermarsi senza consumare. Nella luce metallica del sole autunnale la città appariva tranquilla, inconsapevole della guerra sotterranea che si dipanava fra Dipartimento Auror e Cacciatrice.
Oreficeria Komarov. Esperienza secolare al vostro servizio.
Recitava l’insegna sul lato opposto della strada.
Tanya strinse la scatolina in cui aveva nascosto l’orecchino della Cacciatrice. Non ne aveva fatto parola nel suo ultimo verbale, non lo aveva consegnato agli specialisti come avrebbe dovuto. Meglio non pensare a cosa avrebbe fatto di lei la Disciplinare, se fossero venuti a sapere che teneva nascosta quella prova, che continuava a indagare nonostante fosse sospesa. Fin da subito, le era sorta l’inspiegabile sensazione che fosse un messaggio della Cacciatrice rivolto a lei sola. Non aveva molto senso, ma nella Phoenix le avevano insegnato a non mettere in dubbio l’istinto.
Aveva fatto le sue prove, l’orecchino non era incantato o maledetto, era un comune ninnolo di pregevole fattura. Appurato questo, lo aveva confinato nella scatolina senza più guardarlo, quasi ne avesse paura. Preferendo evitare di chiedere aiuto a qualcuno del Dipartimento in una cosa tanto contro le regole, aveva deciso che le occorreva il parere di un esperto esterno.
Dietro un colossale bancone di mogano coperto da un elegante drappo verde, stava in bilico su uno sgabello un signore sulla cinquantina, con un completo elegante ma piuttosto trascurato. Una corona di corti ricci ingrigiti gli correva intorno alla pelata. Rivolse un sorriso sghembo alla ragazza con la stampella e mise da parte il librone che stava consultando.
“In cosa posso esserle utile, signorina…”
“Larsson. Potrebbe dare un’occhiata a questo e dirmi cosa ne pensa?”
Mise la scatolina sul bancone, che l’uomo sollevò e aprì con gesti pervasi d’esperienza. Tanya fu colta da una sensazione inattesa, nel rivedere l’orecchino dopo alcuni giorni. Le parve qualcosa di meno sconosciuto.
“Manifattura tedesca, a prima vista.” Sentenziò l’uomo, studiando il ninnolo attraverso un monocolo impolverato. “Schrieger, se non sbaglio.”
“Schrieger?”
“Una famiglia di orefici piuttosto importante in Germania, ma non hanno mai avuto un gran successo in terra britannica.”
L’uomo si volse a consultare la scaffalatura che aveva alle spalle, ricolma di grossi volumi. Accarezzò i dorsi con la punta delle dita fino a trovare quello che gli interessava. Le pagine parevano quelle di un vocabolario, con tanto di illustrazioni.
“Eccolo qua!” Esclamò. “Schrieger Lang, una marca affiliata, mi sono sbagliato di poco.” Girò il volume e lo avvicinò a Tanya.
In effetti, un’immagine riproduceva esattamente l’orecchino della Cacciatrice. Tanya scorse le informazioni riportate, senza trovare nulla che fosse d’aiuto. Oltre al nome dei produttori, c’erano dettagli tecnici a profusione, qualche cenno storico riguardo all’entrata sul mercato e le quotazioni.
“È un pezzo ben fatto, ma abbastanza comune nell’Europa continentale. E senza il compagno vale ben poco.” L’uomo risollevò lo sguardo. “Mi sembra delusa, signorina.”
“Lo sono, speravo, come dire, che ci fosse qualche curiosità intorno. Magari che fosse legato a una leggenda o a qualche personaggio famoso.”
“Non posso aiutarla in questo campo.” L’uomo scosse la testa. “La sola particolarità che mi viene in mente è che il Ministero della Magia, per alcuni anni, incluse coppie di Schrieger Lang negli omaggi ai dipendenti e nelle occasioni importanti, ma è stato un po’ di tempo fa.”
“Vi ringrazio, tornerò in caso di bisogno.”
“Di nulla, è stato un piacere.”


È stata una perdita di tempo.
Tanya rientrò nel suo appartamento in preda alla frustrazione più nera. Non sapeva più nemmeno perché avesse voluto tentare.
Gettò il soprabito sul divano e lanciò via la stampella, costringendo le gambe malferme a sostenerla. Voleva urlare, tirare giù l’appartamento a pugni. Altrimenti uscire di nuovo, andare nei bassifondi a fare a cazzotti con la malavita di bassa lega, oppure vestirsi in modo succinto per farsi sbattere dal primo che capitava, sperando che l’avesse grosso.
Poteva anche cercare di calmarsi e chiamare Leo. Sfogarsi con il capo, solitamente, la faceva sentire meglio. Il caro Leo, quanta tenerezza faceva, nei suoi goffi tentativi di nasconderle ciò che provava. No, negli ultimi tempi non riusciva a dialogare nemmeno con lui, mentre i pochi colleghi con cui aveva legato in quegli anni erano morti per mano della Cacciatrice.
Maledetta troia, stai riuscendo a farmi impazzire.
Guardò ancora l’orecchino, la sensazione percepita nel negozio le parve più debole. Si concentrò per richiamarla. Qualcosa di già visto in passato, sì, ma non nei giorni successivi alla tragica disfatta del pontile, affondava le radici in tempi più remoti.
Risolse di prepararsi una pozione che la facesse dormire per almeno due giorni, la più potente che conosceva. Faceva male al fisico ma non le interessava, qualunque cosa pur di staccarsi dal senso di inutilità che l’aveva travolta.


Birreria della Torre.
Un nome abbastanza insulso ma il locale era accettabile. Non era fra i suoi preferiti ma distava poco dal suo attuale alloggio. In più, essendo in un sobborgo piuttosto malfamato, aveva il vantaggio che la clientela si faceva altamente i fatti propri. Lì nessuno gli avrebbe chiesto autografi o fotografie, se anche lo avesse riconosciuto. Tutti dettagli che dissolvevano lentamente, quando il numero di bicchieri vuoti raggiungeva una certa quota, quando anche i pensieri che lo assillavano cominciavano a mordere con meno ferocia.
“Te ne porto un altro?”
Matt non si era rasato, la sua clientela non era di un livello che gli imponesse di farlo ogni giorno. Non lo impressionava che al tavolo d’angolo ci fosse uno del calibro di Ronald Weasley, per lui era un cliente qualsiasi. Lo osservava con sguardo piatto, in piedi oltre il tavolo.
“Ha bevuto abbastanza.”
Entrambi alzarono gli occhi ad incontrare quelli di Harry, appena entrato, il mantello gocciolante e un’espressione indecifrabile sul volto. Matt si allontanò con un’alzata di spalle, Ron riportò lo sguardo al boccale vuoto che teneva fra le mani.
“Tua sorella vorrebbe vederti, è molto preoccupata.” Esordì Harry, dopo essersi liberato del mantello fradicio e accomodandosi di fronte a lui.
“Sta bene?” Domandò Ron con studiata noncuranza.
“È al sesto mese ma quasi non se ne accorge, ormai è veterana del settore.”
Ron soffiò un vago sogghigno.
“I ragazzi?”
“Mi chiedono sempre perché lo zio Ron non viene mai a trovarli.” Harry non riuscì a evitare che il rimprovero trasparisse dal suo tono.
“E tu cosa rispondi?”
“Che lo zio Ron è sempre molto impegnato.”
“Potresti dire che lo zio Ron è un pessimo zio.”
“Non è vero e loro lo sanno.”
“Non sanno proprio niente!” Il tono di Ron parve incattivirsi, poi si distese. “Ed è un bene.”
“Prima o poi verranno a sapere.”
“Meglio poi che prima.”
Harry stava per ribattere, ma Ron lo prevenne con il discorso di tante altre volte.
“Mi dispiace per Ginny e per i bambini, d’accordo? Non ci riesco a vederli, a vedere nessuno di voi, non ha più senso senza… senza…”
… lei.
La mente di Harry completò la frase che l’altro lasciava sempre in sospeso. Gli venne in mente che nessuno di loro pronunciava il suo nome ad alta voce da anni, un’infida oppressione gli si propagò nel torace.
“E tu dovresti smetterla di venirmi a cercare.” Terminò Ron.
“Non posso smettere di cercarti, sapendo che sei da qualche parte a ridurti in questo stato.”
Ron alzò gli occhi a incontrare i suoi. Uno dei pochi sguardi in grado di fare ammutolire il grande Harry Potter. Avrebbe dovuto aggiungere che era ora di reagire e guardare avanti, ma sarebbe stato inutile come in tutte le occasioni precedenti.
“Se fosse successo a Ginny, cosa avresti fatto?”
Harry sentì il cuore sprofondare fino alle dita dei piedi. Ron non gli aveva mai rivolto quella domanda, ma spesso era rimasta in sospeso fra loro. Se l’era posta tante volte da solo, senza riuscire a darsi una risposta precisa.
Probabilmente mi sarei ucciso.
In cuor suo, si chiedeva perché Ron non avesse già preso quella decisione, ma non lo avrebbe mai ammesso. Nascose le mani sotto il tavolo, tremavano. Fu tentato di colpire Ron, di spaccare le sedie e quanto aveva intorno. Voleva disperatamente sfogare la rabbia per quella situazione senza uscita. Cosa avrebbe fatto Silente? Cosa avrebbero fatto suo padre e Sirius, o Remus? Cosa avrebbe fatto il professor Piton? Anche lui aveva perso la persona amata, forse avrebbe potuto consigliarli, se fosse stato vivo.
“Pago il conto.” Disse alzandosi. “Poi ti accompagno a casa.”
“No.” Grugnì Ron, riportando l’attenzione ai bicchieri vuoti. “Vacci tu a casa, tu che hai una famiglia da cui tornare.”


Tanya si svegliò senza capire dove fosse, poi riconobbe l’aspetto abituale del suo soggiorno e ricordò di essersi addormentata sul divano. Il collo doleva per una posizione errata durante il sonno, se lo massaggiò, ma il fastidio rimase.
Aveva sognato. Era di quelle persone che sognano sempre, ogni volta che dormono. Aveva rivisto il pontile, le botte prese dalla Cacciatrice, ma nel sogno era riuscita a salvare Erik. Benché ferito gravemente, lui l’aveva confortata, le aveva detto che la volta successiva sarebbe stata diversa.
Non ci sarà mai la volta successiva.
Le venne una gran voglia di piangere.
Contemplò la scatolina dell’orecchino abbandonata sul tavolo, un oggetto all’apparenza insignificante. Accanto c’era un grosso album per fotografie. Ricordò di averlo tirato fuori per sfogliarlo, poi la pozione rilassante aveva fatto effetto.
Nella prima pagina c’era una foto di gruppo della Phoenix, simile a quella appesa al muro.
Grosso errore.
Pur essendone consapevole, continuò a sfogliare. C’erano foto di lei con altri membri della squadra, a coppie, a gruppi di tre o quattro, in vari luoghi di quella che era stata la loro sede. Poi foto dell’Accademia, sembrava una bambina in mezzo ai giganti della sua classe di studi. All’ultima pagina sentì il cuore sprofondare.
Ron, Hermione e Tanya.
Escludendo l’oro dei suoi capelli, poteva davvero sembrare loro figlia. Ai tempi della Phoenix, l’avevano praticamente adottata, erano stati molto più che semplici maestri.
Giorni felici.
Prima del disastro.

Poche ore per distruggere ogni cosa.
La scomparsa di Hermione e tutto che andava in sfacelo senza la possibilità di metterci un freno. Mesi e mesi di ricerche disperate, l’angoscia crescente che divorava i membri della squadra, a partire dai comandanti. Il senso di inutilità, il crollo definitivo di Ron e lo scioglimento della Phoenix, avvertiva ancora un dolore quasi fisico a pensarci.
Di ciò che era seguito, aveva ricordi frammentari. Fino alla richiesta di trasferimento, era vissuta in una sorta di stato confusionale, in cui i pensieri parevano non appartenerle più. Non aveva più visto Ron, Harry si era buttato in altri lavori, per lo più evitando tutto e tutti. Anche gli altri membri dell’ormai ex squadra erano divenuti sfuggenti, distanti nelle rare occasioni in cui riusciva a parlare con loro, quasi incolori. Poi Liverpool, dove aveva nutrito la vana speranza di rifarsi una vita.
Dove stava miseramente fallendo.
Di nuovo.

 

*

Next time: "Alla fonte del male"

Il gioielliere magico Komarov prende spunto da un signore che fa lo stesso lavoro in centro a Ravenna e che mi sta cordialmente antipatico.

   
 
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