Ringrazio
chi sta ancora leggendo questa fic, Homicidal Maniac *.* e tutti gli
altri che
sembrano essersi dileguati >.<
Mi
dispiace moltissimo far finire in questo modo il capitolo, ma il fatto
è che
stava diventando troppo lungo (infatti questa è solo la
prima parte), ma trovo
che la “poesia” alla fine ci sta abbastanza bene, a
voi il compito di
decifrarla xP naturalmente la seconda parte del capitolo
sarà decisamente
migliore di questa (spero), risolverà un po’ di
cose e darà qualche risposta in
più :)
A
fine capitolo le immagini di Lishe e Azue (già, nuovo
personaggio in arrivo
;)).
Già
da tempo volevo dirvi una cosa: non affezzionatevi troppo ai
personaggi, potrebbero
morire misteriosamente. Mi sento una stronza ._. e se
pensate che Neah sia già ridotta abbastanza male
così e che non la torturerò più...
beh, vi sbagliate di grosso. Mi
dispiace.
Buona
lettura ;)
Capitolo
11. Un’ anima sporca.
Parte
1
“Per
sempre e sempre
le cicatrici rimarranno.”
[Breaking Benjamin –
Give me a Sign]
“Si
può sapere cosa abbia intenzione di fare mio
padre?” L’ elfo si sedette
pesantemente sul letto della vampira che gli scoccò
un’ occhiata –assassina- di
avvertimento, ma lui sembrò ignorarla. Sopportava la
presenza dell’ elfo, in
fondo era anche lui una Creatura Oscura come lei, non un’
inutile Umano, e
vedeva nei suoi occhi una sorta di malinconia, sembravano quelli di una
persona
che ha visto la morte in faccia.
“Chiedeteglielo,
a noi non dice mai niente.” Rispose l’ elfo
guardandosi intorno e soffermandosi
sui frammenti di vetro sparsi per terra.
“Ha
sempre fatto così”
Sussurrò la vampira
aggiustandosi il nastro nero che aveva avvolto attorno all’
avambraccio per
coprire la cicatrice, aveva capito di odiare suo padre tempo addietro,
e una
cosa che le dava più fastidio era il fatto che agisse sempre
nell’ ombra, senza
mai fare sapere quali piani gli girassero per la testa.
Zephit
aveva invece raccolto alcune bende immacolate e le aveva riciclate per
fasciare
la ferita alla mano.
La
bottiglia con dentro il liquido rosso invece era a terra, vuota. Era
bastata
quella per non farsi ammazzare.
“E
i Generatori cosa c’ entrano in tutto questo?”
Chiese volgendo lo sguardo all’
elfo che alzò le spalle, come per ripetere la stessa
risposta che aveva dato
prima.
Neah
si sistemò un’ ultima volta la capigliatura; i
capelli scuri erano raccolti in
una grossa crocchia disordinata sulla testa, mentre un ciuffo ricadeva
sull’
occhio sinistro, coprendo in parte le cicatrici e l’ occhio
cieco. Aveva tolto
la gonna e aveva messo un paio di comodi pantaloni di pelle nera
abbinati con
un corpetto che le lasciava scoperto il collo, non le importava di
coprire le
vistose cicatrici, anzi aveva intenzione di mostrarle per bene, come
per sfida.
Quindi
suo padre voleva vederla, o almeno questo era quello che le era stato
detto
dall’ elfo. Nella sua testa si aggirava l’ idea che
lui volesse ammazzarla, ma,
visto che ora non poteva più morire, forse si sarebbe
divertito ancora un po’ a
torturarla. Sbuffò.
Sentì
una forte fitta la petto quando ripensò al fatto che non
poteva più morire. L’
immortalità non la voleva, lei desiderava una vita normale;
desiderava nascere,
vivere e poi morire –innamorarsi era fuori discussione-. Ma
lei era solo nata,
quella non poteva essere chiamata vita.
Si
voltò verso l’elfo incrociando un’
ultima volta i suoi occhi duri del colore
del mare, per poi dirigersi verso la porta, pronta a raggiungere la
persona che
più odiava in quell’ istante.
La
vampira era uscita e l’ elfo, rimasto nella sua stanza, si
diresse verso l’
alta finestra.
La
torre in cui si trovava lui in quel momento era la più alta
e i vetri puliti
gli mostravano le vie lastricate della città deserta di
Aegor. Nonostante fosse
scesa da poco la notte, la luna era alta e splendente, il silenzio
regnava
sulle strade, un silenzio scabro che sembrava urlare, urlava come un
vento
immobile. L’ aria fremeva infervorata d’
impazienza. Una guerra interiore
scuoteva gli animi delle Creature Oscure, le mani prudevano, gli occhi
saettavano da una parte all’ altra della strada, in cerca di
un nemico da
abbattere.
“Il
silenzio narra le storie di fiaccole di spento coraggio.”
Sussurrò a se stesso
l’ elfo con tono cupo incrociando le braccia sull’
ampio torace, ricordando le
parole di un padre deceduto.
L’
elfo appoggiò la fronte al vetro freddo gustandosi
l’ immobilità di quello
scenario mentre in lontananza si sentiva il suono del ferro che batte
su altro
ferro.
“E
il tuo coraggio dove è finito?”
Sussurrò un po’ a se stesso
e un po’ al padre.
La
guerra non stava arrivando, bensì era già
nell’ aria.
“Quindi?”
“Quindi
niente, non posso farlo.” La foce sicura del Generatore
giunse alle orecchie
del re, che sentì il nervosismo corrergli su per la schiena.
“Perché?”
Domandò il re stringendo gli occhi. “Dimmi
perché, Azue?”
“Ci
saranno perdite ben peggiori di una semplice chimera di cui dovremmo
occuparci.” Rispose lui con voce risoluta.
“Dovremmo?” Il
Generatore sospirò alla
reazione del re, puntando i suoi occhi ambrati in quelli del sovrano
impaziente.
“Senti,
Dimitri non posso rigenerare la tua chimera. Ma posso aiutarti con tua
figlia.”
Disse il Generatore sporgendosi in avanti mentre alcune ciocche dei
suoi lunghi
capelli argentei coprivano la carnagione cerea. Il re detestava il modo
di fare
di quell’ individuo, sembrava comportarsi lui da re e dettare
le proprie
regole.
“Non
ho bisogno del tuo aiuto Azue, devo solo parlare un po’ con
Rose.” Occhi di
ghiaccio giallo erano puntati sul re, mentre nella sua testa si stavano
agitando una marea di insulti.
“La
costringerai?” Chiese alzando un sopracciglio.
“Assolutamente
no, devo solo farle capire in che situazione si trova adesso e quello
che è in
grado di fare. Di certo agirà per il meglio anche senza che
io la obblighi.”
Concluse Dimitri sorridendo.
“Bene,
ma concedimi almeno di avere l’ Ala d’
Argento.” Tentò il Generatore,
riferendosi alla spada.
“La
risposta sarà uguale a quella di due anni fa; l’
Ala d’ Argento appartiene a
me, non l’ avrai mai.” Rispose Dimitri appoggiando
la schiena al divanetto rosso
su cui era seduto.
“Mi
permetta almeno di salutarla un’ ultima volta.”
Domandò il Generatore
riferendosi questa volta alla figlia. Il re sembrò pensarci
qualche istante poi
considerato che la figlia non poteva più morire e che quindi
il Generatore non
avrebbe potuto nuocere, scrollò le spalle.
“Fa
come vuoi.” Le labbra del Generatore si stirarono in un
sorriso che lo fece
assomigliare ad un gatto. Si alzò dirigendosi verso la porta.
“Farai
in modo di farla scendere in guerra?” Perché ormai
si sapeva, -si sentiva- che
la guerra si stava avvicinando.
Il
re alzò le sopracciglia sorpreso, un po’
perché dopo tanto tempo qualcuno aveva
intuito quello che stava architettando, un
po’perché gli sembrava ridicolo far
combattere Rose. Lei doveva servire ad uno scopo superiore.
Camminava
a passo svelto tra i corridoi che conosceva a memoria, decisa e fredda,
come
era sempre stata. Sarebbe andata da suo padre, gli avrebbe
‘parlato’ e –con o
senza la sua spada- se ne sarebbe andata una volta per tutte.
Camminò
per qualche minuto, attraversando scuri corrdoi e ripide scale cremisi
e
ignorando le lievi fitte che la cicatrice sulla schiena le trasmetteva.
Giunse
alla sala del trono e quello che vide la lasciò interdetta.
Il
soffitò era alto, colonne di cristallo rosso svettavano ai
lati della lunga
sala scura, sotto di lei un tappeto di nero velluto si stendeva fino
alla
nicchia riservata al trono, vuoto. Si avvicinò, solitamente
suo padre se ne
stava tutto il tempo seduto sullo scranno a sorseggiare sangue da una
coppa scura,
quella posata sul bracciolo.
Raggiunse
i tre scalini che precedevano il trono e con un lieve ghigno sulle
labbra,
prese il boccale e si sedette dove in teoria ci sarebbe dovuto essere
suo
padre, alzò le gambe fino ad appoggiarle sul bracciolo e
accavallarle, mentre
con un gomito si sorreggerva sull’ altro e faceva girare il
sangue all’ interno
della coppa gustandone l’ odore.
Appoggiò
una mano sul collo, lì dove c’era la vistosa
cicatrice, chiudendo gli occhi e
sospirando, avvicinò la coppa alle labbra quasi senza
pensarci.
Un
fruscio attirò la sua attenzione, voltò la testa
in direzione di una colonna
vicino da cui spuntò il viso tondo e pallido di una bambina,
occhi neri come
pozzi di tenebra e corti capelli castani legati ditro la testa.
“Quello
non è il tuo posto.” Disse lei indignata
abbassando la testa e guardandola da
sotto le lunghe ciglia scure.
“Lo
sarà.” Rispose la vampira sogghignando. In
verità non aveva mai preso in
considerazione la possibilità di regnare sul mondo delle
Creature Oscure, ma
doveva ammettere che in fondo quel trono non era poi tanto scomodo.
“Non
è vero. Quel trono sarà mio.” Rispose
decisa la bambina uscendo dal suo
nascondiglio, il suo piccolo corpo era fasciato da una veste blu, i
suoi piedi
erani scalzi. La vampira la fissò inclinando la testa per
studiarla meglio.
E
questa da dove viene fuori?
“Basta
così Lishe.” La bambina sussultò nel
sentire quel tono di voce rigido
chiamarla.
“Papà!”
Urlò la bambina mettendosi a correre verso l’ uomo
che era appena uscito da una
porta laterale.
“Papa?!”
Ripetè la vampira sorpresa come non mai, strabuzzando gli
occhi. L’ uomo verso
cui la bambina stava correndo a braccia aperte era Dimitri,
cioè suo padre. Rimase
a fissare la scena
della bambina che si appendeva alle gambe dell’ uomo, che le
porgeva un oggetto
circolare e piatto.
Il
volto dell abambina si illuminò. “L’ hai
riparato.”
“Certamente.”
Il re sorrise con gli occhi. Per poi guardare Neah ancora stravaccata
sullo
scranno con in mano la sua coppa di
sangue.
“Rose.”
Iniziò lui salutandola. “Non pensavo fossi
già qui.” Lei ignorandolo si mise un
po’ più comoda avvicinando la coppa al naso per
gustare l’ odore del contenuto.
“Da
quando in qua bevi del sangue così scadente?”
Chiese lei arricciando il naso,
per poi lasciare cadere il bicchiere che teneva in mano, il liquido
macchiò il
tappeto e la coppa rotolò giù per i tre scalini.
La bambina sussultò e Dimitri
strinse gli occhi.
“Ops.”
Sussurrò a fior di labbra la vampira fissando la macchia
rossa che si allargava
sul tessuto. Sentì i passi di suo padre avvicinarsi,
alzò lo sguardo giusto in
tempo per vedere i suoi stivali calpestare la macchia scura.
Il
viso di Dimitri si allungò in un sorriso mentre allungava
una mano per toccare
la pelle sfregiata della figlia che prontamente si ritirò.
Notò l’ occhio cieco
e il suo sorriso di allungò ancora di più.
“Papà.”
Sussurrò Lishe che era rimasta dove il padre l’
aveva lasciata, ancora con l’
oggetto stretto tra le braccia, ma venne ignorata.
“Sono
curiosa di sapere da dove è uscita quella
bambina.” Commentò la vampira
sporgendosi per guardarla meglio, le sorrise mostrando i canini
allungati. La
bambina sussultò facendo un passo indietro.
“Rose,
dobbiamo parlare.”
“Oh,
questo è poco ma sicuro.” Disse lei fissando suo
padre con uno sgardo di sfida.
Non
aveva la più pallida idea di come fosse finita in quella
situazione, a
sorseggiare sangue insieme a suo padre sotto gli occhi ambrati del
Generatore
che l’aveva aggredita al bar, aveva appreso il suo nome,
Azue. Mentre la
bambina sembrava scomparsa, Neah pensò che fosse andata a
giocare in qualche
buio cantuccio.
“Quindi?”
Inizò lei lanciando un’occhiataccia al Generatore
che fissava il soffitto alto,
neanche racchiudesse il senso della vita.
“Quindi,
creerai un esercito, per me.” Dimitri andò dritto
al punto, lasciando senza
parole la figlia. Le parole rimasero sospese per aria.
Dalle
sue labbra uscì una risata roca, mentre scuoteva la testa e
guardava il padre
come se fosse impazzito. “Cosa ti fa credere che lo
farò?” Si ricompose
incrociando le braccia, ma senza cancellare dalle labbra il sorriso
beffardo.
“Non
puoi fare altrimenti.” Rispose il Generatore fissandola con
il suo sguardo
ambrato.
“Hai
già tutte le Creature Oscure ai tuoi piedi, che vuoi che
faccia? Che mi metta
ad ingaggiare degli Umani?” Pronunciò
quell’ ultima parola come se le bruciasse
sulla lingua e non vedesse l’ ora di sputarla, ovviamente il
suo tono era
sarcastico, lo disse ignorando completamente il Generatore, lui non
c’ entrava
niente.
Sospirò
attendendo una risposta e quasi automaticamente si portò una
mano all’ occhio vitreo.
“Guarirà,
molto lentamente ma guarirà.” Fulminò
con lo sguardo suo padre che non riuscì a
togliersi dalle labbra quel sorrso strafottente.
“Io
me ne vado.” Disse lei alzandosi. Stava per dire “a
casa” ma si bloccò in tempo,
non aveva una casa, non più, neanche un posto dove stare,
forse…
Sentì
una mano fredda stringere la sua senza alcuna delicatezza, in una
stretta che
si faceva sempre più fredda e dolorosa, era come stringere
tra le mani un pezzo
di ghiaccio, o meglio, era come se la mano fosse stritolata dal
ghiaccio.
“Presto,
quando gli Hel* inizieranno a vagare per il mondo degli Umani, a
portare
malattie, morte e distruzione, allora sarai obbligata a salvare
ciò a cui
tieni. Una persona, un posto dove stare, un
ricordo” Era il Generatore a stringere la sua mano in una
morsa di ghiaccio e a
parlare.
“Non
hai idea di quello che la dea Andhera ti ha donato.” Le
parole giungevano
lontane, smorzate. La poca vista che le era rimasta si stava oscurando
mentre
la sensazione di cadere le attanagliava lo stomaco. Quello che venne
dopo
furono solo lievi sussurri.
Dona
la bocca a chi sta per morire,
il suo sangue macchierà le candide
labbra,
la solitudine verrà colmata dal bacio
dell’ abbandono.
Hel
esce raramente sulla terra, ma quando lo fa porta sventura e malattia:
passa
per le strade e nei villaggi e la gente si ammala all'improvviso.
Se
spazza la strada con un rastrello vi saranno sopravvissuti, se invece
ha una
scopa moriranno tutti. (Olè!)
Hel
viene descritta come una donna in qualche modo duplice: con
metà viso nero o
cadaverico e l'altra metà normale.
Alcuni
tratti della dea hanno suggerito a diversi studiosi di metterla in
relazione
con le caratteristiche di Parvati-Kalì o di Persefone o,
ancora, di Ecate.
(Ecco,
sta di fatto
che io prima di mettere il nik ‘’La sposa di
Ade’’ avevo tentato in tutti i
modi di chiamarmi ‘’Ecate’’ o
‘’Hecate’’ o
‘’Hekate’’ e tutte le altre
varianti. Ma a quanto pare ero arrivata in ritardo ._.)
Fonte:
Wikipedia
Ovviamente,
tutto questo non c’ entra niente con la storia, mi sembrava
fico inserire una
cosa che non c’ entrasse niente con l’
ambientazione della fic, tutto qui ._. (no
dico, magari vi sarebbe interessato).