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Autore: sleepingwithghosts    22/02/2012    3 recensioni
Avevo voglia di fumare. Non avevo voglia di alzarmi.
Sospirai, e chiudendo gli occhi sentii i passi delicati di mamma avvicinarsi, il suo bacio umido sulla fronte, le sue mani sulle mie costole, il peso del lenzuolo e di una coperta a schiacciarmi sul materasso, la porta chiudersi.
Ero sola, di nuovo, con la mia pelle sottile, una voglia di nicotina indescrivibile e tanto freddo, persino dentro il cervello svuotato dall’alcol. Attorno e dentro me freddo, solo tanto freddo.
Genere: Drammatico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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I wanna be drunk when I wake up.

 

«Come hai fatto a trascinarmi a scuola? Ti odio. Ho sonno», dissi sfiorandolo con la spalla.

Quella mattina, mentre me ne stavo beatamente dormendo sotto le coperte, Seth aveva avuto la splendida idea di farmi da sveglia bussando ripetutamente sul vetro della finestra di camera mia. Svegliandomi di soprassalto, avevo barcollato fino alla finestra, tirato le tende, e visto il suo sorriso al di là del vetro. Avevo aperto la finestra. «Sto seriamente pensando di lasciarti congelare, stronzo. Stavo dormendo!», avevo sbraitato con la voce ancora impastata dal sonno, tra uno sbadiglio e l’altro.

La sua faccia si era rattristata all’istante. «E io che ti avevo portato la colazione», aveva detto lanciandomi addosso un sacchetto di carta che avevo acciuffato al volo. Allora, alzando gli occhi al cielo, l’avevo fermato per una manica del giubotto e gli avevo sorriso facendolo entrare.

Ora mi ritrovavo a camminargli affianco con un sonno assurdo, senza essermi truccata, con una felpa orribile di due taglie più grandi della mia, e così tanta voglia di prenderlo a schiaffi che le mani mi prudevano.

Quel ragazzo faceva davvero un brutto effetto su di me. Bastava un sorriso a farmi sciogliermi, uno di quei suoi baci dolci, per farmi fare quello che voleva. C’era da dire che la maggior parte del tempo che trascorrevo assieme a lui ero strafatta, particolare da non tralasciare.

Lui mi guardò. «Ti ho corrotto con una faccia da cane bastonato e dei cornetti, niente di più facile, Evie-io-non-sono-nessuno».

Mi irritava quando credeva di avermi in pugno, perché non era così. La mia vita me l’era sempre gestita da sola, e sarebbe stato così anche adesso, con questo seccante ragazzo biondo con le fossette. «Lo sapevo che avrei dovuto farti morire di freddo, lo sapevo. Sai una cosa?», lo guardai. «Fottiti», sorrisi girandogli le spalle.

Lui, come da previsto, mi fece voltare e mi avvicinò a lui, appoggiando la mia fronte alla sua. «Casa mia, oggi? Ho un po’ di roba».

Chiusi gli occhi. «Ho problemi in famiglia, non so se…».

Sentii una mano carezzarmi la guancia, e aprii gli occhi. Ora il suo pollice era sul mio labbro inferiore, i suoi occhi sulla mia bocca. «Li risolvi dopo, superman».

Sorrisi. «Credimi se ti dico che sono un superman davvero sfigato».

Ridacchiò, poi puntò gli occhi nei miei, rovinando qualsiasi mia convinzione. «Alle quattro?».

Annuii, inerme. «Quante volte devo dirti che ti odio?».

«Quante vuoi, sei sexy quando lo dici», rispose lui leccandomi il collo.

«Fanculo, vattene. Voglio mantenere la mia reputazione di ragazza fantasma, se permetti».

Rise forte e mi diedi una pacca sul sedere, prima di andarsene. Riuscii solo a pensare: perché a me?

 

 

«Hai qualcosa da bere?», gli chiesi indossando gli slip e chiudendo la zip dei jeans.

Lui annuì lasciandomi da sola in camera sua. Allacciai il reggiseno e vi misi la felpa sopra. Mi affacciai alla porta. «Qualcosa di forte», dissi, sapendo che in casa non c’era nessuno, a un tono più alto del normale, poi mi sedetti a terra, appoggiando la schiena al suo letto, e chiusi gli occhi buttando la testa all’indietro. Non vedevo l’ora cominciasse a far male, la testa. Non vedvo l’ora di cadere sbronza e fatta fra le mie coperte e dormire così tanto da dimenticare il mio nome una volta sveglia – non ero sicura fosse possibile.

Seth tornò con un bicchiere contenente liquido trasparente in mano, solo i pantalonicini corti della tuta addosso. Me lo porse. «Vodka va bene?».

«Perfetta», dissi avventandomi sul superalcolico.

Lui si sedette accanto a me, fissandomi. «Che c’è?».

«Perché lo fai?», chiese.

«Bere? Mi fa vomitare senza bisogno delle dita».

Lui mi guardò strano, poi scosse la testa. «Intendevo il sesso, con me, con gli altri della squadra di football. Perché?».

Feci spallucce. «I soldi, ne ho bisogno». Non era del tutto vero ma mio padre spendeva così tanti soldi in alcol che il misero stipendio che mamma prendeva quelle poche volte che andava al lavoro, non ci bastava. Quindi i soldi erano la scusa più banale, quella che mi aiutava a mantere il muro che mi ero creata attorno ben saldo nelle fondamenta. «La droga», ammiccai.

«Non hai una famiglia?».

Lo guardai. «Te l’ho già detto, nessuno che tenga a me. Perché ti interessa tanto, comunque?».

«Perché io non farei mai un pompino a un perfetto sconosciuto».

Scoppiai a ridere. «Ci si fa l’abitudine, e poi non mi sembri proprio un estraneo, dato che è da settimane che faciamo sesso quando siamo strafatti. In un certo senso ti conosco, anche se so solo che ti chiami Seth, sei un rompi palle, ti piacciono i cornetti al cioccolato».

Sorrise debolmente, poi tornò serio. «Non dovresti farlo, comunque».

Mi stavo arrabbiando. Chi era lui per dirmi quello che dovevo o non dovevo fare? Mi alzai da terra e presi la mia borsa dal letto. «Non posso non farlo. Voglio farlo».

«Vuoi?».

Aveva colto la parola giusta. Mi morsi il labbro. Non doveva capire. «Ti ricordi dove mi hai visto la prima volta, no?».

«Non volevi buttarti».

«Potrei farlo, vorrei».

«Fallo, allora».

Mi stava sfidando. Mi urtava i nervi, avevo cominciato a tremare. «Non posso».

«Hai una famiglia?».

Chiusi gli occhi. «Ho un padre e una madre», risposi. Non capivo se aveva colto la differenza, ma erano affari suoi.

Quando riaprii le palpebre, lui era a pochi centimetri dal mio viso. «Non sembri una puttana, comunque».

«Ti ricordo che l’altro giorno hai detto l’esatto contrario».

«Stavi andando a scuola con un paio di calze praticamente trasparenti», ribattè.

«Non sarebbe stata la prima volta».

«La prima da quando ti conosco, direi».

«Mi controlli?», chiesi sorpresa.

Sorrise. «Non è difficile, ti siedi al tavolo più isolato della mensa, non mangi niente, fumi, guardi il muro. So dove abiti, vieni da me per la droga». Si strinse nelle spalle. «Non è difficile».

«Smettila di ostinarti a conoscermi, Seth».

Lui si leccò le labbra. «Adoro quando dici il mio nome».

Alzai gli occhi al cielo e feci per uscire dalla porta, ma lui mi prese per il polso e mi baciò. Un bacio gemello al primo che mi aveva stampato sulle labbra, senza lingua, senza sesso.

Lo odiavo con tutta me stessa, ma lo desideravo. Era il mio biglietto per la rovina, non potevo respingerlo, era tutto quello che volevo. Dovevo solo innamorarmi di lui.

Quando finalmente si staccò da me, lo guardai negli occhi. «Non dovresti continuare a vedermi».

«Voglio farlo», rispose.

«Non dovresti».

«Voglio farlo», ripetè.

Sospirai. «Non innamorarti di me, Seth, non farlo». Non doveva ascoltarmi, sperai non mi ascoltasse. «Ti prego».

Mi spostò una ciocca dietro l’orecchio. «Come vuoi Evie, come vuoi».

Sofferenza, quanta me ne aspettava ancora? Gli diedi le spalle cominciando a scendere lentamente le scale, e dopo un tempo che mi era sembrato infinito sentii una lacrima scendermi sulla guancia. Ma era solo pioggia, fredda e sabbiosa. Pioggia.

 

 

Hola chicos! sono così felice che qualcuno legga questa storia che non potete immaginare. È importante per me, e forse perché ci sono più dentro di quanto pensassi.

Non so mai cosa dire oltre ai grazie, quindi buona lettura, e fatevi sentire ogni tanto (:

  
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