Storie originali > Favola
Segui la storia  |       
Autore: Sylphs    22/02/2012    1 recensioni
Ehilà! Ho scritto questa favola un po' folle quando avevo 14 anni ed è in assoluto il primo romanzo che ho finito a quell'epoca, perciò ho deciso di tentare la sorte e pubblicarlo su efp, confido nella vostra pietà :) la storia si ispira alla mia fiaba preferita, "La bella e la bestia", salvo che la protagonista è un peperino ed è tutto fuorché una graziosa fanciulla. Spero che qualcuno leggerà!
Genere: Azione, Comico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

CAPITOLO 2

 
 
 
 
 
 
 
Alcuni giorni dopo quanto ho appena raccontato, il marchese ricevette una lettera inaspettata da parte di uno dei più illustri nobili dei sette regni: il conte DeGuisky, che viveva nel regno di Borgofiorito, poco distante da quello di Soledad. Nella lettera, il conte lo invitava nel suo palazzo per discutere di possibili alleanze.
Il marchese provò una gioia a dir poco immensa: DeGuisky gli aveva concesso un onore immenso, invitandolo. Si erano conosciuti qualche anno prima ad un ricevimento e il marchese aveva subito tentato di fare amicizia con l’illustre personaggio. Dato che era trascorso diverso tempo dal loro incontro, aveva perso le speranze su un’alleanza tra i due regni, ma quella lettera era la prova inconfutabile che stava per arricchire ulteriormente Soledad.
Goffo e felice, spiegazzava continuamente la lettera come per assicurarsi che fosse vera e gridava, rivolto a Natalie ed Isadora: “Vi rendete conto, ragazze? Il conte DeGuisky! Il conte DeGuisky ha invitato proprio me nel suo palazzo! Ci vado immediatamente! Dov’è la carrozza?! Presto, presto!”
“È meraviglioso, caro” commentò Natalie senza alcuna intonazione. Ma gli occhi acuminati le scintillavano, astuti: “Sii cortese con il conte. Non devi lasciarti sfuggire l’occasione. Si dice che Borgofiorito abbondi di miniere d’oro e d’argento che farebbero davvero comodo ai nostri commerci”.
Isadora, però, la pensava diversamente. Guardando il padre con risentimento da sotto la chioma bionda, mormorò: “Sei appena tornato, e già te ne vai?” era stato un supplizio il periodo senza di lui, tra Natalie che incombeva e i giovanotti da sistemare. Il marchese si mortificò e le prese delicatamente il viso fra le mani: “Oh, Isa, anche a me dispiace, lo sai…ma cose del genere capitano una sola volta nella vita, capisci? Se io rimango…il conte si offenderà e potrebbe finir male…”
Era davvero desolato, così Isadora fece un sorriso mesto e gli diede una gomitata amichevole: “Dài, papà, scherzavo! Sono felice che ti sia capitata questa bella cosa, anzi, ti auguro buon viaggio”.
Il sollievo apparve chiaro sul faccione del marchese: “Non sto nella pelle, Isa. Pensi che farò una buona impressione al conte? Ho paura di fare la cosa sbagliata, di tradirmi…”
“Ma cosa vai dicendo, papà?” fece lei scoccandogli un sorriso scintillante: “Sei unico, e il conte se ne renderà conto non appena ti vedrà. Firmerete la più grande alleanza di tutti i tempi, e ti ammireranno tutti…” il marchese la fissò con sguardo sognante, pregustando quel bel sogno. Natalie, però, era un tipo più realistico: “Sta attento a non perderti, caro. Hai un pessimo senso dell’orientamento. Perché non porti con te una scorta?”
“Non ce n’è alcun bisogno” dichiarò offeso il marchese: “La strada da fare è facilissima: proseguo verso nord sempre dritto, finché non incontro una foresta oscura…”
“Ecco, quando incontri quella foresta, devi aggirarla verso sinistra, non entrarvi” gli ricordò Natalie, che era molto scettica riguardo il senso dell’orientamento del marito. Ricordava fin troppo bene quella volta che si erano affidate a lui ed erano finiti spersi nei campi, finché un contadino non li aveva riportati tutti e tre a casa: “È meglio che tu vada a sinistra, perché a metà della foresta c’è un piccolo territorio disabitato che confina con Soledad e Borgofiorito, ed è poco saggio sconfinarvi. Nessuno ne sa nulla da anni”.
“Beh, facilissimo: a sinistra, evitare la foresta. Perfetto” gongolò il marchese, sfregandosi le mani. Natalie manteneva un’aria poco convinta: “Speriamo bene…”
“Oh, andiamo, matrigna Natalie” le disse Isadora, che al contrario era sicura della buona riuscita del viaggio: “Papà è sano e vaccinato, e chiunque abbia un briciolo di cervello aggirerebbe una foresta oscura. Fidatevi di lui”. Natalie ripeté, preoccupata: “Speriamo bene…”
 
Il giorno dopo, il marchese era pronto per andare al palazzo del conte DeGuisky, e stava salutando Isadora e Natalie sulla porta dell’enorme magione, nel caos di Soledad che si svegliava, tra carri in corsa, cavalli che nitrivano e popolani al lavoro. Poco lontano dal gruppo, il calesse rosso del marchese era già stato sistemato in strada, con i due cavalli pezzati che si guardavano attorno con occhi inebetiti. Sul calesse era stato montato un fagotto con gli effetti personali del marchese e un regalo per il conte. Non c’era alcuna scorta: il marchese voleva andare da solo.
“È il momento di salutarsi” disse triste il marchese: “Ma non temete: sarò di ritorno tra pochi giorni con buone notizie e un regalo per voi”. Isadora lo guardò con tutto l’affetto di questo mondo, malinconica al pensiero di doverlo lasciare. Lui era l’unica luce che rischiarava la monotonia della sua vita. Lo osservò scambiare con Natalie uno spassionato bacio sulle labbra, poi, quando si fu voltato verso di lei, dovette fare uno sforzo per reprimere le lacrime: “In bocca al lupo, papà”.
“Sii allegra, Isa” sussurrò il buon uomo, asciugandole con la punta delle dita la lacrima che le era spuntata all’angolo dell’occhio: “Non farmi andar via col ricordo di te che piangi. Sei grande, ormai. Cosa te ne fai di un povero vecchio come me?”
“Tutto!” esclamò la ragazza con sorprendente veemenza: “Mi mancherai da morire, papà” gli gettò le braccia al collo con slancio, stringendolo fin quasi a togliergli il respiro. Il povero marchese venne contagiato dalla figlia e fu sul punto di sciogliersi in lacrime a sua volta. Poi però incontrò lo sguardo di Natalie, freddo come il ghiaccio, che lo rimise prontamente a posto. Si separò da Isadora e le accarezzò i capelli: “Ci vediamo presto, Isa”.
Fu sul punto di raggiungere il calesse, ma lei lo fermò prendendolo per un braccio: “Aspetta!” lo fissò dritto negli occhi con serietà: “Promettimi che la prossima volta mi porterai con te”.
“Promesso” disse solennemente il marchese, portandosi alle labbra le dita incrociate e baciandole. Lei annuì e gli lasciò andare il braccio con lenta riluttanza. Il marchese caracollò fino al calesse, si fece aiutare dal maggiordomo a salirci sopra e strinse in pugno le redini: “Arrivederci, ragazze” esclamò, facendo un ampio cenno di saluto. Isadora gli soffiò un bacio, Natalie si accontentò di un impercettibile cenno del capo. Al che il marchese tirò le redini e i cavalli presero vita, avviandosi al trotto fuori dalla cittadina. Il popolo si aprì in due ali per lasciar passare marchese e calesse.
Isadora e Natalie restarono un attimo sulla soglia, rattristate. Fu mentre accennava a rientrare che la giovane notò di nuovo l’uomo dallo sguardo viscido che le aveva sorriso nel vicolo tempo prima. Stavolta era in piedi accanto ad una bottega, coi suoi vestiti impeccabili e le sue folte basette, e la fissava intensamente, come un cacciatore che sta valutando attentamente una preda. I capelli rossi erano pettinati e gli occhi verdi gli scintillavano di cupidigia. Le sorrise come l’altra volta, vedendosi osservato. Lei rabbrividì e si voltò bruscamente: “Chi è quell’uomo?” bisbigliò.
“Quale?” Natalie osservò la direzione indicata da Isadora e trasalì: “Lord Fox!”
“Lord Fox?” fece Isadora aggrottando la fronte. Natalie annuì, sinceramente stupita: “Non lo conosci? È una specie di celebrità, a Soledad. È ancora più ricco di tuo padre, sai? È vedovo di quattro mogli, pover’uomo”.
“A quarant’anni è già vedovo di quattro mogli?” osservò la ragazza, scrutandolo sospettosamente. Natalie rispose: “Sono morte tutte in condizioni tragiche. L’ultima, si dice, è scivolata nella palude a nordest e non è riuscita a tornar su”.
“Come si fa a scivolare se la strada è tutta lastricata?”
“Cosa stai insinuando? Dovresti dare un freno a questa tua immaginazione contorta, marchesina Isadora. È molto sconveniente. Lord Fox è un uomo illustre e celebre e tutti ne parlano bene. Tutte le sue mogli erano figlie di famiglie ricchissime, e recavano una dote immensa. Ci vuole carisma, per avere in moglie tipi simili”.
Il senso di inquietudine che attanagliava il cuore di Isadora, però, non se ne voleva andare. Lord Fox continuava a sorriderle, famelico, e fu con grande piacere entrare in casa per sbattergli di nuovo la porta in faccia. Non voleva fargli capire che era l’unico uomo a farle paura.
 
Il marchese di Soledad aveva imboccato la campagna verdeggiante del suo regno con il cuore carico di speranze per il futuro incontro con il conte DeGuisky, ed era così giulivo da fischiettare allegramente sulla via e da lanciare di tanto in tanto uno zuccherino agli affaticati cavalli che trainavano il calesse. Tutt’intorno a lui, si estendevano campi dorati che scintillavano al sole, alberi dalla chioma rigogliosa e fiori multicolori. L’aria era pregna di profumi che accrescevano il suo buonumore.
“Che splendida giornata” pensò, appollaiato sul calesse in movimento: “Il sole è alto, gli uccelli cantano e io sto per incontrare il più illustre personaggio di tutti e sette i regni. Non avevo mai visto Borgofiorito. Dicono che sia splendido”.
Ad un certo punto, senza fermare il calesse, tirò fuori da una tasca del mantello da viaggio una cartina ripiegata e la aprì, osservandola con attenzione. Aveva preso la strada giusta e si stava avvicinando al confine. Avrebbe raggiunto il palazzo del conte entro l’indomani mattina, a patto che viaggiasse anche di notte.
“Poco male” pensò: “Tanto la strada è sempre dritta, potrò sonnecchiare un po’”.
Per il resto della giornata proseguì di buon passo. All’ora di pranzo comperò da un mercante ambulante uno spiedino di carne e lo divorò in un batter d’occhio: “Al diavolo Natalie e tutti i vegetariani!” era uno spasso essere libero dal giogo della moglie. Poteva fare ciò che voleva e mangiare quel che voleva. Mise da parte i fischi e prese a cantare delle vecchie ballate popolari che ballava con la sua prima sposa quand’era giovane. Era stonato come una campana, ma almeno si divertiva.
Fu verso il tramonto che incontrò le prime complicazioni. Era quasi alla linea di confine tra i due regni, ma le indicazioni sulla cartina si facevano più confuse. Illuminato dal bagliore scarlatto del sole in discesa, si mise a riflettere ad alta voce: “Natalie aveva detto che dovevo aggirare la foresta e andare a sinistra…ma che diamine, se faccio così non arriverò in tempo dal conte!”
Fermò un vecchio contadino che tornava dal lavoro nei campi: “Perdonatemi, buon uomo, sapreste dirmi che strada prendere per arrivare più in fretta a Borgofiorito?”
Il contadino si fermò, ci pensò un po’ su e poi gli spiegò con fare da intenditore: “Andate sempre dritto. Incontrerete una foresta, entrateci, seguite il sentiero e quando ne uscirete sarete arrivato a Borgofiorito”.
Non era quello che il marchese si aspettava. Dall’alto del calesse, sudato, nervoso, con la cartina stretta fra le mani, obiettò debolmente: “Io però sapevo che bisognava aggirare la foresta…”
“Sì, potreste fare anche così” replicò il contadino: “Ma ci mettereste il doppio. Quando dovreste arrivare a Borgofiorito?”
“Domani mattina sarebbe l’ideale”.
L’uomo fece un fischio: “Se aggirate la foresta arriverete al massimo domani sera. Non è difficile, avanti: vi basterà entrarci e seguire sempre il sentiero. Vi condurrà dritto dove volete andare”.
Il marchese restava poco convinto: “Mi hanno parlato di un territorio che non appartiene né a Soledad, né a Borgofiorito, i cui confini sono all’interno della foresta stessa. Correrei il rischio di entrarci?”
“Ah, sì, ho sentito qualcosa al riguardo. State tranquillo: il sentiero si tiene alla larga da quel posto. Ci metterete pochissimo”.
Le resistenze del marchese cominciarono ad ammorbidirsi: “Non è che potreste accompagnarmi?” farfugliò. Il contadino fischiò di nuovo e scosse deciso la testa: “Mi dispiace, signore, ma io ho una famiglia che mi aspetta. Mi chiedete troppo”.
“Non importa” gracidò flebilmente il marchese: “Grazie lo stesso. Arrivederci!” Il contadino fece per andarsene, ma poi ci ripensò, tornò sui suoi passi e gli porse uno strano braccialetto fatto di sottilissimi fili di tessuto: “Contro i cattivi incontri” spiegò.
Deglutendo e annodandosi il braccialetto scacciaguai al polso grassoccio, il marchese avviò il calesse al trotto. Era indeciso sul da farsi. Aggirare la foresta come gli aveva raccomandato Natalie, o guadagnare tempo come aveva detto il contadino? Era stanco, sporco e ora di cattivo umore, e avrebbe fatto qualsiasi cosa per giungere al più presto. “Che problemi mi faccio?” pensò: “In fondo si tratta solo di seguire il sentiero”.
Quando però si ritrovò di fronte alla famigerata foresta, tornarono a galla tutti i suoi timori. Aveva un aspetto tutt’altro che invitante, soprattutto adesso che era notte: era un intrico fittissimo di alberi dai rami adunchi e dalle foglie appuntite, una rada erbaccia ricopriva il terreno e ne uscivano rumori sinistri, ululati di lupo e fruscii poco raccomandabili. La luna vi splendeva sopra come una falce di morte, e un sentiero quasi invisibile si immergeva tra gli alberi. Altrimenti, la strada proseguiva a sinistra nei campi silenziosi di Soledad.
Il marchese esitò, di fronte a quel bivio. Minuscole gocce di sudore gli imperlavano la fronte, e gli occhi scattavano dal sentiero alla strada carichi di indecisione. I cavalli si mossero, nervosi. Guadagnare tempo, o salvarsi la pelle?
“Il contadino non mi avrebbe mai consigliato di fare qualcosa di pericoloso” pensò per farsi coraggio. Così non ci pensò più, tirò le redini a destra e portò il calesse dentro l’oscura foresta, che si chiuse su di lui inghiottendolo come un’enorme bocca.
L’atmosfera non era delle migliori. L’oscurità era densissima, e non si vedeva quasi niente. Solo pochi raggi lunari penetravano tra le fronde intricate degli alberi. Presenze sconosciute si muovevano tra i cespugli e i gufi cantavano nella notte scura. Il marchese era tutto rattrappito sul calesse che avanzava cauto sul sentiero quasi invisibile, pallido come un cencio e terrorizzato a dir poco. Non si era mai trovato in una situazione di pericolo. Per scacciare la paura, si mise a canticchiare tra sé una delle sue ballate. D’improvviso, uno stormo di uccelli uscì da un cespuglio e quasi travolse il marchese, che gridò e si gettò prono sul calesse. Sollevò la testa: gli uccelli erano scomparsi, ma i cavalli davano grandi strappi al mezzo, spaventati. Li calmò con parole balbettate. Aveva rischiato un infarto. Strinse convulsamente il braccialetto che gli aveva dato il contadino.
Abbassando lo sguardo, lanciò un altro grido: il sentiero era scomparso! Si girò di scatto e lo vide dietro di sé, indistinto alla luce lunare. Ma di colpo si interrompeva, e ovunque guardasse non lo trovava più. Il panico quasi lo soffocò. “Che cosa faccio adesso?”
Angosciato, restò dov’era per diversi minuti, immerso nel buio, nascosto dagli alberi. Faceva un freddo terribile: si strinse inutilmente nel mantello. In più aveva una fame da lupi e una paura pazzesca. Rimpianse i ravanelli di Natalie e si diede dello stupido per non averle dato ascolto.
“Mi sono perso in una foresta minacciosa, in piena notte, e tutti credono che sia in viaggio per il palazzo del conte DeGuisky. Può esistere qualcosa di peggio?”
L’ululato lugubre di un lupo lo riscosse. Non poteva restarsene là in attesa che succedesse qualcosa. Il sentiero non poteva semplicemente…sparire! Scese dal calesse goffamente e a malapena si resse in piedi: le gambe gli tremavano come gelatina. Fece alcuni passi tremanti sul terreno gelido e scricchiolante. I rami incombevano sulla sua testa come una volta oscura. La luna lo sbirciava da sopra quella cortina intricata con sadico divertimento. Si chinò ed esaminò il terreno, sforzandosi di vincere il terrore: forse il sentiero era nascosto dai rami caduti e dalle erbacce.
Mentre faceva questi movimenti, un rumore brusco lo costrinse a voltarsi a precipizio, il cuore in gola: con un trasalimento d’orrore, vide i cavalli terrorizzati girarsi e correre lungo il sentiero con tutto il calesse, infilandosi tra gli alberi. Scattò in piedi e corse loro dietro: “No! Fermi! Fermi!”
Ma il rumore degli zoccoli che scappavano si perse in lontananza. Il marchese, al culmine della disperazione, crollò in ginocchio e scoppiò in un pianto dirotto. Aveva sbagliato: esisteva qualcosa di peggio. Aveva anche perso il proprio mezzo di trasporto. Si abbandonò ai singhiozzi, privo di ogni speranza. Voleva rivedere Natalie ed Isadora, voleva stringerle e dimenticare quell’incubo…sarebbe morto di freddo, o divorato da un animale feroce, o di fame. Si sentì perduto.
Dall’abisso della sua disperazione, a malapena udì il respiro ansimante che era risuonato nel silenzio della foresta. Con un sussulto, sollevò la testa di scatto e rimase gelato: a pochi passi da lui, ritto tra due alberi oscuri, un immenso cane lo fissava.
Era una bestia che non assomigliava a nessuno dei cani di razza che il marchese aveva visto in passato. Doveva essere un meticcio: era ricoperto da una folta pelliccia nera e arruffata e aveva zampe possenti, ancorate con forza al terreno. Le orecchie, grandi e nere anch’esse, erano rizzate sopra il muso minaccioso, dominato da due occhi scuri e fissi. Moccoli di bava colavano dai denti appuntiti.
Il marchese si raggomitolò su se stesso. Non aveva nemmeno più la forza di urlare. Era certo che il cane l’avrebbe sbranato. Tanto vale non fare movimenti inconsulti per facilitargli l’opera, pensò. L’animale, però, restava immobile dov’era, e non dava segno di volersi avventare. Lo fissava con uno sguardo sospettoso, dimenando nell’aria la coda cespugliosa. Tra i denti era rimasto intrappolato l’ammasso di carne di una qualche preda che aveva divorato. Fu solo quando il cane si mosse che il marchese si accorse del massiccio collare di cuoio, percorso da una corona di spine di ferro, che cingeva la gola della bestia. La gioia gli illuminò il viso pallido e spaventato e scattò in piedi come una molla, esclamando: “Hai un padrone! Sia ringraziato il cielo!”
Il cane, però, scoccandogli un’ultima occhiata di sufficienza, si girò e saltò tra gli alberi. Il marchese non aveva nessuna voglia di lasciarselo scappare: “Ehi, torna qui! Ora mi porti dal tuo padrone!” gridò, scattando in corsa dietro al meticcio. Lo avvistò che percorreva un tronco divelto che faceva da ponte ad un ruscello che scorreva tra i sassi. Caracollando sulle gambe grassocce, percorse la stessa strada. Quando si è davvero terrorizzati, nulla ha più importanza, tranne la salvezza. E lui vedeva la salvezza in quel cane massiccio e cespuglioso.
L’animale avanzava senza alcuna esitazione tra i rovi e i rami, come se molte altre volte avesse percorso la stessa strada, ma lo faceva velocemente, senza attribuire importanza all’arrancante e sudato marchese che gli correva dietro, attento a non perderlo. “Aspetta!” ansimò, inciampando nel mantello. Quella grossa macchia nera svoltò a destra e venne inghiottita dal buio. Il marchese emise un gemito di sconforto: “Non scomparire anche tu, ti prego!”
Ma il cane sembrava proprio essersi volatilizzato. Il marchese rallentò il passo, sconfitto: “Ti prego…” disse in un soffio. Camminò piano nella direzione presa dal cane, le lacrime che gli rotolavano sulle guance: “Ti prego…”
Di colpo i rami si aprirono e la luna lo investì in pieno, rivelandogli ciò che prima era stato nascosto dagli alberi. Il volto del marchese divenne una maschera di stupore puro: “In nome del cielo!”
Davanti a lui, al centro di un’immensa radura di erbacce, c’era un enorme maniero nero che svettava nella notte. 
 
“Che ci faceva un maniero in una foresta?” chiese subito Josh, non appena il cantastorie tacque un attimo. Il pezzo della foresta li aveva interessati tutti, e ora non ce n’era uno che non lo ascoltasse. Anche Tom aveva smesso di fare scene e lo fissava in silenzio. Il cantastorie rispose: “Sto per dirvelo”.
“Il cane era buono o cattivo?” chiese ansiosamente Annie. Intervenne anche Alex, un bambino magro e brufoloso: “Il marchese è stato proprio stupido a non dare ascolto alla matrigna cattiva”.
“E Lord Fox che ruolo ha in tutto questo?” si aggiunse Julie. Il cantastorie rise e sollevò la mano: “Calma, ragazzi, calma! Ci sto arrivando! Ascoltate…”

 
  
Leggi le 1 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Storie originali > Favola / Vai alla pagina dell'autore: Sylphs