Fanfic su artisti musicali > Jonas Brothers
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Autore: Beatriz    23/02/2012    3 recensioni
«Quanto tempo è ormai?»
Aveva chiesto Carly, sicura che la risposta, in un altro frangente, l’avrebbe fatta ridere. O probabilmente avrebbe riso lo stesso, per il nervosismo. Joe lasciò oscillare il braccio di malavoglia. «123 giorni»
«123 che cosa?» Ripetè la ragazza riducendo gli occhi scuri a due piccole, impercettibili fessure. E lui non riuscì neppure a capire se stesse urlando, o se la testa gli doleva a tal punto che ogni minimo sussurro assumeva le sembianze di un nitido acuto del petto. «Oh, davvero?Hai deciso di rimanere rintanato qui dentro fino a Natale?»
Quella battuta a dir poco sarcastica gli strappò un flebile risolino divertito. «Potrebbe essere un’idea, no?»
«L’unica idea che ho in mente io, adesso, è quella di tirarti un pugno a procurarti talmente tanto male da farti dimenticare Calixte, il cancro, e anche il tuo nome, accidenti» Sbottò Carly, cercando di essere convincente nel suo a dir poco bizzarro rimprovero
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri, Joe Jonas, Nuovo personaggio
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Buonasera care :)
Non mi sembra vero che dopo ... 3 anni? Sono risucita a terminare qualcosa, per quanto piccola e .... si, probabilmente stupida. Le mie FF da 3 anni a questa parte sono rimaste sempre incomplete. Beh, esclusa questa, da ora.
Spero vi piaccia l'ultimo capitolo, anche se sono consapevole che non è un granchè. E' stato un pò un parto, a dire la verità. Grazie a tutte voi che mi avete seguita, spero di tornare presto con qualcosa di nuovo.
Simona
P.S. Un grazie speciale va a la mia Arianna e a Federica. Grazie ragazze, siete splendide <3










                                                                                                            3.

-TANTI AUGURI A TE, TANTI AUGURI A TE, TANTI AUGURI A JOSEPH, TANTI AUGURI A TE!-

Un boato di applausi si schiuse nella salone quando Joe, sorridente come un bambino il giorno del suo decimo compleanno, soffiò sulle candele blu dall’ipotetica forma di un due e di un tre abbastanza stilizzato. Non riusciva a credere nemmeno lui che il giorno del suo compleanno fosse giunto quasi senza preavviso, mentre le grosse X del calendario aumentavano come i suoi anni. Si soffermò un momento a scrutare i volti dei presenti, i pochi intimi amici con cui aveva condiviso tutto, e si agitò dietro il tavolo afferrando un calice vuoto e una posata. Il tintinnio stridulo dei colpi inflitti sul vetro si diffuse tra le pareti, facendo sorridere Kevin.
-Joe, ti stiamo guardando tutti- Commentò il maggiore abbracciando l’intera stanza –Non c’è bisogno che distruggi i bicchieri della mamma-
Joseph gli riservò un’occhiataccia di ammonimento, -Taci!- Tuonò.
Si schiarì la voce con dei nitidi colpetti di tosse, prima di lanciare verso la torta al cioccolato un ultimo sguardo di gratitudine.
-Prima di tutto, volevo dirvi che come cantanti siete negati-Un accenno di risolini divertiti si disperse tra la coltre di fumo delle candeline appena spente –E poi volevo ringraziarvi. So che è scontato da dire, ma nell’ultimo periodo sono stato … -
-Un ameba?- Concluse Nick, innescando l’ilarità generale. Joe sbuffò con impazienza, nonostante sorridesse per il paragone buffo che il fratello minore aveva lanciato come carta vincente.
-Okay, questa era buona- Sentenziò, provando a tornare serio per continuare il suo discorso. E dire che erano settimane che pensava a cosa avrebbe dovuto raccontare nel fatidico giorno del suo ventitreesimo compleanno. –Ma davvero, sono stato insopportabile, e apatico e … Carly?- Si voltò con aria maliziosa verso la sua migliore amica, a pochi passi da lui, e quella sorrise –Noioso?- Azzardò, inarcando un sopracciglio.
Joe le fece l’occhiolino, quasi le stesse dando cieca ragione –Probabilmente si. Ma sono fiero di dire che nessuno di voi mi ha abbandonato quando l’unica cosa che avrei voluto fare era probabilmente soffocare con un sacchetto di plastica sulla testa. Quindi … Chi vuole la torta?-
Frankie, senza che il festeggiato dovesse ripeterlo due volte, si avventò sulla torta, formando con l’aiuto del dito indice un solco profondo tra la panna. Joe, divertito dalla scena, provò anche solo ad immaginare cosa avrebbe fatto lui quando sarebbe arrivato alla sua età.
Era così simpatico e intelligente che avrebbe conquistato il mondo quanto, o forse più, dei Jonas Brothers. E di questo ne era sicuro.
 
Quando nessuno prestava più attenzione a loro due, con le loro porzioni di dolce sui piatti di plastica rossi, Carly strattonò il ragazzo per un braccio, costringendolo ad avvicinare l’orecchio alle sue labbra profumate di lip gloss. –Joe,- Sussurrò, mentre a fatica riusciva a contenere la bocca dal distendersi in un sorriso emozionato –Joe qui fuori c’è una persona che vorrebbe parlare con te-
Joe si incupì, aggrottando la fronte. –Prendilo come il mio regalo di compleanno-
Aveva sibilato a denti stretti, prima di trascinarlo fuori in veranda.
 
 
                                                                                                            ***
 
 
Joe avrebbe voluto piangere, saltare, urlare, e poi ricominciare ancora. Il cuore fremeva nel suo petto come i bambini all’arrivo di Babbo Natale, con i pacchetti colorati tra le mani e la frenesia di scoprire i loro nuovi giocattoli.
Calixte era bella, nei suoi sandali di cuoio intrecciati lungo le caviglie esili e i pantaloncini bianchi un po’ sgualciti. Lasciò scivolare lo sguardo su quei boccoli sfarzosi, trattenuti da alcune forcine nere. Erano ricresciuti, e le donavano particolarmente. Ma d’altronde Joe l’avrebbe trovata graziosa in ogni caso.  Il suo sguardo azzurro lo colpì dritto nei ricordi, facendo riaffiorare tutto il dolore di quei giorni trascorsi a contare le X su quelle fottute caselle satinate.
E il biglietto, e l’addio, e il cancro, e lui l’amava, e lei sorrise, e Joe avrebbe voluto tenerla con sé per sempre come un souvenir. I pensieri si accalcavano nella sua testa in maniera così sfrontata che a malapena riusciva a capire cosa gli stesse succedendo intorno.
Improvvisamente, era come se quelle 123 X non fossero mai state segnate.
-Ciao, Joe- Il sussurro di Calixte era impercettibile, nel trambusto della festa che si consumava alle loro spalle, dentro quelle quattro mura stuccate di bianco. Joe strinse le dita di Carly tra le sue, quasi temendo il momento in cui lei le avrebbe spiegato che era tutto frutto della sua più fervida immaginazione.
Ma, al contrario di ogni sua aspettativa, Carly rivolse a Calixte uno sguardo ricco di gratitudine, prima di sorridere ad entrambi. –Meglio che vi lasci soli, per un po’- Farfugliò facendo schioccare la lingua –Voglio dire, ho lasciato la mia torta in mano a Kevin e non c’è nessuna garanzia che io la trovi ancora-
Rimase in bilico con il peso sulla gamba destra, attendendo uno scroscio di risate che non la raggiunse mai. L’ansia e il terrore negli occhi di entrambi era indescrivibile, quasi malato. Si precipitò oltre la soglia mentre l’eco spregiudicato della sua coscienza cercava di convincerla che la presenza di Calixte fosse la cosa migliore per lui. –Kevin Paul Jonas II, giù le mani dalla mia porzione di dolce, o ti prendo a forchettate!-
Il rimprovero, impregnato del timbro vocale di Carly,  raggiunse le sagome immobili che sostavano sotto la tettoia intarsiata in legno, e Joe non potè fare a meno di sorridere. I suoi muscoli cominciarono a sciogliersi: Era impossibile che stesse sognando, perché la voce burbera della sua migliore amica rimbombava forte e chiara in qualsiasi angolo della casa. –Che … Perché sei qui?-
In qualunque modo formulasse le sue domande, Joe aveva il timore di poterle sembrare scontroso, quando l’unica cosa che desiderava per il suo compleanno era un suo tiepido abbraccio. Calixte non rispose.
Il suo passo strascicato la scortò fino al giardino, oltrepassando il sentiero di ghiaia che si frantumava sotto la suola delle scarpe, e Calixte si accovacciò sotto la fronda di un albero dalla corteccia così scura da confondersi con la terra. Joe trovò la forza di seguirla, nonostante a malapena le sue gambe sopportassero il peso dei vestiti indossati. Quando si lasciò cadere ai piedi della pianta, dalle sue labbra esangui fuoriuscì un sospiro di rassegnazione.
-Sarò sincera,-Calixte aveva cominciato a parlare, e Joe poteva notare con quanta fatica quegli occhi chiari fissavano i fili d’erba che le accarezzavano il polpaccio, senza mai scontrarsi con i suoi –Io non sarei voluta venire. E’ stata tutta un’idea di Carly, è stata lei che mi ha convinto perché credimi Joe: è stramba, ma ti vuole davvero tanto bene. Quindi, quando avremo finito di parlare, e tu tornerai a vivere la tua vita, corri dentro casa e dalle un grosso abbraccio. Perché se lo merita-
Joe non riusciva a credere a quelle poche, semplici parole. Carly e Calixte non si erano mai piaciute, e difficilmente riuscivano a sostenere una conversazione senza lanciarsi piccole frecciatine idiote, o insulti infimi. Ma questa volta, la sua Callie sembrava davvero sincera. Accolse la sua mano tra quelle dita pallide, stringendole con quanta forza le braccia potevano riservarle. –Ho bisogno, e ne ho bisogno davvero Joe, che tu ti dimentichi di me-
Joe avrebbe voluto piangere. Si, era capriccioso, ed egoista. E per una volta, in tutta la sua vita, voleva essere capriccioso ed egoista. –Devi lasciarmi andare. Io … Joe non posso fare niente se so che tu continuerai a tenermi stretta come se avessi una qualche specie di filo che, quando tiro troppo, mi riporta da te. Non posso vivere io, né tantomeno potresti riuscirci tu-
-Ma tu mi ami?-Joe si morse la lingua, pentito subitosi subito dopo di quella richiesta così azzardata. Solo che a volte aveva bisogno di sentirsi rassicurato, proprio come un ragazzino.
Calixte sussultò, e i muscoli della schiena si contrassero contro il ruvido tronco su cui era distesa delicatamente. Il ritmo frenetico del suo cuore era diventato quasi insostenibile. Chiuse gli occhi, e un vistoso cenno di assenso le calò sulle piccole labbra serrate tra loro.
-Se può farti star meglio saperlo, sono ancora irrimediabilmente innamorata di te-
-E allora torna-
-Per lasciarti partecipare allo spettacolo in cui io sto male e tu non puoi fare niente se non lanciare i pugni contro il muro urlando quanto ti odi?-Sibilò lei, ricacciando indietro un velo di lacrime che spingeva agli angoli degli occhi. Deglutì a vuoto, sperando che la sua voce incrinata non avesse destato alcun sospetto alle orecchie di Joe. –Cosa pensavi, che non ti avrei mai sentito la sera, dopo le mie giornate di chemio?- Riprese poi, lottando contro la voglia di sfogare il suo dolore e la sua frustrazione sulle ciocche di erba piantate nel terreno, e la vecchia corteccia che raschiava la loro pelle.
Sotto il giudizio di quello sguardo implorante, Joe si sentì per la prima volta colpevole di tutti quei momenti di dolore. L’aveva fatta stare male, quando l’unica cosa di cui aveva bisogno era qualcuno che le stringesse la mano quando i suoi respiri affannosi parlavano al suo posto, o un carattere positivo che illuminasse le sue giornate apatiche. Ma tutto ciò che riuscì a fare, in quella circostanza, fu auto commiserarsi per quel risvolto della loro storia che non aveva programmato. –Joe, io l’ho fatto per t … -
-Smettetela!-La interruppe Joe stringendo le tempie tra le mani, come se avesse udito qualcosa di incredibilmente fastidioso –Smettetela di dirlo, non fate che ripetermi altro. L’ho fatto per te, l’ho fatto per il tuo bene, come se non fossi più in grado di decidere cosa è meglio per me. E’ ovvio, ti spacco il cuore ma lo faccio solo per te, che idiota sono stato-
Calixte non riuscì a frenare l’impulso che, con pazienza, aveva tenuto nascosto per tutta la durata del loro dialogo, e con uno slancio si sporse in avanti fin quando il suo seno non si scontrò con il petto ampio di Joe. Affondò la fronte nell’incavo del suo collo, mentre il corpo si contraeva sotto i nitidi e scanditi singhiozzi di quel pianto silenzioso che inutilmente provava a far morire lungo la gola. –Hai ragione Joe, hai ragione- Le sue parole, convulse e indistinte, si alternavano a respiri mozzati. Joe le accarezzò la nuca. I suoi capelli profumavano di buono.
-Il punto- Riprese lei spostando di poco la fronte lungo le spalle che tante volte l’avevano accolta –E’ che, per quanto tu possa amare una persona, le cose non cambieranno. Le cose non cambiano quasi mai Joe, siamo noi che ci adattiamo. E se ti ho lasciato un biglietto idiota sul comodino, quel giorno, è stato perché volevo alleviare uno dei tanti dolori che stavi sopportando a causa mia, l’unico che potevo manovrare a mia scelta-
Si staccò da lui nonostante le mani di Joe pregassero per qualche istante in più, e le sue labbra piene si soffermarono sulla mascella contratta.
 –Non odiarmi, Joe- Sussurrò premendo la tempia contro la linea definita del collo –Non odiarmi-
Ripetè, senza ormai riuscire più a placare gli spasmi in cui il suo petto si contraeva con trepidazione.
Joe la strinse teneramente tra le braccia, cullandola e lasciando sui suoi capelli arruffati qualche bacio ogni qual volta ne sentisse la voglia. L’amava, ed era cosciente che i suoi sentimenti non sarebbero mai cambiati.
Ma si sarebbe adattato.
Si sarebbe adattato a lasciarla andare.
 
 
 
Prima o poi.
 
  
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