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Autore: cheekbones    23/02/2012    9 recensioni
[Sequel di NCIS - High School Version]
"Ziva?" sibilò Tony, nel buio.
"Che c'è?"
"Ti amo"
Si voltò verso di lui. "Ti sembra il momento?"
"Beh, si, mi sembra proprio il momento, in effetti"
Genere: Azione, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Un po' tutti
Note: AU, Cross-over, Lime | Avvertimenti: nessuno
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NCIS
NCIS 9x14 Life Before His Eyes

Shannon: We've been waiting for you

9x14





Gibbs afferrò la tazza che sua moglie gli porgeva. Sorrise dolcemente, notando che era caffè e non il thè che lei faceva sempre. Aveva pensato a lui, per la prima volta da quando aveva scoperto di essere incinta. Ne prese un sorso, mentre Shannon si sedeva di fronte a lui, il viso scavato.
"Stai bene?" le sussurrò, senza però fare un passo verso di lei. Shannon alzò lo sguardo e lo fissò interdetta, nonchè stupita.
"Ora ti preoccupi per noi?" ogni volta che ne aveva la possibilità, sottolineava il fatto che fossero in due. E Jethro non riusciva ancora a capacitarsene.
"Shannon" prese un respiro e posò la tazza. Vide il suo sguardo risentito e cercò di rimediare: "Mi sono sempre preoccupato"
"Non mi sembra. Sono due mesi che esci senza avvisare, torni quando ti pare. Si può sapere cosa ti prende?" ringhiò. "Aspetto un bambino, Jethro! Ho bisogno, io devo averti accanto. Ho bisogno di sapere che tu ci sia, che non sono sola..."
"Non lo sei" Gibbs scosse la testa, passandosi una mano tra i capelli.
"Forse. Ma non grazie a te" trattenne un singhiozzo.
"Io ti amo, Shannon" le disse, guardandola negli occhi.
"E' proprio questo il problema, Jethro. Tu ami solo me" si alzò, una lacrima che le bagnava la guancia e una mano sul ventre, in segno di protezione.
"Non capisco perchè, sai. Pensavo saresti stato felice. Mi sono fatta un'esame di coscienza, forse dovevo coinvolgerti di più, ma ora mi rendo conto che il problema non sono io, sei tu. Sei fatto per stare solo, sei questo: un animale solitario. E io ci ho provato... " prese un respiro. "Ci ho provato a starti accanto, sto bene con te. Io ti amo. Ma non posso stare con qualcuno che non ama il mio bambino. Mi dispiace. Domani torno dai miei..." fece per andare in camera da letto, ma Jethro l'afferrò in tempo. L'abbracciò da dietro e affondò il naso tra i suoi capelli.
"Ascolta" le sussurrò all'orecchio. "Mi dispiace"
"E' un segno di debolezza" singhiozzò.
"No, stavolta no. Sono confuso, Shannon. Non credo di essere pronto per diventare padre, ma d'altro canto non credevo di essere pronto neanche per diventare un marito.. e invece lo sono. E non è vero che amo solo te" le poggiò una mano sulla pancia. "Dammi tempo. Ce la puoi fare?"
Shannon si voltò: "Spero che abbia i tuoi occhi" mormorò.

Dopo aver respinto Michael, Ziva si arrotolò nel lenzuolo, lo sguardo perso nel vuoto. C'erano tante cose che le vorticavano in testa, troppe cose forse. Non ci era più abituata. Da quando era entrata nel Mossad, aveva staccato la spina. Doveva solo eseguire gli ordini, non c'era nulla di difficile: lasciare i sentimenti fuori, era la regola. Per Ziva non era stato difficile, visto che di sentimenti non ne aveva più. Gli erano stati portati via dopo troppe morti (fisiche e non).
Si può dire che si era arresa. Si era arresa al suo destino, alla sua storia, a quello che era stato, da sempre, il volere di suo padre.
Perchè era stato più facile entrare nel Mossad, scappare in Israele, prendersela con Tony. Aveva sbagliato solo lui? Oh, no. Dopo due anni, Ziva si chiedeva perchè non era rimasta a combattere per la sua felicità; in fondo, era di questo che si trattava, Felicità. La sua.
Michael si mosse lievemente nel sonno e poggiò una mano sulla sua pancia. Ziva lo scostò, presa da una singulto disgustato, decisamente non da lei. Aveva imparato a soffocare tutto, pur di arrivare alla fine di una missione, pur di averla, una missione. Anche se significava andare a letto con Michael.
Non l'aveva mai rifiutato prima d'ora, anche perchè non le dispiaceva far prendere aria ai pensieri, in quel lasso di tempo in cui l'uomo riusciva a darle un orgasmo degno di questo nome.
Ma non è la stessa cosa, Zee. E tu lo sai.
Fare l'amore con Tony era diverso. Era stare in pace con l'Universo. Era entrare in contatto con la parte più nascosta e intima del mondo. Fare l'amore con Tony era tutto, era sentirsi amata come mai lo era stata. La prima volta, semplicemente perfetta. Ziva non credeva che potesse essere così. Aveva aspettato, l'aveva amata, nonostante lei non volesse andare fino in fondo. Mai una pressione, poche battute, tante coccole.
Alla fine aveva ceduto. Era stata lei a saltargli addosso, quel giorno, sul divano di casa DiNozzo. Tony aveva avuto perfino paura a spogliarla, toccarla. Diceva di essere un esperto, navigato nel settore, ma si era subito accorta che, con lei, non sapeva dove mettere le mani; poi era andata sempre meglio. Ziva aveva scoperto di dover fare l'amore con lui, in media, due volte alla settimana (ed Abby l'aveva preso in giro per giorni, dopo che aveva fatto quella stima matematica). Cominciava ad essere insofferente se non le era vicino. Lo amava, lo amava con tutta sè stessa. Tutto quell'amore, molto adolescenziale, ora se ne rendeva conto, l'aveva ben presto trasformato in odio.
Odio distruttivo, ma non per lui: per lei.
Ziva si alzò di scatto a sedere, colta da un improvviso attacco di panico. Passeggiò fino in cucina e prese a guardare fuori dalla finestra, le mani che sfregavano sulla canotta che usava per dormire. Certe volte la mancanza diventava insopportabile, dolorosa, opprimente.
In quei momenti Ziva non riusciva a fare nulla, o semplicemente andava al poligono di tiro per sfogare la frustrazione. Ma oramai era passata.
Non si ricorderà neppure di me si morse le labbra. Meglio. Dovunque tu sia, spero che tu stia soffrendo, DiNozzo.
Il Mossad era diventato ben presto un guscio protettivo. Era il luogo in cui Ari aveva lavorato ed era diventato quel mostro che aveva dovuto conoscere, per cui era morto. Lì lavorava suo padre, c'era tutta la storia della famiglia David. Il Mossad non avrebbe potuto, mai, farle del male.
Guardò l'orologio: erano le tre. Ziva, però, non aveva sonno, così si sedette al tavolo della cucina, strapieno di fogli e con una grossa lavagna bianca che lei e Michael utilizzavano per lavorare al loro caso. C'erano quattro nomi, scritti con un pennarello nero:
Atef - Fares - Jaber - Ibrahim
Mancavano i cognomi, a loro sconosciuti. Il Mossad era riuscito ad invidividuare la cellula grazie ad alcune intercettazioni ambientali, ma si sapeva poco di questi tre individui, che frequentavano abitualmente l'Università. Con sorpresa di Ziva, c'erano molti musulmani che frequentavano la Washington University, ma nessuno che rispondeva a questi quattro nomi. Copertura. Rimaneva un campo troppo vasto da tastare, per cui avevano deciso di mandarli dritti sul campo. Il portatile era costantemente acceso e Ziva ne approfittò per mettere le cuffie e riascoltare le voci di due dei quattro terroristi.
C'è qualcosa che non va - era la prima cosa a cui aveva pensato.
Le due voci erano strane, come se fossero rarefatte o estremamente perfette. Di solito riusciva ad individuare il dialetto dall'articolazione della pronuncia e Michael aveva sperato che ci riuscisse anche quella volta. Ma non ce l'aveva fatta, semplicemente perchè non avevano un modo particolare di parlare.
Rimaneva una difficoltà insormontabile, ma Michael stava registrando tutte le voci degli studenti che frequentava, in qualità di assistente, per confrontare le voci: una tecnica che non aveva ancora dato i risultati sperati.
Ziva, però, non demordeva e, mentre Michael si occupava dei possibili membri della cellula dormiente, lei aveva deciso di occuparsi dello studente americano, genio dell'informatica, che avevano pagato per fare chissà cosa - le registrazioni in loro possesso non ne parlavano.
Mentre ascoltava, con le cuffie nelle orecchie, guardava le schede degli studenti che Michael aveva raccolto, i migliori in campo ingegneristico e informatico. Con orrore, si accorse che Abby e McGee erano nella lista. Osservò i due nomi per qualche minuto, poi prese il pennarello che utilizzavano per la lavagna e li cancellò.

"McGee, però ascoltami!" Tony gli tirò una potente gomitata e il ragazzo saltò su dalla sedia.
"Eh!?" Tony sorrise della sua espressione stanca, ma buffa. Era stato tutta la notte davanti al computer, per montare la presentazione in 3D del progetto 09, di lui e di Abby. Non ci capiva molto, però i due amici gli avevano spiegato che la loro invenzione avrebbe potuto portare molti benefici in campi vari.
"Niente, lascia perdere" allungò le gambe sotto il banco.
"E' già cominciata la lezione?" McGee si grattò una guancia, mentre gettava uno sguardo agli studenti attorno a sè, che prendevano posto per seguire la lezione di Anatomia. Poco lontano, potevano scorgere Abby parlare con una ragazza, sicura che i due le avessero tenuto il posto.
"Ancora no... uh, ecco Abby!" Tony si tirò su dalla sedia, per farla sedere tra lui e McGee.
"Tim, dormivi?" ridacchiò la sua ragazza, seguita subito da Tony.
"Non ho per niente dormito!" piagnucolò. "Il computer che abbiamo scelto è lentissimo" Tony si sporse in avanti, con espressione sconvolta.
"L'avete pagato un occhio della testa! Come fa a non essere adatto?!" Abby fece una smorfia divertita.
"Si, ti dico che non è ada..." la ragazza li interruppe con un cenno della mano, perchè il professore era entrato in aula. Per due ore restarono seduti nelle micro-sedie dell'aula quindici, tra un sospiro di Tony, uno sbadiglio di McGee e un'occhiata concentrata di Abby.
Tony sentì la tasca vibrare ed estrasse l'Iphone, ultimo modello, che tutti gli invidiavano: Ci vediamo stasera? :). Wendy. Il ragazzo sorrise allo schermo e rispose velocemente: Cena e cinema? la risposta fu dolcemente affermativa. Non aveva detto alla sua ragazza cos'era successo alla festa della facoltà, anche perchè ignorava l'esistenza di Ziva David; qualcosa doveva aver intuito, però, perchè dopo mesi Abby si rifiutava ancora di rivolgerle la parola.
Aveva dovuto inventarsi una scusa su due piedi, del fatto che, in qualità di migliore amica, era sempre stata ossessivamente gelosa di lui.
Wendy non ci aveva creduto, ma fingeva che la situazione le andasse bene.
"Stasera esco con Wendy" sussurrò ad Abby. "Non cucinate per me" l'amica lo guardò malissimo, per poi voltarsi verso la cattedra.
McGee accennò un sorriso e Tony alzò gli occhi al cielo. Finita la lezione, corsero fuori dalla classe, tutti molto provati.
"Mangi qualcosa con noi?" gli chiese l'amico, mentre Abby gli teneva ancora il muso.
"No, io... devo... ecco... ci vediamo a casa, eh?" si grattò la testa e scappò via.
"Ma che cavolo gli prende, ultimamente?!" sbottò Abby.

Ventotto settimane.
Sette mesi.
Un sacco di tempo, aveva pensato Tony. Aveva quasi ventuno anni, in fondo. Poteva tentare. Sapeva di poterlo fare e aveva tutte le carte in regola, anche quasi tutti i crediti necessari.
Non lo spaventavano le innumerevoli prove fisiche (era stato capitano della squadra di basket, studiava Educazione Fisica e andava a correre tutti i giorni) e nemmeno il test psicologico, tantomeno il poligrafo e il test scritto. Cos'era che lo terrorizzava tanto, allora? Non lo sapeva nemmeno lui.
La Metropolitan Police Academy di Baltimora aspettava solo lui, per corsi dalle sette del mattino alle quattro del pomeriggio, avrebbe dovuto trasferirsi, perchè non gli concedevano vitto e alloggio. Era seduto al tavolino di un anonimo bar e mordicchiò il tappo della penna, guardò incuriosito il foglio che aveva stampato da internet, barrando tutto ciò che gli mancava. Non aveva ancora usato la penna: Tony aveva tutto per essere un bravo (decente) poliziotto.
"Sarà bellissimo avere un ragazzo poliziotto!" Ziva si sollevò su un braccio, per guardarlo dall'alto. "Secondo me la divisa ti sta bene!"
"Dici?" scherzò Tony e le diede un bacio a stampo, per poi incrociare le braccia dietro la testa.
"Si, però adesso non montarti la testa" gli salì sopra e disegnò ghirigori immaginari sul suo petto nudo. "Spero di esserci, quel giorno" mormorò.
Tony si alzò a sedere e le poggiò le mani sui fianchi. "Purtroppo - e sottolineo il purtroppo, tu ci sarai" sorrise e Ziva con lui.
Strinse la penna nel palmo della mano e firmò velocemente la domanda di idoneità.
Lo aspettavano sette mesi di inferno, probabilmente. Aveva ancora qualche mese di libertà. Avrebbe voluto passarli con Ziva.

"I've got you... under my skin..." canticchiava Shannon, mentre con un panno puliva i vetri del salotto. La sera prima lei e Jethro avevano fatto l'amore, dopo giorni che nemmeno si sfioravano. Era felice, insomma. L'idea di avere un figlio la terrorizzava, ma la riempiva allo stesso tempo: stava già fantasticando sul nome, ma allo stesso tempo pregava che fosse sano; aveva adocchiato una culla, ma sperava che Jethro la costruisse (non aveva il coraggio di chiederglielo).
Sarebbe stato bellissimo, ora che aveva chiarito con Jethro, o almeno lo sperava. Non era sicura che si sentisse pienamente sicuro di diventare padre, ma succedeva un pò a tutti gli uomini, col primo figlio, almeno. Era una psicologa. Doveva aspettarselo. E, invece, aveva reagito come una ragazzetta isterica. Il campanello suonò e lei corse alla porta.
"Ducky!" abbracciò il dottore sulla porta di casa e lo invitò velocemente ad entrare. Ducky era sorridente come sempre, il papillon rosso che svettava sulla giacca scura.
"Come stai, cara?" le diede una pacca sulla spalla, seguendola in cucina.
"Meglio. Non sei a scuola? Come mai?" mise a bollire un pò d'acqua, per preparare il the.
"Ho il mio giorno libero" le sorrise, togliendosi il cappello. "Volevo un pò vedere se ti era cresciuta la pancia" le fece l'occhiolino e Shannon arrossì.
"In effetti ha messo su tre chili" accarezzò la pancia, poggiata al lavello della cucina. "Ma non sono chili che mi fanno male, anzi. Buon segno!"
"Già" il professore sorrise, poi divenne stranamente serio. "Senti, Shannon. Jethro non vuole che te ne parli, ma sono venuto qui anche per un altro motivo..."
"Dimmi tutto" aggrottò le sopracciglia, preoccupata: se Jethro non voleva che lo sapesse, c'era qualcosa di grave sotto.
"Ho uno studente, si chiama Gerard" strizzò li occhi. "si pronuncia alla francese, sai, come il grande..."
"Ducky" lo interruppe. "Stringi!"
"Si, certo" tossicchiò. "Dicevo, è sempre stato un ragazzo volenteroso, pieno di vita, interessato alla materia, ma di famiglia molto umile. Qualche mese fa si era trovato un lavoro in un autogrill lungo la strada e una ventina di giorni fa..." prese un respiro profondo. "... un malvivente è entrato per rapinare il posto, ma qualcosa non ha funzionato e gli ha sparato"
Shannon si coprì la bocca con il palmo della mano. "Si, lo so, è terribile" il professore scosse la testa. "Sta bene ma... da allora non è più lo stesso. Ha un costante tremore alla mano destra e questo gli impedisce di tentare la carriera di medico chirurgo, come sperava. Anche se, ti dirò, penso che il tremore sia psicosomatico. Senti, so che sei in maternità e non voglio forzarti a tornare a scuola ma... non potresti farci solo una chiacchierata, per vedere se ho ragione ed è solo un riflesso condizionato. Non posso sopportare che il suo futuro venga rovinato!"

"Ma certo, Ducky. Gli parlerò" sorrise.

NCIS 6x19 Hide and Seek

- I'll got an "A" in geography

Tony, 5x09







Tony distolse lo sguardo dallo schermo, dove il film che Wendy aveva scelto scorreva incurante sullo schermo. Cercava di restare concentrato, ma quella commedia romantica non lo convinceva per niente, lui era più il tipo da vecchi film, o da actions. E poi gli aveva fatto spendere cinque dollari per una barretta energetica. Ora, lui andava spesso al cinema, e comprava quintali di cose. Come quando ero con... Ziva. Il problema, ammise a sè stesso, era tutto lì.
Sapeva, capiva e comprendeva che la sua era stata una cotta adolescenziale, che le cose sarebbero andate diversamente da adulti, ma non riusciva a chiudere completamente col passato, non dopo che era finita in quel modo. Inoltre c'era stata quella svista, che gli aveva scombussolato tutto e gli aveva fatto capire che, in fondo, non l'aveva affatto dimenticata. Passò un braccio sulle spalle di Wendy, che lo accolse con calore.

Passò un braccio attorno alle spalle di Ziva e lei gli si poggiò sulla spalla. "E' bello" sussurrò, guardando le figure muoversi sullo schermo.
"E' un classico di Hitchcock" mormorò Tony, al suo orecchio. Le baciò il lobo e lei scoppiò a ridere.
"Sapevo che ti sarebbe piaciuto"
"Mi conosci troppo bene!"

"Tony?" Wendy gli diede un colpetto sul braccio. "Mi stai ascoltando?"
"Si, si" Al cinema, di regola, non si parlava. Era una sua regola, che la sua ragazza non condivideva. Non le aveva neanche detto delle sue intenzioni di entrare in polizia.
Non gli andava di parlare, in generale.
Stava decisamente peggiorando.

















Maia says:

Bè, mica solo Tony peggiora! PURE IO! XD
Ma... c'ho i lettori più belli dell'Universo, davvero :') Mi fate commuovere!




Al prossimo capitolo ;)


- Che non so quando arriverà, ma arriverà D: SPOILER: qualcuno potrebbe incontrare qualcuno u.u






  
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