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Autore: darkronin    24/02/2012    6 recensioni
Sequel di "Il labirinto visto dal castello". Quindi è la mia prima -vera- fic su Labyrinth.
Sono passati esattamente dieci anni dall'avventura nell'Underground.
La vita di Sarah ha subito particolari cambiamenti ma ancora non le sono chiare molte delle cose occorse in passato, specialmente l'atteggiamento di Jareth.
Il decimo anniversario scivolerà via come una giornata tra tante o dobbiamo prepararci a una nuova avventura? Verranno chiariti i punti controversi e le incomprensioni?
Genere: Avventura, Fantasy, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'Tela di diamante'
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Salve ragazze...Aggiorno oggi (venerdì) perché nel weekend sono impegnata col trasloco...quindi, abbiate pietà se non rispondo subito.
E se avete saltato il 5° capitolo (che mi sembrava poco interessante) non preoccupatevi XD sono io che, credendolo, appunto, inutile e barboso, l'ho caricato a metà settimana per arrivare a oggi con la vera e propria narrazione.
PS: ci saranno altre due canzoni, se volete cercarvele su YouTube.
Buona lettura!





6- Just call my name







I’ll Be There close your eyes
And you'll see me
Just call my name1

[Sarò lì, chiudi gli occhi/ e mi vedrai/devi solo chiamare il mio nome]

La radiosveglia, collegata al lettore Mp3, profuse le note sommesse in modo molto dolce. I sogni scolorivano nella realtà, il sonno nella veglia. Era come essere cullate nelle acque di un lago immerso nella nebbia.
Poi, la chitarra ruggì impetuosa, reclamando la sua attenzione.

So many nights I sat here waiting
There were times I couldn’t go on
Still my heart was anticipating
It made me be strong
Made me hold on…

There were some calling me crazy
I’ve been accused of being naïve
But I don’t need no one to save me
Cause I got you, you make me believe

I’ll Be There in the night
when you need me
Just call my name

[Così tante notti mi son seduto qui, aspettando/ C'erano giorni in cui non ce la facevo ad andare avanti/Tuttavia il mio cuore si stava affrettando/ Ciò mi ha reso forte/ Ciò mi ha fatto resistere
C'era qualcuno che mi chiamava folle/ Sono stato accusato di essere ingenuo /Ma non ho bisogno di nessuno che mi salvi/ Perché io ho te, tu mi fai credere
Io ci sarò, nella notte/ Quando avrai bisogno di me/ Devi solo chiamare il mio nome]

Irritata, Sarah schiuse gli occhi alla luce del giorno che filtrava, rifratta, in mille lame dalla finestra, a sua volta schermata dall'albero che vi svettava davanti. Si tirò a sedere svogliatamente, si volse verso il comodino e guardò l'orologio: erano le nove.

I’ll Be There close your eyes
And you'll see me
Just call my name

I don’t need to know the answers
I don’t want to understand
We were born to take the chances
I know the truth when you hold my hand…

I had waited a lifetime lost on the open sea
Praying for an angel to be sent to me

[Ci sarò, chiudi gli occhi/ E mi vedrai/ Devi solo chiamare il mio nome
Non ho bisogno di sapere la risposta/Non voglio capire/Siamo nati per afferrare le opportunità/Conosco la verità quando accetti la mia mano...
Ho aspettato una vita, disperso nel mare aperto/ pregando perché mi fosse mandato un angelo]

Quando riuscì a connettere del tutto, si accorse della canzone che Iutrepi, la fantomatica entità degli impianti stereo, le stava propinando. Si accigliò, strizzando gli occhi, infastidita. Di prima mattina, parole come quelle, parole cariche di menzogne e di promesse che non sarebbero mai state mantenute, erano le ultime che voleva sentire. Anzi, si disse spegnendolo in malo modo, quelle parole non erano neanche per lei: il semplice fatto che qualcuno giocasse coi suoi ricordi e con gli esseri che avevano popolato i suoi sogni la faceva infuriare.
Lui non avrebbe mai detto o pensato nulla del genere. Non di lei almeno.
Forse era quello che la disturbava? Era convinta di non poter essere abbastanza per lui?
No...ciò che la infastidiva di più era il pezzo che non aveva ascoltato2. E meno male: era l'anniversario. Bisognava evitare al minimo, più del solito, la possibilità di dire qualche altra scemenza.
La radio, forse non spenta correttamente, tornò a suonare.

And you tried so hard to save me
How do you save someone from themselves
All those years, wasted wishes
Drowning in the wishing well…

25 years since I woke up trembling
25 years since that terrible dream
I could see that the world was crumbling
Nothing is ever as it seems3

[E tu provasti così disperatamente a salvarmi/Come hai salvato qualcuno da se stesso/ Tutti questi anni, desideri sprecati/ Affogando nel pozzo dei desideri...
25 anni da che mi sono svegliata tremando/ 25 anni da quel sogno terribile/ Potevo vedere il mondo sbriciolarsi/ Nulla è mai come sembra]

Nulla è come sembra! Ancora?? questa frase la perseguitava! E poi non erano passati venticinque anni da quel sogno. Lei ne aveva venticinque. Di anni ne erano passati solo dieci. Dieci anni di desideri sprecati, dieci anni in cui era affogata nel pozzo dei desideri, effettivamente.
Staccò la presa di alimentazione per far tacere lo spirito di Iutrepi anche se sapeva che, se era in vena di scherzi, nemmeno quell'espediente poteva fermarlo.
“Ma che diamine!” sbottò, levandosi le coperte “E' solo frutto della mia fantasia! Perché non dovrei essere alla sua altezza, se anche fosse?” Quindi, parole antiche di dieci anni, tornarono ad affiorarle alla mente come un pugno allo stomaco.
Lascia solo che io ti domini e potrai avere tutto quello che desideri. Non hai che da temermi, amarmi, fare ciò che io ti dico e io diventerò il tuo schiavo.” le aveva detto.
Ma che accidenti aveva voluto dire? Tutto e il contrario di tutto. Doveva essere davvero pazza per immaginarsi cose tanto contorte. L'alternativa era che fossero vere. E tra le due, non sapeva quale opzione fosse la peggiore. Visto che le era impossibile, al momento, cacciare quell'immagine, si mise a riflettere sul significato di quella frase che, dieci anni prima, aveva completamente ignorato.
Lui, diceva, sarebbe diventato il suo schiavo in caso lei l'avesse temuto, amato e avesse fatto ciò che lui le avesse detto. La seconda condizione sembrava la più ovvia: se fosse stato per il suo amore, che anelava, sarebbe stato disposto a fare tutto per lei, anche mettere da parte il proprio orgoglio e inginocchiarsi a lei. Ma perché temerlo? Perché fare quello che lui le avesse detto? Sembrava tanto un discorso da marito-padrone.
A meno che non cercasse di vederla nella sua regale ottica. Se si fosse fidata di lui, facendo quanto lui le avesse suggerito, senza domandare, scettica, spiegazioni su ogni cosa, allora anche lui si sarebbe fidato di lei, avrebbe fatto tutto ciò che lei gli avesse chiesto? Fece spallucce, dando per buona quella interpretazione.
Ma rimaneva ancora la prima condizione. Perché mai avrebbe dovuto temerlo? In un rapporto sano il terrore era ciò che minava alle radici la stabilità, no?
Accantonò il pensiero e si alzò, finalmente, dal letto. Si accorse solo allora che Marking stava acciambellato sotto la finestra anziché sul suo letto o nella cuccia ai piedi dello stesso.
Si infilò le ciabatte, pronta ad andare in bagno, quando un trillo al cellulare la fece tornare sui propri passi. Controllò il messaggio mentre accendeva le luci di mezza casa: era Immanuel che rispondeva a un suo presunto messaggio, dandole appuntamento per un'ora e mezza più tardi per una sorta di brunch. Guardò storto il piccolo monitor. Perché dovevano vedersi?
Poi, sotto la doccia calda, si ricordò del messaggio inviato la sera precedente. A mano a mano che l'acqua le scivolava addosso ricordò tutti gli strani accadimenti del giorno prima.
Uscendo, con il telo avvolto intorno al corpo, decise che una parte dei suoi ricordi dovevano essersi confusi con i sogni di quella notte. In realtà era andata subito al bar con i ragazzi. Non aveva mai incontrato nessuno in aula. E non c'erano stati barbagianni a spiarla fuori dalla finestra. Quelli erano ancora i postumi della visione di quel dannato film.
Ancora una volta, però, c'erano troppe cose che non tornavano e non avrebbe avuto alcun senso sognarsele. Decise che avrebbe accantonato anche quel pensiero fino a che non avesse incontrato il professore. Si infilò la biancheria e si diresse in lavanderia.
“Oggi, bucato nero!” esclamò a Marking che l'aveva raggiunta indolente “Stasera la faccio partire con la roba di Toby. Anche perché noi ora andiamo in...” disse con tono euforico mentre il cane cominciava a ramparle sulle sue gambe, lasciandovi strisce bianche di pelle escoriata, eccitato per la promessa sottintesa “...passeggiata!” Marking abbaiò un paio di volte, scodinzolando con la coda grossa e nera e piroettando su se stesso. Muoveva così tanta aria che Sarah ebbe un brivido. Corse all'armadio e cercò i vestiti per quella giornata. Da quel momento in poi, per una o due settimane, finché non avesse nuovamente finito la biancheria, si sarebbe vestita di colori chiari o pastello, in modo da riuscire a riempire una lavatrice di biancheria con colori che potevano essere lavati assieme4. Frugando tra i cassetti, le passò per le mani il completo di quando aveva fatto il suo viaggio fantastico, dieci anni prima. Le andava ancora bene, nonostante fosse passato tanto tempo. Scartò subito il pensiero di vestirsi come allora: l'obiettivo era staccarsi da quel passato. Infilò, invece, una corta gonna a portafoglio e un maglioncione avvolgente, entrambi di un grigio melangiato ghiaccio scuro, da cui faceva capolino una camicetta a fantasia rosata. Mentre infilava gli stivali grigio antracite dal tacco medio, sentì suonare alla porta: era il corriere col suo nuovo cd.
Corse a ritirare la spedizione e, mentre infilava il cappotto, riversò rapidamente il contenuto sul lettore. In cinque minuti era pronta, con Marking al guinzaglio che scalpitava per uscire. Sarebbe arrivata puntuale all'appuntamento col professore e alla loro prima colazione.



“E così lui è Marking...” commentò Immanuel quando vide la ragazza arrivare insieme alla sua guardia del corpo.
“Proprio così...Marking, seduto!” ordinò dolce. Quando il cane ebbe ubbidito, lo ricompensò con una carezza e un complimento. “Ora, scusa un secondo...” disse rivolta all'uomo posandogli una mano sulla spalla “Marking?” chiamò perché osservasse attentamente la scena “Immanuel - amico. D'accordo? Amico!” Solo allora gli diede la possibilità di muoversi. Quello, tranquillo ed educato, andò ad annusare i pantaloni del terzo incomodo, ma non mostrò alcun segno di aggressività
“Complimenti...” fu il commento del professore “Entriamo dentro? Qui si può...” disse indicando il lupo.
“Sì, anche se fa abbastanza caldo da rimanere all'aperto” rispose la ragazza “Ho bisogno di un angolino tranquillo per parlarti...” lo informò destando la curiosità del suo interlocutore.
“Mi ha sorpreso ricevere un tuo messaggio...” disse lui, rompendo il ghiaccio intanto che aspettavano la colazione. Marking giaceva ai loro piedi beatamente distrutto dalla lunga passeggiata con la padrona. Sarah annuì, silenziosa.
“Senti...posso chiederti una cosa, prima di tutto?” disse lei all'improvviso
“Sono qui per questo...” le fece notare lui cortese
“Ricordi quando ieri ti ho detto..perché ne abbiamo parlato, vero? Non mi sono sognata tutto un'altra volta?”
“Detto cosa?” chiese lui non capendo dove volesse andare a parare
“Di lui...di quello che mi ha detto e come io gli ho risposto...” rispose abbassando lo sguardo, imbarazzata
“Sì, perché?”
“Ecco...puoi darmene una tua interpretazione? Hai detto che ti ha fatto pena...non capisco perché? Voleva soggiogarmi al suo volere. Ma ammetto che ci sono due passaggi che non capisco...quando mi ha detto lascia che io ti domini e non hai che da temermi...non mi sembra il massimo del romanticismo...” spiegò parlando tutto d'un fiato, come un fiume in piena che avesse rotto gli argini: quelli della propria reticenza.
“Vedi...” cominciò lui rigirando il cucchiaino nel caffè senza zucchero “Io credo che tu abbia preso un abbaglio...No, fammi parlare...” disse Immanuel notando lo sguardo allarmato, schifato e incredulo dell'interlocutrice “Credo che lui usi un tipo di linguaggio un po' datato5...e che per questo si presti a fraintendimenti. O forse lo fa di proposito, non posso saperlo...”
“Per essere vago, è vago!” precisò caustica lei
“Vedi, penso che lui facesse riferimento al significato originale. Non voleva dominarti, ma proporsi come tua guida. Non voleva che tu lo temessi ma che tu fossi in ansia per lui. O che lo stimassi, a seconda della sfumatura che voleva intendere. Oltre a desiderare il tuo amore e la tua fiducia...”
“Sì, sulla fiducia c'ero arrivata...” disse lei, arrossendo per la sua ingenuità
“Quando me l'hai detto, sarà che sono un po' più... vecchio di te” disse sorridendo amabilmente “...L'ho subito collegato con la sua prima apparizione e ho pensato....mi ha dato l'impressione...” si corresse “...di un amante che, da bravo cavalier cortese, non può ambire a nulla di più della stima, dell'amore e della fiducia della sua bella. E la fiducia comprende il lasciarsi guidare come l'amore lo stare in pena per l'altro. A seconda della prospettiva, però, si può intendere il cedere lo scettro delle proprie scelte, in virtù della fiducia che si ripone nella propria guida, come un'abdicazione alla propria volontà. Rischiando di diventare, quindi, uno strumento nelle mani dell'altro. Hai presente anche tu i molti casi in cui le due eccezioni sfumano l'una nell'altra, no? Quanto allo stare in pensiero... beh...se io fossi innamorato di te non chiederei nulla di meglio che tu stia in pensiero per me...o che tu mi stimi...” disse serio penetrandola con uno sguardo “Il che non vuol dire per forza essere amato, ma essere considerato abbastanza importante da temerne la perdita. Infatti, poi, l'ha specificato che voleva essere anche amato. Non ha lasciato nulla di intentato...”
Sarah, allibita da quella spiegazione così semplice e lineare, era arrossita involontariamente, capendo, troppo tardi, cosa, con quale audacia e con quale umiltà lui si fosse già prostrato a lei.
Lei che aveva infierito su di lui rimarcando il concetto della propria indipendenza.
E, quindi, di quanto non gli importasse di lui.
Parole, dannatissime parole, che in quel regno avevano una potenza spaventosa. E lei, fino all'ultimo non l'aveva capito: aveva confermato ulteriormente la propria superficialità.



1    Blackmore's Night, The Village Lanterne, 11. Just Call My Name (I'll Be There)

2    La canzone infatti continua con
Now the night don't last forever / Every moment is a song / 'Cause we face the night together / Something this right can never be wrong [Ora la notte non dura per sempre/ Ogni momento è una canzone/ Poiché abbiamo affrontato la notte insieme/ Qualcosa di ciò che è giusto, non potrà mai essere sbagliato]
Interpretatela come volete: una notte passata in compagnia o una nuova avventura insieme? Inoltre anche la seconda strofa è, in realtà, chiave della soluzione della presenza di Iutrepi nella vita di Sarah

3    Blackmore's Night, The Village Lanterne, 1. 25 years

4    Ammetto: è quello che facevo quando vivevo da sola ù_ù;;;

5    Effettivamente il linguaggio usato da Jareth è un Inglese di tipo “shakespeariano”: nobile e datato, non certo gergale come quello di Hoggle. Quindi posso tranquillamente pensare (e lo farò, dandolo per scontato d'ora in poi, che vi piaccia o meno) che il suo “Fear me” si possa leggere nel senso arcaico di “regard (God) with reverence and awe” dove awe è “a feeling of reverential respect mixed with fear or wonder”. Tradotto: considerami figo e potente, ovvero, “ammirami! Devo essere il tuo campione, il migliore ai tuoi occhi”.





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Eccomi qui. Non ho nulla da aggiungere a quanto scritto finora. A parte che spero che possiate condividere la mia interpretazione.... :)
ahh... se qualcuno fosse curioso... e so che lo siete XD e volete spoiler, vi consiglio di andare sul mio “sito” -fatto per l'esame, non pensate sia chissà che- (ho caricato il link anche nella pagina dell'autore CMC): ho caricato le foto dei disegni che faccio a lezione o in treno... mi raccomando...solo per cuori forti :)
alla prossima settimana!

   
 
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