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Autore: Aliens    24/02/2012    3 recensioni
Quando due mondi diversi si scontrano, alle volte, c'è bisogno di un eroe, un eroe che si nasconde tra facce ostili che può colorare, finalmente, un'esistenza grigia.
Alla cima del grande palazzo vi era una gigantografia pubblicitaria. Il simbolo della banca del suo antenato capeggiava sopra l’immagine dei suoi ereditieri con in mano un salvadanaio a forma di porcellino. Sorridevano, i loro visini nivei guardavano il belvedere di Berlino, semplici e rassicuranti.
“Il vostro futuro nelle nostre mani” recitava la pubblicità.
«Se» borbottò Tom buttando il suo zaino a terra «La vostra anima nelle mani del diavolo».
Si piegò tirando , appena, in su i larghi pantaloni e aprì lo zaino. Al suo interno aveva stipato abbastanza bombolette per la sua opera di puro vandalismo.
Oh, come avrebbe goduto a far sapere a suo padre cosa pensava di lui. Come avrebbe sogghiniato quel mattino nel vedere i titoli in prima pagina. Per come erano distratti i suoi genitori non avrebbero mai sospettato di lui.
Afferrò una delle bombolette e la guardò sorridendo.
Genere: Commedia, Erotico, Malinconico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Bill Kaulitz, Nuovo personaggio, Tom Kaulitz, Un po' tutti
Note: AU, Lemon, OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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***

 

Ogni cosa ha il rovescio della medaglia.

YKIN – Parco Giochi – Gropiusstadt

 

 

 

***

 

 

L’appartamento dei Thomas non era mai silenzioso.

Vivere in una casa di cinque stanze compreso bagno non aiutava una famiglia che di figli ne aveva ben cinque. I Thomas, di fatti, a Gropiusstadt, li conoscevano tutti. Tre maschi, due femmine, mamma e papà, troppo numerosi per vivere in un appartamento in uno Stabile, troppo poveri per avere una casa loro.

Niky, paradossalmente, adorava l’assordante casa di Lexus perché, in sé, racchiudeva quello che non era mai stata la sua famiglia: chiassosa, unita, stramba e divertente.

«Lorenz, dannazione, non puoi scopare con il silenziatore con il tuo amico?» Lexus, in tutta la sua grazia, entrò nella piccola cucina/salotto/sala da pranzo.

Alexandra Thomas era la ragazza più strana che conoscesse, i capelli lunghi fino al collo, castano scuro striati di mesces bionde incorniciavano un viso dalle fattezze bellissime e pesantemente truccato, sopracciglie perfettamente tenute ed eveidenti ciglia finte pregne di mascara che facevano risaltare gli occhi scuri che ne denotavano le origini italiane. Il classico rosaio (usato per ornamento perché Lexus era totalmente atea) appeso al collo che ricadeva sul felpone dei Nightwish che era solita usare in casa, le ricadeva addosso nascondendo le sue forme minute. I jeans strappati fasciavano le gambe magre e finivano in un paio di pantofole nere con un grande fiocco rosa. Per denotare la somiglianza con Niky c’erano i due piercing sul viso, sul naso dal lato opposto dell’amica e il Monroe gemello sullo stesso lato.

«Io non sto scopando brutta strega!» urlò il fratello facendo uscire la testa dalla sua stanza «Ci stiamo allenando»

«E io sono Mike Tyson» brontolò la ragazza andando verso il tavolo dove una montagna di libri e fogli avevano preso il posto del normale cesto di frutta che Lucia Thomas rimetteva in ordine ogni mattina.

Niky le sorrise mentre Killen, il loro migliore amico, si posava una mano sulla bocca ridendo sommessamente.

Come ogni pomeriggio dopo la scuola L’Asse del Male si incontrava nel piccolo e caotico appartamento dei Thomas. Niky, Lesux e Killen erano sempre stati uniti, fin da quando si erano conosciuti nell’area giochi che costeggiava i loro Stabili. Il soprannome di “Asse del Male” glielo avevano affibbiato all’età di undici anni quando riuscivano a dominare l’area giochi. Con l’intelligenza di Niky, la faccia da culo di Killen e la spietatezza di Lexus nessun bambino era mai riusciuto a metterli sotto. Crescendo quella spadmodica voglia di prevalere era scemata ma i tre erano rimasti sempre insieme. Tra Niky e Killen, poi, per un certo tempo, c’era stato del tenero (non a caso per Niky lui era stato il primo), una tenera storia d’amore che si era esaurita dopo nemmeno sei mesi e che si era risolta con la decisione comune di lasciarsi e tornare amici.

Non c’era stato imbarazzo, per loro era normale essere amici.

Lexus aveva vissuto la loro storia con un sorriso sarcastico sul visino impertinente. Sapeva che sarebbe finita, era come se lei si fosse fidanzata con uno dei suoi innumerevoli fratelli. Era impossile e anche parecchio raccapricciante.

E aveva azzeccato. Ricordava con ribrezzo i pomeriggi passati a guardare la tv mentre i due scopavano nella sua stanza. Aveva archiavato quel periodo in un angolo remoto del suo cervello sotto il catalogo “Ricordi raccapriccianti”.

Si sedette sulla sedia in parte a quella di Killen proprio di fronte a Niky «Il coglione è sistemato, ora possiamo studiare?» domandò a bruciapelo prima di fulminare Killen «La smetti di ridere?»

«Scusa» ridacchiò quello guardandola «Ma questa famiglia è composta di pazzi»

Lexus lo liquidò e guardò l’amica che fissava annoiata le parole scritte sul libro dell’amica «Sei sicura che state facendo ancora “La Rivoluzione Industriale” in Storia?» domandò alzando gli occhi turchesi e fissandoli sui due.

La castana si sporse verso il libro ed annuì «Sì»

«Mah, solo nella mia scuola si va alla velocità della luce» Niky fece spallucce.

«Ci credo» esclamò Killen «Vai alla Immanuel Kant, noi dopo cinque minuti non ascoltiamo più» le sorrise «Sei sempre stata più intelligente di noi, lo sai»

«Smettila» lo schernì aprendo una penna «Cominciamo a studiare o devo prendere il giornale?»

Lexus ridacchiò. Lo sport preferito di Niky era picchiare le loro teste con quotidiano arrotolato quando si distraevano. Killen era quello che ne prendeva di più e quando lei si azzardava a ridere Niky la colpiva. Era Imperialismo quello.

Il ragazzo le rifilò un’occhiataccia con i suoi occhioni scuri e afferrò, malamente, un libro «Secchiona»

«Asino!» lo apostrofò la mora con un sorriso serafico.

Killen la scimmiottò mentre afferrava un evidenziatore «Il Bianno Rosso? Che cazzo è?»

Si sotterrò quando Niky lo fissò come se fosse uno stupido e si sporgeva verso un comodino lì vicino. Bild era piegato su un vecchio portatile stra usato. «Non ci provare?»

«Com’è possibile che tu non sappia cosa sia il Biennio Rosso, Kiki?» lo guardò satanica.

«Odio quando mi chiami Kiki, lo sai» balbettò mentre guardava terrorizzato la mano di Niky afferrare il giornale e arrotolarlo.

«Non sei nella posizione» ridacchiò Lexus. Killen la guardò come per incenerirla facendole alzare la mani in aria «Oh, io so cos’è il Bienno Rosso»

Niky alzò una mano e Killen, ormai memore di tutte le botte in testa, si sbrigò a coprirsi per evitare il male maggiore. Strinse gli occhi aspettando il colpo.

Se l’avessero visto in quelle condizioni la sua credibilità sarebbe andata a farsi fottere. Lui era il Re di Gropiusstadt e si faceva picchiare, quasi tutti i pomeriggi, da una secchiona della Immanuel Kant. Stava davvero cadendo in basso.

Una musichetta si diffuse per la piccola stanza e Killen alzò appena lo sguardo.

Niky stava guardando il suo vecchio cellulare con aria confusa mentre abbassava il giornale. Mandò un sospiro di sollievo e abbandonò la sua posizione per sistemarsi la pesante camicia a quadri che aveva sulla maglietta bianca. Quella volta l’aveva scampata bella.

Niky guardò il suo cellulare vibrare e lo prese con una certa confusione.

 

Tom Kaulitz

 

Prese il cellulare e premette il tasto verde «Pronto?» chiese con aria guardinga.

«Ciao Nicole, sono Tom» trillò la voce all’altro lato del telefono.

Quella chiamata era strana e anche irreale. Tom Kaulitz, l’ereditiere, la stava chiamando.

«Ciao» lo salutò non sapendo bene cosa dire.

Ricordava di aver scambiato il suo catorcio con quello di Tom per segnare il numero per ogni evenienza (vergognandosi anche a morte), ma non pensava che il ragazzo l’avrebbe mai chiamata.

«Chi è?» mormorò Lexus avvicinandosi con l’orecchio all’aggeggio dell’amica.

Niky le assestò una spinta mentre Tom si schiariva la voce «Ti ho chiamata per il progetto» le disse.

«TOM!» esclamò Lexus individuando solo le parole “Chimata”, “Progetto”. Battè le mani tra di loro mentre Niky alzava un sopracciglio e le intimava di stare zitta.

«Tom chi?» chiese Killen curioso.

«Tom Kaulitz» lo illuminò Lexus.

«Sì, ti serve qualcosa?» chiese ignorando i due amici che, chi con lo sguardo esultante e chi con lo sguardo incredulo, parlottavano tra di loro.

«Beh, sì, volevo chiederti se vogliamo iniziare questo pomeriggio, ti venivo a prendere là giù» le disse dolcemente.

Niky sbarrò gli occhi.

No. No e poi no!

Non sarebbe andata al palazzo del Re dell’economia vestita come era. Ciabattine rosa prestatele da Lexus (e rubate ad Elisa, la sorella dell’amica), felpone nero che sfiorava il sedere, capelli retti da un mollettone di fortuna e jeans sbiaditi e coperti di strappi.

Un po’ di pudore lo aveva anche lei.

E poi era con i suoi amici e non li avrebbe mai mollati. Non aveva nemmeno il coraggio di chiedere a Tom di farli venire con loro, conosceva troppo bene Lexus e Killen per azzeccare il finale.

La raffinata casa dei Kaulitz sarebbe stata distrutta da due urgani cafoni.

«Non posso adesso» disse sinceramente «Sono a casa della mia migliore amica e sto cercando i farle fare qualcosa per passare l’anno»

«EHI!» esclamò Lexus voltandosi verso di lei mentre Killen ripeteva come un mantra “Ma quel Tom Kaulitz?” «Io non ho bisogno del tuo aiuto per passare l’anno, ho bisogno di te per Etica, è questo asino rappettaro che ha bisogno di un trapianto di cervello»

«Parla Einstein» borbottò Killen.

Tom rise. La sua risata era una melodia dolce e contagiosa. Si schiaffò una mano sul viso scuotendo la testa. Certo che potevano farsi riconoscere da chiunque quei due.

«Chi erano?» domandò Tom ridacchiando appena.

«Lexus e Killen, i miei migliori amici» gli spiegò «Dei tre sono l’unica a sapere cos’è il Biennio Rosso quindi devo aiutare le loro menti ottuse a fiorire»

«Io so cos’è il Bienno Rosso» esclamò Lexus.

«Certo, e io sono cinese» Killen la guardò con un sorrisetto sghembo. Lexus si sporse verso di lui e lo pizzicò a morte sul braccio.

«Stronzo» l’apostrofò Killen toccandosi il braccio. La spinse leggermente. Lexus, però, non si faceva abbattere.

«Stronza»

Tom rise ancora e fece sorridere anche lei. Aveva una risata meravigliosa.

Si riscosse da quei pensieri e guardò i suoi due migliori amici farsi i dispetti come due bambini. No, non li avrebbe mai portati da Tom.

«Non puoi proprio?» chiese «In fondo, prima iniziamo, prima finiamo»

«Lasceresti due bambini da soli Tom?» domandò Niky divertita.

«EHI!» esclamarono i due interessati guardandola male e suscitando altre risate da parte di Tom. Niky non potè che essere divertita dai comportamenti degli amici. Erano veri, erano loro stessi, erano… amici.

«No» ridiacchiò Tom «Ok, va bene, mi arrendo» si ricompose appena «Che dici, va bene domani?»

«Domani?» guardò Lexus.

La castana le si era avvicinata e aveva posato l’orecchio sul cellulare, Killen l’aveva aseguita subito dopo. Curiosi come due topi di fogna che vedono per la prima volta il sole, stavano cercando di origliare la conversazione.

Cercò di scansarli, ma erano due contro uno.

«Sì, dopo scuola vieni a pranzo qui, va bene?» chise lui. Nella sua voce c’era un che di speranzoso.

«Ehm…»

Niky esitò. Non voleva andare a casa dei Kaulitz, non voleva sentirsi una pezzente in una casa delle bambole, non voleva subire il disprezzo di un ceto sociale che lei stessa sopportava appena.

Poi dai Kaulitz, la famiglia più potente di Berlino. Cosa poteva entrarci lei?

Lexus, rapida, le afferrò il cellulare e se lo portò all’orecchio. Niky aveva la ridicola tendenza pensare troppo a cose che avevano bisogno di una risposta secca.

«Certo che verrà!» squittì Lexus guandondo l’amica guardarla con un un viso stupito.

Era anche parecchio divertente visto che aveva la bocca aperta indignata e la fulminava con lo sguardo promettendole di farla secca.

«Non dovevi nemmeno chiederlo, Tom, se lei non veniva la spedivo io a calci nel culo a Charlottenburg» continuò gesticolando con una mano.

«Lexus!» la rimproverò Niky mentre Killen scoppiava in una sonora risata.

«Ah!» esclamò subito dopo la castana «Io sono Lexus, piacere di parlare con te, Tom»

E anche Lexus si trovò ad ammirare quella risata di Tom, era gioviale, divertita, contagiosa «Piacere mio Lexus, hai un nome davvero strano»

«Non si chiama Lexus» urlò Niky «Si chiama Alexandra» strappò il telefono all’amica e se lo portò all’orecchio «Ma la chiamiamo tutti Lexus fin da quando cadeva dalle staccionate per infilarsi nei garage dei vicini»

«Non c’era bisogno di dirlo anche a Tom Kaulitz eh» si lamentò la ragazza andandosi a buttare sul picoclo divano «Non sono cose belle da ricordare»

«Invece sì» intervenne Killen buttandosi al suo fianco e afferrandola per le spalle. La strinse a se e Lexus protestò visibilmente irritata dalle prese per il culo dell’amico.

«Allora va bene per domani?» chiese di nuovo Tom «Vieni con me all’uscita e poi ti riaccompagno io»

«Prendo la metro, tranquillo» lo rassicurò lei «Non voglio farti scomodare troppo»

«Come vuoi»

Si salutarono e poi l’ereditiere attaccò il telefono. Niky lo posò sul tavolo stranita da quella conversazione. Chissà cosa avrebbe detto Brigitte se avesse scoperto che il suo ragazzo l’aveva chiamata? Chissà cosa avrebbe detto se avesse saputo che lei sarebbe stata sola con lui a casa sua? Chissà…

Un urlo di Lexus la riportò alla realtà. Killen aveva preso a scompigliarle i capelli con la grande mano consumata dal suo lavoro di manovale.

«Killen, io ti ammazzo» ringhiò «Mettiti le tue mani nel culo»

«Oh povera darkettona» rise lui sarcastico tirandole una ciocca di capelli.

Sorrise.

Non le importava di Brigitte. Lei aveva tutto ciò che aveva ed era vero. I sentimenti plastificati della nobiltà e dell’alta borghesia le sarebbero stati sempre stretti.

 

 

 

***

 

 

La notte era nera e rumorosa.

Berlino non dormiva mai. Le macchien continuavano a correre veloci contro l’asfalto nero.

Camminava costeggiando il muro a testa bassa. Si tirò su lo zaino nero facendo tintinnare il suo interno. Si maledì per quell’incoscienza e si guardò intorno.

Tom non voleva essere scoperto, sarebbe finito davvero nei guai e, come minimo, avrebbe beccato un anno in Accademia Militare. In fondo, si disse, i suoi antenati avevano finanziato quel luogo di guerra fin dagli inizi.

Suo padre, da bambino, portava spesso lui e Bill a visitare l’Accademia e l’ala dedicata al loro tris nonno Klaus Kaulitz.

Rabbrividiva al solo pensiero.

Si fece cadere sulla testa il cappuccio della felpa nera che aveva comprato ad un mercatino dell’usato, coprendo il capellino NY dello stesso colore che lo copriva dagli occhi indiscreti.

Charlottenburg era ancora sveglia o, almeno, lo era il suo lato oscuro. Poteva notare, distintamente, alcuni illustri avvocati amici del padre fermare le macchine davanti a delle angezie ambigue. Li vedeva uscire, sistemarsi la giacca elegante ed uscirne con delle escort bionde e pagate profumatamente.

Gli fece schifo pensare che sarebbe stato lui ad amministrare le finanze di quei luridi porci fedigrafi.

Quando avrebbe preso in mano la Società, li avrebbe mandati tutti sul lastrico. A lui non fregava niente dei soldi e delle conoscenze, odiava quei porci in giacca e cravatta e sorriso falso. Odiava vedere la falsità negli occhi delle persone che lo circondavano e, quell’odio, era cresciuto dopo aver parlato con Niky, quel pomeriggio e averla ascoltata battibeccare con i suoi amici.

Si era divertito ad immaginarsi lì con loro, a ridere, a fare cazzate a…vivere.

La sua gabbia si faceva giorno per giorno più stretta e soffocante.

Si fece salire sul viso una bandana nera coprendo la sua bocca e il suo naso lasciando, intravedere, solo le sue due stille di petrolio ambrato. Risultava abbastanza irriconoscibile.

Svoltò verso un vicolo e poi, con grande agilità, afferrò una vecchia scala di emergenza di una delle palazzine e cominciò a salire, velocemente.

Il suo zaino tintinnava dietro alle sue spalle ma, dal rumore di auto che sgommavano verso l’Hotel più vicino, nessuno se ne sarebbe curato, non lo fece nemmeno lui.

Arrivò all’ultimo gradino e, con un salto, toccò con i piedi la copertura di quell’enorme palazzo.

Posò atterra lo zaino e afferrò la scala facendola cadere, rumorosamente, ai suoi piedi. In quel modo avrebbe impedito a chiunque di salire. Sorrise sotto la bandana e prese lo zaino caricandoselo ancora sulle spalle.

Con una camminata dinoccolata e tranquilla, Tom raggiunse il suo scopo.

Alla cima del grande palazzo vi era una gigantografia pubblicitaria. Il simbolo della banca del suo antenato capeggiava sopra l’immagine dei suoi ereditieri con in mano un salvadanaio a forma di porcellino. Sorridevano, i loro visini nivei guardavano il belvedere di Berlino, semplici e rassicuranti.

“Il vostro futuro nelle nostre mani” recitava la pubblicità.

«Se» borbottò Tom buttando il suo zaino a terra «La vostra anima nelle mani del diavolo».

Si piegò trando appena su i larghi pantaloni e aprì lo zaino. Al suo interno aveva stipato abbastanza bombolette per la sua opera di puro vandalismo.

Oh come avrebbe goduto a far sapere a suo padre cosa pensava di lui. Come avrebbe sogghiniato quel mattino nel vedere i titoli in prima pagina. Per come erano distratti i suoi genitori non avrebbero mai sospettato di lui.

Afferrò una delle bombolette e la guardò e sorrise. Se la fece roteare tra le mani per poi alzarsi. Mosse le gambe per mettere a posto i jeans e, con un sorriso satanico in volto, avvicinò il beccuccio della bomboletta al cartellone tracciando la prima linea

Si strinse appena la bamndana alla bocca per non respirare i fumi emanati dal colore e, concentrato, iniziò la sua opera.

Da piccolo aveva pensato al padre come un supereroe. Lo guardava con quella valigetta nera di pelle correre per casa urlando contro qualcuno al cellulare. Lui e Bill avevano giocato spesso ai banchieri da piccoli nell’enorme camera dei giochi. Da piccolo Tom era stato orgoglioso delle sue origini, se ne era vantato tra i banchi del suo prestigioso asilo. Quante volte, in vacanza, aveva deriso i bambini che non potevano permettersi un ombrellone nell’assolata e fantastica spiaggia di Miami? Quante volte si era trasformato in uno spocchioso riccastro con la puzza sotto il naso?

Trante, troppe.

Tom non aveva mai capito cosa significasse essere il figlio di un banchiere finchè non gli era stato impedito di vedere Cem, il suo amichetto turco.

Tom lo ricordava perfettamente quel ragazzino di dodici anni che parlava a malapena il tedesco e che lui aveva preso sotto la sua ala protetrice.

«Vieni con me, se stai simpatico a me sei simpatico a tutti» gli aveva detto con spocchia.

E Cem lo aveva seguito. Quando suo padre l’aveva scoperto gli aveva urlato contro che non doveva frequentare “certa gentaglia”.

In quel momento Tom aveva capito, in quel momento la realtà si era aperta davanti ai suoi occhi infantili e aveva deciso che non sarebbe stato il classico fighetto ricco. Anzi, avrebbe passato la vita a distanziarsi da quel mondo tanto ipocrita.

Tirò un’altra linea e sorrise soddisfatto.

Tutto quello che aveva rappresentato la sua vita era sparito quando aveva scoperto il marcio di quella prigione d’oro massiccio. Suo padre se la faceva con la segretaria, i suoi genitori non dormivano nemmeno più insieme, sua madre soffriva come un cane, i loro genitori erano così ciechi da non capire cosa frullasse nella testa dei loro figli.

Tutto in quella prigione dorata era fatta di ipocrisia e falsità.

Fece un cerchio e si allontanò appena prendendo un’altra bomboletta dallo zaino. Si allontanò appena per ammirare la bozza del suo disegno. Era soddisfatto.

Sceccherò la bomboletta e poi l’aprì, spruzzando atterra per verificarne il retto funzionamento, poi lo puntò contro il cartellone iniziando a disegnare.

Aveva pensato a quel mondo di evadere dopo aver visto quel graffito di Ykin, la voglia di rompere le catene lo aveva scosso come se fosse stato investito da una scossa elettrica.

Aveva voglia di uscire, stava soffocando.

Continuò nel suo intendo finchè non mise l’immaginario punto al suo lavoro. Buttò a terra la bomboletta che rotolò fino al ciglio del tetto e indietreggiò appena.

Allacciò le braccia al petto e sorrise.

Il suo eroe sarebbe stato contento di vedere campeggiare quella scritta su un cartellone così visibile.

 

Affideresti la tua anima al diavolo?

 

Pose la sua firma alla fine della frase e, soddisfatto, afferrò il suo zaino.

Si sentiva meno soffocato, si sentiva decisamente meglio. Si sentiva libero.

 

 

 

***

 

 

 

 

Quella mattina, Niky aveva fatto una cosa che non aveva mai fatto, nemmeno quando stava con Killen: si era alzata ed era rimasta a fissare l’armadio con l’indecisione dipinda sul viso.

Cosa mettersi per andare a casa di un multimiliardario?

Cosa mettersi per non sembrare una pezzente e non doversi rovinare per fare acquisti?

Quella mattina, Niky era stata sul punto di avere una crisi isterica. Alla fine aveva optato per un pantalone nero attillato, una canotta binaca e una cardigan beige che aveva lasciato aperto sulla canotta. Le dava un’aria da brava ragazza. Si era infilata un paio di consumante All Star che lei e Lexus avevano in comunione e si era legata i capelli in una treccia lenta e dall’aria trascurata. Si era truccata leggeremente e aveva scelto di usare piercing poco vistosi.

Una fina cicella di argento e un piccolo brillantino sul monroe.

Per proteggersi dal freddo novembrino si era infilata un trench di poliester nero che aveva allacciato alla vita.

Il risultato l’aveva scioccata appena ma l’aveva fatta sorridere. Sembrava una ragazzina normale Berlinese, non il caso umano venuto dal ghetto.

Le si prospettava una giornata in solita in fondo.

Entrò nella sua classe con tranquillità. Era la prima ad entrare e ad accomodarsi al suo posto, quello vicino al temosifone vicino alla finestra. Sistemò la sua roba sul banco e si affrettò ad aprire il suo libro di Filosofia.

Era una materia che l’affascinava e che l’appassionava al tal punto da far ricerche individuali.

La Professoressa Rodwee aveva iniziato ad adorarla e questo aveva fatto accrescere l’odio che i suoi compagni provavano per lei. Era così, volevano essere superiori a lei in tutto.

Sospirò e posò la testa contro la mano. Odiava quei riccastri, li odiava con tutta se stessa.

Concentrò la sua attenzione sul libro cercando di capire la visione dell’assolutismo di Thomas Hobbes e sospirò sottolineando la parola chiave.

La cattiveria naturale dell’uomo.

Una mano smaltata di rosa si posò sul suo campo visuale distraendola.

Alzò lo sguardo e si trovò a specchiarsi in due iridi truchesi che mandavano bagliori pieni di cattiveria. Il suo viso d’angioletto era sfromato da una smorfia di disgusto e rabbia. Eccolo, il confronto.

Brigitte la guardò intensamente e Niky non abbassò gli occhi come si aspettava quell’oca.

«Sta’ lontana da Tom» esalò criptica.

«Non posso» rispose Niky «Ci hanno assegnato un compito»

«Rinuncia»

«Lo accompagni tu a Gropiusstadt Von Ribbentro?» le sputò addosso acida Niky «Ops, scusa, il mio quartiere è merda per te»

Brigitte la guardò stirando gli occhi.

La sua espressione aveva un che di arcigno che le faceva venir voglia di ridere. Brigitte pensava davvero di farle paura, l’unica cosa che aveva preoccupato Niky era stata la consapevolezza che avrebbe dovuto sentire la sua “deliziosa voce” molto di più di quello che poteva sopportare.

Era cresciuta in un quartiere dove nessuno guardava in faccia l’altro.

«Se scopro che hai toccato Tom solo con un dito… giuro» quella vocina da troietta le faceva arrivare il sangue al cervello. Strinse i pugni sotto il banco e la guardò attentamente «Farò pentiere tua madre per non aver abortito»

E fu lì che Nicole seppe cosa significasse ribollire di rabbia.

Odiava quando si toccava il tasto dis ua madre. Quella stronza aveva lasciato suo padre, lei e il suo fratellino senza pensarci due volte. Le saliva una rabbia incontrollata anche solo a pensare a lei.

Saettò in piedi nello stesso istante in cui la professoressa entrava nella classe. Brigitte la guardò con un sorriso poco rassicurante e si lasciò ricadere al suo fianco. Erano compagne di banco. Brigitte si sistemò i capelli con fare vanitoso e le rifilò un’occhiataccia da magistrale.

Niky scosse la testa e posò lo sguardo.

La Professoressa Rodwee posò la valigetta sulla cattedra senza degnare i suoi alunni di un’occhiata, si sedetta sulla sua sedia e prese a sfogliare il registro. Scrisse qualcosa e poi prese a fare l’appello.

«Carter» esclamò e Niky alzò la mano.

«Presente»

La professoressa le sorrise e poi riprese a fare i nomi. Le lettere si susseguivano velocemente.

«Von Ribbentrop» concluse in fine.

«Presente»

La Redwee chiuse il registro e guardò la bionda «Bene Brigitte, spero vivamente che oggi tu sia pronta per l’interrogazione»

Niky fece scattare lo sguardo su quella megera bionda dall’aria angelica. Brigitte non aveva nemmeno mai aperto il libro di filosofia, forse nemmeno gli altri. Brigitte sorrise imabarazzata e scosse la testa.

Come poteva davvero quella bambolina essere così fortunata nella vita? Avere soldi, avere un ragazzo ereditiere e frequentare una scuola come la Immanuel Kant e avere un cervello come una gallina?

Era vero quel che diceva la Signora Schneider del quinto piano: C’è chi ha tutto e chi non ha niente, la maggior parte delle volte quello che ha tutto non se lo merita.

 

 

 

 

 

***

 

 

 

Era imbarazzata, no, forse di più.

Camminava circondata dai due gemelli, che allegri, chiacchieravano, come se lei fosse loro amica da sempre.

Bill gesticolava animatamente mentre entravano nella Ku’damm. Alcune ragazze si giravano a guardarlo. Aveva raccolto i capelli dentro un capello di lana morbido che gli scopriva la fronte spaziosa. Sotto il cappottone di pelle si porteva intravedere una maglia bianca abbastanza trasparente che aveva fatto chiedere a Niky quanto Bill potesse sopportare il freddo. Indossava jeans tremendamente stretti e neri che si infilavano in delle adidas nere e bianche all’ultima moda.

Ha gli occhi struccati ma era un particolare che Niky aveva imparato a non notare, Bill a scuola si truccava raramente.

Saltellava felice tra le vetrine dei negozi chiusi. Sembrava felice come una pasqua!

«Tomiii» squittisce sporgendosi verso il fratello travolgendo la mora «Domani dobbiamo andare a comprare il vestito per il matrimonio dei Von Sayn Wittgenstein»

Niky alzò un sopracciglio mentre il diretto interessato mandava un sospiro sconsolato «Perché devo venirci?»

Il suo tono era simile a quello di un bambino lamentoso e svogliato.

Si sistemò il cappotto mentre Bill inclinava la testa «Kate Von Sayn Wittgenstein non è stata la tua prima cotta?»

Arrossì tutto di colpo, Niky lo notò subito e quasi le venne da ridere. Cosa che fece Bill. La sua risata cristallina si perse per la strada vuota facendola sorridere.

«Sì» sibila Tom voltando appena la testa di lato «Avevo sette anni e non sapevo –e tutt’ora non so- pronunciare il suo cognome» si girò fulminandoli con un sorriso «Mi sembra uno sciogli lingua»

Niky rise con i due mentre Tom si grattava la testa «E poi è diventato un cesso, Billie, non posso credere che mi abbia dato il mio primo bacio»

Bill annuì «Anche io non posso credere di averla baciata»

Ed era strano, tremendamente strano sentir parlare i famosi ereditieri come due ragazzi normali. Cotterelle, baci tra bambini, svolgiatezza nei matrimoni.

Scoppiò a ridere senza pensarci, contagiata dall’allegria dei due.

Iniziavano a piacergli.

Sorpassarono una boutique e svoltarono in una via costeggiata da un’enorme palazzone di mattoni.

Ad attirare l’attenzione di Niky fu quel cartellone posto alla sua cima. I sorrisi dei gemelli ne costituivano il fulcro. Il viso di Tom, però, era scporcato da quello che lei riconobbe immediatamente come vernice sprey. Bombolette.

Era pasticciato e brutallizzato come il leggendario slogan della famosa filiare di banche. Un complesso graffito lo ricopriva con impertinenza.

Affideresti la tua anima al diavolo? Recitava come un pretenzioso annuncio. Si fermò quasi ipnotizzata. Cazzo, qualcuno aveva davvero sfidato i potenti Kaulitz.

«Bello eh?» si sentì dire dalla voce di Tom.

Voltò la testa verso di lui e alzò un sopracciglio «Io… non… van…»

«Io penso sia bellissimo» soggiunse Bill affiacando i due «Denota un punto di vista importante» fu impercettibile ma Niky capì che Bill guardava il fratello.

Lo vedeva in contemplazione, un sorriso sornione e tranquillo sulle labbra.

Guardò il cartellone ancora una volta. La scritta, i colori, la firma, tutto in quel graffito sembrava urlare disperazione.

Voltò lo sguardo verso di lui e gli puntò il dito contro «Sei stato tu?»

Tom sorrise mostrando la fila di denti perfettamente bianche che impreziosiva la sua bocca ed annuì in trance.

«Ma…»

«Quello lì non sono io» annunciò indicando la sua gigantografia «Quello è solo un fantoccio nelle mani del diavolo» si voltò e la guardò negli occhi «Tutto, Nicole, ha il suo orrendo rovescio della medaglia»

Affideresti la tua anima al diavolo? Aveva detto Tom. Affideresti la tua anima a qualcuno che vuole imprigionarti?

L’orrendo rovescio della medaglia era essere imprigionati in una galera di oro zecchino con un carceriere consaguigno. Il proprio padre.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

   
 
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