Quella mattina in ufficio Marco aveva
più lavoro che aria da respirare. Tra una chiamata e l’altra, tra una pratica
di smarrimento colli e una lamentela per colli danneggiati, stava esaurendo la
pazienza. C’erano quattro chiamate in coda al centralino, e lui doveva essere
veloce a risolvere i problemi di tutti.
- Buongiorno sono Marco, come posso
aiutarla? –
- Marco? Sono Rocco. – disse la persona
dall’altro capo del telefono.
Marco si toccò la cuffia sinistra per
essere sicuro di aver capito bene. Davanti a lui, lo schermo mostrava il
gestionale dell’azienda, un insieme di cifre e stringhe di dati.
- Rocco?!? – il suo tono era tra il
sorpreso e lo sconcertato – Ma che cosa cazzo ti salta in mente di chiamarmi in
ufficio? Non sai che …? –
- Ho parlato con tre dei tuoi colleghi
prima di beccarti. Ascolta, io mi sono reso conto di aver fatto un errore.
Vieni fuori. – disse Rocco, chiudendo la telefonata.
Come trasportato da una strana forza,
Marco si alzò lentamente dalla poltrona, andando verso la finestra. Quel matto
del suo ex ragazzo era lì, che lo aspettava con le mani in tasca. Senza
accorgersene, si ritrovò fuori. Lì, Rocco era lontano. Cercò di raggiungerlo,
ma lui si allontanava progressivamente, al tempo stesso non riusciva più a
correre. Si sentiva il fiatone.
- Rocco… - disse, ma dalla sua bocca
non uscì alcun suono.
*****
- Marco – disse la voce di Manuel,
accanto a lui – Sei sveglio? –
- Mmm –
mormorò Marco, stropicciandosi un po’ gli occhi. Leggermente sbalestrato, non
si rese conto subito di essere sul treno, gli ci vollero un po’ di secondi
affinché il suo cervello riconoscesse il fatto che era stato tutto un sogno.
Dolcemente, Manuel gli prese la mano.
Marco alzò lo sguardo e incontrò quel sorriso franco e cordiale, e lo ricambiò
a sua volta.
- Stavi facendo un brutto sogno. – lo avvertì
Manuel, stringendogli un po’ la mano – Continuavi a chiamare il tuo ragazzo. –
- Ho sognato di lui. Mi chiamava, ma
non riuscivo a raggiungerlo… - disse piano Marco, sospirando. – Manca ancora
molto? – domandò, guardando fuori dal finestrino. Il tempo era un po’ grigio,
minaccioso di pioggia.
- Non molto. Siamo quasi arrivati. –
Il treno si infilò in una galleria,
divenendo buio all’istante. Nello scompartimento c’erano soltanto loro, e la
galleria sembrava abbastanza lunga. Il rumore delle ruote sulle rotaie era
ritmico e continuativo, quasi ipnotico. Nel generale silenzio che si era
creato, rotto soltanto dal frastuono del treno, Marco e Manuel si rilassarono,
le loro mani ancora unite nella stretta. Improvvisamente, qualcosa colpì il
finestrino, facendo un rumore distinto, come uno splat.
- Ahhh! –
strillò Marco. Lo stesso fece Manuel, contemporaneamente abbracciandosi forte. Restarono
così per un bel po’ di secondi, fino a che la luce non rischiarò di nuovo lo
scompartimento. Aprirono gli occhi, scoprendo di essere ancora vivi, e si
guardarono. Marco era spaventato, e così anche Manuel. Come due gemelli,
guardarono il finestrino. Era sporco di sangue e c’erano delle piume attaccate.
- Probabilmente un piccione ha colpito
il vetro – disse Manuel. Le sue braccia ancora avvolgevano le spalle di Marco.
- Già. Poveretto. – tagliò corto Marco,
ancora abbracciato. Arrossì leggermente, poi i due si sciolsero dall’abbraccio
e non dissero più una parola fino all’arrivo.