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Autore: Fra The Duchess    26/02/2012    0 recensioni
Innamorarsi di una persona e nascondere i propri sentimenti per 10 lunghi anni. Fino a che ti piomba una nipote tra capo e collo rimescolandoti le carte in tavola.
Genere: Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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-Cosa??- Mauro sputacchiò un po’ del suo espresso, al che lo ghiacciai con un’occhiata.

-Prova a macchiarmi la camicia pulita e te la faccio ingoiare, Novelli.-

L’altro ignorò la mia minaccia e camminò al mio fianco per i corridoi bianchi e verdi del primo piano del dipartimento di Sesto. Le luci al neon sui soffitti bassi erano forti e fastidiose; oltrepassammo qualche studente che confabulava piano sorbendoci i nostri surrogati di caffè delle macchinette in silenzio.

-Dunque, ricapitoliamo- sbottò Mauro togliendosi di dosso il giubbotto e gettandolo insieme alla valigetta di pelle chiara sulla scrivania sgombra alla sinistra della porta. –La tua Eloisa…-

-Elodie, ignorante.-

-Tua cognata, insomma, dopo una vita che non avete contatti diretti sbuca fuori sbolognandoti la figlia perché torna a casa in Costa d’Avorio perché è scoppiata la guerra civile nella città dei genitori? Suona meglio di un Harmony!-

-Ammetto che detto così sembra molto peggio di quanto possa essere…- gli concessi prendendo il mio posto nella scrivania davanti alla finestra, che dava così le spalle al resto dell’auletta grigia e spoglia. Quello era il mio posto preferito, e siccome io e Mauro condividevamo l’aula, c’era l’eterna guerra a chi arrivava primo e si beccava la scrivania migliore (quel giorno ero risultato vincitore, cosa che mi dava un’enorme soddisfazione dopo tre giorni di fila nell’angolo buio).

-Dino, ammettilo: si è trovata il pollo da spennare!-

-Sono lo zio, e quella è mia nipote; è naturale, no?- Ruotai un po’ sulla comoda sedia girevole per scorgere in faccia il mio interlocutore.

-Certo, il caro zio Dino- mi schernì ironico, e venne a sedersi sul bordo della mia scrivania, così che dovetti alzare il capo per vederlo. Era in quei momenti in cui sentivo pesarmi addosso i miei miseri 165 centimetri.

-Grazie per il sarcasmo, Mauro.-

-Figurati, per gli amici lo faccio gratis.- Sbuffò passandosi pensoso una manona sul mento dal pizzetto curato. –Non saprei come dirtelo…ma…ecco, sì…-

-Direi che dirlo in italiano sarebbe un buon inizio, che ne dici?- lo punzecchiai con un sorrisino.

Toccato nel suo orgoglio di docente di Letteratura ribatté rapido: -Non sfottere Gavinelli, cercavo una maniera più delicata per dirtelo. Non ti è mai passata per quella tua testa pelata che quella là ha fatto leva sul fatto che sei innamorato perso di lei e che non le avresti rifiutato niente?-

Tacqui accusando il colpo, e chinai lo sguardo.

-Su, coraggio- Mauro mi diede una pacca amichevole sulla spalla. –Non volevo deridere i pochi capelli che ti rimangono in testa.-

-Già, hai infranto il mio delicato cuoricino.- Gli rivolsi un sorriso grato per aver sdrammatizzato in fretta la situazione. –Sai, non mi piace neanche un po’ che Elodie se ne torni in Costa d’Avorio con la guerra civile in corso- aggiunsi tornando serio. –Non mi va proprio. Non ci ho dormito la notte, credimi.-

-Ti credo, stai tranquillo: hai proprio una brutta cera.-

-Ma sentitelo! Il bello del villaggio ha parlato; udite udite o popolo!-

-Beh, io però almeno ho più capelli di te-

-Quelli non si chiamano capelli, il trapianto non vale. Quel tupé che hai in testa è qualcosa di orrendo, non te l’ha mai detto tua moglie?-

-No, è troppo impegnata ad amarmi ed ammirarmi.-

-Oh sì, il novello sposino- cantilenai. –Con l’enne maiuscola, però.-

-Ah ah ah, la stessa battuta dopo un anno non fa più ridere, lo sapevi? E poi ha parlato lo scapolo d’oro!-

Insulti gratuiti: il nostro sport preferito. Per ufficializzarlo, Mauro aveva persino compilato una lista che aggiornava regolarmente, in cui elencava in una tabella i punti a suo favore, e nell’altra i miei. Nella sua colonna aveva segnato “più capelli”, “capelli meno grigi” (ed in effetti una decina d’anni in meno rispetto al sottoscritto facevano davvero la differenza, anche se pure la sua incipiente pelata si allargava pericolosamente col passare dei mesi), “più alto” (ma in questo non era difficile battermi) e “più successo con le donne”. Quest’ultimo punto non ha fatto dormire a lungo molta gente dato che il motivo per cui Mauro aveva una sfacciata fortuna in amore era e rimaneva sconosciuto. Giusto l’anno prima si era però deciso a mettere la testa a posto sposandosi così su due piedi, tra il grande stupore generale, con la sua donna delle pulizie messicana, la quale a quanto pareva non parlava una di una parola in italiano e lui di spagnolo era già tanto se sapeva dire “vamos a la playa”.

Nella mia tabella mi ero premurato di segnare “più simpatico” e “più carismatico” (dovevo in qualche modo raggiungere il punteggio del mio rivale), “conosce bene francese ed inglese (più qualcosa di spagnolo e tedesco)” –“Il Poliglotta” mi aveva soprannominato Mauro scherzando una volta-, “conosciuto più posti nel mondo” e, a valermi due punti, avevo pure “visitato Disneyland Florida”. Ultimamente la situazione la stava aggiornando lui, e a quanto pare risultava in vantaggio con 13 a 11, l’ultimo punto guadagnato dato che le sue lezioni erano seguite da più studenti che le mie.

Un altro punto se lo sarebbe dovuto aggiungere quella mattina: non era scemo come me che mi ero lasciato coinvolgere ancora nella vita di Elodie dopo che mi ero fermamente promesso di non interferire con essa. Sono proprio una testa vuota. Cosa speravo di fare poi con una bambina tra i piedi? Di certo non sarei andato nel panico come il mio migliore amico e non avrei rischiato di mandare a fuoco la casa, ma di certo un marmocchio tra i piedi non era un segno di buona fortuna e diminuiva drasticamente la mia libertà d’agire. Cosa avrei fatto se mi fosse venuta voglia…non so…di vedermi un film porno, eh?

Onestamente non ne avevo più visti dai miei 24 anni e non ne sentivo proprio il bisogno ma... beh, metti il caso ne avessi voluto vedere uno come facevo con la bimba di mezzo? E se fossi voluto stare sveglio a ubriacarmi con amici fino alle 4 del mattino, cosa…?

Va bene, stavo cercando qualche scusa per non ammettere che mi angosciava tenere mia nipote tra i piedi. La figlia di Elodie e Carlo. A malapena riuscivo a tollerarne l’idea, figuriamoci averci a che fare personalmente.

Quando poi Elodie mi chiamò il giorno dopo annunciandomi che non avrei cenato da solo mi venne la morte, ma non osai dire nulla. Meditando corrucciato in metro e poi sul treno, mi decisi: dovevo dirle una volta per tutte che non potevo tenerle Emma Michelle, ecco. Diretto e chiaro sarei stato.

-Elodie, sono dolente ma non posso tenerti la bambina, scusa.- No, troppo formale.

-Ehi Elodie! Mi dispiace ma non puoi sbolognarmi così la pupa, eh!- Scartata a priori.

-Elodie, una bambina è una grossa responsabilità da non prendere alla leggera- mormorai la frase in tono basso e cipiglio severo, mentre salivo per la rampa di scale verso il mio appartamento. Buona, molto buona se non fosse che così detto pareva che lei aspettasse un figlio mio. Vabbè.

Entrato dentro mi voltai verso il piccolo specchio appeso alla parete di destra. Alzai un sopracciglio con fare drammatico. –Elodie!- patetico, partivo già col piede sbagliato.

-Elodie, io e tua figlia…- No, così sembrava stessi chiedendo in matrimonio mia nipote.

-Elodie, tu ed io…- Così invece la proposta era ad Elodie. Bocciata.

-Elodie, ti amo!- Mi diedi uno schiaffo deciso sulla guancia. –Questo lo chiamo degenerare- sgridai la mia immagine. –Guarda cosa succede a seguire ancora alla tua età il corso di teatro e non avere una partner: ti ritrovi a parlare da solo allo specchio!- Avevo bisogno di una cioccolata calda per schiarirmi le idee e non gettarmi di testa nelle spire della schizofrenia.

Nel cucinotto, rimestando nel pentolino il latte col preparato della cioccolata istantanea, mi ritrovai a fantasticare sul passato, ricordandomi di quella giornata calda ed umida in Costa d’Avorio di quasi 10 anni prima. Io e mio fratello Carlo camminavamo da quasi due ore per le strade sovraffollate della periferia di Abidjan nella costa meridionale del paese, nuotando nel nostro stesso sudore. Era gennaio e fortunatamente non c’era quel caldo torrido tipico dei mesi estivi; Carlo però non smetteva di lamentarsi, quasi fossi stato io a pregarlo di venire con me in quel viaggio di circa due settimane, da solito cafone ingrato. Senza prestargli grandi attenzioni, con la macchina fotografica alla mano, cercavo l’angolazione migliore per fotografare qualcuna delle tristi bidonville del quartiere Vridi Canal, rimasto in gran parte in stato di baraccopoli, mentre da una radio lì vicino davano “Wonderwall” con Noel che cantava il loro primo vero successo, quando ad un tratto, camminando veloce sulla sabbia, la notai. L’immagine era ancora chiara come se l’avessi avuta sotto gli occhi fino a un attimo prima: il suo lungo vestito bianco e rosso con ricami dorati e i lunghi capelli neri raccolti in una miriade di treccine fitte in cui erano infilate varie perline colorate. Sentendosi osservata fermò il suo andare spedito, i piedi calzati da semplici sandali che affondavano nella sabbia morbida e calda. Scorgendomi rimanemmo vari attimi a studiarci in silenzio. E mi sorrise.

Fui riscosso dai miei ricordi sentimentali dallo scampanellare acuto del citofono, così spensi alla cioccolata pressoché pronta ed andai ad aprire la porta. In quegli anni Elodie non era cambiata affatto, a parte qualche ruga di preoccupazione tra le sopracciglia e attorno agli occhi: era bellissima.

Mi colpì con un sorriso bianco. –Allez, Emma Michelle, dit le bon jour a tonton Dino!- esortò un piccolo batuffolo di fuliggine nascosto dietro le sue lunghe gambe, impossibile da non notare nell’ingombrante giubbottone di una disgustosa tonalità rosa caramella. Mi sforzai dal non esclamare :-Ma è questa mia nipote?- Fra un po’ nemmeno la riconoscevo.

-Oh, ma chi è questo pasticcino tutto rosa?- domandai chinandomi per osservare Emma Michelle meglio in faccia. Due occhioni color cioccolata fecero timidamente capolino insieme a qualche treccina che dondolava dal capo. –Mio dio, Elo, sei tu spiccicata- non potei rinunciare dal commentare impressionato, al che lei rise sommessamente.

Accesi la luce della sala per rischiarare il bilocale pressoché buio e silenzioso, e l’occhio mi cadde sul trolley fucsia che Elodie si trascinava dietro con un rumore assordante. –Ma questo bestione ha le ruote dentate? Nemmeno io faccio tutto questo rumore dormendo- sbottai grattandomi il capo, cercando di non dare a vedere la mia angoscia. Quella valigia non era mica piccola! Quanto pensava rimanere la marmocchia?

Elodie parve andare per le spicce siccome salutò in fretta la figlia e le fece le solite raccomandazioni; quando si fronteggiò con me rimase un secondo in silenzio. –Merci, Dino. Merci- ripeté piano mentre la respirazione le aumentò visibilmente. Le misi le mani sulle spalle.

-Stai tranquilla, tutto si aggiusterà, d’accordo? Ce la caveremo io e la pupetta lì; al massimo al tuo ritorno la troverai senza qualche falange, ma questi sono dettagli, va bene?-

Mi gettò le braccia al collo e rimase un po’ abbracciata a me che, impacciato, ricambiai un po’ goffamente. Il suo odore dolce e forte mi colpì forte il naso, solleticandomi gli occhi. Non era giusto: non doveva farmi così, era sleale. Se faceva così poi non sarei riuscito a dormire per una settimana al ricordo di ciò che mi offriva ma che non potevo prendere.

-A presto- si congedò con un ultimo lampo bianco di sorriso e scese verso l’uscita.

Un momento, un momento: non ero io quello che doveva dirle che non potevo tenere Emma Michelle e che noi…? Oh, diamine.

Finalmente mi girai ad affrontare Emma Michelle, ritta in silenzio alle mie spalle. -Tua madre mi ha detto che hai già fatto merenda- le dissi dopo un attimo di indecisione su cosa dire. -A giudicare da come sbirci in cucina non sembrerebbe proprio, eh?-

Mi guardò speranzosa, dondolandosi sulle punte.

La guardai complice. -Facciamo finta che non mi abbiano detto niente, d'accordo?- e con un sorriso andai verso la cucina dal pavimento a piastrelle color mattone. Versai ad entrambi due generosi dosi della cioccolata che stavo preparandomi poco prima, e per l'occasione aprii persino il sacchetto di marshmallows rintanato nel mobiletto in basso a sinistra insieme ai tovaglioli di carta e alle medicine, per le grandi occasioni. Ci mangiammo la nostra merenda in silenzio, la bocca troppo piena per poter dire qualcosa senza rischiare di sputacchiare cibo ovunque, l'uno di fronte all'altra Le caramelle gommose impucciate nella cioccolata sono una grossa fregatura, perché più ne mangi, più ne vorresti. Finimmo per spazzolarci metà sacchetto e tutta la cioccolata del pentolino, e nessuno dei due volle di conseguenza cenare.

Concludendo che quella era stata una giornata intensa e piena di novità, decisi di mandare a dormire Emma Michelle alle 8 e un quarto. Avrebbe dormito sul divano.

-Guarda com'è comodo!- e finsi di non trovarmi sui cuscini più gibbosi di tutta la storia della divanità. Nemmeno lei se l'era bevuta, siccome continuava ad osservarmi con cipiglio aggrottato, ma senza emettere motto.

Se mia nipote aveva detto 3 frasi compiute in tutto quel tempo era tanto, e la cosa mi metteva a disagio. Elodie me ne parlava come una gran chiacchierona, ma trovandomela davanti mi pareva più taciturna che altro.

Mi passai una mano sul collo. E ora che si faceva? -Devi...vediamo, metterti il pigiama?-

Annuì compunta.

-E te lo devo mettere io?-

Certo, era ovvio.

Diamine.
Con tutta la pazienza di questo mondo mi inginocchiai per terra sul tappeto cremisi e aprii il trolley per iniziare a frugarvi dentro, con mia nipote che sbirciava discretamente dalle mie spalle. Era un tripudio di bianco e rosa, in ogni sua possibile tonalità.

-Ti piace il rosa, eh?- fu la mia brillante constatazione.

Annuì seria. -È il colore delle principesse.-

-Eh? Certo, certo...- Cercai di valutare se quelle che avevo tra le mani era una t-shirt o una canottiera.
-Emma, com'è il tuo pigiama?-

-Bello.-
Sorrisi involontariamente. -Ne sono felice, ma mi sai dire com'è fatto? Così, giusto per avere un'idea di cosa cercare in questo guazzabuglio.-

-È rosa.-

Perché non me l'ero aspettato? Un po' accaldato mi tolsi il maglione rosso e mi rimboccai le maniche della camicia, e mi misi di buona lena a mettere sottosopra pressoché l'intero contenuto della valigia, siccome le suddetta camiciola da notte rosa era accuratamente piegata sul fondo. Mi sentivo Mary Poppins guardando la valanga di robe inutili che Elodie era riuscita a pigiarci dentro oltre ai vari vestiti: un astuccio con matite colorate, un quaderno bianco, qualche paio di asciugamano dimensione mignon, varie merendine al cioccolato e succhi di frutta all'albicocca (ma cosa pensava, che avrei fatto morire di fame sua figlia?) e un leoncino di peluche. -Immagino sia tuo- consegnai il pupazzo ad Emma mentre rimettevo tutto in valigia alla bell'emmeglio, la quale se lo coccolò tra le sue braccine lunghe e magre per un po'. A operazione finita iniziai a spogliarla, e le infilai la camiciola.

-Ora sei pronta per dormire e...-

-Devo lavarmi i denti.-

Se lo ricordava una scricciola di 5 anni piuttosto che un vecchiaccio di 40.

Per atto di pietà trascinai in bagno un panchetto in modo che pure lei arrivasse a vedersi allo specchio sopra il lavabo. Diciamo che tra tappi nasce un'immediata e spontanea solidarietà, lezione imparata nella vita. Ora però non aveva più scuse.

-A dormire, su.- Dopo aver steso un paio di lenzuola pulite sul divano vi feci stendere la bambina, che mi osservava tra i vari strati di coperte con cui l'avevo coperta per evitare che prendesse freddo. -Comoda?- le chiesi incrociando le mani sul petto, osservando soddisfatto il mio lavoro ultimato.
Annuì piano. Non pareva molto convinta.

-Bene, allora io sono di là e se...-

-Non mi piace il divano, è scomodo.-

Ti pareva. -Ah sì, è scomodo? Beh... ecco- Ci pensai un attimo. -Se proprio non riesci ad addormentarti chiama pure, d'accordo? Buonanotte.-

Spensi la luce con gli occhi di Emma Michelle incollati addosso, e nonostante il buio finalmente calato su tutto l'appartamento, li sentivo trapassarmi da parte a parte. Ma sì, qualche giorno sul divano non l'avrebbero uccisa di certo, ed io dopo troppo tempo sarei riuscito a coricarmi per la prima volta in due mesi ad un'ora inferiore alle due di notte...

Sospirai e riaccesi la luce, trovando Emma Michelle a fissarmi esattamente come prima di spegnerla.
Così mi ritrovai a dormire sul divano.

Non mi ricordavo fosse così scomodo, però. Di cos'era foderato, sassi? Avrei potuto benissimo utilizzarlo come sacco da boxe.

Mi rigirai insonne per quasi venti minuti, dopo i quali mi arresi all'evidenza che le 9 non erano proprio il mio orario di ritirata. Con cautela sgattaiolai a chiudere la porta del corridoio per poter accendere la tele e vedermi qualche vecchio nastro, come facevo prima. Capodanno 2000-2001, uno tra i miei preferiti in assoluto. Lo infilai nel videoregistratore e mi sedetti a gambe incrociate sul tappeto, vicino allo schermo, inserendo il muto per evitare rumori.

La casa di Carlo era in un casino assurdo, un andare e venire di gente con in mano bicchieri di plastica contenenti qualcosa di fortemente alcolico, a giudicare dalle espressioni un po' troppo felici e i visi rossi e accaldati; la telecamera stessa era vacillante e insicura nelle mani di mio fratello. La scena slittò verso il tavolo in cui stavano ammassati i piatti della cena che mostravano i resti delle tagliatelle e dell'arrosto al forno con le patate; tra le sedie al suo attorno stavamo seduti io ed Elodie, un po' stravaccati, che parlavamo di letteratura.

Carlo ci salutò e ci incitò a fare lo stesso, così sventolammo le mani e sorridemmo nella sua direzione. Stavamo parlando di Flaubert gli avevo spiegato. Elodie amava in particolare maniera la M.me Bovary, e mi aveva esposto le sue riflessioni al riguardo, spiegandomi perché secondo lei Emma Bovary fosse l'emblema della donna moderna per eccellenza e suo modello personale di riferimento. E sua figlia l'avrebbe chiamata proprio come lei. Io avevo riso al suo tono secco e volitivo, e Carlo compì uno zoom sul viso scuro della moglie, soffermadovisi a lungo, commentando però che, dopo solo un anno di matrimonio, stava decisamente correndo un po' troppo. Lei si era guardata le mani in imbarazzo, al che l'avevo cinta per le spalle prendendo in giro mio fratello difendendola.
Sapevo a memoria tutte le battute, i gesti, le espressioni e il colore della voce di ognuno in quel video, tante erano le volte che lo avevo visto. Osservavo quei ricordi dai colori innaturalmente sgargianti e dalle immagini un po' tremule sentendomi ancora come allora, felice di stare con lei in quel triangolino morboso Carlo-Elodie-Dino, in cui l'unico a starci male ero solo io. Però non riuscivo a farne a meno. Mi sentivo come un tossicodipendente che tirava avanti a dosi di sbobba, sapendo di stare pian piano morendone eppure continuandone a prenderne per provare quel sempre più raro sentimento di sollievo. Usando una metafora meno drammatica, mi sentivo come qualcuno a cui mettessero sotto il naso una torta appena sfornata in un periodo di dieta ferrea.

Ero arrivato alla scena finale, verso le 4 e mezza del mattino: la casa ora era vuota e cosparsa ovunque di cartacce e stupidi cappellini di carta colorati. L'immagine si mosse per riprendere noi due seduti sul divano, Elodie che dormiva da pochi minuti sulla mia spalla sinistra con un respiro lento e regolare. Sorrisi stanco a Carlo e salutai con la mano.

La cassetta finì ed io rimasi a guardare per qualche momento i segnali disturbati della televisione, per poi decidermi ad alzarmi e spegnerla per andare a dormire.

  
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