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Autore: Hiraedd    26/02/2012    9 recensioni
James Potter, è esattamente come chiunque non abbia gli occhi rivestiti di prosciutto e i capelli rossi (qualunque riferimento a persone realmente esistenti è pienamente voluto) può osservare ogni giorno… simpatico, sempre pronto a far ridere gli altri, generoso, darebbe la vita per i suoi amici e per quelli più deboli.
Peter Minus, beh, è Minus. Facendo coppia con lui nell’aula di Trasfigurazione ho imparato a conoscerlo meglio. Sempre in seconda fila, senza essere visto, sembrerebbe più una pedina che un giocatore. In realtà, mi sono accorta, è un giocatore tanto quanto gli altri.
Sirius Black... Sirius definisce tutti i confini. Gira per il mondo con scritto in fronte “QUI FINISCONO I BLACK E COMINCIO IO”.
Remus Lupin è la mente diabolica del gruppo. È il classico esempio di persona che tira la pietra e nasconde la mano, non per codardia, ma per quieto vivere. O meglio, fa tirare la pietra agli altri, decisamente, e si mantiene la sua reputazione da Prefetto e bravo ragazzo. Tutto quello che ci mette, è il cervello. Decisamente un personaggio degno di stima, un idolo (Dai pensieri di Marlene McKinnon)
Genere: Azione, Introspettivo, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Mary MacDonald, Peter Minus, Remus Lupin | Coppie: James/Lily, Sirius Black/Marlene McKinnon
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Malandrini/I guerra magica
Capitoli:
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- Questa storia fa parte della serie 'oltre il fuoco comincia l'amore'
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LILY
JAMES
SIRIUS
MARLENE
MARY
EMMELINE
REMUS
ALICE
FRANK
PETER
REGULUS
RABASTAN
CORRISPONDENZA
 
 

A me m'ha sempre colpito questa faccenda dei quadri.
Stanno su per anni, poi senza che accada nulla, ma nulla dico, fran, giù, cadono.
 Stanno lì attaccati al chiodo, nessuno gli fa niente, ma loro a un certo punto, fran, cadono giù, come sassi.
Nel silenzio più assoluto, con tutto immobile intorno, non una mosca che vola, e loro, fran.
Non c'è una ragione. Perché proprio in quell'istante? Non si sa. Fran.
Cos'è che succede a un chiodo per farlo decidere che non ne può più?
C'ha un'anima, anche lui, poveretto?
Prende delle decisioni?
Ne ha discusso a lungo col quadro, erano incerti sul da farsi, ne parlavano tutte le sere, da anni, poi hanno deciso una data, un'ora, un minuto, un istante, è quello, fran. [...]
È una di quelle cose che è meglio che non ci pensi, se no ci esci matto.
Quando cade un quadro.
Quando ti svegli un mattino, e non la ami più.
Quando apri il giornale e leggi che è scoppiata la guerra.
Quando vedi un treno e pensi io devo andarmene da qui.
Quando ti guardi allo specchio e ti accorgi che sei vecchio.
Quando, in mezzo all'Oceano, Novecento alzò lo sguardo dal piatto e mi disse:
"A New York, fra tre giorni, io scenderò da questa nave".
Ci rimasi secco.
Fran.
 

 
-quindi cosa facciamo adesso?- chiedo quindi con un sorriso stanco, appoggiandomi con la schiena al muretto sul ciglio della strada pedonale.
Siamo nel bel mezzo della Londra Babbana, non ho la più pallida idea di come si chiami questa strada, mi sono affidata completamente a lui. So che siamo usciti dal paiolo magico, abbiamo camminato per tutta la via e svoltato a destra all’ultima traversa. Da lì in poi ho perso il conto, ma sono certa di non aver camminato per più di tre o quattro minuti.
Paul mi guarda con un sorriso molto simile al mio, tranquillo in una posa rilassata accanto a me, gli occhi lucenti di un sacco di cose non dette.
-sapevamo che sarebbe finita così- mi risponde dopo qualche istante di silenzio, una sigaretta babbana tra le dita, accesa e con ormai un po’ di cenere sulla punta.
Sospira, scrolla la sigaretta e se la rimette in bocca.
-all’inizio, forse- annuisce ancora continuando il suo discorso–ma poi…-
-poi ci siamo abituati, all’idea di noi due insieme- finisco io per lui, prendendogli una mano tra le mie e capovolgendola per ammirarne il palmo, liscio e segnato solo dalle linee della vita, del successo e di non mi ricordo cos’altro perché a divinazione in genere dormo.
-già- sospira lui, ancora –e non dovrebbe essere così, vero?-.
Lo guardo, interdetta.
-così come?- chiedo curiosa.
-non ci si dovrebbe abituare- risponde lui enigmatico.
Non lo so, se ci si dovrebbe abituare. Penso a Frank e Alice, che stanno insieme da anni e hanno litigato una volta sola, un litigio vero e proprio, ma che non si lascerebbero per nulla al mondo.
Loro si sono abituati?
Mi appunto di chiederlo a Alice quando la rivedrò.
Si è abituata?
Mi rigiro ancora il palmo di Paul tra le mani. Mi hanno sempre affascinato, le mani degli altri.
Non gli occhi, o i capelli, o i muscoli… beh, un po’ quelli si.
Ma le mani, le mani più di tutto il resto. C’è scritta tutta una vita vissuta, sui palmi delle mani, e a star a sentire Emmeline e quelli che credono nella divinazione, anche tutta una vita da vivere.
L’amore. Ecco qual è, l’altra linea nel palmo della mano.
Guardo quella di Paul, di linea dell’amore.
Non ho mai creduto a queste sciocchezze, ma mi sembra quasi di vederci scritto che io in quella linea non ci sono, non nella sua.
-a te fa male?- chiedo incuriosita verso Paul, che mi guarda con lo stesso sorriso bonario di sempre sul volto. A guardarlo così non lo diresti che non ha nemmeno sedici anni, sembra molto più grande, quasi più grande di me. E calmo, quieto come un lago dal fondale basso ma dagli splendidi colori.
-mi fa male pensare che potrei perdere una delle persone migliori che io abbia mai conosciuto- mi dice sinceramente con una sfumatura calda nella voce –non ti amo, Mary, ma sei una delle persone più… splendide? Che io abbia mai avuto l’onore di frequentare-.
Annuisco, schiarendomi la gola.
Sono lacrime quelle che mi pungono gli occhi?
-e non è proprio dolore, quello che provo. Sento l’amaro che mi prende quando finisco un buon libro, e so che non ci sarà un finale diverso-.
Sorrido tristemente.
-questa storia non deve finire con l’ultima pagina, lo sai? Non ti amo, Paul, ma ti voglio un bene dell’anima, sei…-
Lui annuisce, comprensivo.
-fa più male di quanto pensassi, tutto sommato- dichiaro alla fine, gli occhi irrimediabilmente lucidi.
Dovrei davvero chiedere ad Alice se si è abituata.
-credi che abbiamo sbagliato, da qualche parte, in questa storia?-.
Paul è stato un’ancora, in molti casi.
L’ho conosciuto sull’espresso di Hogwarts, alla fine dell’anno scorso, e ci siamo scritti per tutta l’estate. Siamo anche usciti insieme, di tanto in tanto, e poi abbiamo deciso di provare a stare insieme davvero, nonostante gli anni tra noi, nonostante le differenze –piuttosto evidenti- dei nostri caratteri, nonostante io non fossi mai stata con nessuno seriamente e lui fosse ancora silenziosamente innamorato di un’altra.
-no, sono sicura di no- rispondo scuotendo il capo.
-mi hai insegnato a divertirmi, McDonald- mi dice alla fine, sciogliendosi in una risata e scostandosi dal muretto, per allontanarsi di qualche passo –e a non prendermi troppo sul serio-.
Ridacchio divertita, pur con tutto questa matassa annodata attorno a cuore e polmoni, pur con tutto questo peso sulle spalle e nella pelle.
-Sanders, mi hai insegnato così tanto che non potrei farne un elenco in tutta la giornata-.
Lui prima mi guarda, poi mi sorride teneramente.
-allora dovremmo anche insegnarci a dirci addio, non credi?-.
Già, la parte più difficile.
Io non lo amo, ma gli voglio bene. Paul è una persona fantastica, e io me la sto fantasticamente facendo scappare.
-non l’ho mai fatto- scuoto la testa.
-nemmeno io- risponde.
Alla fine, perché questa mi pare proprio una fine, mi si avvicina lentamente e, socchiudendo gli occhi come a non voler guardare, mi lascia un leggero bacio a fior di labbra prima di allontanarsi.
Non sembra neanche un bacio, ha proprio il sapore che mi immagino dovrebbe avere un addio.
-ci vediamo a Hogwarts- sorride prima di voltarsi.
Inevitabilmente, rido.
-ci vediamo sul campo da quidditch, Sanders-.
Con una luce allegra negli occhi si gira e mi guarda.
-oh, inizia a tremare, McDonald-.
Poteva andare peggio.

 

*

 
La cucina di casa Potter splende più di uno specchio mentre, con attenzione, mi verso un bicchiere di succo di zucca nella tranquillità della casa. In salotto sento Zia Doree suonare il piano con maestria, mentre posso avvertire soffocato il rumore delle pagine che Zio Char sfoglia svogliatamente sul divano, per far passare un po’ di tempo.
Non sono di ottimo umore, considerando che Sirius e Lily sono usciti più di tre ore fa e ancora non sono tornati. Insomma, quanto ci vorrà mai per la lettura di un testamento?
E quell’idiota non mi ha nemmeno permesso di accompagnarlo!
Merlino come non lo sopporto quando fa così. Sono i momenti in cui vorrei avere un ragazzo normale, questi.
Uno di quelli che ti sorride senza problemi, senza farsi mille castelli sull’orgoglio e sull’arroganza, che ti prende per mano facendoti capire quanto è importante, senza tuttavia lasciarlo intendere ad altri.
-non sono ancora tornati?- mi chiede James entrando in cucina irritato.
Sembra essergli andata di traverso tutta questa faccenda. È convinto che avrebbe dovuto chiederlo a lui, Sirius.
Ma a quanto pare, quell’idiota di un Black ha pensato bene di fregarsene, di quello che avrebbe dovuto fare, e di fare invece quello che gli andava.
Come sempre, in pratica.
Non capisco perché continuiamo tutti a stupirci e a restarci male, a soffrirne.
Dovremmo ormai aver capito che Sirius Orion Black è una persona essenzialmente egoista.
Presa dai miei pensieri reagisco ad essi sbattendo il bicchiere che ho in mano sul tavolo.
Maledizione a me e alla rabbia che fatico a controllare, il bicchiere è andato in mille pezzi e una scheggia mi ha ferito il palmo.
-Lène, che hai…- domanda James guardandomi spaesato –ti sei fatta male?-.
Continuo a guardarmi la mano, osservando qualche goccia di sangue colare sulla superficie immacolata del tavolo di vetro.
-non è nulla, no- rispondo alla fine estraendo la scheggia più grossa e rivolgendo la mia attenzione su quelle più piccole. Maledizione, dove ho lasciato la bacchetta?
Con tanti piccoli tic le estraggo una ad una, ogni più piccolo frammento, sibilando per il dolore e cercando così di far passare il tempo. Alla fine, con un sospiro, prendo un po’ d’acqua da una delle brocche sul ripiano accanto al fuoco e la verso sulla ferita.
-aspetta, dammi qua- mi dice James protendendo la mano verso di me, e sfoderando la bacchetta con l’altra –ferula-.
Benedetti incantesimi guaritori.
-ragazzi, tutto bene?- chiede zia Dorea entrando in cucina, curiosa –ho sentito qualcosa rompersi-.
Sono così nervosa che non mi sono nemmeno accorta che la musica in sottofondo, prima lenta e regolare, ora è svanita.
-solo un incidente con un bicchiere, zia, niente di grave- le dico muovendo la mano sana verso il tavolo e i cocci di vetro bagnati di sangue e succo di zucca.
-reparo- mormora James svogliatamente –gratta e netta-.
All’incantesimo di James il bicchiere si ripristina e il tavolo si pulisce da se.
-ecco- sussurro io in risposta ad un’occhiata lieve della zia –tutto a posto ora, dovremmo…-
Un fruscio leggero, un richiamo da parte dello zio e poi alcuni passi veloci verso la cucina.
Lo zio entra scarmagliato, il giornale ancora tra le mani, seguito da uno sbuffo argenteo, una scimmia.
Non so perché, ma da quando sono entrata all’ordine ho imparato ad associare i patronus a grandissimi casini piuttosto che a pensieri felici.
-Lily Evans è stata scortata al quartier generale da Soterby e i suoi- dice la voce di uno dei gemelli Prewett, non ricordo più quale dei due ha la scimmia come patronus –Sirius è con lei. Raggiungeteci-.
 

*

 
Sono rimasta a guardare per minuti interi il vicolo da cui è sgusciato via Paul, la sensazione amara, quella di cui mi ha parlato lui prima, ancora presente nel cuore e nella mente.
Non è proprio dolore, è qualcosa di meno, o qualcosa di più.
E quindi, ora, sono tornata ufficialmente la Mary McDonald di prima, quella che cambiava ragazzi con la stessa celerità delle camicie della divisa scolastica.
Non che questo mi dispiaccia, anzi, mi sembra di respirare aria fresca quando inizio a camminare alla ricerca di un posto tranquillo per smaterializzarmi. È solo strano, Paul è stato un pezzo importante della mia quotidianità, e lasciarlo andare così mi sembra come separarmi da qualcosa di non indispensabile, ma comodo.
Non so neanche come è successo, ma alla fine mi sono messa a piangere.
Me ne sono accorta solo quando, trovato un vicolo sufficientemente isolato, ho sospirato e ho sentito sulle labbra il sapore salato delle lacrime.
Trovo che sia di enorme sollievo, piangere.
Mi appoggio al muro del vicolo con le spalle e resto così per un paio di minuti, gli occhi chiusi e le lacrime che mi scorrono sulle guance per nessun motivo in particolare.
Ho voglia di urlare e ridere, di giocare a quidditch e correre, di parlare con Marlene di ragazzi e con Alice di Frank, argomento che trova sempre in lei la piena accettazione. Ho voglia di vedere il viso irritato di Emmeline quando le chiedo i compiti da copiare e quello di Lily, sarcastico, quando elogio le qualità di James al solo scopo di trovarla in fallo perché “no, lei e Potter non usciranno mai insieme”.
Ho voglia di vedere persone felici e di sentire risate piene di divertimento, e di vedere l’amicizia vera dalla quale sono abitualmente circondata.
Penso a questa, appoggiata al muro sudicio di un vicolo della Londra babbana, intenta a piangere quel groviglio di emozioni che non so bene districare.
Ma quando vedo il cervo argenteo che, davanti a me, mi guarda con gli occhi grandi che ho sempre immaginato con il colore caldo di James, capisco che non sarà la felicità a fare da punta a questa giornata.
-siamo al ministero della magia, al quartier generale degli Auror, hanno preso Lily in custodia perché è successo qualcosa alla sua famiglia, ma loro non parlano. Mamma e papà sono con lei, non li abbiamo ancora visti. Raggiungici appena puoi-.
 

*

 
-raccontami ancora cos’è successo, con ordine- si impone James, l’espressione tesa e controllata rivolta a suo fratello, le mani ben in mostra, come a chiedere a tutti di stare calmi, quando la persona più vicina a perdere la tranquillità è proprio lui.
Sbuffo chiudendo gli occhi per contenere quella che sembra essere un’emicrania coi fiocchi, o forse per non dover fissare il mio sguardo nel suo e in quello di Marlene, che da accusatore è diventato preoccupato, e infine intimorito.
Questa guerra inizia a fare troppe vittime secondo i miei gusti.
-siamo usciti dall’ufficio notarile e un gruppo di uomini ci ha…-
-…si, si, questa parte l’ho capita. Intendo dire cosa vi hanno detto precisamente, quanto si sono sbilanciati-.
Sospiro.
-niente, James, non hanno detto niente. Hanno detto solo che cercavano la Evans e che avrebbero avvertito la zia e lo zio di averla in custodia. Non una parola su nulla-.
Adesso è il turno di James, di sbuffare, anche se non capisco il perché.
-intendo proprio le parole- insiste infatti –dimmi le parole esatte che…-
-James, non credo sia questione di parole-.
La voce di Dorcas riscuote James per qualche secondo, costringendolo a voltare lo sguardo con cui mi sta incenerendo su di lei, che lo guarda con un sorriso comprensivo al fianco di Fabian e Gideon.
È stato Gideon a chiamare zia Doree e gli altri, a quanto mi hanno detto, quando gli auror dell’altra squadra non l’hanno fatto.
Come faccia Dorcas Meadowes a far trapelare così poco e al contempo così tanto di se stessa con un semplice sguardo ed un sorrisetto comprensivo lo sa solo lei. Da quando la conosco non l’ho mai vista irritata per qualcosa, solo sempre molto silenziosa e vicina a Fabian, in un modo che non puoi non notare, entrando nella stessa stanza: ti accorgi che stanno insieme anche se si trovano ai due estremi della sala, intenti a fare cose diverse; c’è qualcosa che li unisce, che non ho mai visto in nessun’altro.
L’attesa si prolunga così nel silenzio, un silenzio scandito dal respiro di troppe persone chiuse nell’atrio del quartier generale degli auror. I gemelli Prewett sono stati incaricati di tenerci d’occhio mentre al di là di questa porta chissà cosa sta succedendo.
Questo senso di potenza destabilizza, davvero. E l’ho provato fin troppe volte in fin troppo poco tempo.
Sono stufo.
Alcuni passi veloci preannunciano l’arrivo di qualcuno, e quando vedo una figura di media altezza svoltare l’angolo riconosco Mac e il suo cappotto bianco, i jeans un po’ sdruciti e i capelli raccolti in due trecce ai lati del viso che su di lei hanno un tocco sbarazzino che le dona molto.
-James, che cosa è…?-.
Non fa in tempo a finire la domanda che Marlene le si tuffa tra le braccia, stringendola e appoggiando il capo alla sua spalla.
-Mac, pensavamo fossi a casa tua, ma quando siamo arrivati non c’eri e…-
-si, lo so, avevo un appuntamento- taglia corto sulle spiegazioni di James, scuotendo il capo.
Ha davvero gli occhi lucidi e le guance rosse?
Sembra le abbia sfregate più volte.
-Mac, hai pianto?- chiede infatti James, la discrezione fatta a persona –hai visto Paul?-.
Mary emette un sospiro, che è a metà tra uno sbuffo e una risata, poi scompiglia con aria tristemente giocosa i capelli a quello che, a conti fatti, per lei è un migliore amico.
-deve ancora nascere, Potter, il ragazzo che mi farà piangere-.
Il che, a voler proprio essere onesti, non risponde a nessuna delle due domande poste da James, ma che pare tranquillizzarlo immediatamente.
-sapete cos’è successo?- chiede poi Mac rivolta soprattutto ai Prewett –è successo qualcosa a Rosie e Trevor?-.
-Rosie e… chi…?-.
Posso leggere sul volto di Fabian Prewett un po’ di sconcerto, non ha la minima idea di chi siano le persone che Mac ha appena nominato.
-i genitori di Lily. Stanno bene?-.
-non lo sappiamo, Mac- le risponde trucemente James, che pare aver ripreso l’aspetto ansioso di poco fa.
Poi la porta si apre giusto di una fessura, quel tanto che serve a Dorea per far sporgere la testa e puntare lo sguardo su di noi.
James scatta come una molla, ma sua madre gli rivolge solo un sorriso intristito.
-Dorcas, potresti entrare un attimo?-.
Vedo la ragazza assottigliare lo sguardo verde –anche se di un verde più banale rispetto a quello della Evans-, e annuire compita.
 

*

 
Appoggiata a questo muro mi sento stranamente impotente: è una sensazione che ho provato fin troppe volte, quest’anno; non mi è piaciuta la prima volta e non può certo piacermi ora.
Il ticchettio del grande orologio a muro occupa i nostri istanti scandendoli in secondi lentissimi. Ci si potrebbe non credere, a quanto può passare lentamente il tempo.
Da quando Dorcas è entrata nella stanza, sotto lo sguardo vigile e stranamente triste dei due gemelli Prewett, non so dire se sono passati minuti, ore oppure giorni, ma so dire che James non ha mosso un muscolo, che Sirius si è attorcigliato le mani per tutto il tempo, che Marlene è appoggiata al muro con le mani sulle tempie come a voler contenere un grande mal di testa, e che io me ne sono rimasta qua, con le spalle alla parete e la tentazione sempre più forte di aprire questa porta e tirar giù un casino degno di Merlino.
Ci sono persone a cui la pazienza non viene insegnata o, se anche si prova ad impartirgliela, loro non la imparano. Io sono una di quelle, e per questo fremo all’idea di ciò che può star succedendo lì dentro.
-avevi appuntamento con Paul?- mi chiede all’improvviso Marlene, aprendo gli occhi ma mantenendo le mani alla testa.
Aggrotto la fronte, sorpresa.
-non mi sembra il momento adatto- le dico con un sorrisetto stano. Mi sembra di averne già dispensati troppi, oggi. Forse, oggi è una di quelle giornate che, appena scendi dal letto e rischi di lavarti i denti con il sapone, dovresti capire di restare a dormire, così, per sfizio.
Marlene mi guarda come a dire “tanto che abbiamo da fare, se non aspettare per chissà quante altre ore?”.
Non posso proprio darle torto, e aspettare parlando è forse meglio che aspettare in silenzio.
-si- rispondo quindi annuendo e fissando lo sguardo sulla finta finestra del ministero, illuminata di una luce solare che in realtà è solo un incantesimo.
-e?-.
Eh!
Scrollo le spalle con disinvoltura, dando in un sorriso che di divertito ha ben poco.
-peccato, mi stava simpatico, Sanders- dice James continuando a tenere lo sguardo puntato sulla porta, sia mai che esca Lily da sotto la fessura senza che qualcuno se ne accorga.
-oh, beh, sicuramente più di… com’è che si chiamava, quel corvonero dell’anno scorso?- Sirius sembra divertirsi ad insultare la gente.
-quale, Roger o Dylan?- chiede Marlene interessata –quello scuro di capelli o il biondo con gli occhi neri?-.
-quello scuro, con la puzza sotto il naso- mormora James con un sorrisetto.
-si, quello strabico- gli da manforte Sirius.
-non era…- faccio per ribellarmi.
-perché, scusami, ti ricordi quel Serpeverde di due anni fa?- mi interrompe James, scoccandomi un’occhiata dall’aria riprovevole –Mac, ho quasi temuto di non poterti più rivolgere la parola-.
-ma come…?-.
-oh, si, e poi c’era quello con il neo sul sopracciglio, te lo ricordi? Anche quello tassorosso… ma, Mac, a te proprio i grifondoro non ti piacciono, eh?-.
-comunque, il mio preferito era quel Moran, talmente timido da non riuscire a spiccicare due parole una dietro all’altra, anche quello tassorosso-.
Alla fine, fintamente stizzita, mi rivolgo a loro con la voce grossa ed un sorrisetto piuttosto divertito in volto.
-la volete piantare di parlarne come se io non ci fossi?-.
A questo punto uno dei due gemelli Prewett, di cui mi sono completamente dimenticata, scoppia a ridere abbandonando per un attimo la posizione accanto alla porta, per piegarsi su se stesso e ridacchiare comodamente. Vedo l’altro sorridere tranquillamente.
-che c’è?- chiedo curiosa a quello che ha almeno il buongusto di rimanere eretto, per quanto sorridente.
-niente, è che…- scuote la testa sbuffando una risata –se quello che dicono i tuoi amici è vero, assomigli molto ad un nostro compagno a Hogwarts-.
-era uno di quelli nella foto che hai visto a Natale- si intromette l’altro gemello, Gideon a quanto pare –Caradoc D…-
-oh, si, quello bello- annuisco ricordando il ragazzo in questione.
I gemelli sbuffano all’unisono.
-per quello che mi riguarda sono più bello io- replica Fabian alzando gli occhi al cielo.
Il momentaneo attimo di allegria che ha sostituito l’ansia sul viso di tutti si spegne esattamente come si è acceso al sopraggiungere di un rumore di passi concitati.
Sei visi nuovamente tesi si voltano verso l’ingresso del corridoio, da cui spuntano un Remus Lupin piuttosto agitato e una Emmeline Vance decisamente pallida, con occhi grandi come piattini.
-Sirius, James, cosa…?-.
Credo che a Remus basti osservare il viso di James, nuovamente rivolto alla porta e nuovamente ansioso, per leggere tra le righe e portarsi una mano alla fronte.
Per quanto riguarda Emmeline, invece, credo di non averla mai vista così spaventata. È come se si fosse accorta solo ora, veramente, del male che può fare una guerra.
Perché quello che nessuno riesce ad ammettere ad alta voce, ma che tutti sappiamo, è che i genitori di Lily non ci sono più.
Alla fine, la porta si apre per lasciar passare una Dorcas Meadowes padrona di se stessa.
Non è proprio triste, ha l’espressione tirata di chi è perso tra i meandri di una storia che non vuole raccontare. Senza nemmeno alzare gli occhi si dirige verso Fabian, con una sicurezza e una dignità che raramente ho scorto in altre persone.
-Rosie e Trevor sono morti, vero?- chiedo alla fine con sorprendente lucidità, avvertendo l’atmosfera generale sussultare.
C’è chi pensa che la mia schiettezza potrebbe essere poco consona al momento, forse, ma credo che parlare chiaro sia più facile.
Dorcas, lentamente, annuisce. Evidentemente lo pensa anche lei.
Questi sono quei momenti in cui respiri grandi e profondi sono le uniche cose che possono salvarti la vita. Quando senti le parti del tuo corpo andarsene per i fatti propri, qualcosa al centro del petto cadere e lo stomaco rivoltarsi su se stesso.
Non posso non pensare che sarebbe stato meglio, dannatamente meglio, tornarsene tutti a dormire appena dopo essere scesi dal letto.

 
 

*la citazione è tratta dal libro/testo teatrale "Novecento, un monologo", ovviamente di Baricco, che poi è il testo da cui è stato tratto il famoso film "La Leggenda del Pianista sull'Oceano" 
 

 
NOTE:
come promesso, oggi è domenica, e ho pubblicato!
Questo capitolo mi piace particolarmente, soprattutto la parte su Paul e Mary. D’ora in poi il personaggio di Mary parlerà sempre di più.
Il prossimo, di capitolo, arriverà entro domenica prossima, se riesco provo prima, ma non prometto nulla di certo. Sarà molto ma molto triste, credo, ho qualche idea ma non ho ancora scritto molto, ma so che sarà molto molto colorato.
Ringrazio ovviamente tutti quelli che recensiscono, ora mi dedicherò alle risposte!!! E ringrazio anche chi legge solamente, spero la storia sia di vostro gradimento!
Buona lettura,
Hir



 
   
 
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