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Autore: Sylence Hill    26/02/2012    3 recensioni
Londra, 1835
Rachel Williams è un topo di biblioteca, sempre china con il naso infilato tra i libri. Ragazza di buona famiglia, con un padre fatto da sé e una madre che insiste sul matrimonio, ha un cuore buono e gentile, che ama incondizionatamente.
Ma è anche caparbia e testarda, che vuole affermare a quel mondo che tiene conto solo le apparenze che una donna può essere più che una semplice decorazione per la casa del futuro marito.
Non ha fatto i conti, però, con quello che il destino - al quale non crede - ha deciso per lei. 
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Genere: Romantico, Sentimentale, Storico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Sy Hill: Eccomi a voi con un altro capitolo, Cari Lettori. Appena finito e corretto e, per la gioia di Climenstra_Natalja, con la presenza del nuovo personaggio di Lady Oscombt! *Applauso!*  Grazie troppo Buoni. Comunque, in questo capitolo vengono chiarite alcune cose e ne vengono introdotte altre... Sorpresa sorpresa!
Ma ciancio alle bande *ehm, ehm* bando alle ciancie!
Leggete e Recensite.
Fatemi sapere cosa ne pensate!
Baci,

Sy Hill <3<3<3<3

P.S.: Ringrazio Natalja e Daisy per aver recensito gli scorsi capitoli. Non sapete quanto siano importanti per me.
Grazie di cuore.



*   *   *


La luce del sole mi colpì in viso, mentre la voce di Marnie si faceva strada nella mia testa ancora intontita dal sonno.

« È ora di alzarsi, miss. Dovete prepararvi. Tra poco arriva la vostra ospite. » m’informò, legando le tende scostate con i cordoni di velluto.
Mugolai infastidita, tirandomi sulla testa le coperte.
« Forza, signorina. È già tardi e dovete ancora fare colazione. »
Con un lamento gutturale, rialzai il busto dalle coltri calde in cui era rannicchiata, e mi volsi verso la voce di Marnie.
« Che ore sono? » farfugliai.
« Le nove e mezza passate. » rispose Marnie, tirando fuori un abito verde acqua da giorno. « E la vostra ospite arriverà entro meno di un’ora. »
« Quale ospite? » chiesi, mentre mi sedevo sul bordo del letto.
Marnie mi guardò interdetta. « Wilhelmina Oscombt, ovviamente. »
Un lampo di comprensione mi passò nella testa, facendomi ricordare quello che era successo la sera prima, dopo l’episodio del passaggio segreto. Evitai accuratamente di non pensarci.
Dopo essere tornata nel salone, avevo incontrato la mamma, in ansia per la mia scomparsa improvvisa. L’avevo calmata dicendo si essere andata alla toilette per rinfrescarmi e di essermi fermata nella biblioteca. Mamma, conoscendomi come le sue tasche, aveva capito che mi ero persa in qualche libro che avevo trovato interessante e non mi ero accorta del tempo che passava, o almeno glielo avevo lasciato credere.
In seguito, mi aveva guidata fino alle festeggiate e, con loro, era anche presente Wilhelmina Oscombt, figlia di Lord Pherderand Oscombt, partito politico e conoscente del reggente.
E sua figlia non era da meno. 
Wilhelmina aveva presenziato in tutti i salotti più in vista di Londra e aveva conoscenze anche nelle famiglie più importanti.
Si diceva che non succedesse niente senza che lei non lo venisse a sapere.
E quello mi preoccupava terribilmente.
Sapevo che non avrebbe mai potuto vedermi nel corridoio nascosto della sera prima, ma avevo timore di essermi tradita in qualche gesto o qualche parola e che lei avesse capito tutto.
Prima di rientrare in sala, avevo preso tutte le precauzioni possibili, mi ero assicurata che l’abito e l’acconciatura fossero apposto.
Con un sospiro, mi alzai da letto e, aiutata da Marnie, mi lavai e vestii a tempo di record.
Il vestito scelto dalla mia cameriera era perfetto per quel giorno per fortuna soleggiato, anche se freddo.
In meno tempo del solito, riuscii ad essere pronta e Marnie stava apportando gli ultimi al mio aspetto una cameriera venne ad avvisarmi che la tanto attesa ospite era arrivata e attendeva nel salotto beige.
Mentre scendevo ordinai di servire una colazione abbondante, conscia che la signorina Wilhelmina aveva un appetito non indifferente, cosa che l’alta società reputava sconveniente, ma ce a me divertiva soltanto.
All’ingresso nel salotto, la voce vivace di Wilhelmina mi avvolse come il suono di campanellini.
« Buon giorno, Rachel. Sono molto contenta di poterti finalmente parlare. »
Wilhelmina Oscombt era una bellezza alquanto fuori dal comune, sia caratterialmente che esteticamente. I suoi capelli color rosso fuoco, insoliti e, a quanto dicono le matrone dell’alta società, perseguitati dalla sfortuna erano sempre acconciati alla perfezione e nascosti in parte da sfarzosi cappellini di foggia estera, che facevano risaltare i suoi occhi di un colore strabiliante e unico, che viravano dal lilla quando era felice e calma a un indaco scuro quando saliva la rabbia. Incastonati in un viso di porcellana e avorio, che sormontava un corpo statuario e riempito nei punti giusti.
La cosa che più mi piaceva di Wilhelmina era che non ostentava la sua bellezza, con l’arricchiva ulteriormente con fronzoli, ninnoli o gioielli esorbitanti. L’unico ornamento prezioso era il cammeo verde che girava intorno al collo con un nastro di velluto dello stesso colore.
« Non sai quanto anche a me faccia piacere. »
Com’era il suo solito fare anticonformista, venne ad abbracciarmi – fu costretta a chinarsi, tanto era alta, o forse ero io troppo bassa (?) – e mi baciò la guancia.
« Credo che mia madre non sia ancora sveglia, spero non ti dispiaccia. »
Lei fece gesto della mano con noncuranza. « Oh, non preoccuparti. Così avremo più tempo per confabulare tra debuttanti. »
Incredibile ma vero, Wilhelmina non si era ancora sposata. Diceva sempre che, prima di sposarti, avrebbe viaggiato in lungo in largo, scoperto posti sconosciuti, incontrato civiltà esotiche e, cosa più importante, avrebbe conosciuto un indiano d’america. Mi aveva confidato che era il suo sogno nel cassetto, per così dire. Voleva andare in America e conoscere quella cultura a lei sconosciuta e intrigante.
Ma sapevo anche che non voleva convolare a nozze con qual si voglia giovane poiché il suo cuore era ancora legato al giovane che un tempo le aveva chiesto la mano e preso il cuore. Louise Denvery era generale nell'esercito di Sua Maestà e le aveva chiesto di sposarlo. Purtroppo poche settimane prima che avesse luogo il matrimonio dei due giovani, la sua vita era stata stroncata da una malattia al cuore e, dopo tre lunghi anni, non era ancora guarito.
L
a invitai a sederti al tavolino accanto alla finestra.
« Accomodati. Ho ordinato una colazione speciale proprio per te. So che non l’hai fatta. »
Fece una risatina. « Mi conosci troppo bene. »
Era impossibile non essere trasportate dalla sua vitalità.
« Allora, quali sono le novità di questa stagione? » chiesi, mentre le cameriere entravano nel salotto portando la colazione.
« Sono talmente tante che non so da quale iniziare! » esclamò.
« Parti dall’inizio della stagione, vuoi? »
« Ma certo. »
Congedai le domestiche, in modo da parlare serenamente con Wilhelmina. Riempii due tazze di thé  e ne posi una a lei.
« Vediamo… la prima notizia di cui sono venuta a conoscenza è questa: il visconte di Harondale è stato visto a passeggio con Miss Sarah Saltrons, nipote di Lord Verbridge e molto probabilmente la sta corteggiando. »
« Ma il visconte non stava corteggiando e in procinto di chiedere la mano di Loretta Benbrook? » chiesi, prendendo un panino dolce.
Sorseggiò il thé. « Credo che al visconte sia arrivata la voce secondo la quale Lord Verbridge abbia designato la nipote come unica erede della sua fortuna. »
« Ma credevo che il visconte fosse innamorato di Loretta. Il modo in cui la guardava… »
« Quando c’è di mezzo il denaro, l’amore passa sempre in secondo piano. E non penso che Loretta abbia il cuore a pezzi, visto che è stata subito assediata da altri cinque corteggiatori. »
Ruppe con delicatezza una parte della focaccina e la mangiò.
Sospirai. Perché credevo che quel sentimento effimero definito amore fosse ancora calcolato oggigiorno? Forse, perché lo vedevo ogni volta che i miei genitori si guardavano negli occhi oppure si appartavano in un angolo in ombra della casa per scambiarsi un bacio appassionato? Oppure perché ne leggevo talmente tanto nei libri da essermi illusa che esistesse ancora?
« Quale altro pettegolezzo hai in servo per me? » chiesi alla mia ospite.
« Ne vuoi qualcuno in particolare? » chiese perspicace.
Dovevo stare attenta. Gli occhi lilla di Wilhelmina erano acuti come quelli un falco, nulla le sfuggiva.
« Beh… mi chiedevo… hai sentito niente di Lord Whittle? »
All’ultimo decisi di cambiare interesse, non ero poi tanto coraggiosa da sottostare ad un interrogatorio da parte di sua.
« Oh, ho sentito tante cose su di lui, ultimamente. » Si chinò in avanti. « Sono venuta a conoscenza che il padre di Lord Whittle sia venuto  sapere degli ingenti debiti in cui sta affogando il figlio e che abbia deciso di non dargli più alcun accesso al conto bancario di famiglia. »
« Vuoi dire che gli ha tolto la sua rendita? »
« Peggio, lo ha praticamente escluso dal suo testamento, chiuso i suoi conti alla banca e intenzionato a diseredarlo. »
« Buon Dio… » sussurrai.
Sapevo che Lord Whittle navigava in cattive acque, ma non che fosse così a mollo.
« Ma il padre gli ha posto una condizione. Non lo caccerà di casa, e di conseguenza, non lo umilierà, se riuscirà a trovare moglie entro l’inizio dell’anno nuovo. »
« Ma è poco meno di due settimane! Ora capisco… »
Per questo quel disgraziato si era fatto avanti la sera precedente: visto che non poteva avere il meglio, avrebbe preso la seconda scelta, guadagnandoci un patrimonio inestimabile, sufficiente a pagare i debiti e vivere di rendita per il resto della sua vita, e lo scongiuro di essere disconosciuto dal padre.
« Che cosa, mia cara? » chiese Wilhelmina, posando il tovagliolo sul tavolo.
« Beh… ieri sera alla festa, Lord Whittle… è venuto a presentarsi, mentre ero solo a tavolo del buffet. »
« Misericordia! Che cosa ha fatto quel viscido verme?! » chiese, indignata, prendendomi una mano, come ha consolarmi.
« Oh, niente di ché. Però mi sono accorta che non era per me che era venuto. Non lo ha mai fatto fino a ieri sera, visto che le sue “galline dalle uova d’oro” erano le Gemelle Odiose… » mi chiusi la bocca con la mano, guardandola.
« Oh, non preoccuparti. Io le chiamo le Due Bisbetiche. »
Ridacchiai. « Credo, comunque, che non sia più interessato a me. Forse, finirà per sposare una qualche ricca vedova. »
« Sarebbe meglio per lui che non ti tocchi con un solo dito. » minacciò lei.
La guardai sorpresa.
« Perché dici questo? »
Lei mi prese entrambe le mani e le strinse. « Tesoro, tu sei un fiore puro e raro, qualcosa che le sue mani indegne e sudice non hanno alcun diritto di toccare. La tua purezza è il dono per l’uomo che saprà farti sbocciare, che ti riempirà la vita d’amore e felicità. Non permetterò, in nessun modo, a Lord Whittle di calpestarti. Siamo amiche, no?» Scrollò le spalle con aria afflitta. « Purtroppo, devo mantenere un buon rapporto anche con le figlie di Lord Crafter, visto che mio padre è suo amico e, a dispetto delle figlie, copie della madre, ha un cuore gentile e generoso. Non siamo vere amiche, non potrei mai esserlo con due bambine viziate che pensano che un  Apache siano un tipo di tessuto francese. »
Scoppiammo a ridere.
Questo lato di Wilhelmina non lo avevo mai visto, ma era un pezzo molto apprezzato che componeva la sua sfaccettatura.
« Che altro hai dirmi? Quale altro succoso pettegolezzo hai in serbo per me? »
Lei prese un altro po’ di thé, pensando, poi si illuminò. « Ah, quasi dimenticavo! Questa stagione è piena di forestieri! »
Un senso di’inquietudine mi invase, facendomi diventare cauta.
« Che vuoi dire? »
« Beh, ieri sera, alla festa ha presenziato anche un nobile scozzese. »
Scozzese? Che sia…
« Pare che sia venuto fin qui dalle Highlands. Me lo ha presentato mio padre. Si chiama… »
Gabriel McHeart.
« … Gabriel McHeart. »
In quel momento, un’immagine dell’uomo in questione si impadronì della mia mentre. Rividi il suo fisico massiccio, le spalle e il petto ampi, le gambe due pilastri di granito, il viso un miscuglio di forza virile e intrigo, e quegli occhi stupendi, fuori dal mondo, così speciali e inquietanti ad un tempo.
« Rachel? »
La voce di Wilhelmina mi riportò con i piedi per terra. Guardai il suo viso, i cui occhi mi fissavano preoccupata.
« Tutto bene, cara? »
Annuii. « Certo, stavo solo pensando… che non ho mai sentito questo nome, prima. Da dove hai detto che viene questo… Gabriel McHart? » chiesi, sbagliando di proposito il nome.
« McHeart, tesoro. Viene dalla Scozia, è un nobile e capo di due clan uniti sotto il suo comando. »
« Quindi è… »
« Un highlander. » sorrise lei. « Non è esaltante? Un vero guerrieri scozzese qui a Londra. »
« Ma cosa è venuto a fare qui? »
« Mio padre non me lo ha detto, ma… » si spose oltre la sua tazza. « La maggior parte delle donne presenti al ballo di ieri sera dicono che sia qui per cercar moglie. »
Grugnii poco elegantemente. « Non poteva trovare dalle sue parti una donna adatta? O vorresti dire che su nelle Highlands non ci sono donne?!»
Lei mosse la mano. « Ma certo che ci sono! Non dire idiozie! Dimmi un solo posto in cui non è presente almeno una donna. » Al mio silenziò, annuì a sé stessa soddisfatta. « Inoltre, credo che preferisca avere ampia scelta, invece di limitarsi alle donne disponibili nel suo clan. »
« Se non sbaglio, hai detto “forestieri”, al plurale. Quale altro strano personaggio ha invaso i salotti di Londra ? » mi affrettai a cambiare argomento, cercando di calmare il battito del cuore.
Finito il suo thé, la donna unì elegantemente le mani in grembo, nascosti dal tavolino. Quello che più mi incuriosì furono i suoi occhi improvvisamente diventati indaco.
« Wilhelmina? Va tutto bene? »
Le spalle della mia ospite si irrigidirono. « Beh, vedi. Ho avuto… un alterco con il nuovo straniero. »
Sbattei le palpebre, sorpresa dalle sue parole. « Per quale motivo avete… discusso? »
« Quel… quel… » Sembrava essere incapace di trovare un epiteto giusto per definire questo “forestiero”, tanta era la rabbia che traspariva dalle sue parole.
« Wilhelmina… non avrà… per caso… fatto qualcosa… d’illecito? » chiesi un po’ impaurita dalla sua risposta, un po’ timorosa di farla arrabbiare ancora di più.
« Cosa più mai fare un maleducato, cialtrone, arrogante, inutile americano? Niente! »
Sgranai gli occhi. « Un americano?! »
« Uno della peggior specie! » chiarì. « E sospetto che sia anche un nativo, proveniente da qualche tribù indiana, come i Lakota o Cheyenne, o addirittura Kiowa, la peggior specie di indiani! »
Non avevo mai visto la composta e beneducata Wilhelmina Oscombt parlare e agitarsi in quel modo. Il forestiero americano probabile nativo doveva aver fatto qualcosa di veramente abbietto per averla indisposta così’ tanto.
« Calmati, Wilhelmina, altrimenti ti rovinerai la faccia a furia di rughe.  Si può sapere cosa ha fatto questo americano? »
Per calmarsi e scaricare i nervi, la donna cominciò a camminare per la stanza torcendo un fazzoletto tra le dita.
« Quel… quel… quell’orribile uomo ha osato definirmi bambolina viziata, deridendo apertamente il mio vestiario raffinato e alla moda, chiamandolo un mucchio di chincaglieria inutile e ingombrante, utile solo per farci una tenda da campeggio! »
« Oh, Buon Dio, ti ha detto questo?! Quando? »
Fece un gesto stizzito con la mano. « Meno di una settimana fa, ad Hide Park, mentre io ed altri signore facevano il nostro mattutino giro a cavallo. »
« Ha osato insultarti davanti alle altre dame?! »
« No. » disse, fermandosi davanti alla finestra, continuando a tormentare il povero fazzoletto ridotto quasi a brandelli. « Per fortuna, ha avuto la decenza di dirmelo quando non c’era nessuno presente. »
« Eri sola con lui? »
« Beh, ecco… » tentennò, mentre un leggero rossore coprì le sue guance. « Le mie accompagnatrici si sono dirette verso la mongolfiera, per fare un giro. Il suddetto spregevole uomo si è fatto avanti iniziando a criticare e sbeffeggiarsi di me e, in un attimo, ci siamo allontanati dallo spazio aperto, finendo al riparo tra gli alberi. » finì, il viso l’immagine della mortificazione.
« Avresti dovuto stare attenta Wilhelmina. E se avesse avuto intenzione di… approfittare di te? »
« Oh, non preoccuparti. Non ne ha avuto la benché minima intenzione. »
La guardai, sconcertata dalla sua espressione quasi… delusa.
Non poteva volere… no, era assolutamente impossibile… però…
All’improvviso, l’immagine del bacio e le sensazioni provate stando tra le braccia di Gabriel McHeart mi pervasero. Mi venne in mente che, in quel momento, contro tutte le regole della buona educazione e del decoro che conoscevo non avevano avuti più importanza. L’unica cosa che mi era importato era stata quella di sapere cosa avrei provato a stare tra le sue braccia, conoscere quelle sensazioni sconosciuti e godermeli.
Che Wilhelmina avesse provato la mia stessa voglia di sapere? Che l’insopportabile americano avesse suscito la sua femminea curiosità.
Mi venne in mente un giochetto per scoprirlo.
« Wilhelmina, sono curiosa: che aspetto ha l’americano? » chiesi, con nonchalance.
« Oh, è alto, molto più di me. » disse distrattamente. « Ha le spalle ampie e il petto largo, i fianchi stretti. Il viso è un’opera d’arte, con due occhi neri come il carbone e le sopracciglia due ali di corvo. I capelli erano corti, nero corvino, la pelle del colore del bronzo. Ma quello che lo fa risaltare davvero è quell’aura di tenebra e pericolo, mischiate a movenze feline e agili, che gli danno un aspetto selvaggio. » Poi si riebbe, guardandomi con gli occhi sgranati e mosse le mani come a cancellare quello che aveva detto. « Non che ci abbia fatto caso, comunque. È assolutamente insignificante, l’ho già cancellato dalla mente. » concluse, riprendendo a bere il thé.
Sì, proprio insignificante.
La bella Wilhelmina Oscombt era attratta dall’americano, se gli avessi chiesto come era vestito ieri sera un nobile qualunque, non avrebbe dato una descrizione così dettagliata. Invece dell’americano si ricordava ogni particolare e lo aveva incontrato giorni addietro.
Proprio come tu ricordi ogni particolare di Gabriel McHeart, sussurrò una vocina dispettosa nella mia testa.
Sì, ma era dovuto al fatto che lo avevo usato per un esperimento, niente di più. Non aveva più importanza ormai, tanto non lo avrei più incontrato, quello della galleria era stato il nostro primo e ultimo incontro.
La cosa che più mi premeva in quel momento era continuare il mio progetto segreto, già sviluppato a buon punto, e trovare un modo per farlo fruttare.
Dovevo solo cercare di disciplinare la mia mentre, continuamente distratta a fantasticare su incontri nascosti, e portare avanti  il lavoro.
Che Dio mi assista.
  
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