Am
I?
L’aria sa di petrolio, di
polvere da sparo, di ferro, di zolfo, di sangue, c’è vento, soffia da est, da Battery City, portando a noi questo odore che sa di morte,
di corpi, di orrore, di tante cose sbagliate e nessuna che va per il verso
giusto.
Sempre che io possa sapere
qual è il verso giusto, ormai.
Il deserto è così, fa
dimenticare le cose importanti, fa ricordare quelle che si credevano ormai
perse per sempre, rimescola le carte, alza o abbassa la posta in gioco,
mistifica, confonde, a volte chiarisce le idee, ma niente è statico, niente è
per sempre, tutto corre, tutto si modifica nell’arco di un battito di ciglia,
quindi quel che c’è meglio prenderselo, perché potrebbe non ritornare mai più.
Sono passati sei mesi da
quando la contaminazione ha avuto inizio, da quando la BL/ind
ha preso le redini di questo mondo, sei mesi.
Un’eternità.
Perdo spesso il senso del
tempo, non so se sia colpa della mia ghiandola pineale che a forze di prendere
colpi o essere sbattuta da una parte all’altra del mio cervello si sia
guastata, o se sia sempre colpa di questo deserto che non perdona, non ho mai
approfondito, so solo che spesso mi ritrovo seduto sul cofano dell’auto a
guardare il cielo, a pensare, e a volte mi sembrano passate ore e ore, poi
scopro che sono rimasto assorto massimo una mezz’ora.
Altre volte invece il tempo
sembra sfuggirmi dalle dita come la sabbia su cui cammino, polvere dorata e
secca che brilla alla luce di un sole malato, non faccio in tempo a rendermi
conto del posto in cui sono che già la sera è calata, e occorre trovare un
posto riparato dove fermarsi e cercare di riposare per non morire.
Strano come in una vita
normale, fatta di impegni, lavoro, studio, persone, incontri, casa e strade
tutto si riduca di dimensioni, le cose sembrano dannatamente fondamentali come
l’aria che si respira, un micro mondo fatto di litigi, di passioni che si
considerano grandi, di offese, di gioie, di sentimenti che sembrano vitali.
Quando si perde tutto, però,
si comincia a capire quanto valga davvero la vita in se stessa.
All’inizio, quando tutto è
cominciato, pensavo che sarei morto dopo uno, due giorni al massimo, pensavo
che non sarei riuscito a sopravvivere, che non sarei mai stato all’altezza del
mondo come stava diventando, un ammasso confuso ed infestato di morti viventi e
distruzione. Invece no.
Invece ho resistito tanto,
troppo persino, sono rimasto uno degli ultimi.
Non l’avrei mai voluto. Non
mento: avrei voluto crepare assieme ai miei vicini, alla mia famiglia, ai miei
amici, solo per non dover affrontare la realtà senza di loro. Erano loro la mia
vita. Cos’ero, senza?
Improvvisamente mi sono
trovato faccia a faccia con un me stesso che non avevo mai conosciuto, uno con
gli occhi verdi e lo sguardo vuoto, i capelli rossi e le mani che tremavano in
continuazione.
Solo.
Una delle più detestabili,
devastanti invenzioni dell’umanità è la solitudine.
Quella consapevole, quella
che striscia lungo lo stomaco e sale fino in gola, chiude il cuore in una morsa
e blocca il respiro, quella che sveglia di notte, fa alzare la testa, guardarsi
intorno, quella che fa capire che non c’è nessuno. E che forse mai nessuno
arriverà.
Forse sono pazzo, forse no,
non lo so, adesso che l’essere umano è stato ridotto al minimo comune
denominatore i canoni di razionalizzazione non esistono più, le catalogazioni,
le condizioni sociali, i pregiudizi, le convenzioni, la società, niente vale,
niente ha più significato. Non esiste più nessun metro di giudizio, per nulla.
Libertà.
Solitudine è sinonimo di
libertà?
Esiste la libertà se non ci
sono confini oltre cui è vietato di andare?
Esiste la solitudine se c’è
la coscienza di essere l’unico?
Il bello di tutte queste
riflessioni, è che non hanno la minima importanza, in questo deserto, qui conta
solo la sopravvivenza organica: se non voglio morire non devo farmi prendere né
colpire, se voglio morire mi basta rendermi un bersaglio.
Certe volte ho l’impressione
di essere solo un corpo, solo ossa e carne, ho l’impressione che la mia anima
se ne sia andata da tempo, forse morta assieme alle persone a cui volevo bene,
forse era troppo legata a loro per voler andare avanti.
Certe volte non riesco a
provare nessun sentimento, niente, la mia testa reagisce d’impulso ma senza
emozione, vuoto, un automa con un piano di salvezza insito nei circuiti, non
c’è bisogno che io capisca, devo farlo e basta.
Forse è per questo che gli
altri mi considerano un leader: non ricordo cosa sia la paura, né come fare per
provarla.
In mezzo a questo deserto che
ricopre ogni cosa ho scoperto pochi giorni fa di non essere solo. Credo che
avrei dovuto esserne felice, ma il mio cuore deve aver fatto sì e no un
centinaio di battiti in più del normale, poi più nulla, un sensazione svanita
così come era arrivata.
Persone, esseri umani non
infettati, altri ribelli, gente che combatteva, che lottava. Per cosa stavo
lottando io, prima che arrivassero loro? Non ne ho la minima idea.
Non ne ho idea nemmeno
adesso a dir la verità, mi sono aggregato alla loro causa, ma non la sento mia,
non mi appartiene. Combatto per inerzia.
Non ho più niente da
perdere, niente da guadagnare, traballo in un limbo in cui mi sono arenato e da
cui non so neanche se voglio uscire, non posso neppure di essere confuso,
perché non lo sono.
Sono solo passivo, nei
confronti di quello che cercano di dirmi le mie sinapsi, e a qualche briciolo
di sentimento quando torna a sfiorarmi, anche se soltanto per pochissimi
istanti.
Non voglio morire, non
voglio nemmeno vivere, non so cosa voglio.
Giuro che non lo so.
<< Ehi. >>
sussurra qualcuno.
Mi volto. Immaginavo fosse
lui.
Lui si chiama Frank.
Si fa chiamare anche con un
altro nome, una specie di vessillo di battaglia, ma io continuo a
dimenticarmelo, così come quello degli altri o quello che hanno affibbiato a
me. Già il mio nome proprio non ha nessun valore, non sarà uno fittizio a
rendermi la mia esistenza.
Ma non mi dispiace che sia
lui.
<< Non dormi? >>
mi chiede avvicinandosi piano.
<< Come puoi vedere, no. >>
Si siede accanto a me, sento
l’auto cigolare leggerissimamente sotto il suo peso, che non dev’essere molto
viste la sua altezza e la sua stazza.
Frank è stato il primo con
cui sono entrato in contatto, di questa strana carovana di sembianze umane e
resti di qualcosa che una volta avevano vissuto come persone normali, lui ha
scatenato in me quel briciolo di sentimento, una scarica iniettabile che si è
dispersa nell’immediato, ma che almeno c’è stata, ha sortito il suo effetto.
Credo siano stati i suoi
occhi.
<< Sei teso? >>
mi domanda avvolgendomi con quel suo sguardo. Io sorrido, abbassando il mio.
<< No. >>
I suoi occhi cangianti,
esattamente come la vita nel deserto. Sempre in moto perpetuo, infiniti,
incapaci di star fermi, incapaci di essere uguali, a volte di un castano scuro,
a volte di un nero intenso, altre volte di quello strano verde dorato, altre un
color miele dolcissimo. Ed espressivi. Così maledettamente espressivi che io
spesso mi chiedo se non si senta in soggezione di fronte agli altri ad essere
così nudo, sono riuscito a vedere la sua anima attraverso il suo viso, e
sembrava non importargliene niente.
<< Io sì. >>
mormora muovendo i piedi che non toccano terra.
Si è tolto il gilet e tutte
le sue bardature da artificiere improvvisato, adesso indossa soltanto una
maglietta nera, bucata e sfilacciata, e un paio di jeans, ricordi di una vita
passata, quando ancora il deserto era un sogno, un miraggio, uno scherzo mai
fatto.
Ha un fisico asciutto, è
magro e ha un torace ampio, è un unico fascio di nervi, mi ricorda una trottola,
o comunque uno di quegli aggeggi piccoli e roteanti che non si fermano un
attimo.
<< O tutto o niente.
>> dico senza sentimento. Nessuna novità.
Lui sospira, allungandosi un
po’ all’indietro, puntellandosi con le mani tatuate.
Gli piaccio.
Lo intuisco da come mi
guarda, mi fissa, mi osserva, mi studia, da come mi cerca sempre, da come mi
parla.
Viene da chiedermi perché.
Lui, un concentrato di
sensazioni, di cuore, di anima pulsante che trasuda da ogni suo movimento, perché
si è infatuato di me, che sono vuoto, che sono il nulla?
<< Come fai a non aver paura...? >> mormora voltando leggermente la testa verso di me << Potresti morire, domani. >>
Sorrido di nuovo, le sue
parole mi suonano così ingenue da risultare adorabili.
<< Personalmente non me ne fregherebbe niente. >>
Silenzio. Il silenzio nel
deserto è qualcosa di inafferrabile, di ancestrale, tacite urla, parole portate
da chissà dove, immagini che forse non sono mai esistite davvero, altri mondi.
Un silenzio assordante che riempie la testa.
<< Non vuoi che il mondo torni ad essere quello che era un tempo? >>
<< Non tornerà mai
quello che era un tempo. >> replico lasciando vagare lo sguardo
sull’orizzonte ferito dalle luci della città dei morti. Non mi risponde per
qualche minuto, mi volto verso di lui, e lo colgo mentre mi guarda, mentre mi
fissa con quegli occhioni che sembrano voler dire milioni di cose tutte insieme.
<< Perché sei così?
>> mi chiede. Io rido. O almeno, faccio una risatina che non si leva
nell’aria, qualcosa di discreto, impersonale.
<< Forse sono morto dentro. >>
Non l’ho convinto, continua
a scrutarmi come se volesse leggermi, come se volesse entrare e infilare le
mani nel crogiolo di identità che ho al mio interno. Non capisce che io non
sono come lui.
Non capisce che i miei occhi
sono vuoti come tombe scoperchiate.
Si muove lentamente,
striscia sul cofano e mi viene accanto, il suo braccio sfiora il mio, e mi
bacia.
Posa le labbra sul mio
collo, sono morbide, sono incredibilmente morbide e tiepide, i suoi capelli
scuri mi solleticano la spalla, il suo respiro scivola lungo la mia clavicola.
Mi piace. Rabbrividisco
leggermente, non me l’aspettavo.
Il nostro contatto dura
qualche secondo, qualche manciata di questo tempo inesistente, poi la sua bocca
si allontana, lasciando al suo posto una leggerissima bolla umida, gradevole.
<< Il tuo cuore batte. >> sussurra, vicinissimo, i nostri occhi si incontrano, i suoi sembrano opali neri carichi d’intensità, densi come il più torbido dei peccati << Non sei morto. Ti sei solo perso. >>
Non capisco. Lo guardo
cercando di intravedere in lui una spiegazione, ma non riesco a trovarla, non
riesco a decifrarlo, incredibilmente.
<< Cosa... intendi dire? >>
Si avvicina di nuovo,
stavolta al mio viso, riesco a specchiarmi nelle sue iridi, il suo respiro si
mischia al mio, il suo sguardo è ipnotico, è un sogno ad occhi aperti, è un
mondo che non esiste. Ed è incantevole.
<< Perdere tutto quello che avevi ti ha chiuso in te stesso. >> La sua voce è bassa, è roca, è un sospiro, è il mio battito del cuore che sembra essersi alzato di tono << Ti sei dimenticato chi eri quando tutto era normale, credi che non abbia più importanza. >> Le sue labbra sono lucide, le vedo tra le tenebre che ci circondano, candide, carnose, attraenti << Devi solo ricordarti chi sei. >>
Sono lo scheletro di un me
stesso che è finito sotto le macerie di una realtà disgregata e che sta
lottando per sopravvivere nonostante tutto. Ho perso la memoria o solo un
frammento? Sono io che non voglio ricordarmi di me oppure sto cercando di
annientarmi di mia spontanea volontà?
Non lo so.
Il suo bacio chiude le mie
riflessioni, le mie labbra incontrano le sue, sono gentili, accoglienti, dolci,
è come se fosse il mio primo bacio, il primo contatto della mia esistenza,
forse anche l’ultimo.
Mi sciolgo. Le mani di Frank
corrono sulle mie, mi stringono leggermente i polsi, sento le sue dita callose,
tagliate dalla fatica di una lotta impari, è piacevole sentirle, sentirsi
accarezzati con la delicatezza di un petalo di rosa, questo ragazzino, questo
sguardo di vetro che m’intrappola e non mi fa ragionare, o forse sì, troppo. E’
come se non avessi mai sentito un altro corpo contro il mio prima d’ora.
Mi cinge i fianchi, scivola
nella mia bocca, si spinge contro di me, mi costringe a inclinarmi fino ad
appoggiare le spalle al parabrezza polveroso, sale su di me, le nostre gambe si
intrecciano, avverto il suo peso sul bacino, sul torace, il suo corpo sodo, i
suoi muscoli tesi, il suo respiro che pian piano si fa altalenante dentro il
mio.
Non credevo di ricordarmi
come fosse.
Non credevo che mi mancasse
così tanto.
Lo abbraccio piano, affondo
le dita tra i suoi capelli, li stringo, li tiro, la sua lingua e la mia si sono
perse in una danza lenta, languida, umida, bagnata, si cercano, si toccano, si
succhiano, si sfiorano, assaporo ogni singolo istante, non so bene perché,
forse l’idea della morte mi costringe ad aggrapparmi a quest’ultimo momento, o
forse sono soltanto un lussurioso, non saprei, non è nemmeno importante.
Lo sento tremare, lo sento
fremere, sento il suo cuore battere frenetico, sento i suoi polmoni assimilare
ossigeno, sento le sue dita avvinghiarsi ai miei abiti come se volesse
strapparmeli di dosso, sento la sua erezione scoccare contro la mia, riesco ad
avvertire la sua eccitazione, la sua frenesia, la sua brama. E mi chiedo perché.
Perché io?
Ci separiamo, ha il volto
arrossato, il fiatone, la fronte imperlata di sudore per il caldo tropicale, è
bello, è veramente incantevole, adorabile, è qualcosa di puro, ingenuo, il
sesso dipinto sul suo viso è inspiegabile ed erotico allo stesso tempo, è un
ossimoro, è un paradosso, è stupendo.
Gli tolgo ciuffi scomposti
dal viso, sfiorandogli le labbra col pollice, incontrando il suo sguardo.
Ci scambiamo un’occhiata
intensa, lunghissima, ecco uno di quei momenti in cui il tempo smette
semplicemente di essere.
<< Perché? >>
soffio. Frank mi posa una mano sul petto. Sul cuore. Mi fa un sorriso. Un
sorriso leggero, dolce, pacato.
<< Tu non vedi quello che sei. >> La sua voce mi suona familiare, come la risacca di un oceano, sa di passato, di cielo azzurro, di casa << Io sì. >>
Mi sento... strano.
Mi sento una foglia su un
moto ondoso, una coccinella nel vento, trasportato da qualcosa più forte di me
che non riesco, e che non voglio nemmeno contrastare perché mi fido, mi
abbandono totalmente, per istinto, per natura, per coraggio o stupidità.
Le sue dita si intrufolano
sotto la mia camicia toccandomi la pelle nuda, scende lentamente verso il
basso, spostandosi leggermente verso il centro, e odo il rumore ovattato del
bottone dei miei jeans che cede.
<< Perché lo fai?
>> gli chiedo.
Perché si ostina a volermi
salvare, perché vuole me, perché sono così importante per lui, cos’ho fatto per
meritarmelo?
<< Perché ti amo.
>> rantola al mio orecchio intrufolandosi nelle mie mutande e giungendo a
destinazione, mozzandomi il respiro per un attimo.
Non voglio più nessuna
spiegazione, questa mi basta.
Chiudo gli occhi lasciandomi
trascinare da lui, dalle sue mani, dai suoi sentimenti, dalle sue labbra sulle
mie, qui, sotto un cielo stellato che ci guarda senza fare una piega, incurante
di mali, sofferenze, sangue, morte, ho l’impressione di ricordarmi chi sono
realmente.
Ma è solo un istante, il
tempo che questo accada, che avvenga, e poi probabilmente tornerò ad essere
come sempre, ossa che camminano sulla terra senza una meta, senza uno scopo,
senza significato.
Forse questa è l’ultima
notte che vivrò fino in fondo, forse domani sarò morto, forse il mio cuore
smetterà di pulsare senza che io me ne accorga, forse finalmente rivedrò di
nuovo la mia vita passata, all’altro mondo.
O forse no.
Ansimo stringendogli le
spalle, la sua pelle, il suo calore, la sua voce, la sua presenza, lui, Frank,
ansimo e mi sembra di vivere, di sentire al mio interno qualcosa che si
espande, che grida, che stride, che si agita.
Ho come l’impressione che
ritrovare me stesso sia una di quelle missioni senza inizio e senza fine,
sempre in evoluzione, come il deserto.
Come gli occhi della persona
che riesce a guardare la mia anima quando io stesso non sono in grado di
avvertirla.
Non so chi sarò domani
quando il sole sorgerà, non so chi sono stato un tempo, non so chi sarò se
sopravvivrò alla prossima notte.
So che quando sono con lui,
ricordo per un lungo momento chi sono adesso.
----------***----------
Ma buongiorno e ben
ritrovate!:D
Mancavo da un po’ in questo fandom, eh?XD Ebbene ho deciso di fare un piccolo ritorno
con questa shot che forse non capirete nemmeno, ma
non ve ne faccio una colpa, non so nemmeno io perché lo scritta.
Forse perché la versione Killjoy mi ha sempre attirato per qualcosa, un mondo
post-apocalittico e gli ultimi esseri umani rimasti alle prese con se stessi, o
con quello che ne è rimasto...
Che dire? Io spero che vi
sia piaciuta. Lo so, non c’è lemon, c’è qualche bacio,
è un po’ slash (LOL, il lupo perde il pelo ma...), ma
fondamentalmente sono riflessioni.
Spero più che altro di non
avervi annoiate, ecco. Un commentino ci sta sempre, sempre che non vi abbia
fatto addormentare!XD
Già che ci sono colgo l’occasione
(come al solito!) per ringraziare tutte coloro che continuano a inserire le mie
precedenti storie tra le preferite, o chi continua a commentarle dicendomi
parole bellissime che riescono a farmi commuovere!:’)
Grazie sempre a chi legge e
chi ha sempre un po’ di tempo per me, davvero, è una cosa che apprezzo dal
profondo del cuore.
Un bacio, alla prossima.