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Autore: Niagara_R    26/02/2012    8 recensioni
Quando si perde tutto, però, si comincia a capire quanto valga davvero la vita in se stessa.
Killjoyverse! Riflessioni di un disperso in una nuova era.
Ok, abbiate pazienza.
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altri, Frank Iero, Gerard Way
Note: AU, Lime, Missing Moments, Otherverse | Avvertimenti: nessuno
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1.

Am I?



 

 

L’aria sa di petrolio, di polvere da sparo, di ferro, di zolfo, di sangue, c’è vento, soffia da est, da Battery City, portando a noi questo odore che sa di morte, di corpi, di orrore, di tante cose sbagliate e nessuna che va per il verso giusto.

Sempre che io possa sapere qual è il verso giusto, ormai.

Il deserto è così, fa dimenticare le cose importanti, fa ricordare quelle che si credevano ormai perse per sempre, rimescola le carte, alza o abbassa la posta in gioco, mistifica, confonde, a volte chiarisce le idee, ma niente è statico, niente è per sempre, tutto corre, tutto si modifica nell’arco di un battito di ciglia, quindi quel che c’è meglio prenderselo, perché potrebbe non ritornare mai più.

Sono passati sei mesi da quando la contaminazione ha avuto inizio, da quando la BL/ind ha preso le redini di questo mondo, sei mesi.

Un’eternità.

Perdo spesso il senso del tempo, non so se sia colpa della mia ghiandola pineale che a forze di prendere colpi o essere sbattuta da una parte all’altra del mio cervello si sia guastata, o se sia sempre colpa di questo deserto che non perdona, non ho mai approfondito, so solo che spesso mi ritrovo seduto sul cofano dell’auto a guardare il cielo, a pensare, e a volte mi sembrano passate ore e ore, poi scopro che sono rimasto assorto massimo una mezz’ora.

Altre volte invece il tempo sembra sfuggirmi dalle dita come la sabbia su cui cammino, polvere dorata e secca che brilla alla luce di un sole malato, non faccio in tempo a rendermi conto del posto in cui sono che già la sera è calata, e occorre trovare un posto riparato dove fermarsi e cercare di riposare per non morire.

Strano come in una vita normale, fatta di impegni, lavoro, studio, persone, incontri, casa e strade tutto si riduca di dimensioni, le cose sembrano dannatamente fondamentali come l’aria che si respira, un micro mondo fatto di litigi, di passioni che si considerano grandi, di offese, di gioie, di sentimenti che sembrano vitali.

Quando si perde tutto, però, si comincia a capire quanto valga davvero la vita in se stessa.

All’inizio, quando tutto è cominciato, pensavo che sarei morto dopo uno, due giorni al massimo, pensavo che non sarei riuscito a sopravvivere, che non sarei mai stato all’altezza del mondo come stava diventando, un ammasso confuso ed infestato di morti viventi e distruzione. Invece no.

Invece ho resistito tanto, troppo persino, sono rimasto uno degli ultimi.

Non l’avrei mai voluto. Non mento: avrei voluto crepare assieme ai miei vicini, alla mia famiglia, ai miei amici, solo per non dover affrontare la realtà senza di loro. Erano loro la mia vita. Cos’ero, senza?

Improvvisamente mi sono trovato faccia a faccia con un me stesso che non avevo mai conosciuto, uno con gli occhi verdi e lo sguardo vuoto, i capelli rossi e le mani che tremavano in continuazione.

Solo.

Una delle più detestabili, devastanti invenzioni dell’umanità è la solitudine.

Quella consapevole, quella che striscia lungo lo stomaco e sale fino in gola, chiude il cuore in una morsa e blocca il respiro, quella che sveglia di notte, fa alzare la testa, guardarsi intorno, quella che fa capire che non c’è nessuno. E che forse mai nessuno arriverà.

Forse sono pazzo, forse no, non lo so, adesso che l’essere umano è stato ridotto al minimo comune denominatore i canoni di razionalizzazione non esistono più, le catalogazioni, le condizioni sociali, i pregiudizi, le convenzioni, la società, niente vale, niente ha più significato. Non esiste più nessun metro di giudizio, per nulla.

Libertà.

Solitudine è sinonimo di libertà?

Esiste la libertà se non ci sono confini oltre cui è vietato di andare?

Esiste la solitudine se c’è la coscienza di essere l’unico?

Il bello di tutte queste riflessioni, è che non hanno la minima importanza, in questo deserto, qui conta solo la sopravvivenza organica: se non voglio morire non devo farmi prendere né colpire, se voglio morire mi basta rendermi un bersaglio.

Certe volte ho l’impressione di essere solo un corpo, solo ossa e carne, ho l’impressione che la mia anima se ne sia andata da tempo, forse morta assieme alle persone a cui volevo bene, forse era troppo legata a loro per voler andare avanti.

Certe volte non riesco a provare nessun sentimento, niente, la mia testa reagisce d’impulso ma senza emozione, vuoto, un automa con un piano di salvezza insito nei circuiti, non c’è bisogno che io capisca, devo farlo e basta.

Forse è per questo che gli altri mi considerano un leader: non ricordo cosa sia la paura, né come fare per provarla.

In mezzo a questo deserto che ricopre ogni cosa ho scoperto pochi giorni fa di non essere solo. Credo che avrei dovuto esserne felice, ma il mio cuore deve aver fatto sì e no un centinaio di battiti in più del normale, poi più nulla, un sensazione svanita così come era arrivata.

Persone, esseri umani non infettati, altri ribelli, gente che combatteva, che lottava. Per cosa stavo lottando io, prima che arrivassero loro? Non ne ho la minima idea.

Non ne ho idea nemmeno adesso a dir la verità, mi sono aggregato alla loro causa, ma non la sento mia, non mi appartiene. Combatto per inerzia.

Non ho più niente da perdere, niente da guadagnare, traballo in un limbo in cui mi sono arenato e da cui non so neanche se voglio uscire, non posso neppure di essere confuso, perché non lo sono.

Sono solo passivo, nei confronti di quello che cercano di dirmi le mie sinapsi, e a qualche briciolo di sentimento quando torna a sfiorarmi, anche se soltanto per pochissimi istanti.

Non voglio morire, non voglio nemmeno vivere, non so cosa voglio.

Giuro che non lo so.

<< Ehi. >> sussurra qualcuno.

Mi volto. Immaginavo fosse lui.

Lui si chiama Frank.

Si fa chiamare anche con un altro nome, una specie di vessillo di battaglia, ma io continuo a dimenticarmelo, così come quello degli altri o quello che hanno affibbiato a me. Già il mio nome proprio non ha nessun valore, non sarà uno fittizio a rendermi la mia esistenza.

Ma non mi dispiace che sia lui.

<< Non dormi? >> mi chiede avvicinandosi piano.

<< Come puoi vedere, no. >>

Si siede accanto a me, sento l’auto cigolare leggerissimamente sotto il suo peso, che non dev’essere molto viste la sua altezza e la sua stazza.

Frank è stato il primo con cui sono entrato in contatto, di questa strana carovana di sembianze umane e resti di qualcosa che una volta avevano vissuto come persone normali, lui ha scatenato in me quel briciolo di sentimento, una scarica iniettabile che si è dispersa nell’immediato, ma che almeno c’è stata, ha sortito il suo effetto.

Credo siano stati i suoi occhi.

<< Sei teso? >> mi domanda avvolgendomi con quel suo sguardo. Io sorrido, abbassando il mio.

<< No. >>

I suoi occhi cangianti, esattamente come la vita nel deserto. Sempre in moto perpetuo, infiniti, incapaci di star fermi, incapaci di essere uguali, a volte di un castano scuro, a volte di un nero intenso, altre volte di quello strano verde dorato, altre un color miele dolcissimo. Ed espressivi. Così maledettamente espressivi che io spesso mi chiedo se non si senta in soggezione di fronte agli altri ad essere così nudo, sono riuscito a vedere la sua anima attraverso il suo viso, e sembrava non importargliene niente.

<< Io sì. >> mormora muovendo i piedi che non toccano terra.

Si è tolto il gilet e tutte le sue bardature da artificiere improvvisato, adesso indossa soltanto una maglietta nera, bucata e sfilacciata, e un paio di jeans, ricordi di una vita passata, quando ancora il deserto era un sogno, un miraggio, uno scherzo mai fatto.

Ha un fisico asciutto, è magro e ha un torace ampio, è un unico fascio di nervi, mi ricorda una trottola, o comunque uno di quegli aggeggi piccoli e roteanti che non si fermano un attimo.

<< O tutto o niente. >> dico senza sentimento. Nessuna novità.

Lui sospira, allungandosi un po’ all’indietro, puntellandosi con le mani tatuate.

Gli piaccio.

Lo intuisco da come mi guarda, mi fissa, mi osserva, mi studia, da come mi cerca sempre, da come mi parla.

Viene da chiedermi perché.

Lui, un concentrato di sensazioni, di cuore, di anima pulsante che trasuda da ogni suo movimento, perché si è infatuato di me, che sono vuoto, che sono il nulla?

<< Come fai a non aver paura...? >> mormora voltando leggermente la testa verso di me << Potresti morire, domani. >>

Sorrido di nuovo, le sue parole mi suonano così ingenue da risultare adorabili.

<< Personalmente non me ne fregherebbe niente. >>

Silenzio. Il silenzio nel deserto è qualcosa di inafferrabile, di ancestrale, tacite urla, parole portate da chissà dove, immagini che forse non sono mai esistite davvero, altri mondi. Un silenzio assordante che riempie la testa.

<< Non vuoi che il mondo torni ad essere quello che era un tempo? >>

<< Non tornerà mai quello che era un tempo. >> replico lasciando vagare lo sguardo sull’orizzonte ferito dalle luci della città dei morti. Non mi risponde per qualche minuto, mi volto verso di lui, e lo colgo mentre mi guarda, mentre mi fissa con quegli occhioni che sembrano voler dire milioni di cose tutte insieme.

<< Perché sei così? >> mi chiede. Io rido. O almeno, faccio una risatina che non si leva nell’aria, qualcosa di discreto, impersonale.

<< Forse sono morto dentro. >>

Non l’ho convinto, continua a scrutarmi come se volesse leggermi, come se volesse entrare e infilare le mani nel crogiolo di identità che ho al mio interno. Non capisce che io non sono come lui.

Non capisce che i miei occhi sono vuoti come tombe scoperchiate.

Si muove lentamente, striscia sul cofano e mi viene accanto, il suo braccio sfiora il mio, e mi bacia.

Posa le labbra sul mio collo, sono morbide, sono incredibilmente morbide e tiepide, i suoi capelli scuri mi solleticano la spalla, il suo respiro scivola lungo la mia clavicola.

Mi piace. Rabbrividisco leggermente, non me l’aspettavo.

Il nostro contatto dura qualche secondo, qualche manciata di questo tempo inesistente, poi la sua bocca si allontana, lasciando al suo posto una leggerissima bolla umida, gradevole.

<< Il tuo cuore batte. >> sussurra, vicinissimo, i nostri occhi si incontrano, i suoi sembrano opali neri carichi d’intensità, densi come il più torbido dei peccati << Non sei morto. Ti sei solo perso. >>

Non capisco. Lo guardo cercando di intravedere in lui una spiegazione, ma non riesco a trovarla, non riesco a decifrarlo, incredibilmente.

<< Cosa... intendi dire? >>

Si avvicina di nuovo, stavolta al mio viso, riesco a specchiarmi nelle sue iridi, il suo respiro si mischia al mio, il suo sguardo è ipnotico, è un sogno ad occhi aperti, è un mondo che non esiste. Ed è incantevole.

<< Perdere tutto quello che avevi ti ha chiuso in te stesso. >> La sua voce è bassa, è roca, è un sospiro, è il mio battito del cuore che sembra essersi alzato di tono << Ti sei dimenticato chi eri quando tutto era normale, credi che non abbia più importanza. >> Le sue labbra sono lucide, le vedo tra le tenebre che ci circondano, candide, carnose, attraenti << Devi solo ricordarti chi sei. >>

Sono lo scheletro di un me stesso che è finito sotto le macerie di una realtà disgregata e che sta lottando per sopravvivere nonostante tutto. Ho perso la memoria o solo un frammento? Sono io che non voglio ricordarmi di me oppure sto cercando di annientarmi di mia spontanea volontà?

Non lo so.

Il suo bacio chiude le mie riflessioni, le mie labbra incontrano le sue, sono gentili, accoglienti, dolci, è come se fosse il mio primo bacio, il primo contatto della mia esistenza, forse anche l’ultimo.

Mi sciolgo. Le mani di Frank corrono sulle mie, mi stringono leggermente i polsi, sento le sue dita callose, tagliate dalla fatica di una lotta impari, è piacevole sentirle, sentirsi accarezzati con la delicatezza di un petalo di rosa, questo ragazzino, questo sguardo di vetro che m’intrappola e non mi fa ragionare, o forse sì, troppo. E’ come se non avessi mai sentito un altro corpo contro il mio prima d’ora.

Mi cinge i fianchi, scivola nella mia bocca, si spinge contro di me, mi costringe a inclinarmi fino ad appoggiare le spalle al parabrezza polveroso, sale su di me, le nostre gambe si intrecciano, avverto il suo peso sul bacino, sul torace, il suo corpo sodo, i suoi muscoli tesi, il suo respiro che pian piano si fa altalenante dentro il mio.

Non credevo di ricordarmi come fosse.

Non credevo che mi mancasse così tanto.

Lo abbraccio piano, affondo le dita tra i suoi capelli, li stringo, li tiro, la sua lingua e la mia si sono perse in una danza lenta, languida, umida, bagnata, si cercano, si toccano, si succhiano, si sfiorano, assaporo ogni singolo istante, non so bene perché, forse l’idea della morte mi costringe ad aggrapparmi a quest’ultimo momento, o forse sono soltanto un lussurioso, non saprei, non è nemmeno importante.

Lo sento tremare, lo sento fremere, sento il suo cuore battere frenetico, sento i suoi polmoni assimilare ossigeno, sento le sue dita avvinghiarsi ai miei abiti come se volesse strapparmeli di dosso, sento la sua erezione scoccare contro la mia, riesco ad avvertire la sua eccitazione, la sua frenesia, la sua brama. E mi chiedo perché.

Perché io?

Ci separiamo, ha il volto arrossato, il fiatone, la fronte imperlata di sudore per il caldo tropicale, è bello, è veramente incantevole, adorabile, è qualcosa di puro, ingenuo, il sesso dipinto sul suo viso è inspiegabile ed erotico allo stesso tempo, è un ossimoro, è un paradosso, è stupendo.

Gli tolgo ciuffi scomposti dal viso, sfiorandogli le labbra col pollice, incontrando il suo sguardo.

Ci scambiamo un’occhiata intensa, lunghissima, ecco uno di quei momenti in cui il tempo smette semplicemente di essere.

<< Perché? >> soffio. Frank mi posa una mano sul petto. Sul cuore. Mi fa un sorriso. Un sorriso leggero, dolce, pacato.

<< Tu non vedi quello che sei. >> La sua voce mi suona familiare, come la risacca di un oceano, sa di passato, di cielo azzurro, di casa << Io sì. >>

Mi sento... strano.

Mi sento una foglia su un moto ondoso, una coccinella nel vento, trasportato da qualcosa più forte di me che non riesco, e che non voglio nemmeno contrastare perché mi fido, mi abbandono totalmente, per istinto, per natura, per coraggio o stupidità.

Le sue dita si intrufolano sotto la mia camicia toccandomi la pelle nuda, scende lentamente verso il basso, spostandosi leggermente verso il centro, e odo il rumore ovattato del bottone dei miei jeans che cede.

<< Perché lo fai? >> gli chiedo.

Perché si ostina a volermi salvare, perché vuole me, perché sono così importante per lui, cos’ho fatto per meritarmelo?

<< Perché ti amo. >> rantola al mio orecchio intrufolandosi nelle mie mutande e giungendo a destinazione, mozzandomi il respiro per un attimo.

Non voglio più nessuna spiegazione, questa mi basta.

Chiudo gli occhi lasciandomi trascinare da lui, dalle sue mani, dai suoi sentimenti, dalle sue labbra sulle mie, qui, sotto un cielo stellato che ci guarda senza fare una piega, incurante di mali, sofferenze, sangue, morte, ho l’impressione di ricordarmi chi sono realmente.

Ma è solo un istante, il tempo che questo accada, che avvenga, e poi probabilmente tornerò ad essere come sempre, ossa che camminano sulla terra senza una meta, senza uno scopo, senza significato.

Forse questa è l’ultima notte che vivrò fino in fondo, forse domani sarò morto, forse il mio cuore smetterà di pulsare senza che io me ne accorga, forse finalmente rivedrò di nuovo la mia vita passata, all’altro mondo.

O forse no.

Ansimo stringendogli le spalle, la sua pelle, il suo calore, la sua voce, la sua presenza, lui, Frank, ansimo e mi sembra di vivere, di sentire al mio interno qualcosa che si espande, che grida, che stride, che si agita.

Ho come l’impressione che ritrovare me stesso sia una di quelle missioni senza inizio e senza fine, sempre in evoluzione, come il deserto.

Come gli occhi della persona che riesce a guardare la mia anima quando io stesso non sono in grado di avvertirla.

Non so chi sarò domani quando il sole sorgerà, non so chi sono stato un tempo, non so chi sarò se sopravvivrò alla prossima notte.

So che quando sono con lui, ricordo per un lungo momento chi sono adesso.

 

 

----------***----------

 

 

 

 

 

 

Ma buongiorno e ben ritrovate!:D

Mancavo da un po’ in questo fandom, eh?XD Ebbene ho deciso di fare un piccolo ritorno con questa shot che forse non capirete nemmeno, ma non ve ne faccio una colpa, non so nemmeno io perché lo scritta.

Forse perché la versione Killjoy mi ha sempre attirato per qualcosa, un mondo post-apocalittico e gli ultimi esseri umani rimasti alle prese con se stessi, o con quello che ne è rimasto...

 

Che dire? Io spero che vi sia piaciuta. Lo so, non c’è lemon, c’è qualche bacio, è un po’ slash (LOL, il lupo perde il pelo ma...), ma fondamentalmente sono riflessioni.

Spero più che altro di non avervi annoiate, ecco. Un commentino ci sta sempre, sempre che non vi abbia fatto addormentare!XD

 

Già che ci sono colgo l’occasione (come al solito!) per ringraziare tutte coloro che continuano a inserire le mie precedenti storie tra le preferite, o chi continua a commentarle dicendomi parole bellissime che riescono a farmi commuovere!:’)

Grazie sempre a chi legge e chi ha sempre un po’ di tempo per me, davvero, è una cosa che apprezzo dal profondo del cuore.

 

Un bacio, alla prossima.

   
 
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