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Autore: Cosmopolita    27/02/2012    9 recensioni
Quando sei un single che abita da solo, alcune cose ti sembrano talmente scontate da non accorgerti nemmeno che esistano.
(Dal prologo)
Arthur Kirkland è un poliziotto cinico e felice della sua vita in solitario.
Ma l'entrata di due bambini nella sua vita gli farà presto cambiare idea...
[...]–Eileen Jones ha due bambini. – cercava di misurare le parole, di dire e non dire –Si chiamano Alfred e Matthew, sono gemelli... – si sistemò una ciocca di capelli color del grano dietro l’orecchio, forse un altro stratagemma per perder tempo e fece un gran sospiro.
–Lei è il padre. – buttò giù la frase frettolosamente, quasi volesse togliersi subito quel fastidioso sassolino dalla scarpa.
Arthur si strozzò con la sua stessa saliva. Tossicchiò per alcuni minuti poi incredulo, ripeté –Il padre? Io? – [...]
Genere: Commedia, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: America/Alfred F. Jones, Canada/Matthew Williams, Francia/Francis Bonnefoy, Inghilterra/Arthur Kirkland, Un po' tutti
Note: AU, Lime | Avvertimenti: nessuno
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- Questa storia fa parte della serie 'This is your father'
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L’appartamento di Arthur sembrava quel che abitualmente chiamano “una confortevole dimora da single” ovvero tanti libri, tanti dischi e poche stanze ma soprattutto, nessun odore di omogeneizzati per bambini o profumo da donna.

E Francis che non ci era mai stato, in un primo momento fu piuttosto sorpreso dall'anonimia che quel posto gli trasmetteva: si aspettava qualcosa di più strano da uno come Arthur, invece si era trovato davanti ad un arredamento di indubbio buon gusto, ordinato e quasi asettico, mentre lui già si immaginava vestiti sparsi alla rinfusa, rubinetto aperto dalla mattina e pile di piatti sporchi.

Sophie si fermò a controllare lo stato del posto, come un agente immobiliare che deve valutare la casa che dovrà poi vendere e Arthur, dopo aver osservato per qualche minuto il suo ospite sgradito mentre si guardava attorno, gli si piazzò davanti.

-Puoi aspettarci fuori?-

Francis lo fissò a sua volta un po’ dispiaciuto –Perché, scusa?-

-Parleremo di cose personali, Francis. E tu non puoi sentire!- la sua voce era salda ed irremovibile.

Il francese sapeva che opporsi non sarebbe servito a niente per cui, borbottando qualcosa che somigliava ad un “che maleducato!” uscì fuori dall’abitazione.

Rimasero solo la signorina ed Arthur.

Lui preparò del thè e lei intanto si accomodò in cucina.

-Allora, mi vuole dire perché si trova qui?- seppur apparentemente calmo Arthur era ansioso, non sapeva cosa aspettarsi da quella donna.

Sophie sorrise, come se volesse calmarlo. -Lei conosce la signorina Eileen Jones?- esordì, arrivando subito al punto

Il viso di Arthur impallidì e divenne bianco come un cencio.

Annuì con lentezza –Le è successo qualcosa?- il suo tono di voce era più preoccupato di prima.

-Era la sua fidanzata quando abitava a Charleston, giusto?- in quel momento Sophie sembrava un’investigatrice più che un’assistente sociale.

-Sì, lei e la sua famiglia mi hanno aiutato nel momento più difficile della mia vita. – se chiudeva gli occhi, l’inglese riusciva ancora a vederla come se fosse davanti a lui. Eileen  aveva la sua stessa età e viveva in una grande villa di campagna alla periferia di Charleston, che la sua famiglia aveva deciso di affittare ai viaggiatori o agli sventurati come lui.

Lei era la solita ragazza della porta accanto, sorridente e radiosa, mentre lui era il forestiero apparentemente freddo e impassibile ma dotato di grande fascino, inutile dire che i due si erano attratti da subito come due calamite.

-Le hanno detto che è morta? – la voce dell’assistente sociale suonava piatta, quasi come se lei fosse stata una grande amica di Eileen e la sua morte le avesse lasciato un vuoto incolmabile.

Arthur sgranò gli occhi e fissò Sophie con maggior intensità; sembrava che volesse cogliere nei suoi movimenti o nella sua espressione una prova che, si trattasse di uno scherzo di pessimo gusto.

-Non è possibile…- mormorò un po’ smarrito –Come è successo?-

La donna sospirò abbattuta –Tornava dal lavoro e…- la sua voce si spezzò. Non perché fosse commossa, ma perché aveva capito che non c’era bisogno di altre spiegazioni. E infatti l’inglese non le trovò necessarie. Annuì, con apparente stoicismo, mentre in realtà sperava intensamente che si trattasse tutto di uno scherzo, anche se ormai era una lontana possibilità.

Pur non rivedendola ormai da anni, Eileen era comunque parte della sua vita.

-E…io in tutto questo cosa c’entro?- formulò la domanda con voce flebile.

Il suo piccolo lutto era composto e freddo, ma al tempo stesso traspirava un dolore quasi commuovente. Se si fosse messo a piangere non avrebbe reso allo stesso modo.

Sophie prese tempo: evidentemente si trattava di una questione molto difficile da discutere. Finì di bere il suo thè, si complimentò con lui per l’ottimo infuso e poi riprese a parlare della triste faccenda –Eileen Jones ha due bambini. – cercava di misurare le parole, di dire e non dire –Si chiamano Alfred e Matthew, sono gemelli... – si sistemò una ciocca di capelli color del grano dietro l’orecchio, forse un altro stratagemma per perder tempo e fece un gran sospiro.

 –Lei è il padre. – buttò giù la frase frettolosamente, quasi volesse togliersi subito quel fastidioso sassolino dalla scarpa.

Arthur si strozzò con la sua stessa saliva. Tossicchiò per alcuni minuti poi incredulo, ripeté –Il padre? Io? –

Suo malgrado, Sophie annuì con aria diffidente come se quella reazione fosse più che calcolata.

-No, ci deve essere un errore. – si alzò in piedi e cominciò a percorrere il perimetro della cucina con atteggiamento quasi piretico –Insomma, io ed Eileen abbiamo fatto…- si bloccò, tanto aveva sicuramente capito –è successo una volta sola, due mesi prima che me ne andassi! Come è possibile che al primo colpo…-

Sophie lo interruppe con voce gentile –è possibile, a volte succede! –

- Eileen avrà avuto altri uomini, dopo di me. – cercava con tutte le sue forze di accantonare quella terribile possibilità: lui non poteva essere padre! Era la cosa più assurda di questo mondo, un paradosso che non poteva accettare.

- No. Le cartelle dell’ospedale dimostrano che Eileen era incinta pochi giorni dopo la sua partenza, quindi due mesi dopo il vostro…rapporto. – arrossì, ma mai quanto Arthur -Quindi, a meno che non avesse un amante e stia pur certo che non ce l’aveva, lei è il padre dei due bambini. -

Il silenzio fu il padrone dell'appartamento per alcuni, lunghissimi minuti. Il britannico si risedette e cominciò a fissare le mattonelle del pavimento, provando a far mente chiara nella sua testa: lui era papà di due bambini che in cinque anni non aveva mai visto. Si sentiva mancare e non era certo una cosa positiva.

 Inizialmente si chiese come fosse possibile che lui, non desiderando in alcuna maniera dei figli, li aveva mentre tante altre coppie che invece, avrebbero fatto carte false pur di stringere tra le braccia il loro bambino no.

Era ingiusto, profondamente ingiusto.

Perché a lui e non ad altri più meritevoli?

Forse, non doveva riconoscerli come figli suoi e affidarli ad una vera famiglia. Sarebbe stata la soluzione migliore per lui e, in tutta franchezza, anche per quei due bambini.

Ma poi riaffiorava tra i ricordi il sorriso luminoso di Eileen e pensava a ciò che gli era successo. Era morta mentre tornava dal lavoro, quello che forse manteneva in piedi lei e i suoi figli.

Insomma, che rispetto dimostrava così nei confronti di Eileen?

-Signor Kirkland?- la voce di Sophie interruppe i suoi pensieri –Può anche non riconoscere i suoi bambini. Loro rimarranno all’orfanotrofio e qualcun altro se ne occuperà. Non deve farlo per forza lei…-

Era come se gli avesse letto nel pensiero e Arthur in un primo momento ne rimase un po’ suggestionato –No, signorina, io ho già preso la mia decisione. Terrò quei bambini. –

Si sentì scrutato da Sophie con troppa insistenza e improvvisamente gli venne l’assurda voglia di poter essere invisibile.

La signorina squittì deliziata –Ha fatto davvero un’ottima scelta. Quei bambini avranno un futuro migliore, grazie a lei…- si alzò e si avviò verso la porta –Si presenti domani mattina al nostro istituto…- gli porse un biglietto con scritta la via –Dovrà firmare alcuni documenti per il riconoscimento dei bambini e così Alfred e Matthew Jones saranno ufficialmente dei Kirkland…-

A sentir nominare il nome di quei due bambini sconosciuti in correlazione al suo cognome, Arthur sentì stringersi lo stomaco. Era accaduto tutto troppo in fretta…

-Io non posso venire domani…- biascicò a fatica –Lavoro!-

La sua ospite assunse una smorfia di disapprovazione; come poteva pensare al lavoro in un momento del genere? Cominciò a chiederselo anche lui e ne convenne che in quel momento il lavoro non era poi tanto importante.

-Ma farò tutto il possibile per esserci. -

 -Lei è un poliziotto, giusto?- si informò Sophie con voce esplicitamente curiosa.

Si sa, la curiosità è donna. E comunque, aveva tutta l’aria di conoscere ogni minimo segreto di Arthur.

Annuì, con un rapido cenno di assenso.

-Di che grado, se non sono indiscreta?-

Lo era e sapeva di esserlo. L’inglese avrebbe voluto non rispondere, tuttavia si vide costretto a farlo –Un semplicissimo agente di polizia. Lavoro nel “Task force”. –

Un verso d'ammirazione fu la sua unica risposta.

Arthur, da bravo gentleman qual’era, la prese sottobraccio e la accompagnò fuori dall’appartamento, scesero insieme le scale fino ad arrivare nel cortile al di fuori del palazzo. In piedi accanto al portone, li stava aspettando Francis.

L’inglese fu molto sorpreso di trovarlo lì: forse voleva sapere ogni particolare della conversazione che c’era stata tra lui e Sophie. Naturalmente, lui non gli avrebbe detto nulla.

-è stato un piacere conoscerla di persona, signor Kirkland…- quel piccolo rito era una chiara formula di saluto. L’assistente sociale strinse la mano ad Arthur e poi passò a quella di Francis –E anche lei, signor…-

- Bonnefoy, al suo servizio, madame! – poggiò le sue labbra sul dorso della mano candida di Sophie,e le guance della signorina Van De Meer si colorarono di rosso.

Il solito dongiovanni, insomma.

–Il suo accento…- mormorò sovrappensiero l’assistente sociale, dopo che ritrasse la mano –Lei non è americano, vero?-

Lui denegò con un cenno della testa –Allons enfants de la Patrie…-  canticchiò piano.

Sophie capì e sorrise –Di Parigi?-

Per tutta risposta, scosse la testa - Nizza. E lei?-

-Io sono di Bruxelles. -

Francis annuì, come per fargli capire di aver compreso e gli porse un foglietto di carta stropicciato, poi le sussurrò in un orecchio con fare molto seducente –Sa, nel caso si annoiasse…-

La belga ridacchiò, inizialmente piuttosto sbigottita per quel comportamento così sfacciato nei suoi confronti. Sbatté le ciglia confusa, lesse il foglietto e nonostante tutto se lo mise in tasca.

Sebbene non fosse suo amico, Arthur avrebbe voluto sprofondare di dieci metri sottoterra per la vergogna. Ma perché Francis si comportava sempre così?

Trattenne la rabbia fin quando Sophie non si allontanò. Poi, con uno scatto repentino, raggiunse Francis –Ma cosa ti è saltato in mente?-

-Impara dal maestro. Si chiama “flirtare con classe”. – gli strizzò l’occhio con aria complice e con una mano si fece scivolare i capelli biondi davanti all’orecchio.

L’inglese scosse la testa -Tu sei matto. Cosa ti dice che ti telefonerà?-

-Telefonerà, stanne certo. Lo fanno tutte!- fece una risatina civettuola, che assolutamente non s'addiceva ad un uomo.

Arthur dentro di se, si augurava ardentemente che Sophie non lo chiamasse. Chissà come avrebbe reagito a quel due di picche la rana... al solo pensiero gli venne da ridere.

-Mi trovi buffo?- domandò Francis che non aveva capito il senso di quella risata sguaiata.

-Non sai quanto. – lo guardò con aria di sfida –Comunque sia, domani non posso venire al lavoro…-

-Immagino non possa sapere il perché. – lo interruppe. Tanto aveva già capito che aveva tutto a che fare con il colloquio che Arthur aveva avuto con Sophie, Francis ne era certo.

-Esattamente. – era esageratamente serio in quel momento –Non è che puoi…-

Intuendo ciò che stava per chiedergli, Francis gli mise un dito sulla bocca –Chiedo ad Antonio se può sostituirti. –

Antonio Fernandez Carriedo era il migliore amico di Francis. Veniva da Barcellona e come loro, lavorava al Dipartimento di polizia di New York City.

L’inglese fu sollevato di sapere che poteva contare su Francis.

Certo, magari non era la persona più simpatica di questo mondo, però una cosa doveva riconoscergliela: era dannatamente gentile, anche troppo forse.

-Beh…grazie!- bofonchiò a bassa voce.

-Prego? Cosa hanno sentito le mie orecchie? – l’altro si chinò verso di lui, come se non avesse sentito –Mi è parso di sentir uscire un “grazie” dalla tua bocca. -

Suo malgrado, il britannico non riuscì a trattenere un leggero sorriso –Non abituarti!- anche se sorrideva, il suo tono di voce era piuttosto acidulo.

L’altro ridacchiò appena e si avviò verso il cancello –Se non ti dispiace, vado via! Ho un appuntamento. –

-Con chi?- chiese, quasi con impulso. Si morse la lingua, sperando il più possibile che la sua domanda venisse interpretata come semplice curiosità e non fraintesa con altro.

-Con la mia ragazza. – rispose.

Il britannico sospirò con rassegnazione e alzò gli occhi al cielo. Francis: stupiva ogni volta, eppure le sue erano sempre azioni abbastanza prevedibili. Già immaginava una bella impalcatura di corna sulla testa della povera fidanzata del francese.

-Non pensare male…- si affrettò ad aggiungere l’altro. Strano; erano gli altri ad leggergli nel pensiero, o era lui ad essere come un libro aperto? –Non l’ ho mai tradita. –

-E da quando la frequenti?- c’era ironia nel suo tono di voce, perché forse già intuiva la risposta di Francis.

-Una settimana, più o meno…-

Appunto. Arthur esibì un sorriso di puro trionfo.

 

Stranamente, non appena Francis chiuse la porta, si sentì terribilmente solo.

Non aveva mai provato questa sensazione prima d’ora. Certo si riteneva un tipo piuttosto solitario, ma l’ isolamento non gli dispiaceva affatto. Eppure in quel momento ne soffriva.

Forse perché la solitudine lo induceva alla riflessione e, l’unico pensiero che in quel momento riusciva a fare riguardava quei due bambini. I suoi figli.

Più ci pensava, più si sentiva male. Chissà com’erano! Gli somigliavano? Oppure avevano ripreso più dalla loro mamma? Già si figurava due bambini dagli occhi verdi, i capelli biondi e le enormi sopracciglia come i suoi. Due piccoli Arthur in miniatura che lo chiamavano “papà”.

Ma, la domanda più inquietante era una ed era certo che non l’avrebbe fatto chiudere occhio per tutta la notte: sarebbe stato un buon padre?

Il suo non lo era stato, sotto molti punti di vista. Gli voleva indiscutibilmente bene, ma il modo in cui glielo aveva dimostrato era sbagliato.

Avrebbe voluto il meglio per lui, senza rendersi conto che quello per Arthur non era affatto il meglio, e aveva irrimediabilmente perso un figlio.

Avrebbe fatto lo stesso errore di suo padre?

Non lo sapeva, ma in cuor suo sperava intensamente di no.

 

 

[Deep beneath the cover of another perfect wonder
Where it’s so white as snow]

 

 

 

 

 

Salve a tutti! Spero che questo secondo capitolo vi sia piaciuto e che vi abbia incuriosito!

Ringrazio chi ha recensito il capitolo precedente, sperando vivamente di riceverne altre =)

Questo capitolo è ispirato dalla canzone “Snow” dei Red hot chili peppers, infatti l’ultima frase è ripresa dal testo.

Ancora grazie per aver letto ^^

A presto

Cosmopolita
   
 
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