01.
Louis – Jet
Lag.
Il
viaggio era durato ore e, nonostante volare gli fosse sempre piaciuto,
stare
seduto per tutto quel tempo era stato particolarmente snervante.
‘Per più tempo
si vola, più sono le possibilità di sfracellarsi
al suolo, o in mare’, diceva
la sua personale teoria sulle catastrofi stile Lost,
e il fatto di dover stare quasi otto ore a svolazzare
sull’Atlantico non lo rassicurava più di tanto.
Certo, le poltrone erano
comode, le hostess erano state gentili e carine per tutto il tempo, in
bilico
su tacchi troppo alti e strette in gonne troppo strette che gli
facevano
ringraziare il signore di essere nato maschio. Avevano dispensato
sorrisi falsamente
genuini anche quando, verso metà volo e quindi a notte
inoltrata, uno dei
cinque ragazzi che erano partiti con lui da Londra le aveva chiamate
per farsi
portare un altro cuscino. Ma forse facevano così solo
perché erano in prima
classe e avevano pagato -beh, il preside della scuola aveva sborsato
tutte le
spese del viaggio, ma loro che ne potevano sapere?- per avere un
servizio degno
di quel nome.
Comunque,
solo quando atterrarono all’aeroporto di Columbus, con la
sicurezza di avere il
sedere piantato su una poltrona che non fluttuava a chilometri dalla
terra
ferma, Louis poté tirare un sospiro di sollievo.
Naturalmente non era riuscito
a dormire neanche un istante, era troppo agitato.
Tutto
quello -la domanda di per partecipare a quel progetto mandata quasi per
scherzo, le selezioni, la lettera con il suo biglietto per gli States-
era successo
talmente in fretta che quasi non riusciva a stare seduto, o a camminare
senza
saltellare. Uno dei ragazzi gli aveva implorato di stare un
po’ zitto, ma lo
aveva guardato per qualche secondo per poi stringersi nelle spalle e
continuare
a chiacchierare con quel ragazzino che gli si era seduto vicino.
Aveva
i capelli ricci e per questo gli era piaciuto da subito. Si erano
presentati
poco prima di salire sull’aereo bianco e imponente –Harry, aveva detto semplicemente quello,
sorridendo e mostrando
delle fossette semplicemente adorabili ai lati della bocca-, anche
perché come
al solito Louis era riuscito ad arrivare in ritardo anche in
quell’occasione,
si erano stretti la mano e avevano sorriso. Quando si erano accorti di
avere il
posto vicino, una volta sistemati, avevano iniziato a parlare e non
avevano
spesso praticamente mai per tutta la durata del viaggio.
Gli
altri ragazzi non li aveva guardati più di tanto, appena
saliti sull’aereo si
erano rintanati nelle loro poltrone e avevano chiacchierato poco, ma
gli
sembrano bravi ragazzi. Zayn era arrivato addirittura dopo di lui, con
il
fiatone e due grandi valige, ed era stato il primo ad addormentarsi.
Era un
ragazzo bellissimo, dagli occhi grandi e caldi, ciglia lunghissime e la
pelle
ambrata. Niall invece aveva l’aspetto di un tipico irlandese
dalla carnagione
chiara, poche lentiggini sul naso e una risata rumorosa e contagiosa
che li
aveva divertiti fino a quando non si era improvvisamente appisolato.
Poi c’era
Liam che ancora non era riuscito a inquadrare. Lo aveva guardato un
po’ male
quando era arrivato a pochi minuti dall’imbarco e aveva fatto
un po’ di storie
per la confusione che stavano facendo ma aveva uno sguardo dolce che
gli
diceva, se si fossero conosciuti meglio, che sarebbero potuti essere
amici.
Il
loro tutor poi, per quanto gli facesse strano chiamarlo in quel modo
visto che
aveva la sua età, era un ragazzo tranquillo, alto come una
montagna e con un
ciuffo strano sulla testa. Era contento che a sorvegliarli non ci
sarebbe stato
un vecchio professore ma Aiden -aveveno provato a prenderlo in giro
chiamandolo
professor Grimshaw, ma si era impuntato affinché tutti lo
chiamassimo con il
suo nome, non voleva mica sentirsi vecchio!-
anche perché si era messo subito a scherzare
con loro, promettendogli un
soggiorno tranquillo.
Quando
scesero dall’aereo individuarono subito l’uomo che
li avrebbe accompagnati a
scuola, recuperarono i loro bagagli e andarono incontro a questo
ragazzo con in
mano un elegante cartello con scritti i loro nomi. Li guardava da
dentro una
giacca dall’aspetto costoso che li fece sorridere,
soprattutto per colpa del
cappello malandato che stonava con il resto del suo aspetto. Si
presentò in
fretta avvisandoli che avrebbero dovuto fare presto perché
il viaggio non era
ancora finito e che, se tutto andava bene, avevano ancora un paio di
ore di
viaggio prima di arrivare a Westerville.
Zayn,
che ancora connetteva poco, stonato dal lungo sonno, annuì
solamente,
aggrappandosi ad un braccio di Liam e appoggiando la testa alla sua
spalla per
riposarsi. Quest’ultimo rise nervosamente e lo
guardò stranito ma poi si aprì
in un sorriso luminoso che provò a camuffare scuotendo il
ragazzo per un
braccio e provando a farlo camminare dritto.
Appena
si appoggiarono nella limousine che li aspettava nel parcheggio
però non riuscì
più a resistere. I sedili erano troppo comodi e fuori,
nonostante il suo
orologio biologico gli stesse dicendo che era ancora notte inoltrata,
il sole
luminoso gli aveva stancato gli occhi, così, non appena le
portelle si chiusero
lasciandoli alla penombra dei finestrini oscurati, cadde in un sonno un
po’
movimentato, appoggiandosi al corpo caldo di Harry che gli
circondò le spalle
con un braccio.
Sognò
un castello grande e luminoso, se lo ricordava bene perché
gli ricordava quello
che appariva all’inizio dei film della Disney che guardava
con le sue sorelline,
e un principe senza faccia. Era abituato a fare sogni strani eppure
quello, si
rese conto mentre dormiva, era particolarmente anomalo. Il principe lo
trascinava per i corridoi lunghi e vuoti che lo facevano inciampare in
un
vestito troppo lungo e facendogli prendere storte allucinanti per colpa
delle scarpe
fino a quando non entrarono in un salone con una grande cupola di
vetro. Poi,
quando finalmente stava per togliersi dal viso quella maschera anonima
si
svegliò nella macchina con gli sguardi di tutti puntati
addosso.
Niall
rideva tenendosi lo stomaco e gli altri sembravano ad un passo dal fare
la
stessa cosa.
«Mi
dici cosa stava succedendo in quella testolina?» disse
semplicemente provando a
contenersi, con ancora una mano a reggermi una spalla e i riccioli
ribelli che
gli cadevano sul viso. Ancora mezzo assonnato sussurrai un ‘Non sono una principessa’ un
po’
sbiascicato e mi riappoggiai al suo petto provando a ignorare il modo
isterico
con cui si scuoteva per le risate che avevano riempito
l’abitacolo.
Per
fortuna arrivarono presto, anche perché Zayn,
improvvisamente sveglio e
arzillo, aveva iniziato a parlare. Aveva una voce profonda e melodiosa
ma di
sicuro lo preferiva addormentato visto che non faceva altro che
prenderlo in
giro.
«Ecco
il tuo castello, principessa.»
gli
aveva detto all’orecchio ma abbastanza ad alta voce
affinché tutti potessero
sentirlo, e lui arrossì perché sì,
quell’edificio era enorme ed imponente, circondato
da un cancello elegante e un giardino enorme che effettivamente gli
ricordava
qualche castello nelle campagne dello Cheshire. Gli altri risero e il
moro gli
diede una spallata prima di guardarlo e sorridere, camminando
all’indietro per
non perdere il contatto visivo.
Alle
sue spalle il cancello si stava lentamente aprendo e, con immenso
stupore di
tutti, un gruppo di persone gli vennero incontro, sistemati con ordine
e
camminando con una falcata che ricordava una marcia militare. Erano
tutti vestiti
uguali, un balzer blu scuro sopra dei pantaloni grigi scuri, una
camicia bianca
e una cravatta rossa e blu. Sul taschino lo stemma della scuola.
L’unica
persona che spiccava per un minimo di originalità era un
signore dall’aria
austera che li scrutava attentamente, fissandosi su tutti e cinque per
qualche
istante, come se li stesse studiando.
Quando
tutti si fermarono, a pochi passi dalla macchina, fu proprio
quell’uomo a
parlare aprendosi in un sorriso un po’ inquietante.
«Benvenuti
all’accademia Dalton, ragazzi. Il mio nome è Simon
Cowell e sono il preside
della scuola. Vedo con piacere che il professor Cardle è
riuscito a ritardare
di solo una mezz’oretta e che quindi avrete
l’opportunità di sistemarvi con una
certa celerità nelle vostre stanze per presentarvi a
cena.»
Louis
si guardò attorno e fu sollevato dal vedere che anche gli
altri quattro avevano
sul viso un’espressione stranita. Il jet lag già
non li faceva ragionare
perfettamente, poi quel discorso li aveva confusi più di
quanto potessero
sopportare.
«I
vostri supervisori, una rappresentanza degli studenti e il nostro
professor
Cardle vi accompagneranno alle vostre camere dove troverete la vostra
divisa.»
detto quello, si girò e se andò facendosi spazio
tra gli studenti alle sue
spalle che aprirono un varco nella loro formazione. Niall si
accovacciò alla
sua valigia con un sospiro, ricordando anche altri che erano ancora
capaci di
respirare e poi ridacchiò. Quell’uomo incuteva un
certo timore.
Un
ragazzo di colore poi fece un passo avanti guardandoli con
un’aria sospettosa e
gli fece cenno di seguirlo. Tutti presero le loro valigie e Zayn,
dovendosene
trascinare due, iniziò a borbottare
sull’inutilità dei vestiti che si era
portato visto che avrebbero dovuto indossare una divisa. Quando
entrarono nell’atrio
della scuola -che per lo più assomigliava sempre di
più alla hall di un albergo
molto sofisticato o, per sua sfortuna, a quella di un castello delle
fiabe- un
gruppetto di ragazzi si fermarono a osservarli, parlottando piano e
guardandoli
diffidenti.
«Dici
che hanno qualcosa contro gli inglesi?» sussurrò
Harry, e gli altri lo
guardarono alzando le spalle. Sperava che non esistessero di quei
problemi
anche perché, per quanto gli avevano raccontato e assicurato
prima di partire, quella
era una delle scuole con la mentalità più aperta
del nord America, con all’attivo
un programma di tolleranza zero verso qualsiasi forma di
discriminazione.
Il
ragazzo che li stava guidando si fermò improvvisamente sul
primo scalino di una
lunga scalinata di marmo e si girò per guardarli. Prese
dalla tracolla scura
che portava appesa ad una spalla cinque chiavi e ne consegno una ad od
ognuno.
«Prima
di tutto, io sono David Thompson e sono il presidente del consiglio
studentesco. Molto piacere. Quelle sono le chiavi delle vostre stanze,
siete
quasi tutti nello stesso dormitorio e se…»
La
voce seria del ragazzo, chiara e senza particolari sfumature come se
stesse
recitando una poesia, venne improvvisamente interrotta da uno strano
vociare
che proveniva dalla cima delle scale, e più passavano i
secondi più il discorso
che avrebbero dovuto ascoltare perdeva importanza visto che tutti,
compreso il
ragazzo sul gradino che però sospirava come rassegnato, si
erano girati verso
la rampa.
Cinque
ragazzi arrivarono correndo e ridendo, tutti stretti nelle loro divise,
portando
finalmente un po’ di vita e soprattutto di allegria in quello
che stava
iniziando a prospettarsi come un anno di sguardi gelidi e discorsi
noiosi.
«Chi
diavolo solo quelli?» iniziò Liam, guardandoli
scendere mentre si spingevano e
parlavano ad alta voce di qualcosa che non riuscivano a scorgere.
«Quelli?
Quelli sono i Warblers.»
-
Allora,
ce l’ho fatta. Pensavo di non riuscirci invece è
uscita questa cosa. Non mi piace
particolarmente,
spero sia solo colpa del primo capitolo, perché iniziare
è difficile e senza
una vera e propria base scrivere non è poi così
facile. Ci ho messo dentro un
po’ di tutto, lo so, ma dovevo fare le prime presentazioni,
so che tutti
conoscono bene o male i ragazzi, ma volevo dargli una nuova
prospettiva. Siamo
in una AU, loro non si conoscono, Louis -che ha narrato questo
capitolo- non li
conosce e quindi non potevo presentarli belli e fatti. Lo
rileggerò per sapere
se mi convince. Giusto per informazione random, il sogno di Louis ha un
senso,
credo.
So
che sono tre cartelle piene praticamente di nulla. La cosa che mi
premeva era
farli arrivare sani e salvi a scuola, mettere qualche accenno Larry e
provare a
introdurre i ragazzi della Dalton. Due su tre non è male,
no? Comunque, spero
di essere stata abbastanza esauriente, spero di aggiornare presto e
spero che
vi piaccia. Sono super contenta che abbia riscosso abbastanza successo
il
prologo, sia nel fandom dei 1D che in quello di Glee.
Ah!
Spero che tutti voi sappiate chi è Matt
Cardle e Aiden
Grimshaw. Se non lo
sapete che cosa state aspettando ancora? Sono fantastici, li amo, sono
bellissimi, si amano.
Mh.
Ora
vi lascio, aggiornerò prima o poi, lo giuro.
Peace
and Stylinson, Nana.