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Autore: micRobs    27/02/2012    6 recensioni
"«Comunque» esordì Thad, all’improvviso «non è perché mi fai pena che cerco di esserti amico.»
Sebastian si impedì di pensare a quanto Thad sembrasse sincero nel pronunciare quelle parole. «E sentiamo, per quale motivo lo faresti?» Si costrinse a domandare.
Thad fece una smorfia, Sebastian lo osservò con la coda dell’occhio nascondendo un sorriso.
«È importante?» Rispose Thad. «Devo per forza avere una motivazione valida?»
Sebastian si decise ad incontrare il suo sguardo e ciò che vi lesse lo indusse a mettere in dubbio ogni pensiero precedentemente formulato nei confronti del suo coinquilino.
Thad lo guardava con una naturalezza disarmante, aspettando una risposta che Sebastian aveva dimenticato di dover pronunciare, offrendogli un appiglio al quale appoggiarsi ed una spalla su cui posare parte dei suoi pensieri."
...Si, lo ammetto: nonostante io ami tremendamente Sebastian, non ho potuto fare a meno di lasciarmi particolarmente ispirare dal suo stato d'animo nella 3x14. Da ciò, è nata questa Shot chilometrica che spero con tutto il cuore vi trasmetta qualcosa.
Hope you like it!
Thà!
Genere: Angst, Introspettivo, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Sebastian Smythe, Thad Harwood | Coppie: Sebastian/Thad
Note: Missing Moments | Avvertimenti: nessuno
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Pairing: Sebastian/Thad, of course!
Avvertimenti: Emm, direi Introspettivo, Generale, forse anche Sentimentale e... Emm.. Angst? Non lo so!
Rating: Verde
NdA: Ispirazione fulminante! Si, la dovete a lei. Mi si è parata dinanzi agli occhi e non ho potuto fare a meno di scriverla. Tra l'altro, avevo bisogno di qualcosa da scrivere a SereILU per farmi perdonare del mancato arrivo dell'altra storia (perdonami, giuro che arriverà presto *w*).
Un grazie particolare a Vale che l'ha letta in anteprima e mi ha spronata a finirla e a Somo che mi ha finalmente aiutata a comprendere le strane dinamiche che regolano la punteggiatura nel discorso diretto! Una dedica speciale a tutte e tre! <3
Comunque, nonostante tutto, sono piuttosto insicura di questa storia. Non ho mai trattato di un Sebastian così vulnerabile e umano (come ci è stato presentato nell'episodio 3x14) né ho mai scritto sugli Warblers in generale e né, tantomeno, ho mai utilizzato la tecnica del narratore onnisciente. 
Io non so cosa dire, davvero. Spero con tutto il cure che riesca a trasmettervi qualcosa perché io ci ho messo tutta me stessa dentro.
Lo so, è oscenamente lunga, abbiate pietà!
 
Edit del 17/07/2012:Sto passando in rassegna tutte le mie vecchie storie, correggendone la punteggiatura ed eventuali errori e rifacendo gli html laddove sono sballati (sia sempre benedetto l’editor di Efp). Oggi è toccato a questa xD  Nulla da aggiungere, quindi. Grazie a chi ancora oggi si ferma a leggere <3
 
 
 
 

 “Underneath the blazer.”

 
 
Nella sala riunioni della Dalton Academy, quel giorno, regnava il caos.
Le Regionali erano pericolosamente vicine e, con tutto ciò che vi era ancora da decidere e discutere, i Warblers erano parecchio su di giri.
Seduti alla scrivania, Wes, David e Thad continuavano a fissare sconcertati i ragazzi, cercando di dettar legge per proseguire con l’ordine del giorno.
«Ragazzi» il rumore del martelletto di Wes si perse nel vociare circostante, «ragazzi un po’ di silenzio, per cortesia» disse, cercando di richiamarli all’ordine.
Poco a poco, il chiacchiericcio si trasformò in leggero brusio di sottofondo fino a scomparire del tutto.
Quando fu soddisfatto della riuscita della sua presa di posizione, Wes lasciò la parola a David, riaccomodandosi.
«Come tutti saprete» iniziò quello «le Regionali si avvicinano inesorabilmente e, nonostante la nostra scaletta sia stata opportunamente definita, vi sono ancora alcuni dettagli da non sottovalutare assolutamente.»
Tacque, osservando la reazione che ebbero le sue parole sulla platea. I ragazzi sembravano piuttosto attenti e, per ovvi motivi, euforici.
Quella competizione era davvero troppo importante per lasciare qualcosa al caso e tutti sapevano cosa avevano da perdere e cosa, invece, avrebbe significato una vittoria.
Era l’occasione per dimostrare che i Warblers non erano solo un coro da camera, che non erano solo in grado di esibirsi in case di riposo e centri commerciali, ma che potevano competere alla pari con i migliori Glee Club dell’Ohio. Oltretutto, era già la terza volta che si trovavano ad affrontare le New Direction e nessuno di loro voleva ripetere l’esperienza della volta precedente: una sconfitta era più che sufficiente.
«Dunque» proseguì David, afferrando un paio di fogli spillati fra di loro «innanzitutto, voglio ribadire quanto sia necessario che ognuno di noi si impegni a fare del suo meglio e a mettere tutto se stesso nell’esibizione.»
«Sì, David» lo interruppe Nick. «Direi che questo punto sia piuttosto ovvio.»
«Non esserne così sicuro, Duvall» intervenne Thad. «Ti ricordo che le New Direction ci hanno già battuto una volta e hanno tutte le carte in regola per farlo di nuovo.»
Un chiacchiericcio contrariato si levò immediatamente al suono di quelle parole. «Ma ciò non vuol dire» riprese Thad, sovrastandolo con la sua voce «che non possiamo far sì che le cose cambino.»
«Thad ha ragione» acconsentì Trent. «Possiamo batterli, non ci manca nulla, dobbiamo solo essere determinati.»
«Ben detto» approvò David «ed è proprio questo il primo punto dell’ordine del giorno» disse gettando uno sguardo sui fogli che ancora reggeva. «Abbiamo deciso di intensificare le prove, così che le nostre performance risultino pulite e perfette. In bacheca troverete i nuovi orari e vi prego di attenervi a quelli.»
I ragazzi annuirono, concordi, e David continuò. «Non mi pronuncio sulle divise: siamo tutti d’accordo nell’indossare il solito blazer dei Warbler e su questo non si discute.»
Altri mormorii, qualche commento sporadico e, generalmente, sguardi sereni.
«Per quanto riguarda invec- sì, Sebastian?»
Il ragazzo aveva, educatamente, alzato la mano, attendendo che gli venisse concessa la parola. Gli sguardi di tutti i Warblers si voltarono verso di lui, curiosi di sapere cosa vi fosse, questa volta, che non andasse a genio al ragazzo e interrogandosi, di nuovo, sul suo strano comportamento. Sebastian, infatti, era stranamente tranquillo e taciturno. Solitamente pretendeva di stare al centro dell’attenzione, avendo sempre da ridire su qualunque decisione venisse presa dal Consiglio. Il suo comportamento era strano e anche piuttosto insolito.
«Vorrei chiedere il permesso di prendere la parola» annunciò il ragazzo, alzandosi in piedi.
David scambiò un’occhiata veloce con Wes e Thad, trovandoli sconcertati quanto lui. Thad scosse il capo, allibito ma incuriosito, Wes gli fece un cenno per invitarlo a continuare.
«Permesso accordato» approvò allora David, racchiudendo in quella semplice frase lo sconcerto suo e degli altri due consiglieri.
Sebastian avanzò fra i divanetti con passo cadenzato e sinuoso, attirando su di sé le occhiate degli altri Warblers e i loro mormorii indiscreti.
Si posizionò appena di lato alla grande scrivania, in modo tale da poter osservare agevolmente sia i suoi compagni che i membri del Consiglio.
«Avrei una proposta da sottoporvi» esordì, la voce ferma e le spalle dritte.
Wes lo invitò a continuare, posando il martelletto e unendo le mani sul legno lucido.
«Ciò che vi chiedo» iniziò Sebastian «è di apportare una modifica alla nostra scaletta per le Regionali.»
Le obiezioni indignate che accompagnarono quella richiesta costrinsero Wes ad alzare di molto il suo tono di voce per riuscire a ristabilire un clima conviviale.
«Ragazzi, ragazzi calma!»
«Io posso sopportare tante cose» intervenne Flint «ma questo davvero non lo accetto.»
«È ridicolo» gli diede man forte Jeff «manca poco più di una settimana alle Regionali, come pretendi che mettiamo su un numero nuovo di zecca?»
«E poi, perché dovremmo farlo?» Lo appoggiò Nick.
Altri mormorii, altre imprecazioni, altre martellate di Wes.
«Adesso basta» disse Thad, la voce sorprendentemente ferma e decisa. «Per quanto mi sembri un’idea folle, sono sicuro che Sebastian ha avuto le sue buone ragioni per proporcela, non è forse così?» Concluse, rivolgendosi direttamente a lui.
Per un attimo si fissarono in silenzio. Thad sperava di non doversi pentire di essersi esposto così per lui. Era pur sempre il suo compagno di stanza e, nonostante il più delle volte finissero con il battibeccare e poi ignorarsi, Thad aveva imparato a conoscerlo quel tanto che bastava da sapere con assoluta certezza che vi era qualcosa di strano nello sguardo di Sebastian. Qualcosa di diverso, qualcosa di spento.
«Sì, Sebastian» lo incoraggiò Trent «spiegaci.»
Sebastian si guardò intorno per un attimo, il suo sguardo ricadde velocemente su Thad prima di spostarsi di nuovo verso il centro della sala. «In questi giorni si è fatto un gran parlare di ispirazione a proposito del canto» cominciò «e sono del parere che la nostra esibizione sia indubbiamente bella e ben strutturata, ma che, a conti fatti, non trasmetta nulla.»
David lo osservava incuriosito, riflettendo sulla veridicità di quelle parole e lasciando che un’altra constatazione si facesse largo nella sua mente.
Fu Richard, però, a dare voce ai pensieri di tutti.
«Sebastian» disse «hai fatto carte false per rubare Micheal alle New Direction e adesso ci stai venendo a dire che vuoi che cambiamo tutto?»
In molti approvarono, Flint gli diede manforte e Nick blaterò qualcosa riguardo agli ormoni in subbuglio.
I tre capo consiglio si fissarono stralunati. Sicuramente era una situazione nuova da gestire, per loro. Non erano abituati ad avere a che fare con un Sebastian così affabile e remissivo. Di solito faticavano a tenerlo buono e a portare a termine un ordine del giorno senza interruzioni.
«Ascoltate» riprese Sebastian «non sto dicendo di non fare più Micheal, ce lo siamo guadagnato e il pezzo ci viene davvero bene.»
«Mi sembra ovvio» saltò su Jeff «è perché io canto un’intera strofa.»
«E io un’altra» concordò Nick.
«Appunto» annuì Sebastian. «Dico solo che, oltre al mash-up di Micheal, potremmo eseguire un altro brano, magari un po’ più emotivo
I ragazzi si presero qualche istante per ragionare sulla proposta di Sebastian. Non era nello stile dei Warblers modificare la scaletta per un esibizione con così poco preavviso, ma per una buona ragione magari si poteva fare un’eccezione.
«Il punto è» spiegò Wes «che, pur volendo, abbiamo troppo poco tempo per organizzarci, fare le audizioni per il solista, cercare una canzone adatta e mettere su una coreografia.»
«A meno che tu non abbia pensato anche a questo» suggerì Thad, lo sguardo fisso in quello serio di Sebastian. Si appuntò mentalmente di provare a fargli qualche domanda dopo in camera, quando David intervenne.
«Ammesso anche che Sebastian abbia già preparato tutto, non abbiamo tempo materiale per far quadrare tutto alla perfezione e non credo che sia una mossa saggia presentarci alla competizione con due numeri imperfetti proprio quando abbiamo la possibilità di vincere.»
«David ha assolutamente ragione» concordò Nick, stiracchiandosi sul divano.
«Mi sono stufato di perdere» annuì Jeff, accanto a lui.
Flint sbuffò, alzandosi in piedi. «E non lo faremo, non di nuovo e non per colpa sua.»
«Ma abbiamo preparato numeri in molto meno tempo» ragionò Trent «e ci sono sempre andati bene.»
Qualcuno mormorò in assenso, altri si limitarono a scuotere il capo con convinzione.
«Io non voglio obbligarvi a fare nulla» ribatté Sebastian, la voce più alta del normale. «Ho fatto una proposta» spiegò, allargando le braccia e scorrendo tutta la sala con lo sguardo «e pensavo potesse interessarvi. Non mi cambia la vita fare solo Micheal» chiarì incrociando le braccia al petto. «Solo, credevo potesse essere carino, per una volta, cantare non solo per noi ma anche per trasmettere qualcosa di concreto a chi ci ascolta.»
La sala ammutolì, fissando Sebastian con sguardo a metà fra l’allibito e il sorpreso. Questo, dal canto suo, si limitò a stringersi nelle spalle, guardando fuori dalla finestra fingendo disinteresse.
«D’accordo» suggerì Wes, democratico, prima di scatenare un altro putiferio «mettiamola ai voti.»
Aspettò che i ragazzi annuirono e si rimettessero composi prima di alzarsi in piedi e declamare:
«Quanti di voi sono favorevoli alla proposta del Warbler Sebastian? Modificare, per quanto ci è possibile, la nostra scaletta per le Regionali e aggiungerci un altro brano?»
Con grande sorpresa di Wes, parecchie mani si levarono in aria, comprese quella di Trent e di Jeff.
Nick fissò quest’ultimo con gli occhi ridotti a due fessure e quando Jeff si limitò a scrollare le spalle e a lanciargli uno sguardo eloquente, si affrettò ad alzare anche la sua mano, sbuffando contrariato.
Thad non aveva bisogno di controllare per sapere che anche Sebastian aveva acconsentito.
Conosceva Wes a sufficienza da essere piuttosto concorde con il suo modo di ragionare e sviscerare le questioni: appoggiare quella proposta non voleva dire, inevitabilmente, presentarsi alle Regionali con un altro numero. Significava che ci avrebbero provato e che, se non fossero stati in grado di organizzarsi bene, avrebbero rinunciato. I Warblers conoscevano perfettamente i propri limiti e sapevano fin dove potevano spingersi senza esagerare.
Sorrise, notando che anche la mano di Wes era sollevata e sospirò nel tirare su anche la sua. Provare non gli costava nulla e, poi, vedere Sebastian così preso per qualcosa era un’esperienza che non voleva perdersi per nessuna ragione al mondo.
David contò velocemente quanti erano i favorevoli e annotò il numero sul registro degli Warblers.
«Quanti sono, invece, contrari?» Riprese Wes, gettando uno sguardo alla sala.
Tutti coloro che non si erano rivelati favorevoli, si erano schierati inevitabilmente contro la proposta di Sebastian. Tra essi, anche Flint, Richard e David.
Quest’ ultimo sollevò la testa per prendere nota delle mani levate, dopodiché sospirò e permise anche a Wes e Thad di controllare.
«Eccellente» esclamò Wes, battendo il martelletto. «Mozione accolta, sia messo a verbale che da ora in poi proveremo per un altro numero.»
Thad non poté evitare di convincersi di aver fatto la scelta giusta nel notare il sorriso che piegava gli angoli delle labbra di Sebastian. Il ragazzo ringraziò cordialmente i tre, prima di tornare al suo posto con sguardo compiaciuto ma senza scomporsi.
«Sebastian» lo richiamò Wes «vuoi esporci la tua idea?»
Il ragazzo si voltò nuovamente, ghignando come suo solito. «Ovviamente» commentò, accavallando elegantemente la gambe e preparandosi a spiegare ai suoi compagni ciò che gli passava per la testa. 
 

*°*°*°

 
Thad trovò Sebastian, qualche ora dopo, seduto ad uno dei tavolini della caffetteria della Dalton Academy.
La riunione dei Warblers si era conclusa sorprendentemente bene.
I ragazzi avevano ascoltato e valutato attentamente la proposta di Sebastian e, alla fine, chi più e chi meno erano tutti concordi nel volerci almeno provare.
Sebastian sembrava animato davvero dalle migliori intenzioni, ma Thad continuava sentire quel fastidioso prurito che gli faceva pensare che, dietro all’inspiegabile comportamento del suo coinquilino, vi fosse dell’altro.
Sebastian aveva sorriso affabile più volte, ma i suoi occhi avevano continuato a non illuminarsi e Thad non riusciva a smettere di pensarci.
Non aveva risposto a tono, non aveva criticato né ribattuto, né preso in giro o umiliato nessuno. Non si era battuto per far valere la sua opinione né aveva cercato in tutti i modi di mettersi al centro dell’attenzione e convincere gli altri a fare come diceva lui. Eccezion fatta per il tempo in cui aveva spiegato la sua idea agli Warblers, Sebastian era rimasto comodamente seduto al suo posto ad osservare ciò che accadeva intorno a lui e intervenendo solo quando veniva interpellato.
Thad fece il giro del tavolo, posandogli il caffè davanti e sedendosi di fronte a lui.
Sebastian alzò lo sguardo, incontrando la sua figura e aggrottando la fronte nel domandargli, scettico «ti sei perso, Harwood?»
«Io no» commentò Thad, «ma tu a quanto pare si, visto che non sei tornato ancora in camera.»
Le lezioni si erano concluse ormai da diverse ore e anche coloro che si erano intrattenuti per i club pomeridiani stavano velocemente ritornando ai propri alloggi.
Thad aveva atteso nella loro camera che Sebastian rientrasse, ma quando aveva notato che si era fatta ora di cena e che il ragazzo non si era fatto vivo, aveva deciso di andarlo a cercare per assicurarsi che quel groppo che sentiva alla gola rimanesse semplicemente un presentimento astratto.
Quando lo aveva visto alla caffetteria, aveva tirato un sospiro di sollievo nel constatare che, nonostante tutto, Sebastian sembrava stare bene.
Aveva preso due caffè e si era accomodato di fronte a lui, senza comprendere pienamente le ragioni che lo spingevano a farlo.
Sebastian sbuffò, distogliendo lo sguardo. «Non ho bisogno della balia» disse, acido, «so cavarmela perfettamente da solo, risparmia il finto buonismo.»
Thad inarcò un sopracciglio, spiazzato da quell’affermazione.
Finto buonismo?
A Thad non aveva dato fastidio ciò che Sebastian aveva realmente insinuato, quanto l’espressione delusa e rassegnata con cui aveva pronunciato quelle parole.
Non si erano mai sopportati particolarmente, ma Thad ci aveva provato più volte a mostrarsi amichevole con lui ed era impensabile che, dopo tutto quel tempo, Sebastian dubitasse ancora della sua buona fede.
«Se tu provassi a credere nel tuo prossimo» lo rimproverò, «sono certo che avresti molti più amici qui dentro.»  
«Credi davvero di essere la persona adatta per farmi la morale?» Commentò Sebastian, scettico, alzandosi in piedi. «Se è per questo che mi hai appoggiato prima, ti ringrazio, ma ne faccio volentieri a meno.»
Si sistemò la tracolla sulle spalle, prima di dirigersi a passo deciso verso l’uscita.
«Devi sempre essere così maledettamente odioso?» Lo raggiunse la voce di Thad. «Non è così difficile aprirsi con qualcuno, dovresti provare.»
Sebastian non si voltò. Chiuse per un attimo gli occhi, sicuro che Thad non potesse vederlo in viso, serrando la presa intorno alla borsa e ingoiando il nodo che gli aveva stretto lo stomaco.
«Certo» commentò, continuando a dare le spalle all’altro, «e guarda cosa è successo per essermi mostrato per un attimo più debole. Non ho bisogno della tua pietà, Harwood, né di quella di nessun altro.»
Thad distolse lo sguardo, cercando qualcosa da dire che non solo facesse capire a Sebastian che aveva interpretato male le sue parole, ma che, soprattutto, lo convincesse a restare lì con lui.
A chiacchierare, bere caffè e provare ad essere amici.
Non fece neanche il tempo ad alzare gli occhi che Sebastian era già sparito oltre la porta.
 

*°*°*°

 
Thad non aveva voglia di tornare in camera.
Non sapeva se ci avrebbe o no trovato Sebastian ma, in ogni caso, voleva evitare di pensarci. Voleva evitare di dover continuare a domandarsi il motivo per il quale ci tenesse tanto ad avere a che fare con lui e, soprattutto, voleva evitare di doversi nuovamente preoccupare se non lo avesse trovato lì.
Aveva trascorso un paio d’ore in camera di Wes e David, chiacchierando del più e del meno e mettendo da parte, per un momento, la divisa della Dalton che li vedeva nelle vesti dei tre membri del Consiglio.
Entrambi avevano notato il comportamento insolito di Sebastian, ma entrambi avevano deciso di non prestargli particolare attenzione, interpretandolo semplicemente come la quiete prima della tempesta.
Quando Wes aveva ricevuto la telefonata di Blaine, Thad stava per andare via. Si era immobilizzato sulla porta, ascoltando il suono concitato delle parole dell’amico mentre cercava di comprendere ciò che l’altro gli stava dicendo a telefono.
Thad lo aveva visto sbiancare pericolosamente, sedersi sul letto e dire a Blaine di stare calmo e che tutto si sarebbe risolto.
Per un attimo infinito aveva temuto che fosse capitato qualcosa di brutto a Kurt ed era tornato velocemente verso il centro della stanza, sedendosi accanto a lui.
David si era avvicinato, domandando con gli occhi di essere messo al corrente dell’accaduto, ma Wes aveva fatto cenno ad entrambi di aspettare, continuando a rassicurare Blaine e a chiedergli come stesse Kurt.
Il cuore di Thad batteva forte, il doloroso nodo alla gola che si stringeva improvvisamente e gli occhi che pizzicavano.
Per tutto il giorno aveva avuto un brutto presentimento, una sensazione spiacevole sulla pelle che lo aveva reso inquieto. Prima Sebastian, adesso anche Blaine.
Thad davvero non era certo di voler sapere cosa stesse accadendo.
David aveva posato una mano sulla spalla dell’amico per fargli sentire la sua presenza e Wes lo aveva guardato con riconoscenza mentre sussurrava a Blaine che era certo che avrebbe preso la decisione giusta e che poteva richiamare quando voleva.
Quando riattaccò, la sua espressione era fra le più serie che gli altri due gli avessero mai visto in volto.
«Wes» iniziò, incerto, David, «cos-?»
«Devo raccontarvi una cosa» lo interruppe l’altro, immobile.
Più Wes parlava e più David spalancava gli occhi e Thad ammutoliva. Percepiva le parole dell’amico come un mormorio lontano, un sottofondo indistinto, però chiaramente udibile.
Voleva impedirsi di saltare a conclusioni affrettate, impedire ai pezzi di quel perverso puzzle di riordinarsi autonomamente e alla sua mente di spostarsi qualche camera più in là.
Wes gli aveva rivelato di non aver mai sentito Blaine così scosso, ma quando David aveva provato a chiedere se fosse accaduto qualcosa a Kurt, quello aveva scosso la testa passandosi una mano fra i capelli.
Blaine gli aveva raccontato di quel ragazzo, quello che aveva tormentato per tanto tempo Kurt costringendolo, addirittura, a cambiare scuola. Gli aveva spiegato che aveva provato a togliersi la vita e la voce di Wes si era incrinata mentre riferiva l’accaduto ai suoi amici. David gli aveva stretto il braccio, sorridendogli comprensivo, e Wes aveva preso un respiro profondo prima di proseguire.
Thad non lo voleva sapere. Non voleva sapere di Blaine che si era trovato a rivivere il suo passato, o dei sensi di colpa di Kurt. Non voleva doversi preoccupare di Blaine che non sapeva come comportarsi in quella situazione e di Kurt che l’aveva presa peggio di quanto si riuscisse a credere.
Wes stava parlando ancora, rispondendo sottovoce a qualche domanda di David, ma Thad aveva definitivamente smesso di ascoltarlo quando lo aveva sentito pronunciare la parola “Scandals”.
Dopo era stato tutto dolorosamente chiaro.
 

*°*°*°

 
La porta della camera aveva cigolato appena, quando Thad la aveva aperta.
Il cuore continuava a battere forte e le mani gli sudavano per l’ansia e la tensione accumulata.
La prima cosa che notò, appena entrato, fu che faceva freddo, parecchio freddo, e che la stanza era illuminata sebbene le luci fossero spente.
Sebastian era affacciato alla finestra, non indossava più il blazer dell’Accademia e aveva tutta l’aria di non essersi accorto dell’ingresso dell’altro.
Thad si strinse nelle spalle, avvicinandosi e appoggiandosi accanto a lui.
Per un po’ nessuno dei due parlò. Sebastian continuava a fissare un punto indefinito dell’orizzonte, mentre Thad cercava qualcosa con cui spezzare il silenzio.
Non era certo di voler interrompere quel clima quasi surreale che si era creato, ma aveva bisogno di parlare con lui e, soprattutto, aveva bisogno che Sebastian lo ascoltasse.
«Come lo hai saputo?» Si decise a chiedere alla fine. Maledisse la sua mancanza di tatto e di fantasia, ma constatò che porgere una domanda diretta era decisamente meno imbarazzante che girare intorno all’argomento senza mai affrontarlo davvero. Oltretutto non aveva bisogno di ulteriori spiegazioni: era certo che Sebastian avesse capito cosa intendesse.
Infatti, quello scosse leggermente la testa prima di aprirsi in un sorriso tirato.
«Dritto al punto tu, eh?» Rispose, lo sguardo fisso davanti a sé.
Thad non era sicuro che Sebastian si aspettasse una risposta, né tantomeno che quella fosse una domanda. Quando si rese conto che, però, Sebastian non aveva intenzione di aggiungere altro, si limitò a sbuffare e a sistemarsi meglio contro il parapetto.
«Preferivi che iniziassi a parlare del tempo e di altre scemenze del genere per poi arrivarci gradualmente?» Chiese, ironico.
Sebastian sbuffò. «In realtà, preferivo che tu non parlassi affatto, ma a quanto pare non tutti possiamo avere ciò che vogliamo.»
Thad chiuse gli occhi e sospirò pesantemente. «Sai» sbottò, «davvero, non so perché continuo a darti retta e a provare a andare d’accordo con te. Sei impossibile.»
Sebastian non rispose.
Quando si era trasferito in quella scuola, aveva fatto l’impossibile per poter occupare una camera da solo. Non gli piaceva dividere gli spazi con qualcun altro, non gli piaceva che gli altri lo vedessero quando non era perfetto ed impeccabile, non gli piaceva che lo vedessero vulnerabile e spoglio.
Il preside gli aveva fatto notare che quella era, sì, un’Accademia privata e di prestigio, ma che favoritismi del genere non poteva davvero permetterseli.  
Condividere la camera con Thad equivaleva ad avere qualcuno che ti chiedesse costantemente come andava, che esprimesse i suoi pensieri ad alta voce anche quando non era necessario, che cercasse continuamente modi per creare interessi in comune. Che riempisse il silenzio nel quale troppe volte Sebastian si rinchiudeva.
La sua presenza era sempre stata molesta e indesiderata. Thad c’era nei momenti meno opportuni, irrompeva nelle sue giornate come se non desiderasse fare altro, se ne fregava della riluttanza di Sebastian, gli portava il pranzo quando lui non aveva voglia di scendere in mensa, cercava di coinvolgerlo nelle sue attività nonostante Sebastian non gli desse soddisfazioni.
Thad rispondeva per le rime alle sue provocazioni e Sebastian lo detestava per questo. Lo detestava perché, a differenza degli altri, non accettava passivamente i suoi modi da principino viziato, ma li contestava e provava sempre ad avere l’ultima parola. La maggior parte delle volte, fallendo miseramente.
Sebastian non temeva che aprirsi con lui fosse pericoloso. Ciò che temeva era perdere quell’aria di superiorità che tanto ci teneva a conservare e che mai per nessuna ragione al mondo avrebbe dovuto far vacillare. Si era lasciato appena andare, quel pomeriggio, e subito aveva notato gli sguardi sospettosi e straniti degli altri Warblers.
«Comunque» esordì Thad, all’improvviso, «non è perché mi fai pena che cerco di esserti amico.»
Sebastian si impedì di pensare a quanto Thad sembrasse sincero nel pronunciare quelle parole. «E, sentiamo, per quale motivo lo faresti?» Si costrinse a domandare.
Thad fece una smorfia, Sebastian lo osservò con la coda dell’occhio nascondendo un sorriso.
«È importante?» Rispose Thad. «Devo per forza avere una motivazione valida?»
Sebastian si decise ad incontrare il suo sguardo e ciò che vi lesse lo indusse a mettere in dubbio ogni pensiero precedentemente formulato nei confronti del suo coinquilino.
Thad lo guardava con una naturalezza disarmante, aspettando una risposta che Sebastian aveva dimenticato di dover pronunciare, offrendogli un appiglio al quale appoggiarsi ed una spalla su cui posare parte dei suoi pensieri.
«Tu come lo hai saputo?» Chiese, invece. Non che importasse davvero, ma se Thad voleva condividere il peso di quell’avvenimento, da qualche parte dovevano pur iniziare.
Thad si morse il labbro, abbassando lo sguardo «Blaine ha chiamato Wes poco fa e gli ha raccontato tutto.»
Sebastian annuì, pensieroso.
«Lo conosci?» Domandò sottovoce, Thad.
Sebastian tacque un attimo, indeciso sulla risposta da dare. Lo conosceva? Quattro chiacchiere e un insulto potevano davvero essere definiti “conoscere qualcuno”?
«Noi...» iniziò, «abbiamo bevuto una cosa insieme, un paio di volte» detto così sembrava quasi normale, quasi giusto.
«Solo qualche chiacchiera» riprese. «Null’altro.»
Thad si prese un attimo per assorbire quelle informazioni. L’espressione di Sebastian gli suggeriva che dicesse il vero e a Thad, per il momento, bastava questo.
«Per questo hai proposto di fare Stand? Per lui?» Provò a chiedere, cauto.
Non sapeva fino a che punto potesse spingersi con lui. Non avevano confidenza, non erano amici. Erano due ragazzi che condividevano una camera e che si erano incontrati per caso davanti a quella finestra. Thad sentiva che Sebastian si era leggermente lasciato andare e ciò lo spingeva a insinuarsi, come meglio poteva, in quell’infinitesimale strappo che aveva fatto alla sua corazza per evitare che si chiudesse di nuovo. Per evitare che si chiudesse di nuovo e lo lasciasse fuori.
Sebastian stava parlando con lui e questo era già enorme progresso per loro. Non voleva approfittarsene, però, e buttare tutto all’aria per una sua inutile curiosità.
«Suppongo di sì» mormorò Sebastian. «Immagino che, ad un certo punto, tutti si sentano obbligati a fare qualcosa non più per se stessi ma per qualcun altro.»
Sebastian sembrava quasi amareggiato. La sua espressione indecifrabile lasciava intendere che fosse esattamente quello il problema. Sebastian si sentiva obbligato a cantare per quel ragazzo. Per delle assurde ragioni che Thad non comprendeva ma che erano sicuramente sbagliate.
«Qualunque cosa» disse, deciso, Thad, «sia accaduta tra di voi, tu non hai alcun motivo per cui sentirti responsabile di quanto avvenuto. Mi hai capito, Sebastian?»
Quest’ultimo si lasciò andare ad una risata amara, tirandosi su e guardando Thad negli occhi. «E tu che ne sai?» Rispose, atono. «Cosa ne sai tu, Thad?» La voce leggermente più alta del normale.
Era sbagliato, era tutto sbagliato.
Sebastian avrebbe dovuto rispondergli di farsi i fatti suoi, avrebbe dovuto dirgli di stare al suo posto e prodursi in battutine ironiche e pungenti. Non avrebbe dovuto guardarlo con gli occhi spenti e quell’espressione persa, la sua voce non si sarebbe dovuta spezzare e le sue parole non avrebbero dovuto essere maledettamente dolorose.
Thad chiuse gli occhi, respirò profondamente per allontanare quella sensazione di disagio che lo aveva imbrigliato e gli stringeva il petto.
«Lo so, lo so e basta» rispose con sicurezza. «Tu non potresti mai fare del male a qualcuno.»
E ne era assolutamente certo.
«Ne ho fatto a Blaine» lo interruppe Sebastian, le braccia allargate e lo sguardo triste.
«Era uno scherzo, Sebastian» sbottò Thad. «Uno stupido scherzo finito male» chiarì.
«È sempre uno scherzo» sospirò Sebastian. Si strinse nelle spalle, affacciandosi nuovamente alla finestra e tornando a dedicare la sua attenzione al vuoto sotto di sé.
Thad si morse il labbro, soppesando bene le parole da utilizzare per sfuggire a quella spiacevole situazione.
Un brivido gli scosse le spalle quando la notte riversò su di loro un soffio di vento gelato. Aveva perso il conto delle ore trascorse fra la caffetteria, la camera di Wes e David e la conversazione con Sebastian. Poteva essere notte fonda, per quanto ne sapeva.
«Hai provato a scusarti con Blaine?» Chiese.
Sebastian fece una smorfia infastidita. Thad pensò che quello sembrava decisamente il momento in cui, di solito, Sebastian gli diceva di farsi una vita e di smetterla di rompergli le scatole.
Attese un paio di minuti, pensando già ad una riposta sufficientemente affilata e sincera da rifilargli, ma la sfuriata non arrivò.
Con grande sorpresa da parte di Thad, Sebastian si passò un mano alla base della nuca, annuendo sommessamente.
«Gli ho mandato un paio di messaggi» disse, semplicemente.
Sembrava sul punto di aggiungere qualcosa, ma dalla sua espressione Thad dedusse che già quella dovesse rappresentare una bruciante sconfitta per lui: specificare che, con ogni probabilità, Blaine lo aveva completamente ignorato, sarebbe stata un’inutile umiliazione per Sebastian.
Thad non voleva questo. Non voleva constatare fino a che punto il suo compagno di stanza fosse coinvolto in quella storia, né quanto ci tenesse a Blaine e né, tantomeno, quanto adesso stesse pagando per il suo inconcepibile modo di comportarsi con tutti.
«Adesso ti sembrerà un discorso totalmente fittizio e stucchevole» iniziò Thad, congiungendo le mani sotto il mento, «e giuro che negherò fino alla morte di avertelo mai fatto, ma la differenza sta tutta qui Sebastian.»
L’altro si permise di tornare ad osservarlo per un attimo, ascoltando attentamente le sue parole.
Thad aveva lo sguardo fisso dinanzi a sé, la fronte corrugata per l’intensità delle parole che pronunciava.
Sembrava partecipe e maledettamente sincero. Su questo Sebastian non aveva alcun dubbio.
Lo aveva allontanato in tutti i modi che conosceva, eppure non era servito.
Non aveva mai fallito così clamorosamente prima di quel momento.
È vero, Thad era una sorta di spina nel fianco particolarmente appuntita e dolorosa, ma, tutto sommato, era un fastidio relativamente piacevole da sopportare.
Lo aveva offeso, umiliato, schernito e preso in giro, ma Thad era tornato. Thad tornava sempre, a ben pensarci.
Se ne stava lì, lo sguardo fisso e concentrato e l’espressione serena in viso, a pronunciare parole di conforto che Sebastian non era sicuro di meritarsi.
Sapeva che stava perdendo il controllo della situazione, sapeva che si stava mostrando debole e insicuro. Vulnerabile.
Lo sapeva e ne era spaventato, ma non riusciva ad impedirsi di essergli riconoscente per il semplice fatto di essere lì.
«Hai fatto una cazzata» stava dicendo, «più d’una, a dire il vero, ma stai cercando di rimediare ed è questo che, a conti fatti, è importante.»
Tacque, aspettando una qualsiasi reazione da parte di Sebastian. Quando questa non arrivò, proseguì più fiducioso di prima.
«Hai provato a scusarti con Blaine e adesso vuoi cantare per quel ragazzo» dichiarò, «come puoi anche solo pensare che questo non voglia dire nulla?»
Sebastian non era affatto stupido. Aveva chiaramente compreso dove volesse andare a finire il discorso di Thad e non poteva fare a meno di esserne intimorito.
«Ti prego, non dirl-»
«Tu non sei cattivo, Sebastian.»
Troppo tardi.
Sebastian si passò stancamente una mano sulla fronte, sospirando per il peso che quelle parole avevano avuto sulla sua autostima.
«Puoi farci credere quello che vuoi» proseguì Thad, impassibile, «ma, tutto sommato, sei esattamente come me. Solo ch-»
«No, adesso stai esagerando» lo interruppe, bruscamente, Sebastian. «Smettila di psicanalizzarmi, smettila di parlarmi come se io e te fossimo amici o come se ci conoscessimo.»
Thad lo fissò sconcertato, la bocca schiusa e gli occhi vigili.     
Decisamente non poteva ammettere di non aspettarsi quella reazione. Solo che il momento era sbagliato, era tutto sbagliato. Sarebbe dovuta arrivare molto prima, non adesso che Thad si sentiva così connesso a lui.
«Pretendi di venire qui» continuò quello «di dirmi due puttanate qualsiasi con quella tua voce assolutamente detestabile e quegli occhi che trasudano sincerità e costernazione da ogni poro, ma io non te l’ho chiesto. Non ti ho chiesto nulla e non voglio che pensi che questo cambierà le cose tra di noi.»
«Non lo penso, infatti» rispose, tranquillo, Thad.
Sebastian si chiese a che punto della sua filippica si fosse alzato in piedi, visto che adesso si ritrovava ad osservare Thad dall’alto, il fiato corto e una mano stretta a pugno.
Continuava a starsene affacciato alla finestra, le braccia incrociate e la testa piegata su di un lato. Lo osservava come se avesse già previsto quella reazione e, anzi, la stesse addirittura aspettando.
Si sentì fastidiosamente messo a nudo eppure, inaspettatamente, confortato.
Aveva provato ad allontanare Thad con ogni fibra del suo corpo e quello non solo era puntualmente ritornato, ma si era anche preso il lusso di conoscerlo meglio di quanto Sebastian avesse creduto possibile.
Abbassò quel dito che continuava a puntargli contro, perentorio, boccheggiando nel realizzare che se Thad in quel momento si trovava lì era solo perché glielo aveva, inconsciamente o meno, permesso lui.
Si ritrovò ad avvicinarsi nuovamente a lui, posando i gomiti sul davanzale e ritornando a fissare il profilo immobile del giardino dell’Accademia.
«Grazie, comunque» sussurrò, incerto. Quella parola suonava stranamente piacevole alla pronuncia. Avrebbe dovuto ricordarsene.
Thad inarcò un sopracciglio, preso decisamente alla sprovvista. «Mi… mi stai davvero ringraziando?» Volle accertarsi.
Sebastian si produsse in una risata molto simile ad un latrato che fece sentire Thad come se avesse il cemento al posto del sangue nelle vene.
Sembrava quasi sincero e riconoscente e Thad non riusciva a conciliare tutte le nuove informazioni che, nell’ultima mezza giornata, aveva acquisito con l’immagine del ragazzo con cui era abituato a convivere.   
«Così pare, Harwood» rispose l’altro, scocciato, «e non ti azzardare a farmelo ripetere.»
Thad ghignò, annuendo. Okay, quello era il Sebastian che conosceva. O che, almeno, credeva di conoscere.
Non era sicuro che con quella chiacchierata sarebbe cambiato qualcosa tra di loro, ma almeno lui ci aveva provato e adesso Sebastian stava sorridendo sereno. Se non altro avrebbe smesso di sembrare l’ombra del ragazzo pungente e irritante che era solitamente. Era già qualcosa.
«Sì, sai» gesticolò quello, piuttosto a disagio, «mi fa piacere che sia venuto a cercarmi e per tutto il resto.»
Thad trattenne una risata divertita e compiaciuta. Quello era addirittura meglio di quanto avesse osato sperare.
«Insomma» continuò Sebastian, «poteva andarmi peggio. Poteva capitarmi quel decerebrato di Duvall o uno dei tuoi amichetti consiglieri.»
Ecco, avrebbe dovuto aspettarselo.
«Ma quanto sei carino» commentò, ironico, Thad. Quella situazione era più facilmente gestibile per lui, era più alla sua portata.
«A pensarci bene, tu andavi bene» proseguì Sebastian, accarezzandosi il mento. «Tra i due mali, mi è capitato quello minore.»
Thad sorrise, comprendendo che quello era molto più di quanto chiunque avesse mai ottenuto da Sebastian e sentendosi, in effetti, molto lusingato.
«E se ti azzardi a farne parola con qualcuno-» iniziò Sebastian, ma Thad lo interruppe.
«Scherzi?» Sghignazzò. «Adesso ti tengo favolosamente in pugno e non sai quanto è esaltante la sensazione di onnipotenza che deriva da questa consapevolezza.»     
«Non puoi vincere contro di me, Harwood» chiarì Sebastian, incrociando le braccia al petto.
«Ma io non voglio vincere, mi basta giocarmela alla pari» commentò Thad, imitandolo e piegando le labbra in un sorriso malandrino.
Sebastian annuì compiaciuto, voltando la testa di lato e trattenendo una risata.
«Touché» gli concesse, sbuffando all’espressione assolutamente sbalordita di Thad. 
Probabilmente nulla sarebbe cambiato, probabilmente sarebbe cambiato tutto, ma, a conti fatti, poco importava. Non in quel frangente, almeno.
Tutto quello che contava davvero era in quel posto e in quel momento ed era una consapevolezza talmente disarmante che quando Sebastian la realizzò si sentì piacevolmente accaldato.
Thad era l’unico ad averlo visto senza blazer e a non averlo allontanato.
 
The End.
 
 
 
 
   
 
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