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Autore: ClaryMorgenstern    28/02/2012    1 recensioni
-Anche gli adulti sono stati bambini, Anche se pochi di essi se ne ricordano-  Antoine de Saint-Exupéry
Benvenuti alla mia nuova pazzia. Questa sarà una raccolta di One Shot un po' particolare. Inizierà con due storie che avevo pubblicato nell'altra raccolta, "Idris's Heartbeat"  e parlano dei nostri amati protagonisti, però da bambini.
Avevo pensato di scriverne una sola che parlava d'infanzia vissuta, ma mi sono resa conto che dentro Clary, Jace, Magnus, Alec e -Perchè no- anche Valentine ci sono dei bambini che vogliono urlare la loro storia. Io sono qui per dargli una voce.
The Mortal instruments è una trilogia fantasy. Ma è con i bambini che accadono le vere magie.
Genere: Fantasy | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: Raccolta | Avvertimenti: nessuno
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Come eravamo; Parte V  - Enough
 
«Alexander!»
Alec si girò ed uscì dalla palestra senza voltarsi indietro. Corse per un tempo che gli parve infinito, cercando un posto nell'immenso edificio, quale era l'istituto, dove potersi nascondere.
Stremato, alla fine di quella corsa, trovò una delle stanze libere per gli Shadowhunters in viaggio. Senza pensarci due volte aprì le ante di legno lucido di un armadio e si chiuse al suo interno.
E solo allora cominciò a piangere. Si sentiva in imbarazzo, troppo grande per versare tutte quelle lacrime, nascosto e da solo, troppo grande per avere così paura. Ma non poteva impedirlo. Non poteva impedire quello che doveva affrontare, proprio perché era grande abbastanza.
Dopo dieci minuti, le lacrime si fermarono da sole. Alec poggiò la testa sul legno dell'armadio. Pensando con più lucidità, forse era meglio uscire ed affrontare la cosa da vero Shadowhunters. Ma le gambe non volevano collaborare, e neanche lui.
Aveva visto troppe volte il dolore causato dalle rune, per non avere paura. Aveva sentito sua madre gemere di dolore, mentre suo padre le passava lo stilo incandescente sulla pelle.  Aveva letto tanti libri, sulle rune. Su quello che possono causare, se non si è forte abbastanza da sopportarle: Incubi, febbre alta, rigetti violenti, emicranie e, in rari casi eccezionali, la morte.
E Alec non era abbastanza forte. Aveva dodici anni. Era giovane, era inesperto. Si, aveva un'ottima mira con l'arco, ma ciò non faceva di lui un buon cacciatore.
Jace era un buon cacciatore. Lui era veloce, era forte, era agile. Talvolta, mentre venivano preparati da Hodge, Jace scattava così velocemente che Alec non lo vedeva neppure: Un secondo era lì, l'attimo dopo era dietro di lui brandendo una spada, con la coincidenza di pensiero e azione.
Ma Jace era ancora troppo giovane, per ricevere il primo marchio. A parere di Hodge anche troppo inesperto, e impaziente.
Alec avrebbe volentieri fatto a cambio.
In quel momento, un fascio di luce da sotto le ante gli fece sapere che qualcuno era entrato nella stanza. Allora le porte dell'armadio si aprirono e Jace gli gettò un'occhiata interessata, di traverso. «Lo sai che ti stanno cercando tutti, vero?»
Alec tirò su col naso. Jace adorava fare domande dall'ovvia risposta.  «Già»rispose Alec.
«E hai intenzione di uscire da lì?»
«No.»
Jace allora si issò sull'armadio e si sedette accanto a lui, facendolo rimanere un po' stretto e chiuse le ante dell'armadio. «Okey, allora» Jace era nato e cresciuto ad Idris, e solo di recente aveva cominciato ad usare espressioni tipicamente americane come Okey. Lo fece sentire leggermente rincuorato.
Stettero in silenzio per alcuni minuti. Beh, quantomeno Alec. Jace canticchiava una canzone che Alec conosceva bene: Era la ninna nanna che sua mamma gli cantava quando aveva gli incubi, la notte. A la claire fontaine m'en allant promener []. E Jace gliela stava cantando adesso che aveva paura. 
Alec gli diede uno spintone. «Ahi!» si lamentò lui. «Perché l'hai fatto?»
«Perché sei un idiota»
Jace lo guardò truce.«Senti chi parla: Il fifone chiuso nell'armadio»
Alec resse il suo sguardo. «Non sono un fifone»
Jace gli fece un gran sorriso canzonatorio. «Dimostralo, allora»
«Bene!» Alec aprì le porte dell'armadio e scattò in piedi. Percorse il tragitto che l'aveva portato lì a ritroso, con Jace al seguito. Non ne era certo, ma gli sembrava che sorridesse.
Arrivato alle porte della palestra si fermò. Ripensando al sorriso canzonatorio dell'amico, e per sbattergli in faccia che era molto più coraggioso di lui, prese un bel respiro e aprì la porta.
Sua madre era lì, insieme al tizio del Conclave pronto a fargli il marchio. Lo sgridarono parecchio, ma Alec non li ascoltò nemmeno. Si mise al centro della sala, in attesa. Vide che Jace si era seduto su una cassa contenente armi, a guardare la scena divertito. Alec gli fece la linguaccia.
Appena il tizio del conclave gli si avvicinò con lo stilo, perse buona parte del coraggio che l'aveva portato fin lì. Alzò lo sguardo su Jace. Non lo guardava con sfida, né con la sua solita aria da idiota arrogante. Lo guardava con incoraggiamento, come a dirgli che lui sarebbe stato lì, con lui, in ogni caso.
Quindi Alec non ebbe più paura, quando lo stilo gli toccò la pelle tenera della mano. Faceva un male del diavolo, ma non scappò, né pianse.
Ebbe degli incubi, quella notte. E Jace rimase con lui. Tutto il tempo.
 
 
«Non fare il fifone, Wayland.» Alec alzò la maglia di Jace, steso a terra vicino alle rotaie. Aveva parecchi lividi e contusioni. Anche la spina dorsale sembrava lesa, oltre al braccio rotto e alle diverse costole spezzate. Alec pensava che fosse il minimo, per un idiota che si gettava dalla metropolitana in corsa per catturare un Eidolon intrufolatosi sul treno.  «Sta fermo» gli disse. «Non riesco a fare l' Iratze se ti muovi così»
Jace rise, assumendo una smorfia di dolore per le costole rotte. «Che ne dici di farmi questo benedetto Iratze prima che faccia giorno, Alec?»
Alec posò lo stilo sulla pelle tesa del ragazzo. l'iratze apparve sulla sua pelle in una vorticosa serie di linee scure. Appena sollevò lo stilo, Jace emise un sospiro di sollievo. «Molto meglio» sentenziò.
«Quando vuoi» disse Alec, alzandosi e infilando lo stilo nella cintura. «ma la prossima volta che ti butti dal treno in corsa, ti lascio lì»
Jace rise, sotto il sangue e la cenere. «Non lo faresti mai»
Alec alzò gli occhi al cielo. «vero» sospirò.

***

Visto che non ci ho messo un mese? *si autoconvince di non essere stata lenta*

 
 
  
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