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Autore: Pandora86    29/02/2012    6 recensioni
È in corso il torneo interscolastico. Lo Shohoku ha appena battuto lo Shoyo guadagnandosi l’accesso alle finali. Tutti sappiamo come andranno a finire le partite, ma… come si evolveranno le relazioni tra i giocatori?? Cosa pensa Kaede Rukawa di Hanamichi Sakuragi?? E quali segreti nasconde Hanamichi Sakuragi dietro la sua perenne ilarità??
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Sportivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Hanamichi Sakuragi, Kaede Rukawa, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Ed ecco a voi il primo capitolo. Questo è un capitolo introduttivo della storia che inizia a prendere forma, e dai prossimi capitoli si movimenterà dato che saranno un po’ più discorsivi, non abbandonando tuttavia la base introspettiva.
I protagonisti, come vedrete, hanno una crescita molto lenta che credo si adatti bene ai loro caratteri complessi.
Mi raccomando… fatemi sapere cosa ne pensate!!!
Grazie mille a chi ha recensito e a chi ha inserito la storia nelle seguite.
Grazie anche a tutti i lettori silenziosi.
Buona lettura!!!!
 
 
Capitolo 1. Ricordi
 
“Allora Hanamichi, com’è andato l’allenamento?” domandò Mito fuori dalla palestra.

“Eh, eh, eh, sono il Tensai, io! Ah, ah, ah”.

“Il solito idiota!” diede il suo contributo Rukawa.

“Ehi, brutta volpe, vuoi che ti spacchi il muso?” s’inalberò Hanamichi stringendo i pugni.

“Coraggio Hana, lascia stare” intervenne Mito mettendogli una mano sulla spalla. “Andiamo” aggiunse, trascinandosi dietro l’amico.

Che cavolo ti intrometti idiota? fu questo il pensiero di Rukawa guardandoli allontanarsi con un moto di fastidio.

Si soffermò ancora una volta sulla sua figura. Si ritrovò a pensare che, anche visto di spalle, il suo compagno di squadra sembrava imponente. Tuttavia, il modo in cui camminava affiancato dagli altri, le mani in tasca e la testa chinata… perché appariva così inappropriatamente triste? Le sue spalle… sembrava che portassero un grosso peso invisibile agli altri.

Perché aveva quest’impressione? Avevano appena vinto una partita importante, perché l’entusiasmo della squadra non contagiava anche lui che era il casinista per eccellenza? Si va bene, la mattina appena visto l’articolo si era esibito più del solito mettendosi in ridicolo all’ingresso della scuola e anche in palestra si era messo in mostra come al solito. Peccato che però ci fosse qualcosa di diverso… gli occhi rimanevano seri anche durante le sue pagliacciate, soprattutto poi quando aveva iniziato a fare i fondamentali. Sakuragi aveva definitivamente gettato la maschera e non aveva rivolto più la parola a nessuno.

Quel dannato ragazzo era una contraddizione vivente… perché doveva sempre andare controcorrente?

Si riscosse dai suoi pensieri accorgendosi, solo allora, di essere rimasto fermo almeno un paio di minuti a fissare il cancello della scuola. Sakuragi era uscito dalla sua visuale da un po’.

Dandosi mentalmente dell’idiota, si avviò verso casa.

In fondo, è solo un do’aho.

E fu questo il pensiero che lo accompagnò nel tragitto verso casa. Eppure… anche se in modo offensivo non riusciva a fare a meno di pensare al compagno di squadra.

Entrò nell’imponente casa, dirigendosi direttamente verso la sua stanza. Si sdraiò sul letto e ricominciò a pensare all’ultima partita. E soprattutto alle azioni di Hanamichi.

Da quando lo chiamava per nome? Ma era una domanda di cui conosceva già la risposta.

L’aveva chiamato per nome quella mattina di quella che sembrava una vita fa, quando si era recato al campetto per i suoi soliti allenamenti e vi aveva trovato Hanamichi  ad allenarsi nel tiro sotto canestro. Si era effettivamente sorpreso di trovarlo lì. Lo aveva guardato e riguardato e, ovviamente, aveva guardato anche la ragazzina che si era presa la briga di allenarlo. Con che presunzione poi non lo sapeva, visto che a lui era subito stato chiaro che era la mano che non andava. L’elevazione e la potenza erano buone. Anche la postura. Ma era la posizione della mano che era sbagliata. Eppure… era un errore da poco considerando il tutto. Perché Hanamichi non aveva la più pallida idea della tecnica giusta per eseguire un tiro così elementare, come lo definiva lui, però in un solo giorno era arrivato a padroneggiare della tecnica e, se qualcuno gli avesse suggerito il modo giusto di come poggiare la mano, avrebbe fatto sicuramente canestro. Dove aveva imparato poi, non lo sapeva. Di certo non guardando lui il giorno prima, quando il capitano gli aveva chiesto di mostrargli il tiro e Kogure gli aveva suggerito di prendere spunto dai suoi movimenti. Non aveva fatto altro che fare casino e ostacolarlo in tutti i modi che gli venivano in mente. Aveva persino fatto finta di chiedergli scusa per poi lanciargli contro la cesta di ferro con le palle da basket. E allora, se non l’aveva osservato per niente, come mai riusciva già così bene nella postura?

Semplice… aveva talento, ma questo non l’avrebbe mai ammesso. Era nato per fare quello sport. Fu in quel momento che Rukawa ebbe la certezza di questo.

Che fosse in gamba l’aveva già pensato quando aveva battuto il capitano a inizio anno, in quella famosa sfida dove tutta la scuola era accorsa. Ricordava ancora particolare per particolare. Erano nove a nove e presto Akagi avrebbe fatto il decimo tiro che gli avrebbe assicurato la vittoria. Cosa era avvenuto poi?

Sakuragi aveva deciso di fare sul serio. Tutti gli altri oramai credevano che il capitano avesse già vinto ma lui si era accorto che qualcosa nello sguardo del rosso era cambiato. Aveva visto il fuoco nei suoi occhi accendersi. Per Hanamichi Sakuragi la sfida iniziava in quel momento. E, da quello sguardo, Rukawa aveva capito che la combattività di quel ragazzo era sopra ogni limite, così come la sua tenacia. E, infatti, aveva vinto, esibendosi con un’elevazione e una forza muscolare fuori dal normale. Oltre che in un’azione spettacolare che, tenendo conto del fatto che non avesse mai praticato quello sport, aveva dell’incredibile.

Poi Rukawa era andato via con un pensiero.

Devo ammetterlo Sakuragi. Sei stato in gamba.

E, nei giorni successivi, non aveva potuto fare a meno di pensare a quello sguardo e si era ritrovato contento senza saperne il motivo quando era entrato nella squadra.

Tuttavia Hanamichi non aveva fatto altro che fare l’idiota, sbandierando i suoi Harukina cara ai quattro venti, e la testa calda pronta alle mani quando si trattava di lui, non facendo altro che portare scompiglio agli allenamenti e a mettersi in mostra. Rukawa non aveva più visto quel volto se non di sfuggita. E aveva iniziato a osservarlo sempre con maggiore attenzione, per rivedere quello sguardo, per capire… cosa poi… non gli era ancora chiaro… sentiva solamente che c’era qualcosa di più.

Tuttavia, solo quella mattina, osservandolo fare il tiro aveva capito il suo potenziale, un potenziale che neanche il ragazzo sapeva di avere, anche se sbandierava di essere un genio a destra e a manca.

E nelle partite poi… quella con lo Shoyo in particolare…. Quando l’asso della squadra avversaria era entrato in campo e quando Sakuragi aveva commesso il quarto fallo, cos’aveva provato?

Inutile negarlo, si era preoccupato, perché sapeva che era un elemento fondamentale. Per questo non aveva potuto fare a meno di spronarlo quando sembrava che in campo non ci fosse. E quando aveva fatto quella schiacciata, cosa aveva provato?

Adrenalina? Emozione? Impossibile definirlo… non aveva potuto fare a meno di fargli i complimenti. Di dirgli che era dispiaciuto. Ed era la verità… ma cosa provava realmente?

I suoi gusti sessuali non erano un mistero: sapeva benissimo di preferire il suo stesso sesso anziché quello opposto. Ma non era solo attrazione fisica e lui lo sapeva. Perché di Sakuragi non gli interessava il corpo quanto la mente, le espressioni dei suoi occhi, quelle vere però… non quelle che mascherava dietro le sue buffonate. Perché di questo era sicuro… Sakuragi era molto più di quello che mostrava, per questo lo voleva in campo durante gli allenamenti e lo odiava quando si faceva estromettere. Per questo lo provocava e finiva in rissa con lui. Voleva sapere. Voleva capire cosa nascondesse. Per quanto il suo corpo lo attraesse non poco, questo lo doveva ammettere. Però… era la sua anima quella che voleva, quella vera.

Rukawa si alzò dal letto sbuffando… di questo passo non avrebbe dormito neanche a volerlo.

Guardò con disappunto l’ora notando che era in ritardo. Aveva passato le ultime ore del tardo pomeriggio a pensare a Sakuragi.

Erano le otto di sera e tra poco suo padre sarebbe passato a prenderlo per andare a cena fuori.
Perso com’era nei suoi pensieri, non aveva tenuto conto dell’ora e suo padre sarebbe stato lì a momenti.

Già, suo padre. Non che la cena con lui gli dispiacesse. Era più corretto dire che la cosa lo lasciava totalmente indifferente. Quella sera poi era solo un po’ infastidito perché non aveva dormito. Tuttavia, dire espressamente cosa pensava di quelle uscite avrebbe ferito il genitore ed era questo il motivo per cui le accettava con stoica pazienza senza fiatare.

Da quando era morta sua madre, suo padre si era dedicato anima e corpo al lavoro. Cercava di essere presente ma Kaede capiva che, anche quando gli era vicino e cercava di interagire, la sua mente era lontana, altrove. Rapita da un ricordo troppo doloroso. Ed anche lui, faceva lo stesso. Quando era vicino al padre, anche lui, nonostante fosse presente fisicamente era altrove, chiuso nei suoi silenzi.

Quando non viaggiava per lavoro, suo padre aveva preso l’abitudine a rimanere nel suo ufficio a Tokyo.

Prima un giorno, poi due, poi settimane. Fino a che, secondo un tacito accorto tra padre e figlio, si era trasferito lì, consapevole dei sentimenti di Kaede. Lui si allontanava da una casa pregna di ricordi per riuscire ad andare avanti e interagire con il mondo. Il figlio invece ci restava volentieri, circondandosi di ricordi e interagendo sempre meno con gli altri.

Due modi diversi per affrontare lo stesso dolore. Un dolore che li aveva allontanati.

Eppure, nonostante tutto, suo padre cercava di essere presente, con quelle cene per l’appunto. E lui non si tirava indietro.  Lo passava a prendere per andare a cenare nei ristoranti più costosi di Kanagawa, certo che la pigrizia del figlio, non gli avrebbe consentito di uscire dalla prefettura. Kaede si riscosse dai suoi pensieri sentendo il telefono squillare.

Ecco appunto pensò dandosi mentalmente dell’idiota e, cercando di rendersi presentabile in meno di cinque minuti, si preparò a uscire di casa imprecando fra se contro il doaho che gli aveva fatto perdere tempo.
 

                                 ………………………………………………………………………
 

Erano da poco passate le undici. Kaede si appoggiò sbuffando al muro dell’uscita del ristorante.

La cena si era svolta in tutta tranquillità. Solite raccomandazioni, soliti sguardi crucciati sui suoi voti senza però ricevere nessun rimprovero, solite promesse di andarlo a vedere giocare mai mantenute. Solite cose insomma.

Il padre lo aveva lasciato all’uscita dicendogli che sarebbe andato a prendere la macchina. Come al solito. Erano passati alcuni minuti e del genitore nessuna traccia. Di sicuro tra un po’ sarebbe arrivato dicendogli che era stato trattenuto da una telefonata importante. Ed anche questo era abituale. Soliti schemi.

Chiuse gli occhi e lasciò di nuovo vagare i suoi pensieri. Una nota testa rossa si fece largo nella sua mente e neanche di questo Kaede si sorprese più di tanto.

Sapeva benissimo di pensare quasi sempre al suo compagno di squadra e la cosa non gli creava nessun problema. Perché, tra tutti i suoi difetti, la non obiettività non ne faceva parte. Era sempre stato obiettivo, forse fin troppo con se stesso. Non si nascondeva dietro un dito, non l’aveva mai fatto. Non avrebbe mai mentito a se stesso.

Era una di quelle persone che avrebbe potuto elencare tutti i suoi pregi e i suoi difetti senza scomporsi minimamente e, essere obiettivi, era una di queste qualità.

Sapeva con certezza di essere un campione. Come sapeva che i suoi voti scolastici lasciavano a desiderare e che lui non facesse niente in proposito. Come aveva saputo che la malattia che aveva colpito la sua mamma era di quelle brutte e che suo padre, dopo la sua morte, stava  troppo male per continuare a fare il genitore.

Anche quando aveva capito i suoi gusti sessuali non si era fatto troppi problemi e aveva accettato la cosa con indifferenza. Perché per lui l’importante era sapere. Se non avesse saputo i suoi sbagli nello sport non sarebbe riuscito a diventare quello che era.

Per questo pensare al compagno di squadra non gli creava problemi. Anche se non l’avrebbe mai ammesso con qualcuno, neanche sotto tortura, non mentiva a se stesso. Mai. Aveva capito che gli piaceva pensare a lui. Come aveva capito di non avere nessuna possibilità considerando l’odio che questo non si preoccupava di nascondere e considerato il fatto che era indiscutibilmente etero, come dimostravano i suoi Harukina cara sbandierati a tutta la popolazione mondiale. Aveva capito che avrebbe solo potuto continuare a osservarlo in silenzio e pensare a lui. Faceva male? Sì, però l’aveva accettato, e ci conviveva.
La sua mente corse al loro primo e, forse unico, scambio di battute amichevoli che avevano avuto durante l’ultima partita.
 
“Ehi” l’aveva chiamato.

“Nh?” aveva mugugnato aggressivo l’altro, e come dargli torto. Il suo peggior nemico , il suo rivale in tutto, dallo sport, all’amore, che gli rivolgeva la parola dopo che era stato espulso.

“Mi dispiace molto. Era un bel tiro” aveva detto.

Ed era quello che pensava. Era la pura e sacrosanta verità. Era stata un’azione bellissima ed anche il pubblico si era esaltato. E l’arbitro che faceva? Fischiava.

Non era giusto. Non dopo quell’azione che era stata spettacolare. Non dopo che finalmente il pubblico acclamava le doti del compagno di squadra.

Rabbia. Era stata rabbia, quella che aveva provato Kaede in quel momento. E sicuramente ne provava anche Sakuragi. Tuttavia, l’aveva visto alzare la mano in silenzio. Nessuna imprecazione, nessuna pagliacciata. Niente di niente.

E aveva ritrovato quello sguardo. Quello vero. Ed era per questo che gli aveva rivolto la parola seriamente. Nessuna provocazione, nessun sarcasmo. Un complimento. Un complimento che andava al vero Hanamichi. Non al buffone, al Tensai, o a tutto quello che era capace di cacciare la sua mente quando era inserita la modalità megalomania.

Poi... cos’aveva visto quando lui gli aveva fatto quel complimento? Gratitudine?

Non avrebbe saputo dirlo con esattezza. Già si era sorpreso che non avesse iniziato a insultarlo, visto che ogni scusa era buona per venire alle mani con lui. Di certo aveva visto stupore, ma era durato un attimo. Perché poi lui si era voltato e il compagno di squadra,  dopo aver guardato con altrettanto stupore il pubblico che lo acclamava,  si era diretto alla panchina in silenzio.

Anche Ayako aveva notato quanto Sakuragi fosse diverso. Lui, dal bordo campo, aveva seguito il loro breve discorso.

“Come ti senti dopo quella schiacciata? L’adrenalina è ancora in corpo?” aveva detto allegra.

“A dire la verità …ecco… mi sento un po’ stanco” erano state le parole di Sakuragi. 

Il tono basso… insolito per lui.

Ayako l’aveva guardato in modo strano, rimanendo un attimo sconcertata. Anche lei probabilmente si era preparata a dover contenere uno dei suoi spropositati show. E invece… si era seduto in panchina, in silenzio, abbassando lo sguardo. Negando il suo vero volto, non solo a lui, ma a tutti questa volta. Un volto in cui si sarebbe potuto scorgere qualcosa di diverso dal solito.

Il suo vero volto.

Lo stesso volto che Kaede aveva visto nella stessa partita, precedentemente alla schiacciata. Un volto preoccupato per la paura di fare fallo e di essere espulso. Nessun genio anche questa volta. Ma solo un ragazzo che sa di essere inesperto e che non sa cosa fare. Ed anche allora Kaede gli si era avvicinato per spronarlo. Anche questa volta nessuna battuta sarcastica. Perché non era sarcastico quando Hanamichi decideva di essere se stesso. Non era sprezzante quando parlava al suo vero volto. Come allo stesso modo si regolava di conseguenza quando era inserita la modalità buffone. Quel ragazzo era molto di più di quanto mostrava. Oramai aveva la certezza che lui lo facesse apposta a mostrarsi così. Era allegro e solare certo, eppure con quel suo modo di fare non dava a nessuno la possibilità di conoscerlo veramente. Come lui del resto. Solo che lui era più onesto con se stesso. Non amava interagire con le persone e non lo nascondeva. Quel Sakuragi invece….

Sbadigliò. Il padre tardava ma non si preoccupò; era tutto come al solito!

Prestò una vaga attenzione alle voci che provenivano dal vicolo di fianco...

Non è possibile! pensò, aprendo di scatto gli occhi.

Si doveva essere addormentato in piedi pensando al Dohao e, di conseguenza, aveva anche immaginato quella voce.

Prestò nuovamente attenzione... No! Non stava sognando!

Che diamine ci faceva lì?!

Si avvicinò con cautela all’entrata del vicolo, senza però farsi vedere, rimanendo poi sconcertato allo spettacolo che gli si parava davanti.

Solo una parola, che fu appena un sussurro, uscì dalle sue labbra.

“Dohao!”


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