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Autore: Pandora86    26/02/2012    8 recensioni
È in corso il torneo interscolastico. Lo Shohoku ha appena battuto lo Shoyo guadagnandosi l’accesso alle finali. Tutti sappiamo come andranno a finire le partite, ma… come si evolveranno le relazioni tra i giocatori?? Cosa pensa Kaede Rukawa di Hanamichi Sakuragi?? E quali segreti nasconde Hanamichi Sakuragi dietro la sua perenne ilarità??
Genere: Introspettivo, Sentimentale, Sportivo | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai, Yaoi | Personaggi: Hanamichi Sakuragi, Kaede Rukawa, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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 Ecco a voi una storia incentrata sui nostri protagonisti preferiti. Si tratta di una fic molto introspettiva che segue la linea generale del manga e dell’anime, come potrete notare dalla linea generale dei fatti e da alcuni dialoghi, arricchendo però, con nuovi avvenimenti, le giornate dei nostri protagonisti e non solo. 
Mi raccomando… fatemi sapere cosa ne pensate!!
Buona lettura!                             
 
                                                  Il tuo vero volto
 

Prologo
 
“Ah, ah, ah, sono un genio! Ah, ah, ah” esclamò Sakuragi con le mani sui fianchi e la faccia da idiota.

Quel giorno, dopo aver letto l’articolo su di lui a scuola, era più incontenibile del solito.

“Come no, il genio degli stupidi!”  rispose Miyagi al suo fianco.

“Riprendi l’allenamento, Hanamichi. Anzi, credo che ripassare i fondamentali non ti farà male” intervenne Ayako dandogli una sventagliata sulla testa.  “E finiscila con queste scemate!”  concluse severa.

“Uffa!” piagnucolò  il rosso. “Sono un genio incompreso”.

“Forza Hanamichi, sei tutti noi!” urlò incoraggiante Haruko dagli spalti.

“Harukinaaa”.

“I fondamentali ti aspettano, Hanamichi” intervenne ancora Ayako sogghignando e,trascinandolo a bordo campo.

“No, i fondamentali noooo” piagnucolò ancora.

 “Finiscila di fare il buffone!” lo bacchettò, per l'ennesima volta, Ayako.

“Coraggio, cosa vuoi che siano i fondamentali per un genio come te” lo incoraggiò sarcastico Miyagi, scatenando l’ilarità generale.

E l’allenamento riprese.

Sakuragi iniziò i fondamentali.

“Dai, non ti sarai offeso, Hanamichi”  sorrise Ayako vedendolo così serio. “Che faccia scura che hai”.

“ Certo che no, sono un genio! Ah, ah, ah”.

“Come non detto” sospirò Ayako dandogli un'altra bacchettata.  “Al lavoro genio”.

Come non detto ripensò Sakuragi alla frase della sua allenatrice. Si era stupita di vederlo serio, ma si era ricreduta un istante dopo. Già, era così facile per le persone vedere solo quello che volevano. E lui sapeva esattamente cosa volevano da lui. Volevano vedere il buffone. Non importava quanto fingesse o quanto fosse di cattivo umore. Loro non volevano sapere. Loro non volevano vedere.

E riprese l’allenamento. Lui odiava i fondamentali. Li odiava perché erano troppo facili e non gli impedivano di pensare.
Quando giocava in una partita, d’allenamento o meno, lui sentiva la concentrazione crescere, l’adrenalina scorrergli nelle vene. Si sentiva vivo. Esisteva solo la palla e nient’altro.

Ma poi, una volta finito il gioco, ecco che ritornava il vuoto che aveva dentro. Quello che gli altri non volevano vedere, quello che lui stesso non voleva vedere. Ed era per questo che odiava i fondamentali.
La palestra e gli allenamenti erano ciò di cui aveva bisogno per scacciare il vuoto. E questo gli era negato perché doveva fare quegli stupidi fondamentali che permettevano ai suoi pensieri di scorrere, senza che lui potesse fermarli. E lui non voleva. Nessuno voleva vedere. E continuò a ripetersi questo, mentre la palla scorreva veloce tra le sue mani ancora più veloci.
 
Canestro.

Come al solito Rukawa era andato a segno con facile precisione scartando i suoi avversari ed evitando il capitano.

“Bel lavoro” si congratulò con lui Miyagi, provocandogli una punta di fastidio.

Davvero un bel lavoro quando si è circondati da giocatori inetti pensò tra se ironico, pentendosi però quasi subito di quel pensiero, e andando nuovamente a canestro pochi minuti dopo.

“Oggi Rukawa è inarrestabile!” commentò Kogure compiaciuto.

“Ehi! Vacci piano, non siamo in partita” urlò Mitsui.

Ma Rukawa non li ascoltava. Solo un rumore in sottofondo, quello di una palla che, a ritmo cadenzato, rimbalzava sul pavimento della palestra provocandogli un moto di fastidio.

Gettò uno sguardo veloce in direzione di quel rumore. Il ragazzo che provocava quel suono era impegnato nei fondamentali, anche se non sembrava concentrarsi troppo, eppure gli esercizi erano eseguiti perfettamente.
Quel rumore non accennava a smettere e lui ne era sempre più infastidito. Perché lui lo voleva in campo. Lui voleva la sfida che solo quell’odioso ragazzo pieno di se impegnato nei fondamentali poteva dargli. Il vuoto dentro di lui crebbe e sentì un ulteriore ondata di fastidio invaderlo. Perché non doveva essere così. Il basket era la sua vita. Come poteva sentire il vuoto mentre giocava?

Non importava che fosse un allenamento. Lui si concentrava anche quando si allenava  nel campetto vicino casa. E allora perché non sentiva più la sfida in lui nascere?

Come poteva un semplice ragazzo, dilettante per giunta se paragonato a lui, privarlo di quel piacere?

Lo odiò profondamente in quel momento, ma non importava ora. Lo avrebbe fatto entrare in campo. Avrebbe avuto la sua sfida giornaliera. Perché da qualche settimana oramai era solo di questo che viveva, si poteva dire. Non aspettava altro che il momento dell’allenamento per sentirsi vivo. E sapeva che sarebbe successo perché lui ci sarebbe stato. E quello stesso ragazzo lo avrebbe sfidato facendogli sentire l’adrenalina pura. Faceva sempre così, per ogni cosa. Voleva sempre superarlo, sempre farlo arrivare secondo, in tutto; dal riscaldamento, alle partite di allenamento, fino alle partite vere e proprie.
Rukawa voleva quelle sensazioni. Ne aveva bisogno e le avrebbe avute. Sakuragi sarebbe rientrato in campo lasciando perdere i fondamentali. Gli altri lo avrebbero ritenuto necessario per non farsi stracciare in un allenamento, perché lui sarebbe stato inarrestabile.
 
Sakuragi guardò Rukawa andare a canestro per la terza volta.

Aveva sentito Kogure dire che era inarrestabile e aveva visto Ayako annuire tra se soddisfatta. E pensò che avessero ragione. Oggi Rukawa stava dando proprio il meglio di se.
Perché poi non riusciva a capirlo. Che bisogno c’era di esibirsi in quel modo in un semplice allenamento?

Non che lui fosse da meno, anzi. Non faceva altro che mettersi in mostra ed esibirsi ma per lui era diverso. Lui era diverso: era un principiante. Non c’era bisogno di mezzi termini e sapeva anche questo. Giocava a fare il campione, a darsi delle arie, ma dentro di se non poteva mentire a se stesso. Perché non era così stupido, non quanto gli altri credevano almeno.

Per Rukawa era diverso invece. Bello, bravo acclamato da tutti. Che bisogno aveva di darsi tante arie anche in un semplice allenamento?

Che gusto ci provava a guardare gli altri dall’alto in basso per sottolineare la loro inferiorità, con lo sguardo di chi sa benissimo di essere superiore?

Era un grande campione d’accordo, ma questo non gli dava il diritto di essere sempre così presuntuoso ed egocentrico. Non gli dava il diritto di sentirsi superiore a tutta la popolazione mondiale.

E soprattutto, perché dopo ogni canestro lo guardava?

Perché di questo era certo. Rukawa aveva mandato a segno tre canestri, e dopo ognuno di esso lo aveva guardato. Di sfuggita certo, ma lo aveva guardato.

Ma Sakuragi non era uno stupido. E aveva capito tutto. O almeno quello che c’era da capire. Perché non era una coincidenza il fatto che ogni volta che lui fosse costretto, per un motivo o per un altro, a fare i fondamentali, Rukawa dava il meglio di se. Il perché poi lo facesse non aveva importanza. Per irritarlo, oppure torturarlo in modo sadico perché forse aveva capito quanto era importante per lui giocare, o per qualunque altro motivo gli suggerisse la sua mente malata. Ma il perché non era importante, per cui non si era preoccupato di capirlo.

Aveva afferrato tutto quello che c’era da capire. O almeno così credeva. E con questi pensieri distolse lo sguardo. Non avrebbe più guardato il campo. Si sarebbe concentrato su quei maledetti fondamentali, o almeno avrebbe fatto finta, ma non avrebbe più guardato il campo.

Che Rukawa facesse tutti i canestri che voleva. Uno, due , tre ,cento.

Lui non lo avrebbe più guardato.

Ayako ammirò compiaciuta i progressi di Rukawa. Era in forma e, se avesse giocato sempre così, la squadra sarebbe stata imbattibile. Anche se aveva notato che quanto più giocava bene più il suo umore era nero. Quel giorno poi, sembrava più intrattabile del solito. Non che di solito fosse allegro e loquace, anzi, i suoi discorsi erano frasi secche e coincise e, il più delle volte, sarcastiche. Tuttavia, quell’anno si era, in un certo qual modo, sciolto. Certo, con lei parlava addirittura ma questo perché loro si conoscevano dalle medie. Era con gli altri che sembrava più sciolto. Più precisamente da quando Hanamici era entrato in squadra. La loro rivalità era palpabile e Rukawa era sempre oggetto delle continue competizioni di Hanamici. Tuttavia, invece di ignorarlo, come di solito faceva alle medie quando gli altri volevano misurarsi con lui, rispondeva aspramente e in modo sarcastico. E, cosa che accadeva piuttosto spesso, lo provocava addirittura, dandogli dell’idiota o facendo altri commenti offensivi. Ad un occhio esterno sarebbe sembrato che lui fosse infastidito. Ma Ayako sapeva bene che erano poche le cose che veramente infastidivano Rukawa.

Per cui, ne aveva dedotto che i continui battibecchi di Hanamici gli facevano piacere o comunque lo stimolavano. Che fosse il talento del ragazzo o qualcos’altro quello che aveva colpito Rukawa, Ayako non avrebbe saputo dirlo con certezza.

Si fermò un attimo a guardare Sakuragi che era impegnato nei fondamentali. O almeno così era in apparenza, visto che il suo sguardo era lontano, distratto. Sorrise. Spesso era dura con lui, come poco prima, ma spesso era anche necessario. Quel ragazzo era tutto entusiasmo e energie da vendere e il suo compito, oltre che allenarlo, era anche contenere in un certo qual modo il suo ego che sembrava essere smisurato. Eppure spesso aveva notato nel ragazzo un barlume di tristezza, uno sguardo spento. Spesso durava solo un attimo. Immediatamente dopo quello sguardo veniva rimpiazzato con un’espressione ebete e una battuta che faceva ridere solo lui. Uno sguardo tanto veloce da apparire quasi un’illusione. Eppure quegli sguardi c’erano, di questo Ayako ne era certa. Avrebbe voluto sapere cosa pensava in quei momenti. Anche poco prima aveva notato quello sguardo, ma appena aveva domandato quale ne fosse il motivo, Sakuragi aveva ripreso a fare il buffone, come altre volte in passato, e lei aveva lasciato cadere l’argomento. Aveva capito che, in fondo, quella di Hanamici era solo una maschera.  Non che non fosse realmente come appariva. Non era un’ipocrita anzi, probabilmente, era uno dei ragazzi più schietti, ingenui e pieni di vita che conosceva. Tuttavia spesso Ayako aveva l’impressione che il ragazzo accentuasse apposta i lati migliori del suo carattere , quali l’allegria e la voglia di fare, rendendoli i peggiori, tanto da rasentare l’idiozia e molto spesso superarla ampiamente. E la cosa assurda era che sembrava farlo apposta. Si chiese ancora una volta il perché, ma sapeva che non avrebbe avuto una risposta a meno che non fosse stato lo stesso Sakuragi a dargliela, e lei sospettava che quel momento non sarebbe mai avvenuto.

Si ridestò dai suoi pensieri osservando Rukawa che andava a canestro nuovamente e storse un po’ la bocca. Va bene che era bravo, va bene che stava dando il meglio di se, ma quello era uno sport di squadra e Rukawa non poteva continuare a ignorare quella regola fondamentale.

Anche Akagi sembrò accorgersene e, infatti, intervenne in proposito.

“Rukawa, non stai giocando da solo. Invece di andare a canestro da solo potevi passare a Miyagi. Questo è un gioco di squadra. Non batteremo mai i nostri avversari se ognuno gioca da solo. Anche se ci siamo guadagnati l’accesso alla finale, non dobbiamo dormire sugli allori”.

Rukawa aveva annuito, non dando apparentemente peso al rimprovero del suo capitano.

Si asciugò il sudore con la maglia e si rimise in posizione di gioco. Non gli importava quello che pensava Akagi. Non gli importava di quello che pensavano gli altri. Lui avrebbe continuato così e se gli altri non erano in grado di batterlo beh… quello non dipendeva da lui, e probabilmente avrebbero fatto rientrare quella mezza sega.

Rivolse ancora una volta lo sguardo in direzione di Sakuragi. Non si era voltato quando aveva fatto un canestro. Non si era voltato neanche quando Akagi lo aveva rimproverato, uscendosene con qualche pagliacciata, cosa alquanto strana. Perché perdere un’occasione per pavoneggiarsi e sottolineare un rimprovero che avevano rivolto a lui?
Non lo capiva. Come non capiva neanche perché se ne stava impassibile a guardare il muro mentre eseguiva gesti meccanici per compiere gli esercizi. Sembrava che niente lo riguardasse.

Dannato idiota. Era tutta colpa sua se era stato rimproverato. Perché trovava sempre il modo di farsi estromettere dagli allenamenti facendo qualcosa di stupido e privarlo della sua sfida quotidiana?

Dannazione. Rukawa non aspettava altro che gli allenamenti quotidiani e lui non giocava neanche. Un odio profondo lo invase. Perché l’avrebbe pagata. Non sapeva ancora come, anche se i modi erano tanti. Primo fra tutti umiliarlo sul campo. Non poteva privarlo del suo piacere e pensare di passarla liscia.

E inoltre l’allenamento era finito. E lui non solo era stato rimproverato, ma non era riuscito neanche a far rientrare in campo quell’imbecille.

Akagi aveva chiamato a raccolta la squadra per parlare. Anche quel fastidioso rumore ritmico era finito. Sakuragi aveva terminato i fondamentali e si era avvicinato per sentire cosa aveva da dire il loro capitano. E per giunta stava distante da lui.

Non si era neanche avvicinato. Se si fosse avvicinato Rukawa era certo che Sakuragi non avrebbe risparmiato qualche commento sul rimprovero che aveva ricevuto. O che comunque si sarebbe lasciato provocare, come succedeva puntualmente, dai suoi sguardi sprezzanti e avrebbero cominciato a battibeccare come al solito. Non che Rukawa rispondesse molto in realtà. Era solito normalmente mugugnare o lanciare qualche frase sarcastica. Anche perché a tutto il resto ci pensava Sakuragi. Bastava un niente perché quell’idiota iniziasse a urlare e a dimenarsi con lui, cercando un modo  per arrivare alle mani.

E questo va anche bene pensò Rukawa che, in fondo, non disprezzava la scazzottata in se.

Tra l’altro, doveva ammettere che anche in quello Sakuragi lo stimolava. Era dannatamente forte e ricordava le testate di presentazione che gli aveva rivolto all’inizio dell’anno.

E non disprezzava neanche il teatrino che si creava prima che arrivassero a menarsi sul serio, con le urla e gli strepiti di Sakuragi. E vero che era un buffone si trovò a pensare Rukawa, però aveva anche un qualcosa che trascinava la squadra, portando una ventata di allegria.

Akagi stava sottolineando loro l’importanza delle partite che sarebbero venute e la forza dei loro avversari. Per questo Rukawa si permise di lasciar vagare libera la mente, perso nei suoi pensieri.

Si ritrovò a ripensare agli allenamenti e alle partite delle scuole medie. Tutti davano il massimo e, chi  più che meno, ognuno cercava di mettersi in mostra. Ma non si rideva mai. Nè una battuta, né un sorriso. A volte si scherzava certo, ma era sempre tutto in un certo qual modo misurato.

Con Sakuragi invece… esisteva la parola misurato nel suo vocabolario?

Rukawa era certo di no. Sin dal loro primo allenamento, Sakuragi si era messo in mostra nei modi più impossibili.  E aveva portato una ventata di allegria nella squadra. Perché, anche se il capitano continuava a riprenderlo a suon di pugni e tutti gli davano dell’imbecille, era anche vero che tutti ridevano e non di lui ma con lui. Inoltre era diventato fondamentale per la squadra e questo Rukawa lo sapeva.

Ripensò all’ultima partita contro lo Shoyo. Ripensò a quella schiacciata e a come si era sentito nel vederlo saltare con quell’elevazione e con quella potenza.

Quel ragazzo era una vera e propria forza della natura. Non era il buffone e neanche il teppista. Era semplicemente un portento.

Akagi aveva finito il suo discorso e stavano tutti rientrando negli spogliatoi. Rukawa non poté fare a meno di guardare ancora una volta Hanamichi che, senza una parola, era andato a fare la doccia…eppure il buon umore era palpabile quel giorno dato che, appena il giorno prima, avevano battuto lo Shoyo.

Sembrava arrabbiato, o forse… triste.

Continua...
  
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