Note dell’autrice:
Non la sto a tirare
troppo per le lunghe, la verità è che il fandom mi mancava e che ho deciso di
tornare (anche perché da quando mi sono trasferita a Milano devo ammettere che
sto molto meglio). In realtà sto pazientemente aspettando che itoshii Mya mi
faccia un blog (perché io sono negata, è già tanto se riesco a postarvi
qualcosa in HTML), così da avere il mio spazietto-etto-etto dove postare
in santa pace tutto quel che mi pare e piace.
La shot che state per
leggere è la prima di una lunga serie che sto scrivendo: sinceramente non la
trovo un granché dal punto di vista della trama però,
una volta tanto, sono soddisfatta del modo in cui è stata scritta. Ebbene sì,
si può dire che in un certo senso mi piaccia, anche
perché pur trattando una tematica che non ha nulla di speciale, credo sia
l’unica del fandom J
Non è che abbia molto
altro da dire a voler essere sinceri (ma che ritorno trionfale, niente da dire
=.=). Ci sentiamo in fondo come sempre per ulteriori delucidazioni. Un bacio donzelle
e donzelli. Buona lettura.
P.S.
AH! DIMENTICAVO LA COLONNA SONORA! Vi prego, ascoltatevi “She”
dei TVQX mentre leggete. Vi posto il link qua sotto <3 Mi raccomando
http://www.youtube.com/watch?v=RrEGhqaF7Bo
Men (never) cry
Da
che ho memoria, si è sempre definito “disdicevole”, meglio ancora
“imbarazzante”, lo stare a contemplare le lacrime di un uomo, che queste
fossero di gioia o dolore, umiliazione o rassegnazione. Mi sono spesso
domandato a cosa fosse da ricondursi quest’assurda credenza, evoluzione di un
modo di pensare sessista che pone l’uomo, creatura forte ed infallibile,
al di sopra della donna, tipica della cultura occidentale. Vuoi il tanto
persistente quanto perentorio rifiuto da parte dei miei nell’accettarmi come
l’essere debole ed imperfetto che sapevo di essere, vuoi le usanze civili ed il
pensare della società che inevitabilmente finiscono col condizionarti, per
quanto ti persuadi che non è così, che
sei ancora tu ad avere in mano le redini della tua vita e di ciò che vuoi apparire, alla fine ti adegui, ti uniformi
a ciò che vedi come uno stampino
che calca alla perfezione una forma preesistente. Forse è questo il motivo per
cui, a otto anni, per la prima volta consapevole del mio esser “maschio” e di
ciò che ci si aspettava da me,
mi promisi di non piangere più. Che fossi in compagnia o solo nella mia stanza
non faceva alcuna differenza: non piangere era diventata una questione
d’orgoglio, un modo come un altro per cucirmi addosso una forza che non poteva
essermi meno propria. Solo negli ultimi tempi ho preso coscienza che quel
coraggio, quello sprint necessario per andare avanti e guardarsi ogni tanto
allo specchio, non deriva dal sopprimere il dolore, che stigmatizza di giorno
in giorno le tue membra senza mai cicatrizzarsi, ma nel saperlo condividere con
le persone a te più care.
Questo
l’ho capito conoscendo te.
«
Dimmi che è uno scherzo, che è un’altra trovata dei giornalisti per buttare
benzina sul fuoco. »
La
voce basita di Aoi mi raggiunge ovattata alle orecchie, convincendomi che
quello che sto vivendo, quello che i miei occhi stanno leggendo, non è
l’ennesimo sbaglio suggello di una catena che sembra non avere mai fine.
Alle
mie spalle, un ansito a metà tra l’incredulo e il furioso riecheggia tra le
mura, come a voler sottolineare la gravità di quanto è, o meglio, sta
accadendo.
«
Calunnie e nient’altro, in caso contrario saremmo stati i primi a scoprirlo,
no? »
Le
parole di Uruha non riescono ad imporsi come vorrebbero sulle nostre menti,
ancora troppo scosse, ancora troppo provate per quell’attacco totalmente
inaspettato.
«
Non può essere vero, non… non ne
sarebbe capace. » geme Kai poggiandosi senza forze sullo schienale della sedia
sulla quale io, ormai, penso di aver cementato il sedere.
«
A no? Beh, il giornale dice esattamente il contrario. »
«
E tu ti fidi più dei giornali che di LUI? Questa non me l’aspettavo da te Aoi.
Degno di lode, davvero. »
«
Sai benissimo che non intendevo questo Uruha, non mettermi in bocca parole che
non ho detto. »
«
Piantatela! » esclama all’improvviso il leader posando l’attenzione sul
sottoscritto, l’unico a non aver ancora proferito parola riguardo l’accaduto «
Reita tu che ne pensi? »
Fermo,
immobile, tra le mani ancora il giornale incriminato, lo sento incollato alle
dita come questo senso di terrore e vuoto che alberga sovrano nella mia testa e
nel mio cuore.
Non
penso a niente, mi dico, contraddicendomi però all’istante. Mi obbligo a non riflettere per non
cadere in errore, per non contare e prendere in considerazione tutti quei
piccoli, minuscoli segnali ed eventi che, se ben analizzati in passato,
avrebbero potuto predire la catastrofe imminente.
Non
penso per paura di cominciare a crederci, questa è la verità.
«
Reita dì qualcosa, qualsiasi cosa.
Tu più di tutti dovresti… »
«
Niente. Io più di tutti non dovrei proprio un bel niente. » mi sento rispondere
infine senza scollare gli occhi dalla rivista, appuntati come spilli su di una
stoffa che attende solo di essere modellata, esattamente come la realtà che ci
si prostra oggi innanzi.
Come
reagiremo a questo? Come modelleranno le nostre menti quella che ai nostri
cuori si presenta come l’apocalisse scesa in Terra?
Dimmelo
tu per favore, tu che sei la causa di ciò.
Nessuno
osa controbattere, nessun commento ostile fende l’aria pregna di sofferenza che
inaliamo, il che, se possibile, peggiora ulteriormente il clima: il silenzio
artiglia il cuore di ognuno di noi, degenera le nostre speranze, affossa il
futuro che fino a poche ore fa ci sorrideva radioso.
«
Penso sia inutile fasciarsi la testa prima del tempo. Non dovremmo aspettare
molto per dei chiarimenti… » osserva Kai guadagnandosi la gratitudine di tutti
per essere riuscito a dissipare, almeno in parte, il veleno che dilaga nelle
nostre vene, iniettato dall’incalzare della tensione e del silenzio.
«
Aspettare? Io voglio delle risposte ORA! »
Gli
occhi di Uruha saettano alla velocità della luce in direzione di Aoi; un tanto
vano quanto inutile spreco d’energie che avrebbe necessitato l’uso di maniere
più brusche per mettere a tacere l’impazienza del chitarrista.
«
Tu vuoi, perché credi che noi siamo qui a godercela? Che ci divertiamo a
leggere STRONZATE, sì,
perché in altro modo non possono essere definite, come questa? » Le sue mani
arraffano malamente il giornale incriminato strappandomelo via e lasciandomi
così senza difese, senza
qualcosa che, per quanto orribile, riuscisse a catalizzare i miei pensieri ed
impedirmi di affrontare i fatti. « Spero che quello… quello… - si ferma non trovando le parole, un insulto
appropriato che spicchi in particolar modo tra gli altri e si distingua dalla
bolgia che divora i suoi nervi - …spero per il suo
bene che abbia una spiegazione plausibile o che almeno possa suonare tale. »
«
Quindi dai per scontato che è colpevole. »
“State
zitti, cosa pensate di ottenere comportandovi come due mocciosi di quattordici
anni?” vorrei tanto dire, se solo non avessi la bocca impastata di delusione ed
impotenza. Mi sento letteralmente affogare, perdere la cognizione di tutto ciò che mi sta intorno, inghiottito dalla frustrazione
e dalla vergogna, vergogna nel ritrovarmi a desiderare il pianto come unica valvola
di sfogo e medicina al dolore.
Quale
onta, un uomo di trent’anni che non desidera altro che scoppiare a piangere
infischiandosi bellamente di tutto ciò che
gli è stato insegnato a suo tempo dai genitori!
Patetico.
«
Aoi non provocarmi, non sono in vena per sopportare le tue battute deficienti
o, peggio ancora, la tua stupidità. »
Puntuale
come un orologio svizzero, Kai si frappone appena in tempo tra i due innalzando
una barricata umana che spera possa reggere giusto il necessario per permettere
ad entrambi di calmarsi e riprendere il controllo delle proprie azioni.
«
ADESSO BASTA! » tuona sempre tenendomi sotto controllo con la coda dell’occhio,
forse preoccupato da una mia imprevedibile e soprattutto negativa reazione.
Uruha
calcia violentemente la chitarra a pochi passi da lui, due corde si spezzano
risuonando sinistramente nell’aria, forse cattivo presagio di un qualcosa che
presto o tardi accadrà. Respira a fondo addossandosi un autocontrollo fasullo e
tradito dal continuo ticchettare dei suoi piedi contro il pavimento, gli occhi
lucidi e prossimi a cedere a un pianto liberatorio.
«
Ditemi che è solo un brutto incubo… » La voce incrinata firma la sua resa di
fronte alla notizia, il dissiparsi di ogni più piccolo riverbero di speranza e
fiducia. « Come ha potuto Ruki fare… una cosa del genere? »
Cade.
Le sue gambe, troppo esili per reggere il peso di quell’angoscia, si
abbandonano contro il pavimento freddo e piastrellato della PS Company, teatro
di avventure e disavventure, quanto mai rocambolesche, combattute con fierezza
dalla band.
Kai
si guarda impietosito intorno, salvo poi poggiare una mano sulla spalla del compagno
e cercare di trasmettergli un briciolo di speranza e coraggio nei quali, però, lui per primo non crede.
«
Uruha fatti forza, tirati s- »
In
quella le porte dello studio si spalancano, eleganti e decise, simili a delle
ali d’angelo dispiegate e pronte per spiccare il volo. Una luce illumina la
figura che, a braccia aperte al cielo e nascosta dietro a un paio di occhiali
da sole neri come la pece, appare lasciandoci di stucco, nervosi e in attesa di
sapere di quale morte saremmo dovuti andarcene.
La
bocca mi si spalanca senza che io possa far nulla, malgrado il pastume collante
di delusione e rabbia continui a permeare ogni anfratto del mio cavo orale; Aoi
sbarra gli occhi pietrificandosi all’istante, perdendo tutt’un tratto la foga e
l’entusiasmo con cui solo pochi istanti prima si era rivolto al suo amico;
Uruha, il cui volto ormai è velato dalle lacrime, alza il capo, vittima in
attesa che il boia, Ruki, si decida a reciderne i lembi e a staccarglielo via
con la forza; solo Kai, seppur visibilmente scosso, da bravo leader qual è e sa
di essere, si impone un minimo d’amor proprio e si prepara ad accogliere quello
che fino a forse due ore prima sapevo essere l’unica persona alla quale avrei
mai potuto affidare la mia vita dormendo sogni tranquilli. Solo una parola
echeggia, latra, sanguina nella mia testa, marchia indelebilmente lo spezzarsi
di un filo che avevo sempre creduto infinito nel mio svergognato ottimismo.
Traditore.
«
Ruki… » La voce del batterista è roca e amorfa, del tutto svuotata e priva del
calore che solitamente è in grado di trasmettere.
L’interpellato
resta immobile dov’è, mastica meccanicamente una gomma che immagino abbia perso
ormai ogni sapore, la fronte spianata e priva di esitazioni e turbamenti.
Sereno,
perfettamente a suo agio. Anzi, leggermente scocciato si direbbe. Non posso
semplicemente credere a quel che sto vedendo: che qualcuno mi cavi questi occhi
al più presto. Che mi si impedisca di vedere ciò che è invisibile agli altri e che pulsa sotto la sua
pelle, viscido e putrefatto come il valore di tutte quelle belle parole che in
passato mi ha rifilato.
« Per me sei come un fratello Ryo. »
«
Mh. » si limita a rispondere avanzando di un passo e lasciando che le porte si
richiudano alle sue spalle. Si pone di sua volontà in gabbia, perfettamente
conscio di essere in vantaggio, di rivestire i panni del domatore e noi quello
di povere bestie da soma picchiate e maltrattate.
Lo
guardo con una nuova obiettività, mista a rabbia e repulsione, una miscela
esplosiva che fatico a tenere per me e che vorrei tanto riversargli addosso. Mi
costringo a trattenermi e rimandare la raffica d’insulti e ripicche a più
tardi: che figura c’avrei fatto nell’aggredirlo se, metti caso, si fosse
dimostrato innocente e puro come un agnello?
Quanto
mi sento stupido a sperare ancora in lui. Eppur si sa che, per quanto
disperata, per quanto evidente ed inequivocabile, la speranza è l’ultima a
morire.
Dio
quant’è vero…
«
Ruki abbiamo appena finito di leggere un articolo sul giornale di stamattina
che non può essere che fals- »
«
E’ vero. » Takanori interrompe Kai senza farsi troppe cerimonie, prendersi la
briga di indorarci la pillola o darci il tempo materiale per prepararci alla
conferma definitiva della fine di ogni nostro futuro e speranza. Schietto,
diretto come è sempre stato: nel mio profondo ho sempre pensato, e mannaggia a
me lo penso tuttora, che Ruki sarebbe stato un capo sì molto più cinico e intollerante di Yutaka, ma anche
infinitamente più combattivo e tenace.
Fino
a poche ore fa avrei detto di adorare il suo caratteraccio e i suoi
atteggiamenti egocentrici tesi a mettere in ombra la band e farsi bello agli
occhi del pubblico e delle telecamere.
Sei
scaduto Ruki e il fatto che io continui a vederti migliore degli altri mi
disgusta nel profondo. Se solo potessi averti tra le mani, imbrattate di
lurido, violento desiderio, ti tingerei il volto con cazzotti e pugni. « Ho
dichiarato ogni singola parola che avete letto. Non c’è molto da spiegare:
quello che dovevate sapere, a quanto pare, lo sapete già. »
Il
dolore sopraffa anche Aoi e si manifesta, come per Uruha, in lacrime, stille
d’odio e repulsione incapaci di perdono.
«
Tu, brutto figlio di… » A larghe falcate raggiunge il vocalist, lo afferra per
il collo della blusa e lo strattona a pochi centimetri dal suo volto. « E CI LASCI COSI’?? ABBANDONI IL GRUPPO DOPO QUASI DIECI ANNI DI COLLABORAZIONE SENZA DARE IL BENCHE’ MINIMO PREAVVISO??
»
«
BASTARDO!! SAICHI* NON TE LO LASCERA’ FARE, NO- »
«
Ho già parlato con Saichi, Uruha, mesi e mesi fa. Ha accettato le mie
dimissioni senza batter ciglio e così
dovreste, anzi dovrete… – lo sguardo di Ruki si sofferma sui presenti passando
tutti in rassegna, impossibile dire cosa stia pensando, mascherato da quei
dannati occhiali neri. Si punta poi su di me, conscio d’aver agguantato la
preda più succosa, quella da cui avrebbe potuto attingere più pena. Sorride,
ghigno d’angelo diabolico - …fare anche voi. »
conclude passandosi una mano tra i capelli con naturalezza surreale, come ci
avesse appena annunciato che quella mattina si era fatto la pedicure.
“EDIZIONE
STRAORDINARIA:
RUKI’S
OUT: - LASCIO LA BAND, DICO ADDIO AI
GAZE -”
No.
Nonononononono.
E ancora no, non lo accetto e sai bene che non lo farò mai.
A
pochi metri da me, Kai, irriducibile come sempre, tenta di sanare
l’irreparabile.
«
Avanti Ruki, non fai ridere nessuno. Il tuo scherzo è di pessimo gu- »
«
Non sto scherzando. Questa è l’ultima volta che metto piede alla PS Company,
sono passato a prendere le mie cose per il trasferimento. »
L’ennesimo
pugno allo stomaco.
Trasferimento?
Che storia è mai questa?
«
Tra… trasferimento? » domanda il leader esausto,
permettendo alla figura minuta sua interlocutrice di oltrepassarlo per andare a
recuperare la sua chitarra elettrica e degli sparititi su scaffali e scatoloni.
« Stai… lasciando il Giappone? »
«
Non essere ridicolo, certo che no. » risponde quello chinandosi sotto la
scrivania, in cerca di qualcosa che sembra rivestire una certa importanza. « Ho
firmato un contratto con la casa discografica di Miyavi, da domani sono suo
collega si può dire. Comincio la carriera
da solista. »
Nessuno
sa più cosa dire, nessuno osa muoversi forse per paura di danneggiare
ulteriormente la situazione, come se peggio di così… no, meglio tacere. In tutti questi anni ho
imparato a caro prezzo che, quando pensi di avere toccato il fondo, quando
credi di aver scavato così tanto
da sbucare dall’altra parte del globo, ti accorgi che non esiste alcun fondo e
che puoi solo continuare ad andare giù, sempre più giù fino ad annegare nel tuo
dolore.
«
Come… perché? » La voce di Uruha riecheggia angosciata tra le mura. « Perché
Ruki? Perché ci stai facendo questo? Perché te ne stai andando? »
L’altro
si esibisce in uno sbadiglio annoiato mentre finalmente trova quello che andava
cercando, un plico di fogli con sopra allegate delle foto del gruppo che stacca
con malagrazia gettando a terra. Fa per disfarsene di un’altra che infine
decide di tenere, dopo averla osservata a lungo senza lasciar trapelare la
benché minima emozione. Dalla mia postazione non riesco a vedere di che scatto
si tratti, né tantomeno chi o cosa rappresenti, ma il semplice fatto che abbia
deciso di tenerla riesce a farmi recuperare uno o due battiti.
«
Non c’è un perché vero e proprio. » Si alza issandosi lo strumento musicale
sulle spalle e controllando un’ultima volta di aver raccattato tutto ciò che gli premeva prendere. « O meglio sì, il motivo è che voglio intraprendere la carriera
da solista. Il gruppo ormai mi stava stretto e non mi permetteva di esprimermi
e dare quel che voglio. »
«
Ma se ce lo avessi detto avremmo cercato di venirti incontro! Ruki ti prego,
pensaci su, siamo tutti disposti a fare qualunque cosa per farti restare. »
Anche
Kai ha ceduto, dietro i due amici, è caduto in sequenza come una tessera di
domino. Manco solo io.
L’altro
non ribatte, non esaudisce le speranze tacite e per paura non pronunciate del
poveretto, si volta invece a guardarmi per qualche strano motivo e continua a
farlo per quello che sembra un lasso di tempo troppo lungo per poter essere
quantificato. Posso sentire i suoi occhi roventi marchiare la mia figura,
ancora muta dal suo arrivo, in attesa di un qualcosa che non riesco a capire e
che quindi non posso dargli o fare.
Arriccia
le labbra forse indispettito, forse per trattenere una smorfia divertita,
infine si muove verso la porta senza degnare della benché minima attenzione
nessuno, deciso più che mai a uscire non solo da quella stanza ma anche dalle nostre
vite.
“Fermatelo,
vi prego” penso tra me e me lanciando una supplica disperata ai miei amici, i
quali però scopro essere troppo
sconvolti per trovare e tirare fuori le forze e quindi esaudire la mia supplica
accorata.
« Non ho mai avuto un amico come te
prima d’ora… »
« No Ruki, tu prima di me non hai
avuto amici e basta. »
« Se per “amici” intendi persone che
ti assomiglino, allora no, non ne ho mai avuti. »
« Non è una bella cosa da dire, sai?
E’ triste sapere che all’infuori di me non hai nessuno. »
« A me basti e avanzi tu, Ryo. »
Non
dice niente prima di uscire, prima di chiudersi le porte alle spalle ed
interrompere definitivamente il mio, o meglio nostro sogno.
Via.
Se n’è andato per davvero.
Guardo
distrutto i miei compagni, quel che resta dei Gazette: senza Ruki che senso ha
andare avanti? Ruki rappresenta, o meglio rappresentava, visto l’evolversi dei
fatti, la voce capace di dar vita alle nostre emozioni, la matita in grado di
delineare il profilo di ciò che
pensiamo, il soffio vitale che anima la band e la spinge a dare il centouno per
cento. Nessuno all’infuori di lui potrebbe svolgere magistralmente una mansione
di tal fatta, un compito che si è sempre addossato sia nei bei che nei brutti
momenti. Dove saremmo andati a pescare un altro uomo alto 1.62 cm in grado di
compiere i suoi miracoli e di elevarci sul gradino più alto del podio?
Ruki
è unico.
Ruki è il mio migliore amico.
«
CIAFF! »
Il
rumore di uno schiaffo poderoso risuona prepotente alle mie orecchie, un
bruciore pungente gela sulla mia guancia l’attimo dopo. Neanche il tempo di
realizzare quanto è appena accaduto che mi vedo afferrare da Aoi e scuotere
violentemente da destra a sinistra. Vorrei ordinargli di lasciarmi perdere, che
non è il momento giusto per attaccare briga, che non sono semplicemente
dell’umore ma lui continua imperterrito colpendomi una seconda, addirittura una
terza volta.
Vorrei
avere almeno la forza per potermi difendere anche se, inspiegabilmente, sento
di meritarmi quel trattamento.
«
SEI UN COGLIONE REITA!! PERCHE’ NON HAI DETTO NIENTE??? EH?? »
Lo
guardo ammutolito, incapace di connettere il cervello alla bocca e di fargli partorire
un pensiero coerente (chiedere intelligente sarebbe stato troppo).
«
Prego? » riesco a dire alla fine dopo aver boccheggiato per un po’ come un
pesce fuor d’acqua.
Per
tutta risposta ricevo l’ennesima sberla.
«
IDIOTA CHE NON SEI ALTRO! RUKI E’ IL TUO MIGLIORE AMICO! TU SEI L’UNICO CHE
PUO’ CONVINCERLO A CAMBIARE IDEA E COSA FAI? TE NE STAI ZITTO E LO LASCI FARE!
SEI PROPRIO UN COGLIONE, SMETTILA DI COMPATIRTI E
CORRIGLI DIETRO! FERMALO DANNAZIONE, TU CHE PUOI!! »
…
…
Non
mi serve guardare gli altri per capire che la pensano esattamente come lui, non
mi occorre riflettere per sapere che anch’io sono d’accordo.
Dio
quanto sono idiota.
Mi
passo una mano sulla guancia lesa cercando di lenire il dolore, ora più acuto,
che la consapevolezza ha portato con sé. Ricambio le occhiate amareggiate degli
altri e, prima che Aoi possa nuovamente accanirsi sul sottoscritto, prima che
le lacrime di tutti finiscano col contagiarmi, comincio a correre verso
l’uscita, che spalanco con un calcio secco: devo raggiungerlo, devo fermare
quel pazzo, anche a suon di cazzotti,
costringerlo a svuotare il sacco e soprattutto a tornare con noi.
Le
speranze ti tutti, non solo dei miei compagni ma anche dei nostri innumerevoli
fan, sono riposte in me. Per la prima volta in vita mia capisco cosa prova Ruki
quando sale sul palco e si mette a nudo davanti al pubblico, quando canta
rendendosi vulnerabile e ci incita a dare il massimo.
Non
posso fallire, non voglio deludere nessuno. Dopotutto, lui è ancora il mio
migliore amico.
* * * * *
«
RUKI!!! »
Forse
per la corsa forsennata, forse per il groviglio inestricabile di emozioni che
ancora permea ogni cellula del mio corpo, ma mai come ora pronunciare il suo
nome mi è stato così
difficile.
A
pochi metri da me lo guardo fermarsi, piantare i piedi a terra, le spalle
rigide e cadenti, appesantite dalla pioggia incessante che grava su di noi. Non
dice niente, si limita ad aspettare dandomi la schiena, attende paziente che io
gli riversi addosso il mio dolore. Se solo sapessi da che parte cominciare…
«
Dove stai andando? » grido infine piegandomi in due e facendo leva sulle
ginocchia per non cadere a terra, stremato dalla maratona appena terminata.
Lui
alza il volto al cielo, lascia che la pioggia deterga il suo viso e, voglio
sperare, anche la sua coscienza.
«
Non è evidente? »
«
No, è tutto tranne che… » respiro affannosamente cercando di raddrizzarmi ed
annullare la distanza che c’è tra noi. Muovo appena tre passi, il tempo necessario
di realizzare che, avvicinandomi, avrei finito con l’allontanare il Ruki che
vive tuttora nei miei ricordi e che voglio custodire gelosamente per il resto
dei miei giorni.
«
…che evidente. »
Mi
fermo.
Nessuna
risposta.
Lo
sento sospirare, l’attimo dopo voltarsi e finalmente fronteggiarmi.
«
Me ne sto andando Reita, credevo di essere stato abbastanza chiaro. »
«
No, non lo sei stato per niente. »
Sospira
di nuovo arricciando le labbra, indispettito dal mio perseverare incessante e
quanto mai patetico. Lo conosco troppo bene per fraintendere anche il più
piccolo gesto, voluto o meno, che compie.
Aoi
ha ragione: l’unico che può
fermare Ruki sono io, lo dimostra il semplice fatto che sta ancora lì, a forse cinque passi di distanza, incapace di
mandarmi a quel paese e di dirmi apertamente che della band non glie ne frega
più niente. Che di me non glie ne frega più niente.
Perché?,
non posso fare a meno di chiedermi: perché se ne sta andando se farlo gli costa
una fatica così
grande?
«
Perché lo stai facendo? » domando cercando di reprimere la rabbia che pulsa
sempre più violenta e che minaccia di manifestarsi in un pestaggio.
Sbuffa
seccato portando le mani ai fianchi.
«
Quante volte lo dovrò
ripetere prima che vi entri in testa? Voglio cominciare la carriera da so- »
«
Non è questo che voglio sapere! » lo interrompo provocandogli uno spasimo
involontario forse di meraviglia. « Dimmi quando e perché la band ha cominciato
a rappresentare per te una gabbia. Cos’è cambiato? Quando?? »
Non
risponde. Capisco immediatamente di aver centrato il punto, di avergli posto il
pezzo da novanta al quale mai avrebbe voluto render conto. Ci fronteggiamo in
silenzio, in attesa di una verità che forse nessuno dei due vuole accettare ed
è pronto ad accogliere. La mano di Ruki trema impercettibilmente, cerca di
nasconderla non appena ne prende atto e di occultare ogni sintomo o gesto che
potrebbero compromettere la sua maschera glaciale. Avrei dovuto parlare prima,
di fronte agli altri, avremmo evitato questo pietoso teatrino e questa
sofferenza così grande
da parte di entrambi. Non che il comportamento di Takanori sia cambiato così tanto nel giro di pochi minuti ma, evidentemente,
il dovermi fronteggiare apertamente e da solo lo pone in disagio com’è sempre
stato in tutti questi anni.
Odio
questa situazione. Vorrei prenderti a pugni Ruki, non immagini quanto.
Senza
rispondermi si volta intenzionato ad andarsene, intenzione presto smascherata
ed anticipata prontamente. Lo raggiungo nel giro di forse un secondo e lo
afferro per la spalla voltandolo di peso e costringendolo al confronto finale.
«
Risposte Ruki, voglio solo questo, poi sarai libero di andare e fare quel che
più ti aggrada. » gli sputo inchiodando i miei occhi nei suoi, invisibili per
via degli occhiali da sole, quanto mai fuori luogo viste le condizioni
meteorologiche.
Non
si ritrae, anche se farlo gli costa una smorfia di puro disappunto.
«
Lasciami immediatamente o giuro che chiamo la sicurezza. » mi minaccia senza
però fare niente per liberarsi.
Una
risata sardonica sfugge dalle mie labbra.
«
Prima che possa arrivare qualcuno ti avrò già costretto
a vuotare il sacco, fidati. »
Non
gli lascio il tempo di replicare, non voglio sentire la sua voce sprezzante
infangare ulteriormente se stesso e i GazettE: la mia mano si serra prontamente
in un pugno, pugno che lo centra in pieno volto facendolo cadere all’indietro e
perdere i suoi fottutissimi occhiali.
«
Cazzo. » borbotta a capo chino cercando a tastoni il tesoro perduto ora
pericolosamente vicino ai miei piedi, un invito troppo allettante per poter
essere rifiutato. Non alza la testa per guardarmi ma capisce immediatamente
cosa sto per fare e protende d’istinto una mano in mia direzione. « Aspetta,
non farl…!! »
Troppo
tardi. Il mio tacco sinistro cala come una scure sulle lenti mandandole in
mille pezzi, le stanghette di metallo si piegano sotto il peso del mio corpo
producendo un rumore sordo.
Sorrido
soddisfatto, trionfante: vedere Ruki inginocchiato e proteso in mia direzione è
appagante quanto sentire le urla di milioni e milioni di fans acclamare il bis
o il nome della band durante un concerto. Mi sento malsanamente bene mentre mi
avvento su di lui tirandolo su di peso e portandolo a pochi centimetri dal mio
volto.
«
E adesso rispondimi bastardo. In nome dell’amicizia che un tempo c’era tra di
noi, adesso voglio… »
Non
riesco a finire la frase, perdendo tutt’un tratto l’impeto appena trovato e che
per un istante mi aveva fatto sentire così forte,
così inviolabile. Mi limito
invece a fissare Ruki, o meglio il capo che si ostina a tenere chino e i
capelli biondicci e bagnati che gli nascondono il volto.
Un
sospetto atroce prende vita tra i miei pensieri, seguito da un groppo in gola
che non riesco in alcun modo a mandar giù.
«
Ruki esigo che tu mi guardi mentre ti parlo… » ordino lasciando però trapelare una nota di puro terrore e pentimento.
La
sua bocca si dischiude per lasciar fuoriuscire una risata sguaiata, il latrato
di un animale ferito che fa di tutto per non mostrarsi debole di fronte al
nemico.
Mi
affretto ad ingoiare un misto di dolore e rimorso che sa di bile.
«
Tu vuoi… » comincia con tono di voce strano, tipico di chi è sul punto di non
ritorno. « …perché quello che vuoi tu ti deve essere dato mentre quel che
voglio io no? VOGLIO ANDARMENE RYO, LO CAPISCI CHE DEVO FARLO??? » grida
alzando finalmente lo sguardo ed inchiodandomi con le spalle al muro.
E’
troppo: mollo immediatamente la presa indietreggiando d’un passo, incapace di
sostenere gli occhi iniettati di sangue, velati di lacrime e di trucco nero
sbavato del cantante. La sua disperazione mi travolge come un fiume in piena
senza darmi il tempo di riflettere e metabolizzare quel che sta accadendo, cosa
non del tutto negativa perché, anche avessi avuto il tempo materiale per farlo,
dubito sarei riuscito a formulare qualcosa di buono.
«
MA COSA NE VOLETE SAPERE VOI?? IO ME NE VADO PER SALVARVI IL CULO, PER NON
DISTRUGGERE QUELLO CHE FATICOSAMENTE ABBIAMO COSTRUITO, QUEL CHE PIU’ AMO AL
MONDO E QUESTO E’ IL RINGRAZIAMENTO! QUI L’UNICO CHE CI
STA RIMETTENDO SONO IO! SONO IO CHE, COMINCIANDO LA CARRIERA DA SOLISTA, PRESTO
O TARDI PERDERO’ L’APPOGGIO DEI FAN E MI VERRA’
IMPEDITO DI CONTINUARE. STO SACRIFICANDO LA MIA VOCE
PER VOI CHE SIETE LA MIA FAMIGLIA E DEVO ESSERE PRESO A PUGNI DA TE!! PROPRIO
DA… TE!! »
Urla
e piange contemporaneamente, liberandosi di un peso che sembra troppo grande
per poter essere contenuto, non almeno da un corpo così piccolo, così
gracile, così
semplicemente… umano.
Lo
ascolto impotente, aspettando un continuo che in cuor mio spero non esista.
«
TU! OH, TU SEI LA CAUSA DI TUTTO, E’ COLPA TUA SE
LASCIO LA BAND, STUPIDO! NON LO CAPISCI, VERO? NON CAPISCI CHE LA TUA PRESENZA MI FA STAR MALE? CHE L’ESSERTI AMICO MI
STA UCCIDENDO??? DIO QUANTO SEI… SEI… » singhiozza senza vergogna incurante
dell’etichetta, di chi è e di quel che ci si aspetta da lui. Come vorrei
riuscire ad infischiarmene anch’io…
«
…CRETINO!! » conclude stremato asciugandosi
frettolosamente le lacrime, miste a pioggia e trucco nero, con la manica della
giacca e cercando contemporaneamente di ritrovare un briciolo di contegno e
virilità.
Non
replico, non ne ho le forze, non riesco neanche a chiedermi cosa significhino
le sue parole. Da bravo codardo quale sono, mi limito ad aspettare, piccolo
piccolo contro l’angolo, atterrito dal dolore e dalla consapevolezza di essere
il motivo per cui sta lasciando il gruppo.
Ruki
si morde il labbro inferiore distogliendo per una frazione di secondo
l’attenzione dal sottoscritto, salvo poi muoversi in mia direzione ed
avvicinare il suo volto al mio.
«
Non ci arrivi proprio, vero Ryo? » sussurra contro le mie labbra accennando un
sorriso a metà tra il triste e il rassegnato.
Non
sono sicuro di aver capito bene, sono troppo concentrato sulle sue labbra
dischiuse e pericolosamente vicine alle mie.
Troppo
vicine.
«
Cosa dovrei… capire? » riesco infine a mormorare sudando freddo e desiderando
solo allontanarmi: l’avere così vicino
Takanori mi mette a disagio, mi spaventa come mai è successo, esattamente come
il sentirmi chiamare col mio vero nome in un frangente del genere, che non
avrei esitato a definire imbarazzante.
Sorride
di nuovo, farlo gli costa l’ennesima lacrima, mentre le sue labbra si posano
delicate alle mie incastrandosi alla perfezione. Quel contatto, tanto lieve
quanto il battito d’ali di una farfalla, dura forse un secondo, un interminabile
secondo durante il quale vedo scorrere davanti ai miei occhi, spalancati per la
sorpresa, un sacco di avvenimenti passati e parole pronunciate che ora assumono
tutt’altro significato.
« A me basti e avanzi tu, Ryo. »
« Sei proprio ottuso…
»
« Cosa… ti
piacerebbe ricevere per il tuo compleanno? »
« Ti va se andiamo a mangiare fuori… insieme? »
« Non puoi capire quanto per me sia importante la
tua presenza in questa band. »
« Se non ci fossi tu avrei già ceduto da un pezzo.
»
« Grazie Reita, sei… sei davvero un…
amico. »
« Ti dà fastidio se quando siamo soli ti chiamo
Ryo? »
« Tu sei
perfetto così come sei,
anche nella tua stupidità. »
« Non puoi
capire Ryo. Non sforzarti di farlo. »
Nel
momento in cui realizzo e finalmente comprendo ciò che Ruki ha
sempre cercato di nascondermi, le mie mani agiscono d’impulso spingendolo via,
lontano, malgrado si fosse già staccato e il bacio fosse terminato da un pezzo.
Il
mio gesto non lo sorprende, sembra invece confermare qualcosa che aveva già assimilato
e dolorosamente accettato da tempo.
«
Capisci ora perché me ne sto andando? » sussurra ostinandosi a mantenere un
sorriso dolorosamente falso. « Se continuo a restare nella band, al tuo fianco,
rischio di impazzire e rovinare tutto. Non voglio infangare il nome del gruppo
né tantomeno sopportare il peso di quest’amicizia, un’amicizia che per me non è
più tale da anni e che per te non potrà mai trasformarsi in qualcosa di più.
Quindi ti prego Ry… Reita… » si corregge velocemente
quasi avesse detto una bestemmia. « …lasciami andare. »
Semplicemente
sconvolto, atterrito e spaventato per quanto accaduto, gli faccio segno di sì con la testa, che può andare dove vuole, che non l’avrei trattenuto un
solo secondo in più.
«
Grazie… » Si volta dandomi le spalle per quella che
sappiamo essere l’ultima volta. « Non dirlo agli altri, ok? »
Annuisco
di nuovo inebetito, non realizzando che lui, essendo di spalle, non può vedermi.
Non
aspetta una risposta, forse in un qualche modo ha capito che esaudirò la sua supplica. Quindi se ne va, portandosi via
non solo il mio cantante, ma anche il mio migliore amico, quello che a suo
tempo aveva promesso ci sarebbe sempre stato qualunque cosa fosse successa.
Come
posso perdonarti per questo?
Dimmelo
tu Ruki: come posso perdonare me stesso per il mio non ricambiare il tuo amore?
Per il mio essere eterosessuale e stupidamente sincero nel negarti un rapporto
altrimenti falso ed incapace di nascere, crescere e rafforzarsi sull’amore e
sull’attrazione fisica?
Perdonami
Takanori se per me eri solo un amico e così avrei
continuato a vederti fino alla fine dei miei giorni.
Sento
gli occhi bruciare mentre scorgo una foto a terra completamente zuppa, quella
che Taka ha salvato pochi minuti prima allo studio, gli deve essere caduta
quando l’ho colpito. Mi chino a raccoglierla e, malgrado sia ormai rovinata
dalla pioggia, non fatico a riconoscere i due uomini che questa ritrae: siamo
io e Ruki, al nostro primo concerto, poco prima di salire sul palco. Risuonano
violente le parole da me dette quel giorno, parole pronunciate a cuor sereno e
senza voler ferire nessuno.
Parole
bugiarde.
« Andrà
tutto bene Ruki, te lo prometto. »
Alzo
la testa al cielo, ancora sconvolto ed atterrito, sorridendo riconoscente a chi
che sia che da lassù piange al mio posto. Grazie perché, malgrado il dolore, questo
stupido uomo non è più in grado di piangere da troppo tempo.
Quanto
sei debole Ryo Suzuki…
[The End]
* SAICHI:
nome del manager del gruppo da me inventato. Non conoscendo il nome di quello
attuale ho preferito inventarmene uno di sana pianta. Pardon.
Note finali:
Amore non corrisposto
tra un gay e un etero, non credo di aver mai letto niente del genere sul
fandom, correggetemi se sbaglio.
Ok, notizie random che
non potrebbero interessarvi di meno ma che posto lo stesso perchèsì:
1) AMO LA COREA, IL
K-POP E I DRAMA COREANI <3 <3 <3 Amateli anche voi u.u
2) Ho divorziato da
Ruki pentendomene tre secondi dopo e scappando a piangere lacrime di dolore
avvolta nell’abbraccio di Yunho e Kim Hyung Jun (dolore dissipato nell’istante
in cui mi sono immaginata la scena);
3) “Grazie” a Denki Girl sto scrivendo la shot più
demenziale che la mia mente malata sia mai riuscita a concepire, peggio ancora,
per chi l’avesse letta, della mia vecchia “Redenzione” (ebbene sì, credevo di aver toccato l’apice con Miyavi prete,
invece non c’è mai fine al degrado). ASPETTATEVI IL PEGGIO, SIETE AVVISATI.
4) Vorrei continuare
quest’elenco ma non ho altro da dire e la cosa mi dispiace un sacco T.T
Dire che è tutto.
Commentate se vi piace quel che ho postato o anche per mandarmi a quel paese
per non aver scritto niente di così
incredibile o delle note degne di questo nome. Continuerò a volervi bene ugualmente, non temete XD
Shin loves you girls. Baci.