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Autore: Shinushio    01/03/2012    22 recensioni
"Andrà tutto bene Ruki, te lo prometto."
Genere: Introspettivo, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Reita, Ruki, Un po' tutti
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Note dell’autrice:

 

Non la sto a tirare troppo per le lunghe, la verità è che il fandom mi mancava e che ho deciso di tornare (anche perché da quando mi sono trasferita a Milano devo ammettere che sto molto meglio). In realtà sto pazientemente aspettando che itoshii Mya mi faccia un blog (perché io sono negata, è già tanto se riesco a postarvi qualcosa in HTML), così da avere il mio spazietto-etto-etto dove postare in santa pace tutto quel che mi pare e piace.

 

La shot che state per leggere è la prima di una lunga serie che sto scrivendo: sinceramente non la trovo un granché dal punto di vista della trama però, una volta tanto, sono soddisfatta del modo in cui è stata scritta. Ebbene sì, si può dire che in un certo senso mi piaccia, anche perché pur trattando una tematica che non ha nulla di speciale, credo sia l’unica del fandom J

 

Non è che abbia molto altro da dire a voler essere sinceri (ma che ritorno trionfale, niente da dire =.=). Ci sentiamo in fondo come sempre per ulteriori delucidazioni. Un bacio donzelle e donzelli. Buona lettura.

 

 

P.S. AH! DIMENTICAVO LA COLONNA SONORA! Vi prego, ascoltatevi “She” dei TVQX mentre leggete. Vi posto il link qua sotto <3 Mi raccomando

 

 

 

http://www.youtube.com/watch?v=RrEGhqaF7Bo

 

 

 

 

 

 

 

 

Men (never) cry

 

 

Da che ho memoria, si è sempre definito “disdicevole”, meglio ancora “imbarazzante”, lo stare a contemplare le lacrime di un uomo, che queste fossero di gioia o dolore, umiliazione o rassegnazione. Mi sono spesso domandato a cosa fosse da ricondursi quest’assurda credenza, evoluzione di un modo di pensare sessista che pone l’uomo, creatura forte ed infallibile, al di sopra della donna, tipica della cultura occidentale. Vuoi il tanto persistente quanto perentorio rifiuto da parte dei miei nell’accettarmi come l’essere debole ed imperfetto che sapevo di essere, vuoi le usanze civili ed il pensare della società che inevitabilmente finiscono col condizionarti, per quanto ti persuadi che non è così, che sei ancora tu ad avere in mano le redini della tua vita e di ciò che vuoi apparire, alla fine ti adegui, ti uniformi a ciò che vedi come uno stampino che calca alla perfezione una forma preesistente. Forse è questo il motivo per cui, a otto anni, per la prima volta consapevole del mio esser “maschio” e di ciò che ci si aspettava da me, mi promisi di non piangere più. Che fossi in compagnia o solo nella mia stanza non faceva alcuna differenza: non piangere era diventata una questione d’orgoglio, un modo come un altro per cucirmi addosso una forza che non poteva essermi meno propria. Solo negli ultimi tempi ho preso coscienza che quel coraggio, quello sprint necessario per andare avanti e guardarsi ogni tanto allo specchio, non deriva dal sopprimere il dolore, che stigmatizza di giorno in giorno le tue membra senza mai cicatrizzarsi, ma nel saperlo condividere con le persone a te più care.

Questo l’ho capito conoscendo te.

« Dimmi che è uno scherzo, che è un’altra trovata dei giornalisti per buttare benzina sul fuoco. »

La voce basita di Aoi mi raggiunge ovattata alle orecchie, convincendomi che quello che sto vivendo, quello che i miei occhi stanno leggendo, non è l’ennesimo sbaglio suggello di una catena che sembra non avere mai fine.

Alle mie spalle, un ansito a metà tra l’incredulo e il furioso riecheggia tra le mura, come a voler sottolineare la gravità di quanto è, o meglio, sta accadendo.

« Calunnie e nient’altro, in caso contrario saremmo stati i primi a scoprirlo, no? »

Le parole di Uruha non riescono ad imporsi come vorrebbero sulle nostre menti, ancora troppo scosse, ancora troppo provate per quell’attacco totalmente inaspettato.

« Non può essere vero, non… non ne sarebbe capace. » geme Kai poggiandosi senza forze sullo schienale della sedia sulla quale io, ormai, penso di aver cementato il sedere.

« A no? Beh, il giornale dice esattamente il contrario. »

« E tu ti fidi più dei giornali che di LUI? Questa non me l’aspettavo da te Aoi. Degno di lode, davvero. »

« Sai benissimo che non intendevo questo Uruha, non mettermi in bocca parole che non ho detto. »

« Piantatela! » esclama all’improvviso il leader posando l’attenzione sul sottoscritto, l’unico a non aver ancora proferito parola riguardo l’accaduto « Reita tu che ne pensi? »

Fermo, immobile, tra le mani ancora il giornale incriminato, lo sento incollato alle dita come questo senso di terrore e vuoto che alberga sovrano nella mia testa e nel mio cuore.

Non penso a niente, mi dico, contraddicendomi però all’istante. Mi obbligo a non riflettere per non cadere in errore, per non contare e prendere in considerazione tutti quei piccoli, minuscoli segnali ed eventi che, se ben analizzati in passato, avrebbero potuto predire la catastrofe imminente.

Non penso per paura di cominciare a crederci, questa è la verità.

« Reita dì qualcosa, qualsiasi cosa. Tu più di tutti dovresti… »

« Niente. Io più di tutti non dovrei proprio un bel niente. » mi sento rispondere infine senza scollare gli occhi dalla rivista, appuntati come spilli su di una stoffa che attende solo di essere modellata, esattamente come la realtà che ci si prostra oggi innanzi.

Come reagiremo a questo? Come modelleranno le nostre menti quella che ai nostri cuori si presenta come l’apocalisse scesa in Terra?

Dimmelo tu per favore, tu che sei la causa di ciò.

Nessuno osa controbattere, nessun commento ostile fende l’aria pregna di sofferenza che inaliamo, il che, se possibile, peggiora ulteriormente il clima: il silenzio artiglia il cuore di ognuno di noi, degenera le nostre speranze, affossa il futuro che fino a poche ore fa ci sorrideva radioso.

« Penso sia inutile fasciarsi la testa prima del tempo. Non dovremmo aspettare molto per dei chiarimenti… » osserva Kai guadagnandosi la gratitudine di tutti per essere riuscito a dissipare, almeno in parte, il veleno che dilaga nelle nostre vene, iniettato dall’incalzare della tensione e del silenzio.

« Aspettare? Io voglio delle risposte ORA! »

Gli occhi di Uruha saettano alla velocità della luce in direzione di Aoi; un tanto vano quanto inutile spreco d’energie che avrebbe necessitato l’uso di maniere più brusche per mettere a tacere l’impazienza del chitarrista.

« Tu vuoi, perché credi che noi siamo qui a godercela? Che ci divertiamo a leggere STRONZATE, sì, perché in altro modo non possono essere definite, come questa? » Le sue mani arraffano malamente il giornale incriminato strappandomelo via e lasciandomi così senza difese, senza qualcosa che, per quanto orribile, riuscisse a catalizzare i miei pensieri ed impedirmi di affrontare i fatti. « Spero che quello… quello… - si ferma non trovando le parole, un insulto appropriato che spicchi in particolar modo tra gli altri e si distingua dalla bolgia che divora i suoi nervi - …spero per il suo bene che abbia una spiegazione plausibile o che almeno possa suonare tale. »

« Quindi dai per scontato che è colpevole. »

“State zitti, cosa pensate di ottenere comportandovi come due mocciosi di quattordici anni?” vorrei tanto dire, se solo non avessi la bocca impastata di delusione ed impotenza. Mi sento letteralmente affogare, perdere la cognizione di tutto ciò che mi sta intorno, inghiottito dalla frustrazione e dalla vergogna, vergogna nel ritrovarmi a desiderare il pianto come unica valvola di sfogo e medicina al dolore.

Quale onta, un uomo di trent’anni che non desidera altro che scoppiare a piangere infischiandosi bellamente di tutto ciò che gli è stato insegnato a suo tempo dai genitori!

Patetico.

« Aoi non provocarmi, non sono in vena per sopportare le tue battute deficienti o, peggio ancora, la tua stupidità. »

Puntuale come un orologio svizzero, Kai si frappone appena in tempo tra i due innalzando una barricata umana che spera possa reggere giusto il necessario per permettere ad entrambi di calmarsi e riprendere il controllo delle proprie azioni.

« ADESSO BASTA! » tuona sempre tenendomi sotto controllo con la coda dell’occhio, forse preoccupato da una mia imprevedibile e soprattutto negativa reazione.

Uruha calcia violentemente la chitarra a pochi passi da lui, due corde si spezzano risuonando sinistramente nell’aria, forse cattivo presagio di un qualcosa che presto o tardi accadrà. Respira a fondo addossandosi un autocontrollo fasullo e tradito dal continuo ticchettare dei suoi piedi contro il pavimento, gli occhi lucidi e prossimi a cedere a un pianto liberatorio.

« Ditemi che è solo un brutto incubo… » La voce incrinata firma la sua resa di fronte alla notizia, il dissiparsi di ogni più piccolo riverbero di speranza e fiducia. « Come ha potuto Ruki fare… una cosa del genere? »

Cade. Le sue gambe, troppo esili per reggere il peso di quell’angoscia, si abbandonano contro il pavimento freddo e piastrellato della PS Company, teatro di avventure e disavventure, quanto mai rocambolesche, combattute con fierezza dalla band.

Kai si guarda impietosito intorno, salvo poi poggiare una mano sulla spalla del compagno e cercare di trasmettergli un briciolo di speranza e coraggio nei quali, però, lui per primo non crede.

« Uruha fatti forza, tirati s- »

In quella le porte dello studio si spalancano, eleganti e decise, simili a delle ali d’angelo dispiegate e pronte per spiccare il volo. Una luce illumina la figura che, a braccia aperte al cielo e nascosta dietro a un paio di occhiali da sole neri come la pece, appare lasciandoci di stucco, nervosi e in attesa di sapere di quale morte saremmo dovuti andarcene.

La bocca mi si spalanca senza che io possa far nulla, malgrado il pastume collante di delusione e rabbia continui a permeare ogni anfratto del mio cavo orale; Aoi sbarra gli occhi pietrificandosi all’istante, perdendo tutt’un tratto la foga e l’entusiasmo con cui solo pochi istanti prima si era rivolto al suo amico; Uruha, il cui volto ormai è velato dalle lacrime, alza il capo, vittima in attesa che il boia, Ruki, si decida a reciderne i lembi e a staccarglielo via con la forza; solo Kai, seppur visibilmente scosso, da bravo leader qual è e sa di essere, si impone un minimo d’amor proprio e si prepara ad accogliere quello che fino a forse due ore prima sapevo essere l’unica persona alla quale avrei mai potuto affidare la mia vita dormendo sogni tranquilli. Solo una parola echeggia, latra, sanguina nella mia testa, marchia indelebilmente lo spezzarsi di un filo che avevo sempre creduto infinito nel mio svergognato ottimismo.

Traditore.

« Ruki… » La voce del batterista è roca e amorfa, del tutto svuotata e priva del calore che solitamente è in grado di trasmettere.

L’interpellato resta immobile dov’è, mastica meccanicamente una gomma che immagino abbia perso ormai ogni sapore, la fronte spianata e priva di esitazioni e turbamenti.

Sereno, perfettamente a suo agio. Anzi, leggermente scocciato si direbbe. Non posso semplicemente credere a quel che sto vedendo: che qualcuno mi cavi questi occhi al più presto. Che mi si impedisca di vedere ciò che è invisibile agli altri e che pulsa sotto la sua pelle, viscido e putrefatto come il valore di tutte quelle belle parole che in passato mi ha rifilato.

 

« Per me sei come un fratello Ryo. »

 

« Mh. » si limita a rispondere avanzando di un passo e lasciando che le porte si richiudano alle sue spalle. Si pone di sua volontà in gabbia, perfettamente conscio di essere in vantaggio, di rivestire i panni del domatore e noi quello di povere bestie da soma picchiate e maltrattate.

Lo guardo con una nuova obiettività, mista a rabbia e repulsione, una miscela esplosiva che fatico a tenere per me e che vorrei tanto riversargli addosso. Mi costringo a trattenermi e rimandare la raffica d’insulti e ripicche a più tardi: che figura c’avrei fatto nell’aggredirlo se, metti caso, si fosse dimostrato innocente e puro come un agnello?

Quanto mi sento stupido a sperare ancora in lui. Eppur si sa che, per quanto disperata, per quanto evidente ed inequivocabile, la speranza è l’ultima a morire.

Dio quant’è vero…

« Ruki abbiamo appena finito di leggere un articolo sul giornale di stamattina che non può essere che fals- »

« E’ vero. » Takanori interrompe Kai senza farsi troppe cerimonie, prendersi la briga di indorarci la pillola o darci il tempo materiale per prepararci alla conferma definitiva della fine di ogni nostro futuro e speranza. Schietto, diretto come è sempre stato: nel mio profondo ho sempre pensato, e mannaggia a me lo penso tuttora, che Ruki sarebbe stato un capo sì molto più cinico e intollerante di Yutaka, ma anche infinitamente più combattivo e tenace.

Fino a poche ore fa avrei detto di adorare il suo caratteraccio e i suoi atteggiamenti egocentrici tesi a mettere in ombra la band e farsi bello agli occhi del pubblico e delle telecamere.

Sei scaduto Ruki e il fatto che io continui a vederti migliore degli altri mi disgusta nel profondo. Se solo potessi averti tra le mani, imbrattate di lurido, violento desiderio, ti tingerei il volto con cazzotti e pugni. « Ho dichiarato ogni singola parola che avete letto. Non c’è molto da spiegare: quello che dovevate sapere, a quanto pare, lo sapete già. »

Il dolore sopraffa anche Aoi e si manifesta, come per Uruha, in lacrime, stille d’odio e repulsione incapaci di perdono.

« Tu, brutto figlio di… » A larghe falcate raggiunge il vocalist, lo afferra per il collo della blusa e lo strattona a pochi centimetri dal suo volto. « E CI LASCI COSI’?? ABBANDONI IL GRUPPO DOPO QUASI DIECI ANNI DI COLLABORAZIONE SENZA DARE IL BENCHE’ MINIMO PREAVVISO?? »

« BASTARDO!! SAICHI* NON TE LO LASCERA’ FARE, NO- »

« Ho già parlato con Saichi, Uruha, mesi e mesi fa. Ha accettato le mie dimissioni senza batter ciglio e così dovreste, anzi dovrete… – lo sguardo di Ruki si sofferma sui presenti passando tutti in rassegna, impossibile dire cosa stia pensando, mascherato da quei dannati occhiali neri. Si punta poi su di me, conscio d’aver agguantato la preda più succosa, quella da cui avrebbe potuto attingere più pena. Sorride, ghigno d’angelo diabolico - …fare anche voi. » conclude passandosi una mano tra i capelli con naturalezza surreale, come ci avesse appena annunciato che quella mattina si era fatto la pedicure.

 

“EDIZIONE STRAORDINARIA:

RUKI’S OUT: - LASCIO LA BAND, DICO ADDIO AI GAZE -

 

No.

Nonononononono. E ancora no, non lo accetto e sai bene che non lo farò mai.

A pochi metri da me, Kai, irriducibile come sempre, tenta di sanare l’irreparabile.

« Avanti Ruki, non fai ridere nessuno. Il tuo scherzo è di pessimo gu- »

« Non sto scherzando. Questa è l’ultima volta che metto piede alla PS Company, sono passato a prendere le mie cose per il trasferimento. »

L’ennesimo pugno allo stomaco.

Trasferimento? Che storia è mai questa?

« Tra… trasferimento? » domanda il leader esausto, permettendo alla figura minuta sua interlocutrice di oltrepassarlo per andare a recuperare la sua chitarra elettrica e degli sparititi su scaffali e scatoloni. « Stai… lasciando il Giappone? »

« Non essere ridicolo, certo che no. » risponde quello chinandosi sotto la scrivania, in cerca di qualcosa che sembra rivestire una certa importanza. « Ho firmato un contratto con la casa discografica di Miyavi, da domani sono suo collega si può dire. Comincio la carriera da solista. »

Nessuno sa più cosa dire, nessuno osa muoversi forse per paura di danneggiare ulteriormente la situazione, come se peggio di così… no, meglio tacere. In tutti questi anni ho imparato a caro prezzo che, quando pensi di avere toccato il fondo, quando credi di aver scavato così tanto da sbucare dall’altra parte del globo, ti accorgi che non esiste alcun fondo e che puoi solo continuare ad andare giù, sempre più giù fino ad annegare nel tuo dolore.

« Come… perché? » La voce di Uruha riecheggia angosciata tra le mura. « Perché Ruki? Perché ci stai facendo questo? Perché te ne stai andando? »

L’altro si esibisce in uno sbadiglio annoiato mentre finalmente trova quello che andava cercando, un plico di fogli con sopra allegate delle foto del gruppo che stacca con malagrazia gettando a terra. Fa per disfarsene di un’altra che infine decide di tenere, dopo averla osservata a lungo senza lasciar trapelare la benché minima emozione. Dalla mia postazione non riesco a vedere di che scatto si tratti, né tantomeno chi o cosa rappresenti, ma il semplice fatto che abbia deciso di tenerla riesce a farmi recuperare uno o due battiti.

« Non c’è un perché vero e proprio. » Si alza issandosi lo strumento musicale sulle spalle e controllando un’ultima volta di aver raccattato tutto ciò che gli premeva prendere. « O meglio sì, il motivo è che voglio intraprendere la carriera da solista. Il gruppo ormai mi stava stretto e non mi permetteva di esprimermi e dare quel che voglio. »

« Ma se ce lo avessi detto avremmo cercato di venirti incontro! Ruki ti prego, pensaci su, siamo tutti disposti a fare qualunque cosa per farti restare. »

Anche Kai ha ceduto, dietro i due amici, è caduto in sequenza come una tessera di domino. Manco solo io.

L’altro non ribatte, non esaudisce le speranze tacite e per paura non pronunciate del poveretto, si volta invece a guardarmi per qualche strano motivo e continua a farlo per quello che sembra un lasso di tempo troppo lungo per poter essere quantificato. Posso sentire i suoi occhi roventi marchiare la mia figura, ancora muta dal suo arrivo, in attesa di un qualcosa che non riesco a capire e che quindi non posso dargli o fare.

Arriccia le labbra forse indispettito, forse per trattenere una smorfia divertita, infine si muove verso la porta senza degnare della benché minima attenzione nessuno, deciso più che mai a uscire non solo da quella stanza ma anche dalle nostre vite.

“Fermatelo, vi prego” penso tra me e me lanciando una supplica disperata ai miei amici, i quali però scopro essere troppo sconvolti per trovare e tirare fuori le forze e quindi esaudire la mia supplica accorata.

 

« Non ho mai avuto un amico come te prima d’ora… »

« No Ruki, tu prima di me non hai avuto amici e basta. »

« Se per “amici” intendi persone che ti assomiglino, allora no, non ne ho mai avuti. »

« Non è una bella cosa da dire, sai? E’ triste sapere che all’infuori di me non hai nessuno. »

« A me basti e avanzi tu, Ryo. »

 

Non dice niente prima di uscire, prima di chiudersi le porte alle spalle ed interrompere definitivamente il mio, o meglio nostro sogno.

Via. Se n’è andato per davvero.

Guardo distrutto i miei compagni, quel che resta dei Gazette: senza Ruki che senso ha andare avanti? Ruki rappresenta, o meglio rappresentava, visto l’evolversi dei fatti, la voce capace di dar vita alle nostre emozioni, la matita in grado di delineare il profilo di ciò che pensiamo, il soffio vitale che anima la band e la spinge a dare il centouno per cento. Nessuno all’infuori di lui potrebbe svolgere magistralmente una mansione di tal fatta, un compito che si è sempre addossato sia nei bei che nei brutti momenti. Dove saremmo andati a pescare un altro uomo alto 1.62 cm in grado di compiere i suoi miracoli e di elevarci sul gradino più alto del podio?

Ruki è unico.

Ruki è il mio migliore amico.

« CIAFF! »

Il rumore di uno schiaffo poderoso risuona prepotente alle mie orecchie, un bruciore pungente gela sulla mia guancia l’attimo dopo. Neanche il tempo di realizzare quanto è appena accaduto che mi vedo afferrare da Aoi e scuotere violentemente da destra a sinistra. Vorrei ordinargli di lasciarmi perdere, che non è il momento giusto per attaccare briga, che non sono semplicemente dell’umore ma lui continua imperterrito colpendomi una seconda, addirittura una terza volta.

Vorrei avere almeno la forza per potermi difendere anche se, inspiegabilmente, sento di meritarmi quel trattamento.

« SEI UN COGLIONE REITA!! PERCHE’ NON HAI DETTO NIENTE??? EH?? »

Lo guardo ammutolito, incapace di connettere il cervello alla bocca e di fargli partorire un pensiero coerente (chiedere intelligente sarebbe stato troppo).

« Prego? » riesco a dire alla fine dopo aver boccheggiato per un po’ come un pesce fuor d’acqua.

Per tutta risposta ricevo l’ennesima sberla.

« IDIOTA CHE NON SEI ALTRO! RUKI E’ IL TUO MIGLIORE AMICO! TU SEI L’UNICO CHE PUO’ CONVINCERLO A CAMBIARE IDEA E COSA FAI? TE NE STAI ZITTO E LO LASCI FARE! SEI PROPRIO UN COGLIONE, SMETTILA DI COMPATIRTI E CORRIGLI DIETRO! FERMALO DANNAZIONE, TU CHE PUOI!! »

Non mi serve guardare gli altri per capire che la pensano esattamente come lui, non mi occorre riflettere per sapere che anch’io sono d’accordo.

Dio quanto sono idiota.

Mi passo una mano sulla guancia lesa cercando di lenire il dolore, ora più acuto, che la consapevolezza ha portato con sé. Ricambio le occhiate amareggiate degli altri e, prima che Aoi possa nuovamente accanirsi sul sottoscritto, prima che le lacrime di tutti finiscano col contagiarmi, comincio a correre verso l’uscita, che spalanco con un calcio secco: devo raggiungerlo, devo fermare quel pazzo, anche a suon di cazzotti,  costringerlo a svuotare il sacco e soprattutto a tornare con noi.

Le speranze ti tutti, non solo dei miei compagni ma anche dei nostri innumerevoli fan, sono riposte in me. Per la prima volta in vita mia capisco cosa prova Ruki quando sale sul palco e si mette a nudo davanti al pubblico, quando canta rendendosi vulnerabile e ci incita a dare il massimo.

Non posso fallire, non voglio deludere nessuno. Dopotutto, lui è ancora il mio migliore amico.

 

 

 

* * * * *

 

 

 

« RUKI!!! »

Forse per la corsa forsennata, forse per il groviglio inestricabile di emozioni che ancora permea ogni cellula del mio corpo, ma mai come ora pronunciare il suo nome mi è stato così difficile.

A pochi metri da me lo guardo fermarsi, piantare i piedi a terra, le spalle rigide e cadenti, appesantite dalla pioggia incessante che grava su di noi. Non dice niente, si limita ad aspettare dandomi la schiena, attende paziente che io gli riversi addosso il mio dolore. Se solo sapessi da che parte cominciare…

« Dove stai andando? » grido infine piegandomi in due e facendo leva sulle ginocchia per non cadere a terra, stremato dalla maratona appena terminata.

Lui alza il volto al cielo, lascia che la pioggia deterga il suo viso e, voglio sperare, anche la sua coscienza.

« Non è evidente? »

« No, è tutto tranne che… » respiro affannosamente cercando di raddrizzarmi ed annullare la distanza che c’è tra noi. Muovo appena tre passi, il tempo necessario di realizzare che, avvicinandomi, avrei finito con l’allontanare il Ruki che vive tuttora nei miei ricordi e che voglio custodire gelosamente per il resto dei miei giorni.

« …che evidente. »

Mi fermo.

Nessuna risposta.

Lo sento sospirare, l’attimo dopo voltarsi e finalmente fronteggiarmi.

« Me ne sto andando Reita, credevo di essere stato abbastanza chiaro. »

« No, non lo sei stato per niente. »

Sospira di nuovo arricciando le labbra, indispettito dal mio perseverare incessante e quanto mai patetico. Lo conosco troppo bene per fraintendere anche il più piccolo gesto, voluto o meno, che compie.

Aoi ha ragione: l’unico che può fermare Ruki sono io, lo dimostra il semplice fatto che sta ancora lì, a forse cinque passi di distanza, incapace di mandarmi a quel paese e di dirmi apertamente che della band non glie ne frega più niente. Che di me non glie ne frega più niente.

Perché?, non posso fare a meno di chiedermi: perché se ne sta andando se farlo gli costa una fatica così grande?

« Perché lo stai facendo? » domando cercando di reprimere la rabbia che pulsa sempre più violenta e che minaccia di manifestarsi in un pestaggio.

Sbuffa seccato portando le mani ai fianchi.

« Quante volte lo dovrò ripetere prima che vi entri in testa? Voglio cominciare la carriera da so- »

« Non è questo che voglio sapere! » lo interrompo provocandogli uno spasimo involontario forse di meraviglia. « Dimmi quando e perché la band ha cominciato a rappresentare per te una gabbia. Cos’è cambiato? Quando?? »

Non risponde. Capisco immediatamente di aver centrato il punto, di avergli posto il pezzo da novanta al quale mai avrebbe voluto render conto. Ci fronteggiamo in silenzio, in attesa di una verità che forse nessuno dei due vuole accettare ed è pronto ad accogliere. La mano di Ruki trema impercettibilmente, cerca di nasconderla non appena ne prende atto e di occultare ogni sintomo o gesto che potrebbero compromettere la sua maschera glaciale. Avrei dovuto parlare prima, di fronte agli altri, avremmo evitato questo pietoso teatrino e questa sofferenza così grande da parte di entrambi. Non che il comportamento di Takanori sia cambiato così tanto nel giro di pochi minuti ma, evidentemente, il dovermi fronteggiare apertamente e da solo lo pone in disagio com’è sempre stato in tutti questi anni.

Odio questa situazione. Vorrei prenderti a pugni Ruki, non immagini quanto.

Senza rispondermi si volta intenzionato ad andarsene, intenzione presto smascherata ed anticipata prontamente. Lo raggiungo nel giro di forse un secondo e lo afferro per la spalla voltandolo di peso e costringendolo al confronto finale.

« Risposte Ruki, voglio solo questo, poi sarai libero di andare e fare quel che più ti aggrada. » gli sputo inchiodando i miei occhi nei suoi, invisibili per via degli occhiali da sole, quanto mai fuori luogo viste le condizioni meteorologiche.

Non si ritrae, anche se farlo gli costa una smorfia di puro disappunto.

« Lasciami immediatamente o giuro che chiamo la sicurezza. » mi minaccia senza però fare niente per liberarsi.

Una risata sardonica sfugge dalle mie labbra.

« Prima che possa arrivare qualcuno ti avrò già costretto a vuotare il sacco, fidati. »

Non gli lascio il tempo di replicare, non voglio sentire la sua voce sprezzante infangare ulteriormente se stesso e i GazettE: la mia mano si serra prontamente in un pugno, pugno che lo centra in pieno volto facendolo cadere all’indietro e perdere i suoi fottutissimi occhiali.

« Cazzo. » borbotta a capo chino cercando a tastoni il tesoro perduto ora pericolosamente vicino ai miei piedi, un invito troppo allettante per poter essere rifiutato. Non alza la testa per guardarmi ma capisce immediatamente cosa sto per fare e protende d’istinto una mano in mia direzione. « Aspetta, non farl…!! »

Troppo tardi. Il mio tacco sinistro cala come una scure sulle lenti mandandole in mille pezzi, le stanghette di metallo si piegano sotto il peso del mio corpo producendo un rumore sordo.

Sorrido soddisfatto, trionfante: vedere Ruki inginocchiato e proteso in mia direzione è appagante quanto sentire le urla di milioni e milioni di fans acclamare il bis o il nome della band durante un concerto. Mi sento malsanamente bene mentre mi avvento su di lui tirandolo su di peso e portandolo a pochi centimetri dal mio volto.

« E adesso rispondimi bastardo. In nome dell’amicizia che un tempo c’era tra di noi, adesso voglio… »

Non riesco a finire la frase, perdendo tutt’un tratto l’impeto appena trovato e che per un istante mi aveva fatto sentire così forte, così inviolabile. Mi limito invece a fissare Ruki, o meglio il capo che si ostina a tenere chino e i capelli biondicci e bagnati che gli nascondono il volto.

Un sospetto atroce prende vita tra i miei pensieri, seguito da un groppo in gola che non riesco in alcun modo a mandar giù.

« Ruki esigo che tu mi guardi mentre ti parlo… » ordino lasciando però trapelare una nota di puro terrore e pentimento.

La sua bocca si dischiude per lasciar fuoriuscire una risata sguaiata, il latrato di un animale ferito che fa di tutto per non mostrarsi debole di fronte al nemico.

Mi affretto ad ingoiare un misto di dolore e rimorso che sa di bile.

« Tu vuoi… » comincia con tono di voce strano, tipico di chi è sul punto di non ritorno. « …perché quello che vuoi tu ti deve essere dato mentre quel che voglio io no? VOGLIO ANDARMENE RYO, LO CAPISCI CHE DEVO FARLO??? » grida alzando finalmente lo sguardo ed inchiodandomi con le spalle al muro.

E’ troppo: mollo immediatamente la presa indietreggiando d’un passo, incapace di sostenere gli occhi iniettati di sangue, velati di lacrime e di trucco nero sbavato del cantante. La sua disperazione mi travolge come un fiume in piena senza darmi il tempo di riflettere e metabolizzare quel che sta accadendo, cosa non del tutto negativa perché, anche avessi avuto il tempo materiale per farlo, dubito sarei riuscito a formulare qualcosa di buono.

« MA COSA NE VOLETE SAPERE VOI?? IO ME NE VADO PER SALVARVI IL CULO, PER NON DISTRUGGERE QUELLO CHE FATICOSAMENTE ABBIAMO COSTRUITO, QUEL CHE PIU’ AMO AL MONDO E QUESTO E’ IL RINGRAZIAMENTO! QUI L’UNICO CHE CI STA RIMETTENDO SONO IO! SONO IO CHE, COMINCIANDO LA CARRIERA DA SOLISTA, PRESTO O TARDI PERDERO’ L’APPOGGIO DEI FAN E MI VERRA’ IMPEDITO DI CONTINUARE. STO SACRIFICANDO LA MIA VOCE PER VOI CHE SIETE LA MIA FAMIGLIA E DEVO ESSERE PRESO A PUGNI DA TE!! PROPRIO DA… TE!! »

Urla e piange contemporaneamente, liberandosi di un peso che sembra troppo grande per poter essere contenuto, non almeno da un corpo così piccolo, così gracile, così semplicemente… umano.

Lo ascolto impotente, aspettando un continuo che in cuor mio spero non esista.

« TU! OH, TU SEI LA CAUSA DI TUTTO, E’ COLPA TUA SE LASCIO LA BAND, STUPIDO! NON LO CAPISCI, VERO? NON CAPISCI CHE LA TUA PRESENZA MI FA STAR MALE? CHE L’ESSERTI AMICO MI STA UCCIDENDO??? DIO QUANTO SEI… SEI… » singhiozza senza vergogna incurante dell’etichetta, di chi è e di quel che ci si aspetta da lui. Come vorrei riuscire ad infischiarmene anch’io…

« …CRETINO!! » conclude stremato asciugandosi frettolosamente le lacrime, miste a pioggia e trucco nero, con la manica della giacca e cercando contemporaneamente di ritrovare un briciolo di contegno e virilità.

Non replico, non ne ho le forze, non riesco neanche a chiedermi cosa significhino le sue parole. Da bravo codardo quale sono, mi limito ad aspettare, piccolo piccolo contro l’angolo, atterrito dal dolore e dalla consapevolezza di essere il motivo per cui sta lasciando il gruppo.

Ruki si morde il labbro inferiore distogliendo per una frazione di secondo l’attenzione dal sottoscritto, salvo poi muoversi in mia direzione ed avvicinare il suo volto al mio.

« Non ci arrivi proprio, vero Ryo? » sussurra contro le mie labbra accennando un sorriso a metà tra il triste e il rassegnato.

Non sono sicuro di aver capito bene, sono troppo concentrato sulle sue labbra dischiuse e pericolosamente vicine alle mie.

Troppo vicine.

« Cosa dovrei… capire? » riesco infine a mormorare sudando freddo e desiderando solo allontanarmi: l’avere così vicino Takanori mi mette a disagio, mi spaventa come mai è successo, esattamente come il sentirmi chiamare col mio vero nome in un frangente del genere, che non avrei esitato a definire imbarazzante.

Sorride di nuovo, farlo gli costa l’ennesima lacrima, mentre le sue labbra si posano delicate alle mie incastrandosi alla perfezione. Quel contatto, tanto lieve quanto il battito d’ali di una farfalla, dura forse un secondo, un interminabile secondo durante il quale vedo scorrere davanti ai miei occhi, spalancati per la sorpresa, un sacco di avvenimenti passati e parole pronunciate che ora assumono tutt’altro significato.

 

 

 

« A me basti e avanzi tu, Ryo. »

 

« Sei proprio ottuso… »

 

« Cosa… ti piacerebbe ricevere per il tuo compleanno? »

 

« Ti va se andiamo a mangiare fuori… insieme? »

 

« Non puoi capire quanto per me sia importante la tua presenza in questa band. »

 

« Se non ci fossi tu avrei già ceduto da un pezzo. »

 

« Grazie Reita, sei… sei davvero un… amico. »

 

« Ti dà fastidio se quando siamo soli ti chiamo Ryo? »

 

« Tu sei perfetto così come sei, anche nella tua stupidità. »

 

« Non puoi capire Ryo. Non sforzarti di farlo. »

 

 

 

Nel momento in cui realizzo e finalmente comprendo ciò che Ruki ha sempre cercato di nascondermi, le mie mani agiscono d’impulso spingendolo via, lontano, malgrado si fosse già staccato e il bacio fosse terminato da un pezzo.

Il mio gesto non lo sorprende, sembra invece confermare qualcosa che aveva già assimilato e dolorosamente accettato da tempo.

« Capisci ora perché me ne sto andando? » sussurra ostinandosi a mantenere un sorriso dolorosamente falso. « Se continuo a restare nella band, al tuo fianco, rischio di impazzire e rovinare tutto. Non voglio infangare il nome del gruppo né tantomeno sopportare il peso di quest’amicizia, un’amicizia che per me non è più tale da anni e che per te non potrà mai trasformarsi in qualcosa di più. Quindi ti prego Ry… Reita… » si corregge velocemente quasi avesse detto una bestemmia. « …lasciami andare. »

Semplicemente sconvolto, atterrito e spaventato per quanto accaduto, gli faccio segno di sì con la testa, che può andare dove vuole, che non l’avrei trattenuto un solo secondo in più.

« Grazie… » Si volta dandomi le spalle per quella che sappiamo essere l’ultima volta. « Non dirlo agli altri, ok? »

Annuisco di nuovo inebetito, non realizzando che lui, essendo di spalle, non può vedermi.

Non aspetta una risposta, forse in un qualche modo ha capito che esaudirò la sua supplica. Quindi se ne va, portandosi via non solo il mio cantante, ma anche il mio migliore amico, quello che a suo tempo aveva promesso ci sarebbe sempre stato qualunque cosa fosse successa.

Come posso perdonarti per questo?

Dimmelo tu Ruki: come posso perdonare me stesso per il mio non ricambiare il tuo amore? Per il mio essere eterosessuale e stupidamente sincero nel negarti un rapporto altrimenti falso ed incapace di nascere, crescere e rafforzarsi sull’amore e sull’attrazione fisica?

Perdonami Takanori se per me eri solo un amico e così avrei continuato a vederti fino alla fine dei miei giorni.

Sento gli occhi bruciare mentre scorgo una foto a terra completamente zuppa, quella che Taka ha salvato pochi minuti prima allo studio, gli deve essere caduta quando l’ho colpito. Mi chino a raccoglierla e, malgrado sia ormai rovinata dalla pioggia, non fatico a riconoscere i due uomini che questa ritrae: siamo io e Ruki, al nostro primo concerto, poco prima di salire sul palco. Risuonano violente le parole da me dette quel giorno, parole pronunciate a cuor sereno e senza voler ferire nessuno.

Parole bugiarde.

 

« Andrà tutto bene Ruki, te lo prometto. »

 

Alzo la testa al cielo, ancora sconvolto ed atterrito, sorridendo riconoscente a chi che sia che da lassù piange al mio posto. Grazie perché, malgrado il dolore, questo stupido uomo non è più in grado di piangere da troppo tempo.

Quanto sei debole Ryo Suzuki…

 

 

 

 

 

[The End]

 

 

 

 

*   SAICHI: nome del manager del gruppo da me inventato. Non conoscendo il nome di quello attuale ho preferito inventarmene uno di sana pianta. Pardon.

 

                     

 

 

 

Note finali:

 

Amore non corrisposto tra un gay e un etero, non credo di aver mai letto niente del genere sul fandom, correggetemi se sbaglio.

 

Ok, notizie random che non potrebbero interessarvi di meno ma che posto lo stesso perchèsì:

 

 

1) AMO LA COREA, IL K-POP E I DRAMA COREANI <3 <3 <3 Amateli anche voi u.u

2) Ho divorziato da Ruki pentendomene tre secondi dopo e scappando a piangere lacrime di dolore avvolta nell’abbraccio di Yunho e Kim Hyung Jun (dolore dissipato nell’istante in cui mi sono immaginata la scena);

3) “Grazie” a Denki Girl sto scrivendo la shot più demenziale che la mia mente malata sia mai riuscita a concepire, peggio ancora, per chi l’avesse letta, della mia vecchia “Redenzione” (ebbene sì, credevo di aver toccato l’apice con Miyavi prete, invece non c’è mai fine al degrado). ASPETTATEVI IL PEGGIO, SIETE AVVISATI.

4) Vorrei continuare quest’elenco ma non ho altro da dire e la cosa mi dispiace un sacco T.T

 

 

Dire che è tutto. Commentate se vi piace quel che ho postato o anche per mandarmi a quel paese per non aver scritto niente di così incredibile o delle note degne di questo nome. Continuerò a volervi bene ugualmente, non temete XD

 

Shin loves you girls. Baci.

 

 

   
 
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