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Autore: Anto1    01/03/2012    4 recensioni
Gabriel ha fatto la sua scelta ed è ormai a capo del Direttorio. Non risolve più casi sul paranormale e ha dei sottoposti che lavorano per lui. Ma cosa succederebbe se una persona a lui molto cara fosse direttamente minacciata? Perché continua a vedere in sogno Serventi? Cosa vuole davvero da lui? Ma soprattutto, cosa vuole dalla sua Claudia?
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
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Era lì, in quella stanza senza muri, invasa da una luce bianca, una stanza senza inizio né fine. Ormai era come una seconda casa per lui; era perfettamente a suo agio. Ma ora, che fare? Doveva proseguire, o tornare indietro? Era la prima volta che si trovava in una situazione del genere, dove era lui ad essere morto. Sarebbe stato facile tornare indietro? Sì, se lo voleva, poteva farlo, lui aveva il potere di riportare in vita la gente, e ora doveva riportare in vita sé stesso. Stava quasi per girarsi verso la porta, quando qualcosa attrasse la sua attenzione: per l’esattezza, qualcuno. Stupito, affascinato, si diresse lentamente verso la persona che aveva più desiderato rivedere nella sua vita, dopo Claudia. Una persona che gli era mancata terribilmente.
“Papà!”
Non era il suo fantasma, non era un’illusione, era proprio suo padre, così come se lo ricordava. Sparita la ferita al petto, sparito l’urlo senza voce, rimaneva suo padre in carne ed ossa: alto, muscoloso, il mento volitivo e i capelli corvini; indossava gli stessi abiti dell’ultimo giorno che l’aveva visto, il giorno in cui era morto, ucciso da…
“Papà!” ripeté con le lacrime agli occhi, toccandogli una spalla.
Lo sguardo serio di suo padre brillò, e le sue labbra si aprirono in un sorriso.
“Gabriel, è questo il modo di salutare tuo padre, dopo che non lo vedi da così tanto tempo? Quell’incapace di tuo zio ti ha diseducato così tanto da farti dimenticare le buone maniere?” chiese, ridendo, e strinse il figlio in un abbraccio da spaccare le costole.
“Il mio ragazzo!”
Gabriel non sapeva che dire, né come comportarsi: vedere suo padre, lì, in piedi, dopo tanto tempo, gli procurava una sensazione strana, di felicità dolorosa. Oh, quanto gli era mancato!
Sebastiano liberò suo figlio dall’abbraccio, e rimase spiazzato quando vide i suoi occhi riempirsi di lacrime.
“Che c’è? Ti fa così tanta vergogna incontrare di nuovo il tuo vecchio?!” chiese, con falsa sorpresa. In realtà, sapeva cosa stava provando in quel momento: dolore, tristezza, colpa.
Gabriel, nonostante il disagio, rise “papà, io… mi dispiace, non sapevo che mia madre ti avesse tradito con mio… mio zio. Io non sapevo che eri stato assassinato, mi hanno fatto credere che facevi sette sataniche, che ti eri suicidato, solo per sviarmi e non farmi conoscere la verità. Mi hanno tenuto all’oscuro di tutto, io pensavo di essere tuo figlio! Pensavo di non poter più tornare alla Villa perché avevo paura di te, del tuo fantasma, non capivo che mi volevi soltanto aiutare, e a tua volta avevi bisogno di aiuto… non pensavo che era per colpa di quello che una volta chiamavo zio! Papà, io non volevo che morissi! Io ti volevo bene!”
“Anch’io, Gabriel! Anch’io te ne volevo! E pensavo che tu fossi mio figlio, o, almeno, volevo crederlo, l’ho sperato fino all’ultimo. Ero così orgoglioso di essere tuo padre, di avere come figlio un bambino dolce, affettuoso e altruista come te.”

“Papà, vuoi venire a giocare a pallone con me in giardino?”
“Non ora, Gabriel, devo lavorare.” Suo padre era stanco, aveva cerchi neri sotto gli occhi.
“Ma me lo avevi promesso…” disse il bambino, tenendo il broncio.
“Gabriel, non insistere, oggi no! Ora lasciami lavorare, ho ancora molto da fare!” disse Sebastiano, tornando al suo libro, quello stupido testo di Giordano Bruno scribacchiato. Ormai lo studiava da mesi, e passava i giorni chiuso in quel suo studio senza mai vedere nessuno. Gabriel odiava quel libro: da quando suo padre lo leggeva, giocava sempre di meno con lui.
“Almeno posso andare dallo zio? Ha detto che vuole vedermi!”
A quelle parole, Sebastiano aveva alzato di scatto la testa verso di lui.
“Non credo che vedrai lo zio per un bel po’ di tempo.”
“Perché no?” aveva chiesto Gabriel, contrariato.
“Perché tuo padre e tuo zio hanno litigato. Cose da grandi, non puoi capire. E ora lasciami lavorare.” Ripeté, infastidito.
Gabriel fece per chiudere la porta, ma poi sentì una sensazione strana dentro di sé, come di un presentimento. Sentiva che, se non avesse detto quelle parole a suo padre ora, non gliele avrebbe dette mai più.
“Ti voglio bene, papà!”
Sebastiano si voltò verso il viso piangente di suo figlio. Intenerito, si alzò dalla sedia, e lo abbracciò. “Anch’io te ne voglio, te ne ho sempre voluto!” aveva detto sui suoi capelli rossi. Quello fu l’ultimo giorno che si videro, da vivi. Perché di lì a poche ore, Sebastiano sarebbe morto per mano del fratello.

Entrambi avevano ricordato quella scena, entrambi l’avevano condivisa con la forza della mente, entrambi si erano ritrovati abbracciati, piangendo, come quel pomeriggio.
“Papà… voglio dirti che mi vergogno di essere figlio di un tradimento, mi sento in colpa, mi sento come se anche io ti avessi mentito per tutti questi anni. Io… non so se hai mai provato rancore verso di me; in questo caso sono pienamente responsabile. Avrei voluto essere tuo figlio! Sono rimasto disgustato quando ho saputo com’ero nato, mi dispiace! Tutto questo non l’ho scelto io! Chissà quanto devi aver sofferto, papà!” la voce di Gabriel era mesta, bassa, quasi un sussurro.
Suo padre scosse la testa “Tu non hai colpa di quello che è successo, e io non ti ho mai odiato, anche se sospettavo già che tua madre mi tradisse con tuo… tuo…”
“Zio, papà!”
“Con mio fratello. E ti confesso che c’erano giorni in cui sospettavo anche che tu non fossi mio figlio…” alzò una mano per fermare il torrente di parole che Gabriel stava per pronunciare “ma non ti ho odiato… odiavo che mia moglie non trascorresse molto tempo con me, che spesso mi privasse delle più banali attenzioni, che spesso litigassimo per un nonnulla, e che mio fratello mi trattasse con sufficienza, addirittura con disprezzo. Ma non te, che correvi nel giardino della villa, che eri così entusiasta di imparare la canoa, che mi dicevi spesso quanto ti piacessero le moto; la tua risata allegra, il modo in cui mi chiamavi “papà”. Come avrei potuto odiarti? Sei stata l’unica persona in quella famiglia che mi trattava con rispetto, quasi con venerazione, che mi volesse bene davvero, senza inganni e senza riserve. Sei stato l’unico figlio che abbia mai amato, mio figlio! E il figlio è stato vittima di una calunnia ed è vissuto all’oscuro di tutto, proprio come il padre. Ma checché ne dica una profezia, checché ne dica la biologia, tu sei mio figlio!”
Gabriel sorrise felice come non mai, finalmente libero da un peso troppo grande da sopportare.

“No!!! Ahhh!!! Gabriel, no!!!” l’urlo disperato dichiarava a stento il dolore che doveva sopportare. Ora che si erano finalmente ritrovati, ora che si erano finalmente amati, lui era lì, steso a terra, solo un corpo, niente di più.
Un corpo senz’anima.
“Nooo!!! Ti prego, torna da me!!! Torna da me!!!” aveva il viso su quello insanguinato di lui, si teneva stretta al suo corpo, incurante che il suo sangue le stesse sporcando i vestiti, il viso, i capelli; anzi, quasi benediceva quel sangue su di sé, mentre ricordava disperata la loro unica notte d’amore. Apriva le labbra di Gabriel con le sue, quasi volesse soffiargli dentro l’anima. Ma era tutto inutile: lui era morto, e quel pensiero la schiacciava, le toglieva l’aria dai polmoni, quasi come se stesse morendo lei stessa. “Nooo!!!”
“Che cosa c’è, bambolina? Sei triste perché lui è morto?” Serventi le si avvicinò, come un’ombra “non hai più bisogno di lui. Ora sono io il super uomo dai poteri speciali, il re del nuovo mondo. E tu sarai la mia regina, al mio fianco” le bisbigliò ad un orecchio, toccandole i capelli frontali, sporchi del sangue del suo mortale nemico.
Lei lo respinse con uno strattone “Non toccarmi!!!”
“Non è che tu abbia molta scelta! Ormai sei mia!!!” urlò lui, afferrandola per le spalle e costringendola ad alzarsi, staccandola da Gabriel. Le prese da dietro i fianchi e la strinse a sé…
“Non toccarla, verme schifoso!!!”
Venne invaso da un getto d’acqua fredda, e poi da una vampata di fiamme, e si ritrovò urlante per la sorpresa e il dolore. Per fortuna per lui, i due effetti si erano annullati a vicenda; quello di Nadia ed Enzo era stato solo un avvertimento.
I ragazzi cercarono di allontanare Serventi, e si strinsero vicino a Claudia, per proteggerla.
“Scappa, Claudia!” le intimò Agatha.
“No! Gabriel…”
“Gabriel è morto” le disse Elisa con una smorfia di pianto “mi dispiace, ma non c’è più niente che puoi fare.”
Claudia, disperata, si gettò di nuovo su quel corpo freddo, piangendo sommessamente. Lui, che l’aveva tanto amata, che l’aveva protetta, era morto! No, non poteva finire così! Il loro amore non poteva finire così, ora che lui aveva finalmente scelto lei! Lui, che resuscitava le persone ad un passo dalla morte, era morto!
“Torna da me, amore mio! Ti prego!!!”
“Ah! Ah! Ah!” la risata malefica di Serventi le giunse alle orecchie “che cosa vuoi fare, donna, resuscitarlo? Mi dispiace, ma non hai questo potere!”
Claudia alzò la testa dal petto del cadavere, colpita da un’idea subitanea: ma certo! Eccola lì la soluzione! Ed era venuta proprio dal loro nemico, dalla tigre assetata di sangue, così diversa da lui, da loro!
Improvvisamente, la donna si alzò.
“Ragazzi, ascoltate: dite ai vostri compagni che sono dentro la Villa di creare un campo di protezione, e di chiudere me e Gabriel lì dentro! Voi vi disporrete fuori al perimetro della barriera, e cercherete in tutti i modi di non fare avvicinare Serventi.”
I ragazzi parvero non capire e guardarono Claudia con fare interrogativo. Poi…
“Claudia, è una pazzia! Tu non puoi farlo! Non hai questo potere!” disse Mauro, allibito.
“Che intende fare?” chiese Elisa.
“Resuscitare Gabriel, ecco che vuole fare!” rispose Agatha.
“Come?” era stata Nadia questa volta a parlare.
“Sentite… lo so di non essere come voi, di essere una persona normale, ma io… Non posso guardarlo morire senza provare a salvarlo! E tenterò con tutte le mie forze, dovessi morire anch’io con lui, e, anzi, sarebbe il mio desiderio! Lui vi ha lasciato sotto il mio comando, vi prego, fate come vi dico! Vi prego! Che avete da perdere?”
“La libertà! Serventi ci prenderà con sé!” dichiarò Antonio.
“Ma se io riuscissi nel mio intento, sarete salvi! Per favore, aiutatemi! Non avete mai desiderato che una persona a voi cara tornasse in vita?!” quelle parole le aveva dette in ginocchio, disperata. Sentiva di stare per impazzire.
Un attimo di esitazione, solo un attimo, e Giada, Dario, Davide e Anna avevano creato ben quattro campi di forza, che proteggevano Claudia e Gabriel dagli attacchi esterni: fuori, le barriere erano coperte da un tappeto giallo e nero di api, controllate da i gemelli: se gli attacchi per respingere Serventi, forniti da Nadia, Antonio, Mauro, Enzo, Elisa e Agatha non avessero funzionato, loro sarebbero passate all’azione.
Claudia guardò quel volto amato, piena di speranza. Le sue labbra formularono l’unica preghiera che avesse mai pronunciato.
“Ti prego, fa’ che si salvi! Se tu esisti, e qualunque cosa tu sia, ti prego, fa’ che io riesca a riportarlo indietro! So di non avere mai creduto in te, ma da quando conosco quest’uomo il mio mondo è cambiato. Credo in lui e nell’amore che ci lega come non ho mai creduto in niente in tutta la mia vita! Ti prego, fa’ che riesca nel mio intento! Fa’ che riesca a salvarlo! In caso contrario, lasciami morire tra le sue braccia!”
Fece una cosa che gli aveva visto sempre fare: mise la mano sinistra sulla fronte di Gabriel e la destra sulla sua, concentrandosi sul vuoto, sul suo desiderio di riportarlo in vita, sulla disperazione che provava in quel momento, sperando con tutte le sue forze. Buio… poi luce, una luce intensa, accecante, e poi, perse i sensi.

 
 
Ecco a voi il 15 capitolo… lo so, la sto tirando troppo per le lunghe, ma mi piace scrivere! Spero che anche questo capitolo vi piaccia e vi ringrazio tutte per i vostri stupendi commenti!
 
 
  
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