La terra dei due opposti.
Titolo:
La Terra Dei Due Opposti.
Generi: Avventura, Erotico,
Fantasy
Rating: Rosso
Avvertimenti:
Lemon
Era
POV
Solitudine.
Otto
mesi dopo.
Mi
alzo da terra controvoglia. La stanza è buia e puzzolente come
sempre.
Ate.
Penso
subito, come a dargli il buongiorno. Poi delle fitte di dolore muscolare mi
gettano nuovamente a terra, facendomi graffiare la pelle, già sporca, sottile e
martoriata. Mi rialzo, appoggiandomi al muro di pietra nera tagliente e mi
dirigo verso le sbarre, dove trovo la solita ciotola con della poltiglia beige,
e mezzo bicchiere d’acqua.
Mi getto sull’acqua come un cammello nel deserto e poi mangio con le mani e la faccia, come un cane denutrito. Perché in fondo, da quando sono qui, anche io sono trattata da animale e in un certo senso sento di esserlo diventata perché da quando ho visto di cosa sono capace gli uomini preferisco essere considerata di specie diversa. Deglutisco.
Ho
sentito due soldati parlare, tempo fa, so di certo che fuori di qui c’è la
guerra e so che la colpa è mia. Probabilmente le persone che amo sono morte,
stanno soffrendo o hanno sofferto.
Non
ho notizie di nessuno, non ho idea della fine che mia madre o mio padre abbiano
fatto. Drogo, Egle, Asia, Pan.. E soprattutto Ate. Da
quando quel soldato mi ha strappato dal mio letto non ho più visto nessuno di
loro, e nessuno di loro è venuto a cercarmi. Le
lacrime escono copiosamente dagli occhi e mi maledico, avevo promesso a me
stessa di non piangere più, ma non ci riesco.
-
Puttana, è l’ora del bagno. – Il solito soldato, che ho identificato come Tysil
- un grosso omaccione di colore,
particolarmente brutale – apre la cella e mi carica sulla spalla, di peso.
Indosso una casacca lercia di panno irritante, originariamente color panna,
adesso grigiastra che a malapena riesce a coprirmi il
fondoschiena.
Tysil
cammina per i corridoi con una spavalderia che trovo particolarmente irritante,
l’odio che provo si trasforma in gocce salate che ancora una volta mi bagnano le
lacrime. Maledette, maledette
lacrime.
Riconosco
il corridoio e cerco di memorizzare ogni particolare, qual’ora un giorno
riuscissi a fuggire mi sarebbe utile, ma prima ancora che riesca ad abituare gli
occhi alla luce, vengo scaricata in un barile d’acqua bollente che mi ustiona la
pelle e mi fa urlare per il bruciore delle ferite.
-
Ma come diavolo fai a combinarti così, lurida bestia? – Mi chiede, con tono
sprezzante, voltandomi vedo che altre due ragazze sono in altre due vasche. Una
è svenuta, l’altra sveglia e immobile.
-
Dove siamo? – Chiedo, e vedo Tysil sogghignare per poi tirarmi un sonoro
ceffone, la mia testa cade penzolando ed io riesco a rialzarmi a malapena, sento
il calore del sangue scivolarmi sulla guancia.
Mi
ha ferito e non riesco a vedere bene da un occhio, è incredibile quanta forza
riesca a trasmettere con una manata.
-
Sempre le solite domande, eh mostro? Dove siamo, dov’è Ate, cosa volete da me,
perché mi fate questo.. Sei patetica, puttana. – Vedo chiaramente l’odio
velargli gli occhi e sento il Dono in procinto di uscire, ma il collare magico
che mi hanno fatto indossare prontamente lo blocca.
Maledizione,
maledizione.
Sono
senza scampo, non riesco quasi a respirare, l’acqua calda è una tortura quasi
insopportabile. Per mia fortuna, Tysil mi prende per le ascelle e mi fa
uscire.
-
Indossa questi. – Mi dice, poggiandomi a terra e lanciandomi una semplice ed
anonima tunica nera. – Oggi ti venderemo. – Disse ancora, sputando accanto a me.
Io aspetto che vada via, prima di sfilarmi il vestito ma lui rimane a guardarmi,
gustandosi la scena del mio corpo nudo, smilzo e martoriato. Non m’importa più del mio corpo, né del
mio cuore.
Li
ho persi entrambi, insieme alla libertà, quando mi hanno picchiata e violentata
e umiliata. Non ho più nulla di cui vergognarmi, nessun onore da proteggere,
nessun pudore da rispettare. Sono un animale, io.
Mi
metto la tunica nera e poi Tysil mi riporta in cella.
-
Non sporcare il vestito o ti ammazzo. – Dice, chiudendomi dentro la caverna e
andando via. Altre lacrime, altro dolore.
Lo
stomaco brontola incessantemente ed io lecco la ciotola da cui avevo mangiato
prima, poi provo anche a recuperare qualche goccia d’acqua
inutilmente.
Passano
i minuti, le ore o forse i giorni.. e quando Tysil riapre la gabbia, mi ritrovo
a non aver più lacrime da gettare.
Vorrei
solo rimanere per sempre nella mia solitudine, a piangere e morire di fame, come
una cagna.
-
Non mordi più, eh mostro? – Mi chiede, sarcastico e per un attimo guardo la sua
spalla dove il marchio dei miei denti regna sovrano.
Cammina
a lungo tra cunicoli e corridoi, ogni tanto sento urla e suppliche provenire
dalle celle e ricordo i mesi scorsi.
Quando
anche io ero una gatta selvaggia pronta a graffiare, mordere e combattere
chiunque si avvicinasse o provasse a toccarmi.
Quando
non mi stancavo mai, non dormivo e mi spezzavo le unghie a scavare tra terra e
rocce, per trovare una via d’uscita.
Quando
piangevo per la disperazione e urlavo e invocavo Ate e pregavo gli dei di
aiutarmi a scappare.
Ma
poi le cose erano cambiate, il mio corpo e le mie speranze erano andate ad
assottigliarsi sempre di più, lasciandomi senza forze né
volontà.
Mi
ero stancata di combattere o di ribellarmi e avevo imparato che accettare il
dolore era meno doloroso che farselo infliggere.
E
allora mi avevano violentata, e poi morsa e picchiata.
Ed
io avevo urlato e graffiato, avevo immaginato Ate e avevo provato a togliermi la
vita, senza risultato. Infine, una mattina, mi ero spenta.
-
Esci con le tue gambe, o penseranno che sei malata. – Dice Tysil, gettandomi per
terra e facendomi rialzare. Apro gli occhi e mi accorgo di essere di fronte ad
una porta aperta, di fronte a me un piccolo palchetto in legno e poi una calca
spaventosa di persone di tutte le razze e le età, urlanti e scalpitanti, pronti
a comprarci, stuprarci, ucciderci.
Tysil
mi spinge verso il palco e quando esco alla luce del sole ho l’istinto di
chiudere gli occhi, ma non lo faccio.
Non
vedo gente da mesi, e ho quasi la speranza di intravedere Ate o mio padre,
pronti a rivendicarmi, in mezzo a tutti quei bruti.
Un
uomo nel palco accanto a me mi lega una catena al collare magico che mi blocca i
poteri, e mi trascina al centro del palco, dove cado in
ginocchio.
-
Ottanta denari per questa poetessa! – Sbraita e sei uomini urlando alzano le
mani, le prime offerte sono state fatte. Inorridisco nel
guardarli.
-
Novanta denari! – Sbraita ancora, e stavolta tre uomini alzano le
mani.
Sono
sicura di avere uno sguardo spento e senza emozione, voglio piangere e
disperarmi, voglio morire.
-
Mille denari ed è mia! – Urla un ragazzo tra le prime file, lo guardo
attentamente e mi accorgo che è di pelle abbastanza chiara, con occhi verde
scuro che mi ricordano quelli di Ate, lineamenti abbastanza dolci, labbra
carnose e corporatura normale, con muscoli accennati.
Lo
schiavista accanto a me strabuzza gli occhi.
-
Sei una miniera d’oro, puttana. – Mi dice e alza un piede per darmi un calcio
ridendo. Improvvisamente il ragazzo salta sul palco e in men che non si
dica gli punta un pugnale alla
gola.
-
Non toccarla, è mia adesso, schifoso. – Dice, mentre il soldato indietreggia
sconvolto. Il ragazzo gli tira un sacchetto addosso, che aprendosi rivela molti
soldi che riconosco come più di ottocento denari.
-
Fatteli bastare, rognoso. – Dice, sciogliendomi dalla catena e prendendomi su
una spalla, come era solito fare Tysil.
Mi
aggrappo alle sue spalle, stringendomi il più possibile al suo corpo imperlato
di sudore a causa del sole. Sarà pure un maledetto, ma almeno mi ha portato via
da quella prigione e gli sarò grata per sempre.