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Autore: Anto1    03/03/2012    5 recensioni
Gabriel ha fatto la sua scelta ed è ormai a capo del Direttorio. Non risolve più casi sul paranormale e ha dei sottoposti che lavorano per lui. Ma cosa succederebbe se una persona a lui molto cara fosse direttamente minacciata? Perché continua a vedere in sogno Serventi? Cosa vuole davvero da lui? Ma soprattutto, cosa vuole dalla sua Claudia?
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
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“No! Non è possibile! Co… come hai fatto a salvarti?! Non puoi esserti resuscitato da solo!”
“Non ho fatto tutto da solo, Serventi: c’era un angelo custode lì ad aiutarmi” quegli occhi azzurri si tuffarono in quegli castani di lei, poi di nuovo nei pozzi neri che oscuravano quel viso di gesso.
“Gabriel…” la voce di una donna. Sua madre avanzava verso di lui; lo aveva raggiunto, gli aveva toccato un braccio, guardandolo con apprensione “stai bene?”
Lui si scostò da quel contatto, adirato. Non voleva che lei ostentasse un rapporto che non c’era mai stato, dopo che era uscita dalla sua vita, abbandonandolo al suo destino, un destino fatto di menzogne.
“Sto bene!” disse, brusco.
Sua madre lo guardò allontanarsi, con una botta al cuore: non avrebbe mai creduto possibile sentire quella durezza nella sua voce, né vedere quell’odio e quel disprezzo sul viso di suo figlio. Lei si era allontanata volontariamente da lui, e ora capiva cosa significa essere abbandonati da una persona cara, una persona da cui prima si era stati amati.
Gabriel si fermò davanti al suo nemico, che ora sembrava essersi fatto piccolo, oscurato dalla sua ombra. Ma fu solo un momento; il sorriso beffardo e il colore tornarono sul suo viso, ora che erano pochi centimetri a separarli.
“Non so come tu abbia fatto a sopravvivere, ma ti posso assicurare che ti rispedirò nel posto in cui eri finito prima, qualunque esso sia!”
“Fa’ un po’ come ti pare, ma io non ho più paura della morte. Se anche dovessi morire, lo farò combattendoti. Decido io come!”
Un guizzo folle brillò negli occhi di Serventi, e per un attimo quegli occhi sembrarono esattamente come quelli del Principe delle Tenebre. “D’accordo. Ma se decidessi io come ucciderti?”
Vuoto; in un attimo, la sua mente fu libera da ogni pensiero. Gabriel respirò lentamente, godendosi quella sensazione ammaliante. Nessun segnale di pericolo dal cervello, nessuno…
“Strozzati, strozzati con le tue stesse mani.”
Sì, era un’idea interessante. Un modo originale per morire.
La sua mente non distingueva il pericolo. Non era come nella meditazione; era un vuoto malvagio, strano.
“Metti le mani intorno al tuo collo e strozzati.”
Sì, decise che lo avrebbe fatto. Cos’aveva da perdere?
“La vita!”
Una voce quasi silenziosa, dietro il suo cervello. Un campanello d’allarme.
“Strozzati!”
Avvicinò le mani alla gola, lentamente, fino a toccarsela.
“Fallo!”
La strinse.
“No! Smettila! Reagisci!”
L’aria gli cominciò a mancare, la sensazione di dolore cominciò ad attivarsi, mentre la testa cominciava a girargli. Quasi privato dell’ossigeno, il suo cervello fece un ultimo tentativo di protesta.
“Combatti!!!”
In un guizzo, il viso di suo padre e quello di Claudia gli balzarono davanti agli occhi, unito alle loro voci, che chiamavano il suo nome. Si liberò dalla stretta, tornando all’istante in sé, sentendo improvvisamente le vertigini per il ritorno contemporaneo della realtà e dell’aria. Sentiva la voce di Claudia, questa volta reale, mai così agognata come in quel momento. Lentamente, il suo respiro tornò alla normalità, mentre lui si concentrava ancora sui visi di suo padre e della sua donna per non pensare alla sensazione di strozzamento che aveva sentito pochi istanti fa, e non scatenare un attacco di panico.
Furioso, ritornò a guardare il viso ora deluso di Serventi. “Resisti bene, a quanto vedo!”
“E non hai ancora visto niente!” disse, togliendosi con un unico gesto la camicia nera, ormai zuppa di sangue, che era sprizzato dalla ferita aperta quando lui aveva cercato di obbedire ai suoi comandi. La pelle liscia dell’addome squarciata, il suo busto riproduceva appena il fascino che aveva avuto fin da quella mattina, quell’addome che Claudia aveva sfiorato con le sue dita prima di ricoprirlo.
“Preparati a finire arrostito, è giunta la tua ora!!!”
La rabbia gli montava dal centro dell’anima, andandosi ad annidare ad ogni angolo del corpo, in ogni cellula del suo cervello, mentre un caldo infernale lo avvolgeva; il caldo dell’inferno, in cui ora stava bruciando Serventi. Gli occhi neri e boriosi s’intravedevano appena fra il rosso delle fiamme. Scomparsa la baldanza, scomparsa la pomposità, rimaneva solo un essere patetico, spaventato, completamente in balia di un potere che non aveva mai conosciuto, e che si stava manifestando proprio in quel momento davanti ai suoi occhi pieni di terrore. Occhi in cui balenò un ulteriore guizzo folle, mani callose e bianche che afferrarono il suo braccio, trascinandolo con sé in quella landa infuocata; Gabriel si ritrovò improvvisamente nell’inferno, a lottare disperatamente per liberarsi dalla morsa del suo avversario. Il viso di Serventi sembrava ormai quello del diavolo in persona.
“Tu credi di riuscire ad uccidermi con questo giochetto?! Sono io che ho il potere di uccidere, e posso usarlo anche qui dentro! Se mi getterai nell’inferno, allora io mi trascinerò dietro te! Bruceremo insieme per l’eternità!”
Ora era Gabriel ad avere gli occhi pieni di terrore, di disperazione. Non sapeva che fare. Era l’inferno, e non sapeva come uscire di lì. Aveva usato questo potere su alcune persone, ma mai su di sé… un momento! Era come nel limbo! Lui già conosceva quel posto, perché il suo potere aveva una sua controparte demoniaca!
Sorrise, compiaciuto “io qui gioco in casa, e mi dispiace, sarai tu a perdere! Perché il mio potere è in parte buono, il tuo è solo malvagio” guardò dietro le spalle di Serventi, dove delle fiamme si stavano alzando; fiamme da cui fuoriuscivano mani dai lunghi artigli, e facce mostruose “e sei tu quello che loro vogliono!”
Serventi si voltò, lentamente. Il suo urlo era così alto da non poter essere udito da nessun orecchio umano, il suo terrore era l’unico colore sulla sua faccia bianca come un foglio. Quelle mani lo afferrarono, lo inghiottirono, e lo fecero svanire per sempre nelle loro oscure caverne. Gabriel diede un sospiro di sollievo, ma solo per un secondo: doveva correre, doveva uscire. Si voltò e si diresse verso la porta, che si stava lentamente chiudendo
“Noo!!!”
Non ce l’avrebbe fatta, ormai quella porta era quasi socchiusa, riusciva a intravedere un solo spiraglio di luce. Un anima si materializzò al suo fianco: voltandosi, riuscì ad intravedere la sagoma di suo padre, prima che lui lo spingesse in avanti, fuori dal caldo eterno, fuori dalla disperazione, fuori dalla morte. Suo padre era sceso dal Paradiso per aiutarlo.

Si ritrovò fra delle braccia morbide e gentili, mentre la voce di Claudia gli accarezzava dolcemente l’orecchio.
“Gabriel, è tutto finito. Sei salvo! Serventi è morto!”
Lentamente, alzò la testa verso di lei, guardando il suo viso. Era il viso che l’aveva aiutato a contrastare il potere di Serventi, e a cui aveva pensato mentre la sua anima era nell’Inferno. Un viso che aveva temuto di non rivedere mai più. La aiutò ad alzarsi, e, mentre la stava ancora guardando affascinato, gli occhi di lei lasciarono stupiti quegli di lui.
“Guarda!” disse, indicando un punto al loro fianco.
Lui obbedì… e rimase allibito: i suoi ragazzi erano rinvenuti e tutti, compresi i soldati di Serventi, si stavano inchinando a lui, il viso premuto per terra. L’uomo che aveva tentato di ucciderlo, il mutaforma, si era inchinato più profondamente di tutti, poi aveva alzato appena la testa per guardarlo.
“Perdonatemi, signore!”
I suoi occhi verdi sembravano sinceri. Per un attimo, era stato tentato di non perdonarlo, lui, che gli aveva quasi fatto perdere la vita, l’amore e la battaglia. Ma se non fosse stato per lui, Gabriel non avrebbe mai incontrato  e salutato per l’ultima volta suo padre, e di questo gliene era grato.
“Puoi alzarti, ti concedo il mio perdono.”
Il mutaforma lo guardò con un’espressione stranita: probabilmente, mai aveva ricevuto una tale generosità da un essere umano; si alzò.
“Da questo momento in poi, io e i miei compagni siamo al vostro servizio.”
Gabriel annuì “ve ne sono grato.”
Tornò a guardare Claudia, che, inaspettatamente, fece quello che avevano fatto gli altri: s’inchinò.
Lui, sconcertato, la fece rialzare immediatamente “tu non devi inchinarti a nessuno, sono io che devo farlo con te!” e, detto questo, cadde ai suoi piedi “sei la donna che combatte il demone in me, il mio angelo!”
Gli altri erano rimasti basiti, a vedere quel gesto: l’uomo più potente di tutti, che poteva decidere della vita e della morte di ognuno, che s’inchinava ad una donna senza alcun potere, una donna che però era stata forte abbastanza da riportarlo in vita. Se non fosse stato per lei, loro avrebbero perso la battaglia. Così, s’inchinarono anche davanti a quella donna, automaticamente proclamandola loro regina.
Gabriel si rialzò, e solo allora vide il corpo esanime di Serventi: la bocca aperta, gli occhi spalancati; sembrava morto di paura. Era stato un essere malvagio, ma meritava comunque una sepoltura, ora che la sua anima era persa per sempre.
“Antonio, porta questo corpo lontano da qui e seppelliscilo in un posto isolato” disse, voltandosi verso l’uomo.
Antonio prontamente obbedì; prese con una smorfia di disgusto il corpo di Serventi e sparì in una folata di vento.
“Gabriel.”
Di nuovo quella voce. Di nuovo lei.
“Che c’è, mamma?” le chiese, guardando i suoi occhi castani.
“Io… volevo congratularmi con te! Finalmente hai sconfitto Serventi, e hai una donna che ti ama. L’uomo di Chiesa e la donna, mi ricordi così tanto me e tuo padre…”
“Demetrio!” urlò, duro “mio padre si chiamava Sebastiano Antinori, e l’ho incontrato, mamma! L’ho incontrato nel limbo, disperato, solo e ramingo per colpa tua! E non osare mai più paragonare me e Claudia a te e Demetrio, noi non siamo come voi!”
Clara strabuzzò gli occhi pieni di stupore “co… come?”
“Hai capito bene, mamma! Io sono diverso, mio padre era diverso! Non mi ha abbandonato nemmeno dopo la morte, cosa che invece hai fatto tu!”
“Gabriel, io… ti ho voluto bene! Ti ho abbandonato per proteggerti, per farti crescere con Demetrio e farti inseguire il tuo destino!”
“Come mi hai abbandonato a fin di bene per schierarti con Serventi, eh? Come mi hai abbandonato quando stavo per morire, vero? Io ricordo benissimo chi c’era vicino a me! C’era Claudia e i miei compagni, non tu! Non mi hai mai voluto bene davvero!”
“Come puoi dire una cosa del genere? Io ti ho salvato la vita quando tu ti stavi gettando da quel tetto!” urlò contrariata la donna, indicando in alto verso la Villa.
“Dopo che ti ho visto con Demetrio! E’ per colpa tua!”
Sentiva montare in sé la rabbia che provava quando stava per condannare all’Inferno qualcuno; la controllò, e guardò negli occhi sua madre, come per leggerle l’anima. Lo fece, e quello che vide lo spiazzò: tristezza, amarezza, rancore, risentimento, orgoglio. Cupidigia nel sapere che suo figlio era il bambino speciale, il prescelto dalla profezia, fierezza nel constatare l’enormità dei suoi poteri. Indifferenza nei confronti di suo padre e lussuria verso Demetrio; vergogna, quando l’aveva scoperta con lui; preoccupazione quando suo figlio stava per gettarsi dal tetto: quel gesto era stato quasi involontario. E poi tristezza e rimorso per averlo abbandonato a sé stesso.
Si staccò dalla sua mente, sconcertato. “Mi hai voluto bene, a modo tuo, ma di certo non sei stata la madre che ogni bambino vorrebbe. Hai deciso di abbandonarmi senza troppi riguardi, decidendo di passare alla fazione opposta, contro di me! Mi hai fatto crescere nella menzogna. E poi ho visto quello che provavi per mio padre: niente. Una parte di me ti vorrà sempre bene, ma i nostri punti di vista sono troppo diversi; noi siamo troppo diversi. L’unica persona che mi ricordo mi abbia sempre voluto bene è stato mio padre. Ti perdono, ma non sei quella che avevo sempre creduto che fossi.”
Gli occhi di Clara si riempirono improvvisamente di lacrime “e quindi, vuoi che esca di nuovo dalla tua vita?”
“Lo hai già fatto una volta e lo sei ancora. Fa’ un po’ come vuoi, non ti costringo a starmi vicino se non è quello che desideri. Ma se vuoi andartene, se è questa la tua decisione, allora vattene e non cercarmi mai più: non voglio essere illuso di nuovo.”
Sua madre lo guardò intensamente, come se non fosse capace di staccare gli occhi dal suo viso; poi, si voltò lentamente, e si diresse verso la macchina nera che era appartenuta a Serventi. Gabriel e gli altri la guardarono percorrere il vialetto della Villa, per poi sparire per sempre alla loro vista.

Tornarono baldanzosi e felici; i loro compagni che erano rimasti dentro già sapevano che il gruppo si era infoltito, tuttavia guardarono con un po’ di diffidenza i nuovi arrivati. Anche Antonio era tornato, sporco di terra, che Enzo lavò facendo uscire un getto d’acqua dal palmo della sua mano. Alonso corse ad abbracciare Gabriel.
“Mi hai fatto preoccupare, testone! E anche tu, signorina!” disse, guardando Claudia, che rise di gusto “almeno siamo tornati vivi!”
Aveva ragione: erano tornati, erano vivi, tutti vivi, tranne uno. L’uomo che era stato sconfitto dalle sue stesse armi; la sua malvagità gli si era ritorta contro, i diavoli lo avevano identificato come uno di loro, e non gli avevano lasciato scampo. E ora quelle persone dai poteri speciali erano libere. Gabriel si mise al centro della stanza, mentre gli altri lo guardavano affascinati: il sole lo avvolgeva, conferendogli un’aura di potenza; sembrava brillare di luce propria, una luce dorata e benevola. Quando parlò, lo fece con una voce quasi autoritaria, potente e virile.
“Ora potete andare per la vostra strada. Vi ho reso la libertà, e non vi tratterrò oltre. Ma sappiate che se il mondo l’ha fuori vi rifiuterà, io sarò qui per voi, sarò il vostro capo, e vi offrirò un posto migliore, un’isola di pace dove potrete sempre rifugiarvi, perché io non vi abbandonerò per la vostra diversità, la cosa più preziosa che avete. Mi avete aiutato molto in questa battaglia, e per questo vi sono debitore. Ora, anche io devo andare, e vivere la mia vita. Finalmente so qual è il mio posto” concluse, voltandosi verso Claudia, che lo stava guardando con occhi rapiti e innamorati. Mai gli era sembrato più bello e carismatico. Il suo re, il suo Dio, l'uomo che teneva prigioniero il suo cuore.




In mezzo a tutte queste ore di studio, fra religione, giapponese III e letteratura sono riuscita a trovare un piccolo spazio per scrivere. Scusate se è un po’ lungo e se la battaglia fra Gabriel e Serventi è un po’ violenta. Spero di non avervi annoiato né di aver scritto cose troppo scontate (le ore di studio si fanno sentire)
  
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