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Autore: Dreda    04/03/2012    0 recensioni
"Mi chiamo Dreda, ho 16 anni e amo il Rock.
Attualmente sono al terzo anno di liceo ma al pomeriggio frequento delle lezioni all'Academy. Si tratta di un programma televisivo in cui insegnano a me e ad un'altra ventina di ragazzi/e a cantare e suonare. Oltre alla mia storia c'è anche quella di Francesco, Alessio, Flavia, Simone, Chiara... bhè, tanti altri.
Questa è una storia fatta di persone a cui piace la musica. Tutta. Senza pregiudizi ma con ragazzi che, grazie alle canzoni, cresceranno e diventeranno migliori, forse... chi lo sa?"
Genere: Comico, Generale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Track 2: Band of Skulls - Friends
 
E’ finita. Sospiro di sollievo.
E’ questo che ho pensato anche la prima volta che il programma è stato registrato la settimana scorsa. Avevo partecipato per la prima volta ad una puntata e prima c’erano state solamente le prove. Effettivamente non sono pratica di televisione ed è dura starci dietro.
Mi tampono la fronte con il dorso della mano.
Anche oggi mi hanno conciata in modo da non sembrare neppure più io.
Ho i capelli lunghi tirati tutti a destra con un’acconciatura simile a una di quelle di Emma, peccato i miei capelli arrivano fino a metà schiena e non sono corti come avrebbero sperato i parrucchieri dello studio. E’ stato difficile acconciarli come si deve con un sacco di diavolerie per tenerli fermi così.
Indosso un paio di converse, jeans, una maglietta bianca e un gilet nero. Qualche gingillo come degli orecchini strambi e un anello che pesa quasi più del microfono.
Fatto sta che sono riuscita a cantare la canzone di Emma Marrone “Cullami” e ad interpretarla a modo mio secondo quello che io ho capito del testo. Paolo non ha avuto da ridire risentendomi cantare ieri e oramai è fatta. Provo sollievo a non doverla cantare più ma al contempo non mi è totalmente dispiaciuto.
E’ un passo avanti quello che ho fatto.
Sono dietro le quinte ora e bevo da una bottiglietta dell’acqua naturale alzando gli occhi al monitor che riprende ciò che si vedrà poi nelle case degli italiani. Io ho finito di cantare ma lo spettacolo non è ancora concluso. Dura poco effettivamente perché metà show è tappezzato di ospiti televisivi, cantanti, scrittori e attori di ogni genere per far salire l’interesse nel programma.
Ascolto cosa hanno da dire le persone ospitate dal programma oggi: Fabrizio Moro, Dolcenera e Luca Dirisio.
Li conosco, come tutti. Anche se al loro posto su quelle poltroncine bianche avrei voluto vedere Matt Shadows, Brian May e Marco Hietala. Meglio di no. Davanti a loro non avrei voluto cantare di certo una canzone di Emma come biglietto da visita.
Ecco, ancora discriminazioni nei confronti di altri cantanti. Bhè, è vero però. La mia è un’abitudine dura a morire ma sto iniziando ad usare la mia testa.
I tre sono chiamati a dare una loro opinione sull’esibizione appena finita.
Su di me hanno detto poco e niente. A quanto pare non sono ne sale ne zucchero e no, questo non me li ha resi più antipatici. Semplicemente ho fatto finta di nulla. Come niente detto.
Ha appena finito di cantare Leonardo che ha avuto qualche problema con “Sono già solo” dei Modà.
Lo vedo dall’altra parte del palco, dietro le quinte. Subito si è fiondato a guardare il monitor in alto affiancato dal suo agente. Io non ce l’ho. Vado avanti soltanto con Paolo e, se per questo, io non faccio altro che lo show Academy. Leonardo so che è apparso in qualche pubblicità come comparsa e ha duettato con qualcuno ma non so chi.
Con nervosismo e agitazione allontana la mano del suo agente intento ad offrirgli una bottiglietta d’acqua e si blocca totalmente quando a parlare è Luca Dirisio a cui viene richiesto cosa ne pensa dell’esibizione di Leonardo.
-No, bhè, io non l’ho sentito molto … insomma, non è stato molto convinto. Sai, questo è un pezzo cantato da uno che si fa “grande”- dice ridendo e salutando Francesco Silvestre. Riprende in seguito a spiegarsi.
-Non l’ho visto … farsi grande. Atteggiarsi. In questa canzone Cesco è sia Uomo, con la u maiuscola, che Solo. Capito? Crede di poter fare quel che vuole con la sua donna, che non gliene importa nulla, ma quando è lei a tenerlo sulla corda allora abbassa la cresta … non si è capito niente, eh?- domanda ridendo mentre il conduttore fa qualche battuta ricordando la sua nota canzone “Ci vuole calma e sangue freddo”.
Che originalità.
Bhè, io quel che vuole dire Dirisio l’ho capito. In effetti è vero. Leonardo non ha avuto la grinta nella voce ma nei pezzi in cui lui è più disperato è riuscito più che bene.
Gli lancio un’occhiata e lo vedo di spalle allontanarsi nel buio. Probabilmente per raggiungere la saletta relax.
Sono così concentrata ad osservare dall’altra parte del palco che non mi accorgo del sopraggiungere di una persona alle mie spalle. Come questo mi mette le mani sulle spalle ho un battito in meno per lo spavento e mi volto ritrovandomi Paolo di fronte.
-Allora? Com’è andata?- mi domanda cercando di massaggiarmi le spalle.
-Sei tu che dovresti dirlo a me, non credi?- domando irrigidendomi piuttosto che rilassandomi a quel tentativo di sciogliermi i nervi irrimediabilmente tesi.
Anche Paolo ha un “vestito di scena”. Porta gli occhialini alla John Lennon, una camicia nera con un gilet bianco come i jeans e le scarpe di marca indefinita. Non le conosco ma sembrano di pelle.
-A mio avviso hai fatto il settanta per cento di quello che veramente potevi fare ma … sono contento così-
-Loro no però- dico indicando i tre ospiti.
-Non sono loro che ti voteranno da casa o che compreranno i tuoi cd-
Già, su questo ci troviamo d’accordo.
In più non mi stupisce sentire quella percentuale. Paolo di recente mi ha avvisata che vuole essere solamente lui a seguirmi per aiutarmi ad esprimermi per bene. Dice che sono come una moca con il filtro otturato da diversi tipi di caffè e che quindi l’acqua che vi passa attraverso è poca e il caffè che ne esce non è un granché. Devo migliorare il caffè e pulire il filtro …
-Ho voglia di un espresso- mormoro tra me e me.
-Dopo. Tra poco devi entrare per la votazione finale così ascolti anche qualche commento da parte della gente da casa. Ho sentito che hanno mandato molti messaggi su twitter e facebook in questi giorni-
Paolo non è incoraggiante per niente ma d’altronde neppure voglio essere incoraggiata. Finisce sempre che mi fossilizzo su come la penso io e ignoro quel che mi dicono gli altri. Neppure saprei ridire cosa ha detto su di me Dolcenera o gli altri due … non che non mi sia interessato ma finché non si tratta di critiche costruttive e di consigli non me ne faccio nulla delle loro opinioni.
-Pronta a entrare fra trenta secondi- dice un’addetta con un auricolare all’orecchio e la scaletta del programma in mano.
Annuisco e quando al mio fianco inizia a contare alla rovescia gli ultimi secondi restanti ascolto ciò che il presentatore sta dicendo ed entro al sentire il nomignolo DC.
 
Arrivo a casa che è oramai ora di cena e i miei, contrariamente a quello che voglio io, accendono la tv e mettono immediatamente sul canale principale dove verrà trasmessa la seconda puntata di The Academy. Manca ancora mezzora ma non vogliono lasciarsi sfuggire la sigla iniziale con un Music Video cantato da tutti i partecipanti, me compresa, montato su delle scene prese dai fuori onda delle prove.
Quel giorno in cui si è girato l’MV è stato l’unico giorno in cui ho visto tutti i partecipanti. Di solito non ci incontriamo, neppure ci incrociamo di traverso negli studi.
E’ difficile così avere un’idea di chi devi affrontare ogni giorno sul palco.
L’Academy però non è come gli altri talent show e qui nessuno verrà buttato fuori ma ci sono delle sfide in caso si arrivi ultimi nella classifica.
L’ultimo di questa settimana, il primo da quando è iniziato il programma, dovrà riuscire a cantare un pezzo rap molto complicato perché, oltretutto, è pure in inglese.
Mi spiace per Marco perché a prima vista non sembra un tipo antipatico. Timido forse. Ha l’aria di uno che sta sulle sue e che però non sembra neppure essersi reso conto di essere al mondo.
Al contrario, Loris è il più gettonato. Non c’è da stupirsi se è arrivato primo in classifica. E’ la copia esatta di Marco Carta lanciato qualche anno fa da Amici.
A dir la verità mi piacerebbe conoscere qualcosa di più del nome degli altri partecipanti.
Miriam è interessante. Forse sotto sotto anche a lei interessa il rock. Quello vero, certo. Ho provato a domandare a Matteo che tipo di musica gli piace e all’inizio, quando lui mi ha risposto: -Il rock- quasi ci stavo credendo di aver trovato qualcun altro con il mio stesso interesse, ma quando mi ha fatto qualche esempio e tra questi c’è stato Vasco Rossi, ho fatto due passi indietro e l’ho salutato. Sono andata nella sala relax, mi son messa un cuscino davanti alla faccia e ho urlato il mio sdegno arrossandomi la faccia, tanto che Paolo, quando poi mi ha trovata, ha pensato avessi la febbre, grazie anche alla mia faccia apatica.
Sto ancora riflettendo su Matteo e l’accaduto quando sento la sigla iniziale del programma e l’odore della pasta alla carbonara si spande per la casa. Che connubio strano.
-Ah, dopo faccio io il caffè. Faccio la moca grande- dico a mia madre Sandra. Già, mi sono dimenticata a fine registrazione di prendere l’espresso che volevo. Dannazione a Paolo e ai suoi aneddoti sul cibo.
Inizia la trasmissione e noi iniziamo a mangiare. Io mi dissocio dallo schermo ma i miei e mio fratello Chad sono letteralmente rapiti da quella scatoletta ultrapiatta.
Passa quasi un’ora e mentre sparecchio il resto della famiglia sta ad ascoltarmi cantare. Non voglio sentirmi e neppure risentire ancora una volta i commenti degli ospiti. Preferisco caricare la lavastoviglie e fare il caffè.
-Sei andata bene. Hai risolto il problema che ci dicevi, vero?- chiede mia madre quando le metto di fronte la tazza di caffè fumante.
Chad si riscuote e mi dice velocemente che il video della mia interpretazione di “Via le mani dagli occhi” dei Negramaro ha già diecimila visualizzazioni.
Annuisco e quando gli chiedo dei commenti lui fa uno sguardo sbilenco. Conosco quello sguardo. E’ come se mi dicesse: “Hm, lascia stare, è meglio”. E io lascio stare. Meglio così.
Bevo il mio caffè e quando ho bevuto l’ultimo sorso me ne vado in camera mia mentre Chad e i miei rimangono alla tv.
Chiudo la porta proprio quando sento di nuovo il commento di Dirisio sulla canzone cantata da Leonardo.
Sono le dieci oramai ma per fortuna metà dei compiti li ho già fatti ieri. Li avrei finiti se la prof di inglese oggi non avesse dato da tradurre metà pagina di testo per l’indomani mattina.
Sto crollando dal sonno ma non voglio giocarmi la carta della giustificazione firmata da mia madre. No, piuttosto … da quant’è che non salto la scuola? Ah, già. Minimo quattro mesi. Ovvio.
Potrei andare da Simon e dare un’occhiata a qualche basso. L’idea di iniziare a darmi da fare con qualche nuovo strumento non mi dispiace, anche se di tempo ultimamente ne ho davvero poco e, per fare prima, accendo il pc per aiutarmi a tradurre il testo con Google Traduttore.
Già che sono in internet mi viene voglia di andare a controllare la mia e-mail e il contatto facebook. Non l’ho voluto io ma me l’ha creato mio fratello. Secondo i dirigenti dell’Academy, è meglio avere contatti su facebook e twitter facili da trovare per i fan e cercare, almeno un pochino, di farsi vivi con loro.
Come entro su facebook trovo solo qualche messaggio di notifica di qualche videogioco con cui mi sono cimentata un pomeriggio, mentre su twitter, dei sei che mi seguivano prima ora ne è rimasto solo uno.
Pubbliche relazioni: la parte più noiosa del mestiere di cantante.
Io non lo sopporto dover andare alle uscite mondane, gestire la gente che mi riconosce e firmare autografi. Mentirei dicendo che non mi piace ma … ecco, non mi piace poi molto. Mi sta bene insomma, è una conseguenza che accetto del diventare una cantante.
Vado sulla mia e-mail alla fine dei vari giri e trovo, oltre alla pubblicità e alle notifiche di facebook e twitter, due e-mail diverse.
Una dice che mio fratello mi ha invitato a dare un’occhiata ad un video su youtube.
Probabilmente si tratta ancora dell’ultimo che ho fatto per lui. Quello sui Negroamaro. Spinta dalla curiosità, sbadigliando, apro il link e lascio caricare il video mentre do un’occhiata alla seconda e-mail.
E’ da parte di Chiara.
Dice solamente che Simon oggi guarderà lo show assieme a lei e che si vedranno la mia performance mangiando pop-corn caldi.
Faccio una smorfia e torno sul video che ha quasi finito di caricare. Alzo il volume e clicco con il mouse sul tasto play.
Come sfondo ha messo le onde musicali. Che strano vedere a video la mia voce. Fa uno strano effetto.
Incrocio le braccia e chiudo gli occhi concentrandomi nell’ascoltare la canzone. Hm, non è come quella cantata da Sangiorgi, il cantante del gruppo. Non ho fatto proprio lo stesso effetto con la voce. Neppure ci sono andata vicino.
Mentre la mia performance è già a metà, scrollo verso il basso con la rotellina del mouse per arrivare a leggere i vari commenti. Me ne voglio davvero tanto di male se vado a curiosare proprio dopo che mio fratello mi ha lasciato intendere di lasciar perdere …
C’è chi dice che ho una bella voce, altri che non è male. Qualcuno ha scritto che non ha nulla a che fare con quella cantata dai Negroamaro. Niente di più vero perché l’ho cantata come pare a me e riconosco che cantare una canzone a proprio gusto, quando è stata partorita appositamente per qualcun altro, è una cosa insopportabile.
Non sono una grande fan di cover, neppure di quelle cantate dai miei gruppi preferiti, ma in quei casi ci passo sopra e, facendo buon viso, faccio un semplice click passando alla canzone successiva.
Ecco perché mio fratello non mi ha detto quanti “mi piace” ci sono ma piuttosto mi ha detto il numero delle visualizzazioni. Con settantatre mi piace ci stanno anche trentacinque “non mi piace”.
Incrocio le braccia di fronte a me, fisso il numero trentacinque e quella stanghetta rossa orizzontale che riempie un terzo quasi della barretta soprastante. Metto “mi piace” a tutti i commenti di critica verso la cover, chiudo la pagina, rispondo grossolanamente alla e-mail di Chiara e prendo a trascrivere il testo da tradurre per l’indomani mattina.
Ad un tratto sento gli occhi rossi.
Probabilmente è il sonno. La caffeina non fa effetto.
 
Siamo arrivati al secondo giovedì passato in questa nuova classe.
E’ passata una settimana da quando sono vicina di banco di Francesco e Alessio. Devo dire che entrambi sono una compagnia abbastanza accettabile.
Francesco rompe ma di rado e Alessio è come se non esistesse. Si mantiene nei suoi spazi e ci lascia in disparte. La cosa mi da quasi ai nervi ma mi sta più che bene, lo ammetto.
Le tre ragazze sedute di fronte invece continuano a lanciare occhiatine verso noi tre. A volte noto ammirazione ma, più di tutto il resto, lanciano occhiatine a Francesco e Alessio che, intenti nei loro mondi, non se ne accorgono minimamente.
E’ arrivata finalmente la pausa merenda e inizio ad assaporarla stiracchiandomi, gettando le braccia in avanti e portando le mani oltre il bordo del banco. Sono tutta incriccata.
Subito penso a Paolo, alla sua barbetta e agli occhialini alla John Lennon, quando ieri aveva tentato di rilassarmi i nervi massaggiandomi le spalle. Mi viene voglia di un caffè.
Mi alzo e faccio per dirigermi al bar della scuola. Piccolo ma dove, sicuramente, troverò un espresso. Sto per voltarmi quando sento una mano piazzarsi sulla mia spalla per fermarmi.
E’ Francesco.
-Ehi, vai in giro?- domanda rimettendosi sul naso i Ray-Ban scuri, l’iPhone nella tasca dei jeans e l’iPod in quella della giacchetta in jeans.
-Mi bevo un caffè … - “forte”, aggiungo tra me e me socchiudendo lo sguardo puntando alla porta d’uscita.
-Ah, ok ... Ti spiacerebbe prendermi una ciambella al cioccolato?- domanda implorante unendo i palmi e abbassando un po’ il capo simulando una preghiera muta.
Sbatto qualche volta le ciglia e lo fisso con gli occhi socchiusi. Mi ha preso per la sua cameriera?
-Ah, e … puoi comprarmela tu? Ho dimenticato i soldi a casa-
Non gli rispondo nemmeno. Mi volto, arrivo fino alla porta e, prima di attraversarla gli indico Alessio con l’indice destro.
-Ritenta. Sarai più fortunato … chissà- aggiungo uscendo da lì dopo quelle parole.
Non è cattiveria ma mancanza di soldi. Con me ho solamente un euro in monete da dieci e da venti. Anche solo rinunciando al caffè non arriverei all’euro e venti per la ciambella.
Ok, niente caffè. So già che mi rimarrà a metà strada fino a bruciarmi lo stomaco. Faccio una faccia sofferente e torno in classe, al mio banco.
Alessio è piegato in avanti, mezzo steso sul banco, con le braccia incrociate e Francesco è intento a imitarlo messo nella stessa posizione. Li osservo entrambi dall’alto e, irritata nel sentir borbottare lo stomaco del ragazzo con le cuffie dell’iPod nelle orecchie, mi siedo e tiro fuori un pacchetto dalla mia tracolla.
Do un calcio alla gamba del banco di Francesco, o meglio, a quella del mio banco che di conseguenza colpisce quello del ragazzo. Preso alla sprovvista, sobbalza levandosi le cuffie dalle orecchie.
-Thò. Ho solo questi- faccio porgendogli una decina di biscotti grandi quanto il palmo della mia mano. Sono alla vaniglia con pezzi di cioccolato. Me li sono portata dietro per darli a Paolo ma a quanto pare gliene farò degli altri. Bhè, questi sono stati un esperimento, quindi hanno bisogno di cavie.
A Francesco gli si illuminano gli occhi.
Avevo già capito che gli piacciono i dolci, specialmente il cioccolato, quindi ero convinta di andare sul sicuro.
-Li hai fatti tu? Sono come quelli americani?- domanda e, senza aspettare risposte, ne prende uno dal sacchetto nel quale li ho incartati e con un morso già ne ha portato via mezzo.
-Sì e sì- annuisco prendendone uno anche io. -I dolci non sono il mio forte- mormoro mentre sento il ruminare del ragazzo alla mia sinistra.
Sto per dare un morso al biscotto quando vedo una mano entrare nel mio campo visivo, afferrare con tre dita il dolcetto e portarmelo via.
Alessio? E’ vivo?
Mi volto e lo vedo già con il boccone in bocca. Lo sguardo mezzo chiuso con le solite occhiaie scure sotto gli occhi. Ha una faccia cadaverica. Più di giovedì scorso.
-Falli al cioccolato la prossima volta- farfuglia tra un boccone e l’altro, levando le briciole dal banco e gettandole a terra.
Lo fisso con stizza e sto per replicare ma Francesco mi interrompe dando ragione ad Alessio.
-Ehi, non sono un bar, chiaro?- sbotto irritata afferrando un altro biscotto e ficcandomene un quarto in bocca.
Dopo pochi secondi ingoio e mi ritrovo a dover dar ragione agli altri due.
Sarebbero meglio al cioccolato …
 
Mi appunto mentalmente di chiedere qualche soldo ai miei mentre saluto la prof di inglese uscendo dal cancello della scuola. Domani è venerdì e probabilmente il cinquanta per cento degli alunni della cittadina sarà in giro piuttosto che a scuola. Il venerdì è quasi peggio che il lunedì perché è ad un passo dal weekend e il tempo non passa mai.
Tanto più che vorrei andare da Simon a chiedere delucidazioni su qualche buon basso che non costa certo una ventina di euro ... In realtà vorrei puntare alla batteria ma ho provato già a fare qualche esercizio con le bacchette seguendo i consigli di Luigi, uno degli amici di mio padre.
Niente da fare.
Mi si incastrano le dita e mi vengono i crampi alle mani facendomi cadere a terra persino le bacchette. Non riesco a rilassarmi e ad essere sciolta. Con la chitarra ho imparato e vado tranquilla ma con le bacchette, nonostante lo stretching alle mani, mi si bloccano per l’eccessivo sforzo dopo neppure un minuto.
Ci vuole parecchia forza oltretutto e dovrei prendere a fare qualche esercizio ma la voglia manca e quindi ho lasciato perdere. Rimango sulle chitarre.
Guardo l’ora sopra il mio Nokia e rifletto su dove andare prima di raggiungere gli studi dell’Academy.
Di solito lì c’è un buffet dove vado a mangiare assieme a Paolo e qualche cameraman ma oggi quasi quasi vado a mangiare fuori.
Ho il tempo e la voglia ma prima devo tirare fuori i soldi dal bancomat.
Sbuffo.
Faccio per chiamare mia madre per chiederle se posso prelevare venti euro (non me lo impongono loro di farlo ma per sicurezza mia, visto che non so mai effettivamente quanto ho sul conto, preferisco domandarle se è fattibile o se non ci troverò nulla). Come trovo il numero che sto cercando sotto la m, qualcuno dietro di me mi chiama per nome.
Mi volto e vedo Francesco assieme ad altri tre suoi amici. Questi aspettano un po’ in disparte e salutano due ragazze appena arrivate mentre Cesco inizia a parlarmi.
-Ehi, devi già andare via o ti va di fare un giro?- domanda indicando dietro di se la sua combriccola.
Inarco un sopracciglio osservandoli. Sembrano tante copie di Francesco. Tranne le ragazze, bhè, c’è anche la versione femminile immagino.
-Ah … - mormoro portando la sinistra dietro la testa, nella la chioma rossa, non sapendo che pesci prendere. Non ho mai mangiato fuori con qualche compagno di scuola ad essere sincera ma, a parte questo, dove si va di solito a pranzare in gruppo? - Devo prendere il pullman in stazione alle tre e mezza- gli faccio sapere. Sto effettivamente tentennando. Più per la fame che per altro. Non mi piace molto stare tra tanti sconosciuti.
-Allora andiamo al Mc lì vicino. Dai, così ti ripago dei biscotti-
-Mi offri il pranzo?- domando dubbiosa. - Ma se non avevi i soldi neppure per una ciambella … -
-Ho questa- dice mostrandomi il bancomat con un sogghigno. -Oggi offro a tutti-
 
Arrivati al McDonalds mi ritorna in mente il perché del fatto che sono passati anni dall’ultima volta che ci ho messo piede. Da sola o con i miei.
In famiglia odiamo dover fare la fila per mangiare. Meglio il ristorante dove almeno si è seduti e si sgranocchiano i grissini.
Lancio un’occhiata al tabellone in alto dove sono descritte le offerte, i menù e le novità ma un amico di Francesco mi distrae.
Si sono presentati tutti ma non mi ricordo il nome … come al solito.
-Sei Dreda, vero? Quella del programma?- chiede senza mezzi termini né misure.
Faccio una smorfia piegando il capo di lato.
-Già … - mormoro.
-Mi sono perso la prima puntata ma ti ho vista cantare ieri sera. Anche Miriam. E’ stata grande- commenta e già mi viene un principio di nervosismo.
Gentile a fare i complimenti ad un’altra concorrente di fronte a me. Vabbhè. Non me ne importa nulla dopotutto …
-Vero … - dico indirizzando lo sguardo attorno facendo un passo avanti quando la fila scorre.
-Tu sei amica di Miriam?- chiede con serenità portandosi le mani nelle tasche della felpa bianca sulla quale sono disegnate un paio di cuffie giganti che fanno il giro del collo.
-No- cerco di ultimare lì il discorso anche se so che non funziona.
-Ma … ci parli qualche volta?- torna alla carica il ragazzo, imperterrito.
-Non ci incontriamo quasi mai tra di noi- spiego sbuffando. Non ho voglia di parlarne e di sicuro non con lui.
Il ragazzo al mio continuo rifiuto si spazientisce e quando sente il tono che ha la mia ultima risposta sembra irritato.
-Vorrei solo chiederti se puoi procurarmi un autografo di Miriam, tutto qui. Magari anche un incontro, ok? Non c’è bisogno di tirarsela tanto- fa lui facendo spallucce.
Io lo guardo come fosse un ufo.
-Eh?-
-Non serve a niente fare tanto la preziosa solo perché non piaci agli spettatori del programma, sai? In giro ci si chiede addirittura come fai ad essere entrata a far parte del programma. Quando Francesco ci ha detto che tuo padre è un musicista allora abbiamo capito tutto. Non facevi prima a imbucarti ad XFactor allora?- sbotta irritato il ragazzo riversando su di me tutto ciò che pensa.
Fisso un punto imprecisato oltre la sua spalla inarcando le sopracciglia verso il basso.
Prima di accorgermene stringo forte la destra e gli mollo un pugno in pieno stomaco con tutta la forza che sento in quel momento.
Non sono un granché con i pugni. Sono più brava a parole che a fatti, ma dato che il tizio tiene le mani nelle tasche della felpa si è impedito da solo di difendersi e quindi è stato solo un caso se ho potuto colpirlo in pieno.
Sentendomi addosso gli occhi di tutti, compreso Francesco che sta solo a qualche passo di distanza a chiacchierare con gli altri, alzo lo sguardo. Tempo pochi secondi, nei quali il ragazzo che ho colpito inizia a tossire, e prendo a correre uscendo fuori dal Mc con la tracolla in spalla che sbatte contro il mio fianco ad ogni falcata.
Non mi fermo neppure quando raggiungo la stazione dei pullman.
Tiro dritto fino alla piazzola dove di solito prendo il mezzo e salgo su sedendomi il più in fondo possibile sulla destra, accanto ai finestrini.
Arriverò con un’ora e mezza d’anticipo ma almeno per un po’ starò nel posto in fondo e tutto a destra a guardare fuori dal vetro.
 
Non ho voglia di dare spiegazioni a Paolo. Non ho voglia di mangiare e non ho voglia neppure di uscire da lì e farmi un giro per i dintorni dello studio.
Ho voglia solamente di stare nella saletta relax dove c’è un divanetto e un distributore automatico.
Forse potrei bermi il caffè … no. Quello della macchinetta fa schifo. Quello che più preferisco è quello di casa, fatto con la moca.
Mi sdraio sul divanetto con le gambe che fuoriescono a penzoloni dal bracciolo, avvolte nei jeans blu inghiottiti da un paio vecchio di converse. Alzo il cappuccio della felpa scura e mi dissocio dal resto mettendo la sveglia sul cellulare per l’inizio delle lezioni con Paolo.
Mi premo un cuscino sulla faccia per fare il buio e tempo pochi minuti mi addormento.
Non ho dormito granché in effetti stanotte tra i compiti e l’insonnia che si è di nuovo fatta viva.
Quando dopo poco riapro gli occhi mi accorgo di essermi svegliata per il profumo di cioccolato caldo.
-Ciao- dice una voce femminile alla quale spalanco gli occhi e mi tiro subito su a sedere.
Grave errore.
Mi sfocia via il sangue dalla testa per il movimento brusco e ricado immediatamente all’indietro con la testa sul bracciolo.
Alla preoccupazione della ragazza che mi chiede se va tutto bene annuisco.
-Tutto ok. Pressione bassa … - le spiego rimanendo distesa sotto consiglio dell’altra.
Non posso crederci di essere così sfigata dal ritrovarmi di fronte proprio il soggetto della disputa di poco fa: Miriam.
La osservo attentamente.
E’ carina. Una di quelle facce ovali con gli occhi stretti, il naso fine e le labbra sottili che porta sempre un trucco leggero quasi a far intendere che non lo porta neppure.
I capelli corti e castani sono tagliati a caschetto ma dietro il collo si notano i lunghi capelli che le arrivano fino al sedere. Di solito li porta legati ma l’ho vista tenerli sciolti in tv e fa strano guardarla di profilo con quelle ciocche lunghe inaspettate.
Ha la carnagione un po’ scura. Suo padre è messicano, ha spiegato la prima puntata della trasmissione, e sua madre invece è argentina.
A differenza di me lei è sempre sorridente anche quando è soprapensiero.
Sono talmente presa dai miei pensieri che non mi accorgo di un fatto strano.
-Come mai sei già qua a quest’ora? Manca ancora un’ora alla lezione- le chiedo mentre la vedo sorseggiare il cioccolato caldo.
-Uscita da scuola ho fatto un salto qui vicino. Ho pranzato fuori con qualche amica e, visto che loro volevano vedere un film, io ho preferito non rischiare di fare tardi all’Academy e quindi eccomi qua- spiega facendo spallucce non mancando di sorridere.
Ha gli occhi un po’ gonfi, noto osservandola in viso mentre l’ascolto.
-E tu?- mi chiede.
Mi scappa un principio di risatina ma mi schiarisco la voce simulando un colpo di tosse e mi accingo a rispondere mettendomi a sedere mentre Miriam si sistema sulla poltroncina lì vicino.
-Ho dato un pugno ad un ragazzo- dico abbassando involontariamente lo sguardo sulla mia mano destra.
Mi facevano ancora un po’ male le nocche.
D’ora in poi, se ce ne fosse stato bisogno, avrei dovuto usare i calci piuttosto. Non vorrei rischiare di rompermi un dito e di non poter suonare la chitarra per colpa di qualcun meritevole di un pugno.
La ragazza spalanca lo sguardo.
-Davvero? Ti ha fatto qualcosa? Stai bene?- chiede e per qualche secondo mi sembra di avere di fronte mia madre vedendola sporgersi verso di me per riuscire a guardarmi in volto.
-Sto bene, sì. Non mi ha fatto niente. Non ha alzato le mani, questo no- rispondo ingobbendomi un po’ lì seduta allungando le gambe in avanti incrociandole a x incastrando il piede sinistro sul destro.
Dopo qualche momento di silenzio lei sembra agitarsi lì seduta sulla poltroncina. Come volesse chiedere qualcosa ma non osasse farlo.
-Che c’è?- domando.
-Bhè … sai, tra di noi … insomma: io, Loris, Matteo, Debora, Ezio e tutti i partecipanti ci siamo chiesti spesso che tipo fossi. Stai sempre sulle tue con l’espressione arrabbiata. Credevamo fossi una specie di Yankee. Abbiamo sentito che sei stata in California a fare concerti e quindi tutti abbiamo pensato che fossi un osso duro. Tuo padre è anche già nell’ambiente della musica, quindi … - sfuma con la voce notando la mia espressione interdetta.
-Ma … io in California non ho fatto concerti o altro ... Mio zio era lì per un tour, sì, ma io ero tra gli spettatori. Mi ha solo fatto da tutor con il canto … - mi fermo a metà della spiegazione affondando le dita tra i capelli e poggiando i gomiti sulle ginocchia scavallando le gambe lunghe e incurvando la schiena in avanti lasciandomi andare.
Inizio ad essere esasperata …
-Ho chiesto di poter avere un nomignolo apposta per non farmi riconoscere con il cognome di mio padre … - mormoro stancamente. A quanto pare me la sono cercata.
Non parlare è sia un modo per non rendere note certe cose ma anche un modo per creare un sacco di malintesi.
Miriam si schiarisce la voce e io rialzo il capo.
-Ahm … a quanto pare abbiamo cominciato con il piede sbagliato. Che ne dici di presentarci per bene? Io sono Miriam Ruiz. Tu?- domanda tenendo la cioccolata con la sinistra e porgendomi la destra.
Faccio un sorrisetto un po’ sbilenco apprezzando il suo tentativo di scusarsi con me per il malinteso e le allungo la mano stringendo la sua.
-Dreda Calmi Baker- dicendo così anche il cognome di mio padre oltre a quello di mia madre.
-Come mai tuo padre ha un nome italiano?- mi domanda.
-Bhè, è italoamericano. Mio nonno è del Kentucky e mia nonna di un paesello della toscana. In realtà il suo secondo nome è Magnus … già, è per questo che non lo dice molto in giro- aggiungo vedendola ridere a quel nome.
-Quindi è vero che ti chiami Dreda?- mi domanda, curiosa.
-Sì, e mio fratello si chiama Chad, ma entrambi abbiamo anche un nome italiano che non dirò mai- la informo preventivamente alzandomi ora in piedi.
-Stavo per chiedertelo- fa ridendo mentre si alza anche lei andando a buttare il bicchierino della cioccolata calda oramai finita.
-Io … ora credo che andrò al buffet a mangiare qualcosa-
-Tu di solito mangi al buffet? Ecco perché non ti vediamo mai!- dice lei battendo le mani. -Noi mangiamo allo Starbucks a pochi passi da qui-
Come sento quel nome nella mia testa si materializza l’immagine di una sirena verde dalla doppia coda che mi chiama facendo nomi di caffè, cappuccini con caramello, cioccolate con panna spruzzata di cocco e cacao assieme a ciambelle, muffin, brioche …
Adoravo andare allo Starbucks in California e ringrazierò in eterno mio zio per avermelo fatto conoscere.
Quasi gli occhi mi diventano lucidi al suono del suo invito a prendere con lei un caffè proprio lì per mostrarmi dove trovarlo.
-Te ne sarei davvero grata- le dico prendendo le sue mani nelle mie. Quasi come avesse dato un pasto caldo ad un vagabondo. Poi mi viene un dubbio. -Si può pagare con il bancomat lì?-
Forse le cose sono diverse tra lo Starbucks in America e quello italiano ...
Miriam si mette a ridere e mi afferra per un braccio.
-Vieni. Oggi offro io-.
 
Grazie a Miriam ho capito che forse sono davvero un po’ troppo scorbutica.
Facendo così posso dare l’idea sbagliata alle persone e io odio quando la gente si fa idee sbagliate che non stanno né in cielo né in terra ma che riguardano altri.
E’ Venerdì mattina e oramai, con tutta la valanga di pensieri che ho avuto in testa non ho pianificato nulla e quindi non ho saltato scuola. Molta meno gente di quella che credevo se ne è andata e in tanti occupano ugualmente i banchi nonostante inizino a scarseggiare le giornate di sole caldo che agevola i vagabondaggi e lo shopping.
Arrivata in classe mi accorgo che né Alessio e neppure Francesco sono arrivati in classe ma sulle bocche di tutti c’è già fermento.
Sento qualche barlume di conversazione e capisco che in quel Mc dev’esserci stata più gente di quella che credevo, specialmente di scuola.
Poggio la tracolla sul banco centrale e mi accorgo di aver trattenuto il respiro sino a quel momento.
Mi siedo e faccio per prendere il blocchetto e l’astuccio quando arriva Francesco tutto trafelato all’interno dell’aula rimanendo all’entrata con il fiato corto.
“Che è successo?” mi domando.
Che si sia fatto male qualcuno? C’è un incendio? Un attacco terroristico? Alieni? Cosa fa preoccupare un tipo come Francesco tanto da farlo correre?
-Ehi … -sta per aggiungere altro ma piega in avanti la schiena poggiando le mani sulle ginocchia, sorreggendosi, facendo così cadere sul pavimento lo zaino che teneva su una spalla.
-Respira, scemo!- dice ridendo un tizio in classe nelle retrovie.
Cesco alza la destra come a chiedere tempo e torna ritto in piedi.
-Ascoltate … ho sentito che … ci sono voci in giro … su Dreda … - dice tra un respiro e l’altro. Lo fisso come fosse un ufo e mi chiedo da dove e per quanto ha corso quell’idiota. - Però non è andata come pensate. Un tizio … uno che conosco, le voleva chiedere un incontro con Miriam … quella del programma-
-Lo sappiamo chi è, lo sappiamo- fa un’altra voce alle mie spalle, un po’ lontana, seguita da qualche altra risatina.
Fino al giorno prima non mi avrebbe fatto effetto sentire quei commenti stupidi ma, dopo aver conosciuto il soggetto delle loro frasi ambigue, non voglio stare di certo zitta.
Sbatto i palmi sul banco e mi volto verso questi.
“Che abbiamo qui? Quattro imbecilli … Challenge accepted”.
-Cucitevi la bocca- sbotto.
Uno di loro, un tipo biondo con i capelli diretti in tutte le direzioni possibili tranne che quella giusta, mi fissa indispettito con le braccia incrociate. Rimango a fissarlo irritata per un po’ e quando lui abbassa lo sguardo ho la netta sensazione di aver vinto la battaglia, ma non la guerra.
Faccio per voltarmi di nuovo verso Cesco ma me lo ritrovo di fronte al banco come fosse uno zombie.
-Scusa- fa Francesco facendomi venire un colpo per lo spavento.
- … Di cosa?- domando.
-Bhè, avevo capito che Dario aveva un debole per Miriam ma non pensavo che potesse essere così fuori di testa-
-Ma … è stato così idiota da raccontarti quel che mi ha detto?- chiedo, non capendo come faceva Francesco a sapere com’era andata. Le voci che circolano parlano di un litigio ma so che nessuno ha sentito veramente quello che quell’idiota mi ha detto. Probabilmente neppure lui sa perché l’ho colpito.
-Quando gli abbiamo chiesto cosa era successo ha detto che eri una pazza furiosa e che ti eri arrabbiata per chissà quale motivo, poi a qualcuno ha raccontato che lo hai rifiutato perché non è nello spettacolo anche lui e poi se n’è inventata un’altra che non conosco … - spiega Francesco rimanendo di fronte al mio banco. Si è ripreso dalla corsa a quanto pare. Il respiro gli è tornato normale.
Suppongo di dovergli un “grazie” ora … difficile, non ne dico spesso e doverne dire uno a un ragazzo che fino a poco fa prendevo in giro tra me e me … è imbarazzante.
-Scusa- fa lui prendendomi in contropiede.
-Scusa? Di cosa?- chiedo mentre i pochi che mancano stanno entrando in classe. La situazione almeno si è calmata e ognuno pensa ai fatti propri.
-Di non essere intervenuto. Guardandovi a distanza non avevo capito subito che stavate litigando … e poi è colpa mia. Ho insistito che venissi a pranzo con noi … però sapevo che Dario diceva una carrellata di fesserie una dietro l’altra. Ormai ti conosco abbastanza da non credere che tu sia come la gente pensa.-
“Come la gente pensa?” mi chiedo tra me e me. Cavolo … mi disinteresso dell’opinione pubblica ed ecco il risultato. Chissà che diavolo di voci girano …
-Ah … - mormoro non sapendo che dire di preciso. Mi ronza in testa la parola “grazie” ma è come se lui non avesse ancora finito di parlare.
Fa un sorriso sbilenco con la bocca storta e riprende il discorso.
-Una ragazza che ti offre dei biscotti fatti da lei è normale che non possa essere così presuntuosa come dicono in giro, no?-
Sbianco.
Ma, di preciso, Francesco che ha capito con quel mio gesto di ieri?
A pensarci bene, gli ho dato dei biscotti fatti da me, poi lui guarda caso mi chiede di uscire a pranzare con la sua combriccola per sdebitarsi … io credevo fosse un baratto normale e invece lui ha creduto che ci fosse dell’altro?
Alzo le mani davanti a me in segno di difesa, o di resa, non so bene che fare.
Quel pensiero mi pare più assurdo che sensato.
-Ma … ecco … i biscotti ieri te li ho dati perché non avevi da mangiare … li avevo perché dovevo portarli a una persona che conosco negli studi e … ho pensato che … - non so spiegarmi più bene. Poso la destra sulla fronte e la sento calda.
Ok, forse non sono sbiancata allora, sono arrossita. Non avrei mai pensato di incappare in un malinteso simile. Neppure che sarebbe capitato con Francesco.
-E’ stato un bel gesto- insiste lui sorridente.
Non so bene che dire a dir la verità.
Più per l’inaspettato caos che per altro. Inizio a pensare di avere la febbre … mi siedo e mi riposo un attimo almeno.
-Grazie … -mormoro.
-A te- replica lui tutto tranquillo.
In questi giorni ho pensato troppo e il cervello ha ricevuti troppi input. Mi sono creata un malinteso io stessa, nella mia testa … qualcosa l’ho presa allora da mia madre: creare castelli campati in aria.
-Ehi- fa qualcuno lì vicino.
Alzo lo sguardo e vedo Alessio con in spalla il suo zaino e con in mano quello di Francesco.
-Se lasci la roba in terra diventa proprietà di chi la trova, non lo sai?- dice questo fissando di sottecchi Francesco.
Cesco sembra ammutolirsi tutto di colpo e fissa l’altro ragazzo. Sembra pensare a qualcosa.
Mi domando perché, visto che lui ha sempre la battuta pronta e una parlantina impressionante.
-Starò più attento allora- risponde l’interpellato riprendendo il proprio zaino per una spallina, mentre Alessio la tiene ancora saldamente dall’altra. -Bhè?-
-Non stavo scherzando … Hai un iPod qui dentro, vero?- fa Ale buttando un occhio nella cerniera mezza aperta.
Ho visto Francesco sbiancare completamente e poi dare il via ad una discussione con Alessio fin quando non è arrivato il prof. Dopo hanno continuato a borbottare persino durante la lezione e sono stata costretta a sopportarli trovandomi nel mezzo.
Quello arrabbiato e sdegnato era Cesco, mentre quello serafico e allo stesso tempo sfacciato era Ale.
In quel casino generale in cui il prof di matematica parlava di quello che ci sarebbe stato nella verifica fra due settimane, i due al mio fianco discutevano animatamente e sul mio cellulare arrivava un sms di Miriam che mi chiedeva come stavo, mi chiedevo da quando di preciso avevo iniziato a dare nomignoli a quei due.


NdA:

Ripeto:
"Ringrazio preventivamente chi mi darà critiche costruttive o chi mi farà notare eventuali errori presenti in questo capitolo (anche chi mi scriverà qualche bel commento, certamente non disdegno nulla xD).
So che sono una frana con la grammatica e con i tempi verbali... Mi scuso anche per eventuali insulti a generi e personaggi musicali amati da tanti. Non è nulla di personale, solo l'opinione dei personaggi.
In questa storia non voglio mettere in cattiva luce gli emo, i fanatici della moda e delle discoteche o i fan di Laura Pausini e di Emma, ecc ecc... La storia è raccontata dal punto di vista di Dreda la protagonista, non il mio come autrice."

Ancora vi ringrazio per aver letto questo capitolo. Mi metto subito al lavoro per scrivere il terzo.
Non so neppure io dove andrò a parare perchè questa è una delle poche volte che inizio a scrivere senza una scaletta o senza una costruzione completa dei personaggi. Sono curiosa anche io di sapere che succederà nel prossimo episodio xD

Con questo aggiungo: Buona domenica a tutti!
   
 
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