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Autore: Dreda    03/03/2012    0 recensioni
"Mi chiamo Dreda, ho 16 anni e amo il Rock.
Attualmente sono al terzo anno di liceo ma al pomeriggio frequento delle lezioni all'Academy. Si tratta di un programma televisivo in cui insegnano a me e ad un'altra ventina di ragazzi/e a cantare e suonare. Oltre alla mia storia c'è anche quella di Francesco, Alessio, Flavia, Simone, Chiara... bhè, tanti altri.
Questa è una storia fatta di persone a cui piace la musica. Tutta. Senza pregiudizi ma con ragazzi che, grazie alle canzoni, cresceranno e diventeranno migliori, forse... chi lo sa?"
Genere: Comico, Generale, Slice of life | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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Track 1: Emma Marrone - Cullami
 
Quando sei apparso in tv una volta, anche una sola, è come se ti avessero marchiato a vita.
O almeno, è così nella vita di tutti i giorni.
Probabilmente sul braccio mi ritroverò a breve il tatuaggio di questa prima uscita sul palco su cui mi sono mostrata per la prima volta davanti ad un pubblico, tutti di paesi diversi, anziché della stessa cittadina o paesello di campagna.
Fino a ieri ero totalmente ignorata ma, per colpa della sera appena trascorsa, tutti ora hanno iniziato a trattarmi come se si trovassero di fronte una celebrità internazionale.
Contrariamente a quanto si possa pensare, a me non piace.
 
Passando per il corridoio principale che sfocia sulla mia classe, l'ultima a destra, incontro molte facce di terza che mi fissano come fossi un ufo. Appena incrociano il mio sguardo, ragazze e ragazzi, prendono a borbottare e spettegolare tra di loro quasi quanto solitamente fanno durante le verifiche di storia.
Oggi è il primo giorno di ritorno a scuola dopo le vacanze estive. Per me sono state vacanze davvero impegnative e per nulla rilassanti. E' vero che sono andata in California da mio zio, e che assieme a lui ho affinato la mia abilità nel canto, ma non sono per nulla soddisfatta della piega che ha preso questa svolta nella mia famiglia.
Mio padre mi vorrebbe a Sanremo, mia madre nei cori domenicali della chiesa e mio fratello minore aspira ad avere una sorella al pari di Laura Pausini o di Elisa.
Purtroppo, non me la sento di accontentare nessuna di queste richieste. No, neppure cantare nei cori domenicali, mi spiace (ed è la richiesta che meno mi ha lasciato sconcertata se devo dirla tutta).
La mia vera vocazione è il rock in tutte le sue sfaccettature.
Fremo nell'ascoltare i 30seconds, piango al canto di Freddy e non riesco a non cantare le canzoni degli Europe così come anche quelle dei Nickelback, Avenged e dei 3doors down. La mia camera è letteralmente tappezzata di cd rock di ogni tempo e di poster.
Amo tutto ciò che è il rock e vorrei con tutto il mio essere poter esprimere agli altri questo mio innamoramento ma se i miei lo sapessero, più mia madre che mio padre, bhè ... rimarrebbero traumatizzati e non ne ricaverei nulla.
L'unico che ne è al corrente è mio fratello, anche perché mi aiuta a non far mai entrare i miei in camera mia. E' il mio santuario. Un posto off-limits.
Continuo a camminare imperterrita per il corridoio principale e persino la prof di italiano mi guarda con due occhi a palla. Probabilmente solo ora ha capito che ieri sera ero realmente io in tv, sul canale principale, a cantare davanti a tutte quelle persone.
Ero convinta che nessuno guardasse un programma simile ma... a quanto pare, ce n'è di gente che non sa che fare il mercoledì sera.
In realtà quel programma era registrato. L'avevamo girato il pomeriggio e per raggiungere gli studi ho dovuto saltare metà incontro tra professori/alunni/genitori. Da parte mia non è poi così insolito saltare le lezioni, le riunioni o gli incontri tra famigliari e insegnanti ma, se proprio devo e voglio, io salto l'intera giornata e non solamente un'ora. Non avrebbe senso.
 
Mi accingo ad entrare nella mia classe oltrepassando un gruppo di quattro ragazze delle seconde che sono intente ad ascoltare qualcosa nei loro i-pod farfugliando chissà che. Entro e punto il banco più in fondo, accanto alla finestra. Non guardo in faccia nessuno. Senza rendermene propriamente conto inizio ad accelerare il passo e piazzo la mia tracolla sul banco. Come avessi raggiunto la meta con in mano la palla da football americano.
Con la coda dell'occhio noto che, in effetti, il banco è già preso. Qualcuno ha lasciato il suo zaino contro la gamba del tavolino e se ne è andato.
Non dicendo nulla e con tranquillità prendo lo zaino dello sconosciuto e lo appoggio sul banco affianco, sedendomi al mio solito e amato posto affianco alla finestra.
Per stare in pace con me stessa e per la tranquillità degli altri è il massimo come posizione, specialmente per copiare quando ne ho bisogno.
Sbadiglio e incrocio le braccia sulla tracolla poggiandoci sopra la testa. Qualche minuto buono per dormire dovrei ancora averlo...
 
Non so con precisione quanto tempo sia passato, forse due o cinque minuti, ma quando sento un forte fischio nell'orecchio destro sobbalzo fin quasi a cadere dalla sedia sbattendo le ginocchia contro il sottobanco.
-Cosa cazzo credi di fare, eh?- mi domanda con fare incavolato un tizio.
Ho la visuale sfocata. Mi porto la mano alla fronte, già irritata per la brusca sveglia, dovendo poi in più fronteggiare un rompiscatole alle otto e mezza di mattina … non va bene per niente.
-Spaccarti il deretano a pedate se lo rifai un’altra volta- gli sbotto contro lanciandogli un’occhiata fulminante.
L’ho già visto. Non so come si chiami ma non mi è nuovo. Alcune mie compagne di classe ne parlavano additandolo dalla finestra.
Come fanno a dire che un soggetto simile sia sexy e affascinante? Donne che sbavano solo quando vedono un bel faccino con i capelli scuri e gli occhi chiari … nient’altro.
-Vorrei proprio vedere come fai- aggiunge lui fissandomi con rabbia e con due occhiaie che quasi finiscono a terra.
Non serve guardarsi attorno per capire che tutti ci stanno fissando. C’è chi spera che succeda qualcosa di abbastanza grave da far saltare la prima ora (ben sapendo che nel primo giorno di scuola non si fa una cippa lo stesso), chi ancora mi fissa come avessi la proboscide e le antenne, e chi è convinta che in aula ci sia solamente il ragazzo-sexy-rompipalle di fronte a me.
-Ad essere curiosi ci si mozza prima le gambe, non lo sai?- replico non muovendomi di un centimetro e restando seduta al mio posto.
E’ il MIO posto. Da anni. Non quel banco in quella classe ma l’ultimo tutto a destra. E’ mio. Potrei giurare che se chiedessi ad un medium vedrebbe un pezzetto della mia aura in ogni classe posta esattamente sulla sedia del banco più in fondo e più a destra possibile. Morirei se non stessi lì e … probabilmente il bell’imbusto non l’ha ancora capito... che poi tanto bello non mi pare con il naso storto, i crateri di alcuni brufoli sulla fronte e i capelli ben pettinati e ingellati, oltre che impiastrati, alla emo. Mi fa senso solamente a guardarlo.
Veniamo interrotti dall’entrata goffa della prof di italiano che ancora mi guarda con timida ammirazione.
-Che sta succedendo? La lezione sta per iniziare. Sedetevi- dice fissando il rompiscatole ancora in piedi affianco al MIO banco.
-Non posso, prof. Questa qui mi ha fregato il posto-
-Chi va a Roma … - borbotto puntando gli occhi oltre la finestra, sogghignando, sentendo il suo sguardo tagliente sulla mia nuca.
Chissà, magari, a dispetto degli altri emo, lui si tagliuzza direttamente  con lo “sguardo assassino” Haha ha … lo ammetto, è stupida e brutta, ma in quel momento mi ha fatto scappare una risatina.
Risata che non deve essere sfuggita al ragazzo perché questo, puntando verso la prof, piazza i palmi sulla cattedra e, con perfetto tono da secchione-leccapiedi, dice così: -Prof, quest’anno delle nostre classi iniziali non abbiamo che pochi amici e non ci conosciamo per niente tra di noi … -
Io, come gli altri, allarmati, alzo le antenne e allungo le orecchie per capire che diavolo sta dicendo quello sgorbio.
-Che ne dice se, per conoscerci meglio e affiatare di più la classe, non uniamo i banchi a due a due e peschiamo a sorte per scegliere dove stare?-
-Mi oppongo!- sbotto alzandomi in piedi.
La mia autorità in classe, grazie allo show di ieri sera, è aumentata e quindi posso benissimo dire la mia e avere più gente dalla mia parte. Una grandiosa carta a mio vantaggio.
-L’inizio della scuola è già abbastanza carico di ansie e problematiche, se poi ci ritroviamo accanto a dei ragazzi o delle ragazze con cui non andiamo d’accordo … - dico fulminando il ragazzo dalle uscite poco intelligenti - … non crede che ne andrebbe della nostra salute mentale? Cioè … la nostra concentrazione ne risentirebbe. Persino lo studio sarebbe più difficile. Funzioniamo benissimo come siamo ora, non crede anche lei, prof?- e qui avrei forse dovuto giocarmi il tutto guardandola con gli occhi bagnati di lacrime ma è bastata l’esaltazione degli altri per darmi man forte e far tentennare la donna.
-Ecco … avete ragione entrambi, ma … - e quel “ma” ci strappa a tutti l’anima dallo stomaco paralizzandoci.
-Vedete, ne abbiamo discusso ieri pomeriggio, riguardo alla questione dei posti a sedere, e assieme agli altri professori si è deciso che per tutte le classi ora si farà la pesca per scegliere il proprio posto a sedere.-
Poteva bastare quella sentenza a farmi sprofondare all’inferno ma no, la prof pensò bene di metterci dell’altro e aggiunse che l’idea di Alessio (questo il nome del rompipalle), era più che buona e la mise in pratica.
 
Non ci stetti neppure a pregare o a sperare.
Non ho mai avuto fortuna e, anzi, sono abbastanza sfigata da pensare al peggio e poi rasserenarmi un po’ notando che poi, in fin dei conti, non è andata poi così male.
Questa volta però il peggio del peggio è successo e mi ritrovo esattamente in centro alla classe con alla mia destra Alessio mentre a sinistra c’è Francesco Ghirini … un altro rompiscatole che mi porto sul groppone dalle medie. Non l’ho avuto in classe con me da due anni ma a quanto pare chi non muore si rivede.
Sto ancora maledicendo l’architetto che ha costruito questa classe, il muratore che l’ha messa su, il direttore per non aver inserito meno alunni in aula e mia madre per avermi partorito con un anno di ritardo quando l’idiota alla mia sinistra inizia a parlare.
-Ehilà, da quanto, eh?-
-Mai abbastanza- farfuglio afferrando la tracolla per estrarre il mio blocco e l’astuccio.
A scuola tendo sempre ad essere neutrale con il mio comportamento verso il prossimo ma il primo giorno di scuola non riesco mai a restare calma. Se poi mi capitano tragedie simili non posso certo riuscire a sprizzare gioia da tutti i pori.
Tra una cosa e l’altra passano le prime tre ore di simil-lezione in cui conosciamo i professori nuovi mentre il prof di matematica è rimasto sempre uguale.
Come arriva la pausa merenda (sempre troppo corta a mio avviso), subito vengo raggiunta dalle mie nuove compagne di classe.
-Tu sei Dreda, vero? Dreda C.?- domanda una bruna dai capelli corti un po’ nervosa.
Io alzo lo sguardo verso di lei con un’espressione stranita.
- D.C., esatto. Perché?- così mi sono fatta chiamare in tv sperando di non essere riconosciuta con tutto quel trucco, i capelli acconciati come pare agli acconciatori e quell’assurdo vestito insopportabile … proprio vero che bisogna soffrire per stare in tv a volte.
Una delle tre arrossisce sulle guance mentre lancia qualche occhiata ai due di fianco a me. Ad Alessio pare non fregargliene niente e continua a mangiarsi il suo panino con un succo alla pera (come faccia a mangiare mortadella con maionese e bere un succo di frutta ficcandoli tutti in bocca assieme, non ne ho idea …), a Francesco invece sembra interessare parecchio la questione e si volta verso di me con sguardo vispo poggiando il gomito sul banco.
-DC? Il tuo nome è già tutto strano, non basta chiamarti Dreda?- mi domanda. Chissà perché non gli è mai andato giù il mio nome. E’ una delle poche cose per cui venero mio padre, altrimenti mia madre voleva chiamarmi Maria oppure Sara …
-No- rispondo blandamente venendo poi interrotta da un’altra delle tre ragazze.
-Quindi eri tu ieri in tv a cantare? Al programma nuovo … - domanda la bionda sistemandosi le maniche della maglia in cotone senza smettere di fissarmi.
Non rispondo se non con un assenso e subito mi ritrovo di fronte tre diari e tre penne diverse, di colore anche diverso tra loro.
-Possiamo avere il tuo autografo?-
 
-Robe da pazzi … appari una sola volta in tv e guarda te cosa succede- fa Francesco che, chissà perché, si è messo in testa di voler diventare mio amico.
-Guarda che la settimana prossima ci ritorno … sono ancora in gara dopotutto- gli faccio distrattamente mentre scarabocchio qualcosa sul quadernino dove in realtà dovrei prendere appunti di quello che sta dicendo il prof.
-E che hai cantato?-
Preferisco non rispondere … ingoio a vuoto.
-Qualcosa di Britney Spears? Madonna? O Lady Gaga?- domanda trattenendo il respiro dicendo l’ultimo nome.
Dal nervoso quasi spezzo a metà la punta della portamine sul foglio. Perché diavolo fanno certi esempi? Sembro così commerciale da non poter cantare qualcosa di più duro?
-No … “Benvenuto”. Di Laura Pausini - dico senza troppa energia e mi sento fissare da qualcuno.
Alzo lo sguardo e ho gli occhi delle tre davanti, come di Francesco, colmi di ammirazione, fossilizzati su di me, tanto che il prof deve richiamarli bruscamente all’attenzione prima di continuare a spiegare chissà cosa. Sembra che ci aspetti un anno molto difficile e blablabla …
-Ti piacciono le canzoni di Laura Pausini?- chiede Francesco.
-No- rispondo immediatamente.
E’ vero. Sono una delle poche in Italia ma continuo a non demordere. Nulla di personale, sono gusti.
-E che cantanti ti piacciono?-
Domanda pericolosa.
Se rispondessi con sincerità verrei etichettata sia a scuola che fuori. Le voci circolano molto da noi e inizierei a rovinare la mia carriera che deve ancora iniziare per bene. Sì, sono apparsa in tv, ma non vuol dire nulla in realtà. Nessuno si ricorda veramente di una singola persona in un programma con una ventina di emergenti, tranne tutti quelli del suo paese e della città natale.
L’importante è diventare qualcuno, non importa con quali canzoni … purtroppo.
Non sapendo che pesci prendere alla fine rispondo come rispondo a tutti quanti, anche in tv.
-Non ho dei cantanti preferiti … solo canzoni-
-E quali canzoni?-
Inizio a spazientirmi e lo fisso con sguardo truce. Per fortuna è giunto poi il prof a levarmi da quell’impiccio lanciando la gomma in faccia a Francesco e sbraitandogli contro.
 
-Ci vediamo- faccio io mettendomi la tracolla in spalla. Tempo di arrivare alla porta dell’aula che vengo fermata dalle tre di prima a cui ho fatto l’autografo.
-Volevamo solo farti sapere che tifiamo per te al programma- fa la brunetta dai capelli corti.
-Sì, bhè, sarà ardua con Leonardo, Loris e Matteo ma … ti sosterremo sempre- dice la bionda.
-Ah … grazie- non avendo del tutto chiaro se si tratti di un incitamento o cosa.
Vabbhè, lo so pure io che quei tre sono ossi duri, soprattutto perché certe canzoni sono giuste per loro, a differenza mia.
La terza, quella più nervosa, mi domanda cosa canterò la prossima sera del programma e ci penso bene prima di rivelarglielo.
-Ahm … non so al cento per cento se posso dirlo ma … bhè, è “Cullami” di Emma Marrone-
E come dico quel titolo le tre hanno già capito di che si tratta.
Devo ammettere che con le corde vocali assomiglio di più a Emma che a Laura ma … non sto comunque nel mio ambiente. Preferirei piuttosto un brano di Amy Lee degli Evanescence.
-Faremo il tifo per te!-
Lo spero … ma credo piuttosto che alle votazioni andranno in vetta Leonardo o Matteo. Loris è troppo scontato.
Come esco da scuola per dirigermi verso il centro vengo seguita da Francesco. Alessio è uscito senza dire nulla, buon per lui o gli avrei risposto male di nuovo. Tempo una settimana e mi sarà passata la nevrosi … forse.
-Dove vai?- chiede il ragazzo.
Stanca, gli lancio un’occhiata lunga.
Perché non va a rompere e a tampinare qualcun’altra? Ha un bel faccino nonostante la bocca storta, i capelli corti e castani con il taglio alla Cullen (oramai diventato un must), l’altezza spropositata di un metro e novanta circa e lo stile casual che gli sta discretamente … no, in verità al pensiero di vederlo con jeans sbrindellati, cintura borchiata, anfibi con cinghie di metallo, una maglietta nera e il collare al collo me lo fa apparire molto più attraente. Ma, quando quella figura immaginaria, si piazza una cinquina in fronte dicendo: -Azzo … ho dimenticato di chiedere a Michele a che ora alla discoteca stasera … ci vediamo!- e se ne va con non-chalance dal luogo, mi cade un possibile mito.
Fine delle mie fantasie su Francesco.
Ecco perché non mi è mai piaciuto. Ha un modo di parlare insopportabile con quel suono nasale che non pronuncia neppure bene le parole. Ora la mia classe sembra un covo di luoghi comuni e di stereotipati e io non sono da meno.
Probabilmente sarei inserita come una specie di Daria, ma sicuramente meno intelligente.
 
Appena entro nel negozio di Simon, questo mi lancia un’occhiata di sfuggita ma, quando riconosce la mia chioma rossa, subito alza la sinistra tenendo con la destra una chitarra bianca. Doveva essere intento ad aggiustare l’uscita jack per l’amplificatore perché ce n’era uno nuovo sul bancone.
-Che è successo a questa poveretta?- domando lasciando a terra la mia tracolla e poggiando i gomiti sul bancone dove Simon sta lavorando.
-Una barbarie- commenta in primo luogo l’uomo incavolato. -Questo gioiellino è stato il regalo per un moccioso di dodici anni solo per “provare” a suonarla perché si è messo in fissa sui Sonohra … - e qui facciamo una smorfia entrambi – Già … Una Fender. Nuova di zecca. Da più di mille euro ... io gliel’ho detto: “Stai attento. Fai passare il cavo dell’amplificatore sopra la tracolla così non inciampi”, e lui “siiii, oooook” ma non mi ha ascoltato e ora guardala qui … -
-Ma è pazzesco- commento fissandola e passando due dita sopra la “ferita”.
Simon annuisce risucchiando le labbra tra i denti con un’espressione dolorante e mi porge la scatola dei fazzoletti di carta lasciandomene prendere due. L’agita un po’ in aria e ne prendo altri due soffiandomi poi il naso.
Simon mi piace per questo.
Capelli corti d’un biondo cenere, occhiali da vista sul naso quasi a renderlo nerd, indossa sempre un pullover dei tanti di colori pastello che esistono ed un paio di jeans con ai piedi le sue scarpe dell’Adidas delle superiori che continua a preferire ai modelli nuovi. E’ ancora un ragazzo in fin dei conti e so che ha un gran seguito di ragazze della mia età. Ha solamente 25 anni dopotutto ma io lo vedo come un fratello maggiore. Mi ha aiutata in un momento di crisi esistenziale semplicemente dandomi lezioni di chitarra elettrica in cambio della buona pubblicità che gli ho reso in seguito. Ora che appaio in tv non ci penserei due volte ad usare una sua chitarra piuttosto di quelle in dotazione dal programma.
-Dreda!- dice una voce alle mie spalle. Mi volto e mi ritrovo di fronte Chiara con un sorriso sul volto che passa da un orecchio all’altro e già ho i brividi.
Non capisco mai perché si sforzi di sorridere quando si vede chiaramente che né il suo viso e neppure il suo intero essere ha voglia di sorridere. L’espressione dice una cosa ma la sua bocca un’altra ed è come un pugno in un occhio guardare quell’insieme.
- Chiara … -
- Com’è andato il primo giorno di scuola?- mi domanda gongolante nel vedermi precipitare in un oblio di tristezza infinita.
-Ahm … sapete una cosa? Io ora devo andare alle prove del programma prima che faccia tardi-
-Oh sì … l’ho saputo. Mi dispiace Dreda - dice Simon con una faccia funeraria quasi fosse morto un mio parente. Lui sa bene quanto ami il rock e quanto detesti altri generi musicali. Sotto questo punto di vista condividiamo molte cose ed è solo grazie a lui se sono potuta andare a dei concerti dei 30seconds, Avenged e uno degli Slipknot.
Chiara invece è più devota alla musica gotica e qualche band piace ad entrambe. E’ solo una ragazza un po’ complicata ma è pur sempre la sorella di Simon.
Saluto frettolosamente e mi precipito poi verso la fermata del pullman.
 
-Leggi il testo prima di cantarlo, così riuscirai ad assimilarlo meglio. Sembra che tu non capisca di cosa si parli … sei indubbiamente molto brava ma ti manca quel qualcosa che … -
-Insomma … “si vede che hai studiato ma potevi far di meglio”- dico con in mano il foglio alzando lo sguardo verso l’istruttore che si occupa della fascia under 18 del programma.
Non è un tipo famoso, come del resto, a parte il presentatore, non lo è nessuno in questo programma. Meglio così. Ci sentiamo tutti più al nostro agio, non come programmi tipo XFactor o Amici.
Occasionalmente c’è qualche telecamera che si imbuca durante le prove ma più che notare la mia tracolla di fianco alla porta, i libri di scuola posati vicino a me sulla scrivania ed io, seduta di fronte a Paolo Mosto (la grande rivelazione del programma per le sue doti di compositore in erba), intenta a comprendere il punto di vista della canzone … altro non c’è da riprendere. Devo ammetterlo, con me gli spettatori credo si annoino tantissimo e questo è un punto in meno a mio favore, anzi, forse due o tre …
Paolo, ripresosi dalla breve risata a seguito della mia battuta, poggia il mento sulla mano sinistra e con la destra agita distrattamente una penna delle sue. Lo chiamiamo “l’uomo delle penne” perché ne ha sempre tre nel taschino della camicia e le usa più come antistress che per scrivere realmente qualcosa, anche se, dice lui, che le ha lì perché in tanti gliele chiedono e, in caso gli venisse qualche idea lampo su una melodia o una canzone, ha il taccuino pronto in tasca per segnarsi gli appunti.
-Non lo so … forse, se fosse in inglese … - commento con poco entusiasmo non nascondendo almeno a lui che la canzone non mi piaccia. Tanto le telecamere al momento non ci sono.
Lui prende ad agitare la penna ora di fronte al mio naso e a guardarmi con un’espressione che la sa lunga.
-Ecco, il solito errore che fate voi giovani … devo ammettere che tu ascolti, anche bene, ma non capisci effettivamente ciò che dicono le parole. Può starci per una persona normale questo tuo punto di vista ma … per una cantante e una chitarrista no-
Come dice quelle ultime parole lo guardo un poco stupita.
-Bhè? Ho visto il plettro che hai al collo e quel marchio lo conosco. Simon è un mio … amico- dice lui allungando lo sguardo oltre la mia spalla sorridendo in maniera opaca a chissà quale ricordo.
Simon? Suo “amico”? Che intende dire? Così mi preoccupa … nulla contro gli “amici”, certo, ma … Simon? Lui? E Paolo?
Quest’ultimo deve capirlo dal mio sguardo ciò che sto pensando perché subito arrossisce ridendo e agitando la destra, con la penna incastrata sopra il pollice, sotto all’indice e sopra al medio, si mette a ridacchiare nervosamente.
-Tranquilla, non è come credi. Mi spiace, devo essere risultato un po’ ambiguo, eh? Bhè, in realtà eravamo compagni di classe alle superiori. Ci siamo dati una mano a vicenda … -
“Una mano a vicenda”? Adesso è così che si dice? Spalanco lo sguardo e ancora una volta lui si agita ripetendo che ho frainteso tutto e aggiungendo che la mente delle liceali è diventata piena di doppi sensi.
Fatto sta che il punto non cambia. Rileggo il testo e appoggio ancora il foglio sulla scrivania tenendo la mano sopra questo.
Paolo rimane in attesa di sapere qualcosa ma al mio cenno negativo ha un sospiro.
-Rileggilo. Devi imparare a capire il testo, ok? Io ora vado da Leonardo a fargli entrare in testa i ritmi e le pause di “Sono già solo” dei Modà-
Detto questo, e gesticolando non poco, Paolo rinfodera le sue penne nel taschino, prende la giacca e se ne va lasciandomi indietro con il testo in mano. Lo lancio sulla scrivania facendolo cadere per terra e sbuffo dovendomi chinare a raccoglierlo.
Non ho voglia di cantare quella canzone.
Non mi piace.
Vorrei cantare “Amaranth” dei Nightwish, “Whispers in the dark” dei Skillet oppure “Stand my ground” dei Within Temptation.
Stringo i pugni così forte da farmi sbiancare le nocche ma dopo qualche minuto respiro ed espiro piano. Mi sto comportando da bambina viziata.
Respiro a fondo ed espiro prima di svuotarmi il cervello e riprendere a leggere il testo della canzone.
Ancora una volta non mi dice niente ma per aiutarmi accendo l’ipod sul quale Paolo mi ha messo la base e la canzone completa. Infilo le cuffie e ritorno a leggere.
Non è facile capire ciò che si legge se questo a te non piace e non interessa ma … è un po’ un controsenso a pensarci bene. Faccio una smorfia mentre penso che, non avendolo mai letto e compreso, in verità, non posso dire se mi piaccia o meno. Giusto?
Come dice sempre mia madre: “Prima di dire che non ti piace, assaggialo”.
La mia smorfia dalla faccia non va via e, comunque vadano le cose e in qualsiasi modo la metta giù non riesco a farmene una ragione: non ci trovo niente di che. Non mi piace.
Torna Paolo, gli do la brutta notizia e lui, invece di accettare il mio consiglio di cambiare canzone, si impunta maggiormente facendomi portare a casa l’ipod con tutto lo spartito e il testo.
Bene … molto bene. Se non è la scuola a darti i compiti a casa ci pensa la trasmissione televisiva The Academy.
 
Arrivata a casa ovviamente si cena in famiglia.
Vengo imbottita di domande e, allo stesso tempo, di purè di patate della mamma e dello spezzatino di papà.
Mio fratello lancia continue occhiate verso di me perché ho promesso che avrei cantato un pezzo per lui da postare su youtube dopo cena e vuole accertarsi che non mi tiri indietro proprio all’ultimo. Oltretutto si è messo in testa di scrivermi a tutti i costi una canzone … ma perché non ho semplicemente un fratello asociale che vuole starsene per i fatti suoi e fine della storia?
Bhè, se siamo una famiglia non c’è da lamentarsi. La nostra unione è molto forte e non ci pestiamo i piedi a vicenda ma anzi ci aiutiamo. Una mano lava l’altra, no?
Quando ho finito di mangiare e messo il mio piatto in lavandino, non ho neppure il tempo di dire che ho finito e che me ne vado in camera mia che mio fratello si alza di scatto con lo sguardo implorante.
-Ok, ok. Finito con te devo studiare per l’Academy e quindi ti concedo solo quarantacinque minuti. Chiaro?-
Mio padre Aldo subito alza le antenne all’argomento e mia madre Sandra si mette a sbucciarsi una mela dando segni di vivo interesse per la questione.
-A proposito dell’Academy … come sta andando?- domanda mio padre. Mio fratello Chad intanto si è fiondato in camera sua a sistemare il suo impianto stereo, audio e quel che è.
-Bene ma … - come dico queste parole mia madre si preoccupa.
-E’ successo qualcosa? Un litigio? Qualcuno ti ha proposto un contratto o ti hanno fatto un ricatto? Ah!- si tappa l’urlo piazzandosi la mano davanti alla bocca lasciando cadere il coltello sul tavolo affianco alla mela. Si alza e mi afferra per le spalle con lo sguardo addolorato. -Gli altri ragazzi ti stanno tagliando fuori e ti prendono in giro? Oh, tesoro!-
-Mamma, mamma calmati!- replico cercando di calmarla ma quando inizia a crearsi le scene in testa di ciò che potrebbe essere accaduto, è difficile fermarla. L’abbraccio e tento di ripetere che va tutto bene e che non è successo nulla di simile, anche se è vero che gli altri concorrenti dell’Accademy non mi parlano. Neppure io cerco di attaccare bottone però. Cerco comunque di tralasciare questo particolare e di riprendere a parlare per spiegarle il perché del mio tentennamento di prima e fortunatamente mi ascolta.
-Ecco … ho un problema con una canzone. La canto bene ma Paolo dice che mi manca qualcosa ancora da renderla perfetta. Devo leggerla e capirla ma non mi riesce-
-Ah, devi interpretarla, eh? Lo so, è difficile- commenta mio padre dal tavolo, ridacchiando, prendendo la mela sbucciata da mia madre e tagliandosene un pezzetto.
-Quando avevo la tua età ricordo che andavo pazzo per il Jazz, l’R&B e il country … devo ammettere che a quel tempo ero davvero esagerato- continua ridendo e portandosi un secondo pezzetto di mela in bocca.
Mia madre parte a ridere tornando a sedersi. E’ incredibile come si calmi due secondi dopo esser stata sull’orlo di una crisi.
-Già, ricordo come andavi in giro con gli stivali da cowboy, gli occhiali alla Ray Charles e le giacche nere con le spalline imbottite sopra le camicie. Presi singolarmente non avevano nulla di strano ma mischiati assieme erano davvero orribili- dice ridendo Sandra.
Io tentenno incrociando le braccia davanti a me. E’ una storia strasentita, nulla di nuovo, già, ma dove vogliono andare a parare tutti e due?
-Ma cosa c’entra con il mio problema?- chiedo lanciando qualche occhiata verso la stanza di mio fratello. Fare un po’ tardi alla mia performance-non-voluta mi sta più che bene dopotutto.
-Se mi è concesso, scelgo la spiegazione più approfondita- aggiungo con un sorriso ampio.
-Tesoro, quando avevo la tua età lo sai che giravo per le piazze e suonavo con la chitarra le canzoni che piacevano a me … -
-Country, R&B e Jazz… con l’aiuto di una fisarmonica di tanto in tanto- aggiunge mia madre fregandogli un pezzetto di mela da sotto il naso.
-Bhè, sì è così, però alle persone che si fermavano non piacevano e mi chiedevano altri titoli … -
-Phill Collins, Duran Duran … canzoni straniere insomma … - sbuffa mio padre facendo un’alzata di spalle.
- Europe… Queen … David Bowie … - aggiungo io con aria trasognata. Avrei tanta voglia di ascoltarmi “Innuendo”. Chissà i Queen e gli Europe come cambiano suonati con una chitarra, una fisarmonica e cantati da mio padre? Ingoio a vuoto e decido di tornare a concentrarmi sui presenti.
-Anche tu suonavi canzoni straniere- gli ricorda mia madre alzandosi e mettendosi a fare il caffè indicandogli i piatti in tavola e poi mio padre per fargli intendere che a caricare la lavastoviglie ci avrebbe dovuto pensare lui.
Aldo, alzandosi in piedi, prende le bucce con le mani mentre io ancora mi chiedo dove voglia andare a parare con questo discorso quando, buttati i resti della mela, si volta verso di me tendendomi un pezzetto di mela rimasta e riprende a parlare.
-Fatto sta che, quando mi chiedevano di cantare e suonare canzoni che non mi piacevano, mi arrabbiavo e sbraitavo. E’ andata avanti fino a quando i miei due coinquilini non hanno minacciato di levarmi la chitarra se avessi continuato a farlo- dice, ridendo di se stesso a quel tempo. -Ero solamente un ragazzo con il cervello incasinato. Ce ne sono moltissimi in giro ma mai e poi mai avrei immaginato che mia figlia potesse fare il mio stesso sbaglio- a questo punto però inizio ad irritarmi.
-Come sarebbe a dire? Se a me non piace uno stile non posso semplicemente evitare di cantarlo? E’ un mio diritto o no?- sbuffo iniziando a gesticolare con irritazione tenendo ancora in mano il pezzo di mela. Passi tutto ma che mi tolgano la libertà di cantare ciò che mi piace proprio no.
-Nessuno ti impone di cantarlo come nessuno ti impone di non cantare ciò che piace a te, solo … dedicagli del tempo. Potrai scoprire qualcosa di nuovo. Io ho incontrato tua madre così- aggiunge ridendo mentre Sandra, sogghignando a qualche ricordo, è intenta a versare il caffè in due tazzine per entrambi.
-Però … non lo trovo giusto- replico lasciando vagare lo sguardo attorno a me. Perché non riesco a spiegarmi con mio padre? Proprio con lui che mi ha trasmesso la voglia di suonare e cantare?
-Non è giusto infatti, ma è utile. Fino all’età di cinque anni non volevi mai ascoltare altro che Cristina D’Avena. Fin lì tutto bene, eri una bambina … quando poi hai iniziato a smaniare per Domenico Modugno ho iniziato a preoccuparmi- racconta ridendo mentre io arrossisco per l’imbarazzo al ricordo dei filmini che mia madre aveva fatto di me mentre tentavo di cantare “Meraviglioso” o “Piange il telefono” assieme a mio padre. A pensarci bene, se al tempo fosse già esistito Youtube, i miei ne avrebbero avuta tanta di roba da pubblicarci sopra.
-E’ diverso … Domenico Modugno fa parte della storia della musica. E’ un mattone importante per ogni cantante e … -
-E’ vero, anche io ho sempre provato ammirazione per Modugno come artista, nonostante il fatto che come genere musicale non fosse dei miei preferiti, e neanche dei tuoi- dice, interrompendomi, lanciandomi una lunga occhiata sorridente.
Lo fisso in volto per qualche secondo e poi abbasso lo sguardo sul mio pezzetto di mela. Una mezza luna chiara che sta iniziando a ingiallirsi per il troppo tempo passato senza la sua buccia protettiva.
Sì, devo ammettere che ho capito cosa vuole dire mio padre. Può esserci un Domenico Modugno (un grande artista) anche nel rap, nella classica e nel jazz che mi può ispirare e che mi può piacere, nonostante il genere non sia il mio forte.
E’ difficile però mandarla giù come cosa. E’ molto più semplice chiudersi a riccio sulla propria musica preferita e fine della storia.
Sbuffo esasperata.
-Ho capito- mormoro mangiandomi la fetta di mela mentre mio padre, tornato a sedere, annuisce prima di prendere a girare due cucchiaini di zucchero nel caffè dicendo a mia madre, come al solito, che avrebbe sparecchiato una volta finito di berlo.
Io intanto finisco di mangiare la mela e entro nella stanza di mio fratello con tutta l’attrezzatura già pronta per registrare. Neanche fosse lui a cantare. Neppure io ho tutta quella ferraglia in camera.
-Chad- lo chiamo mentre lo vedo intento a cercare qualche spartito nella cesta che tiene sotto alla scrivania. Si volta verso di me aspettando che parli. - A te piacciono i Negroamaro, vero?- gli domando lasciandolo interdetto.
-Ahm … sì, perché?-
-Fammi cantare una loro canzone, se ti va- neanche a dirlo, gli si è illuminato il viso e subito ha piazzato quattro spartiti da scegliere di fronte a me.
 
Sono passati quattro giorni e oggi è lunedì.
Il venerdì a scuola il tempo era trascorso in maniera placida e tiepidamente. Non ho parlato con nessuno. Né con Francesco e men che meno con Alessio, ma le tre fan accanite non sono riuscita a fermarle. Ho scoperto che si chiamano Martina, Flavia e Michela ma non so distinguere chi sia l’una e chi l’altra. Purtroppo non sono molto fisionomista e, se devo essere sincera, si assomigliano davvero tanto.
Fatto sta che oggi è lunedì e, dopo la pausa del sabato e della domenica in cui ho passato la maggior parte del tempo a fare ricerche su internet, ora credo di aver cambiato un pezzetto della me stessa che ero quattro giorni fa.
Certo, forse uno spicchietto su una torta gigante, ma è qualcosa, no? Devo ammettere che cambiare non è facile, specialmente su qualcosa di questo genere.
Provare non costa nulla e poi, bhè, essere un po’ arroganti ci vuole nella musica.
Siamo oramai alla terza ora quando Alessio, miracolosamente, sembra riprendere vita. Sta sempre con il capo appoggiato sulla mano sinistra, mezzo stravaccato sul banco quasi a darmi le spalle. So che fa qualcosa ma non riesco a vedere cosa visto la muraglia che crea tra me e il suo banco.
Si sta soffiando il naso. Ho sentito la carta sgusciare fuori dal pacchetto di fazzoletti che tiene sempre sul diario in alto a destra sul banco.
Sbuffo e, indispettita dal suo modo di fare, allungo la destra e gli tocco il collo scoperto con un dito, poco sotto i capelli neri.
Di certo mi aspettavo una reazione infastidita, del disappunto e forse anche un po’ di sorpresa. Un sobbalzo per il gesto inaspettato, ma di certo non il vederlo balzare in piedi tenendosi con la sinistra il collo e fissandomi con rabbia dall’alto del suo metro e ottanta (circa).
La prof di inglese rimane attonita come il resto della classe.
-Che succede?- domanda la signora Feltri poggiandosi con la destra sulla cattedra, spazientita. Conoscendo il soggetto crede forse che il ragazzo abbia combinato chissà cosa.
-Niente … mi ha punto un insetto- sbotta Alessio massaggiandosi con la mano il collo risiedendosi al suo posto con il banco sempre un po’ distaccato dal mio, al contrario di quello di Francesco che, dal canto suo, era intento a giocare con l’iPhone ascoltando la musica con l’iPod.
La prof fa spallucce e ritorna a spiegare l’utilizzo corretto del tempo verbale futuro con Will e Shall.
Io rimango ancora stupita di una reazione simile e lui, continuando ad evitare di guardarmi, rimane con la mano sul collo farfugliando poche parole.
-Hai le mani gelide-.
Dopodiché si volta e torna a fare ciò che stava facendo prima.
Di una cosa sono sicura: non sta prendendo appunti. Sta usando una matita, non un portamine.
Intanto io mi fisso stranita la mano destra mettendomela poi sulla guancia. Non sento freddo.
Decido così di fare un esperimento e scopro che Francesco, quando urla, ha una voce molto più normale di quando parla.
 
-Allora? Hai imparato qualcosa?- mi domanda Paolo entrando nella mia saletta delle prove quel pomeriggio.
Annuisco con lo sguardo socchiuso e sbuffo.
-Ho capito cosa vuol dire la canzone. Cosa vuole dire la cantante … Emma … però non riesco a sentirlo mio. Non è un’esperienza che ho passato io … lo capisci?- spiego poggiando la lyrics sulla scrivania mentre Paolo si siede di fronte a me.
-Bhè, per questo dovrai usare un po’ di empatia … sai cos’è?-
Lo fisso fulminandolo con lo sguardo.
-Certo che so cos’è-
-Allora prova a usarla- dice ridacchiando e facendomi l’occhiolino.
-Non è semplice-
-Non ho detto questo, però … inizia con il dirmi cosa hai capito di ciò che ha scritto Emma- mi domanda come mettendomi già alla prova.
-Non l’ha scritto lei. L’ha scritto Roberto Casalino … ho studiato- aggiungo facendo segno affermativo vedendolo colpito da quest’affermazione.
-Bene … sai dirmi altro?- chiede e lì, schiarendomi la voce, inizio a spiegare.
- “Si tratta di un’intensa ballata sulle note di un pianoforte che attraversa gli stati d’animo di chi sogna l’eternità dell’amore, ma al tempo stesso la teme anche. Al sent …” -
-Non ti ho chiesto di recitarmi per filo e per segno quello che dice Wikipedia ma quello che hai capito tu su questa canzone. Se vuoi parlarmi delle informazioni tecniche, mi sta bene sentire cosa hai imparato a memoria, ma se vuoi dirmi secondo te cosa trasmette e cosa volesse dire l’autore tramite queste parole, allora fallo a parole tue e usando i tuoi pensieri- replica lui interrompendomi. Non ho mai visto Paolo così prima d’ora. Così preso dalla discussione è persino uscito fuori dall’essere il bonaccione di sempre.
Arrossisco vergognandomi un po’ di ciò che ho detto.
-D’accordo- dico abbassando lo sguardo.
-Ehi, non sono un professore e non voglio esserlo. Se lo fossi ti chiederei di rifletterci sopra, di scrivere un tema a riguardo per domani pomeriggio e di portarmi dei muffin al cioccolato con uvetta per farti perdonare- aggiunge ridacchiando in fine incrociando le braccia sulla scrivania davanti a me.
Faccio una smorfia alzando un sopracciglio.
-Non ti conviene. La mia cucina non è poi così buona-
In seguito cala il silenzio e intuisco che ciò che sta aspettando è qualche mio pensiero. MIO e non di qualcun altro.
Poggio le mani sulle ginocchia e parlo.
-La prima strofa- inizio rialzando la destra avvicinando il foglio a me per rileggerlo. –Mi fa pensare ad una persona che si accorge di non essere … il centro del mondo. Scopre di essere qualcuno tra i tanti. E’ un testo nostalgico. Come quando si ripensa a qualche episodio di quando si era bambini e si vuole tornare a quel momento per assaporarlo ancora una volta.- sto per dire altro quando, rileggendo, comprendo qualcosa di più. -Forse, bhè, vuole dire che quando si sbaglia o quando ci si rende conto di non essere ciò che si credeva di essere … insomma, quando ci si prende un pugno o uno schiaffo dalla vita, si ripensa ai tempi in cui si era ancora piccoli. Quando, se si sbagliava, la famiglia ti tirava su il morale e ti consolava … è giusto?- domando incerta alzando lo sguardo a lui.
Paolo, sorridente con il mento sulla destra ed i gomiti sul tavolo, mi guarda con lo sguardo scuro e brillante dicendomi già tutto.
-Bene. Però voglio assaggiare almeno qualche biscotto fatto da te- dice infine alzandosi in piedi.




NdA:
Ringrazio preventivamente chi mi darà critiche costruttive o chi mi farà notare eventuali errori presenti in questo capitolo (anche chi mi scriverà qualche bel commento, certamente non disdegno nulla xD).
So che sono una frana con la grammatica e con i tempi verbali... Mi scuso anche per eventuali insulti a generi e personaggi musicali amati da tanti. Non è nulla di personale, solo l'opinione dei personaggi.
In questa storia non voglio mettere in cattiva luce gli emo, i fanatici della moda e delle discoteche o i fan di Laura Pausini e di Emma. La storia è raccontata dal punto di vista di Dreda la protagonista, non il mio come autrice.
Vi ringrazio oltretutto per aver letto questo capitolo. Spero di non metterci un'eternità per scrivere gli altri xD
   
 
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