La pioggia batteva sugli
ampi vetri dell’ufficio dell’ispettore. Solo, davanti alla sua scrivania ,
completava il rapporto relativo all’ultimo caso concluso e da archiviare,
giocando con la penna fra le dita. Di tanto in tanto sorseggiò il suo caffè di
Starbucks e si rigirò il bicchiere con fare annoiato.
A distrarlo dai propri
pensieri fu un battito insolito alla sua porta; sebbene non fosse il famoso
Sherlock Holmes, non gli era necessario un’attenzione particolare per
riconoscere il suono di un oggetto compatto, sicuramente non di una mano. Alzò
lo sguardo sul proprio visitatore, in piedi davanti a lui, l’aria autoritaria
accompagnata da una postura dignitosa e sicura anche se curva sul sostegno di
un ombrello ancora gocciolante.
«Buonasera ispettore, anche
se buona non è forse l’aggettivo migliore che le attribuirei. »
Lestrade si appoggiò
comodamente contro lo schienale della sedia e congiunse le mani in grembo.
«Mycroft. » Lo salutò semplicemente, indicando la sedia davanti a sé con un
cenno.
Il maggiore dei fratelli
Holmes non accolse del tutto la muta richiesta, preferì appoggiarsi comodamente
allo schienale. «Gregory. » Rispose con lo stesso tono secco, attendendo una
qualche reazione differente, piuttosto che un comune invito a sistemarsi come un
qualsiasi cittadino che varcava la porta di quell’ufficio per riporre le
proprie speranze e preoccupazioni sull’ispettore.
Lanciò un’occhiata ai
fogli su cui era impegnato qualche secondo prima, poi riportò l’attenzione
sull’altro. «È stato risolto un altro caso disperato, vedo. »
L’argomento intrapreso
fece arricciare il naso dell’interpellato che lo interruppe prima ancora che
potesse continuare con calma. «Non abbiamo avuto bisogno di Sherlock, è stato
un caso perfettamente fattibile. Mi spiace Mycroft, ma non ho informazioni su
tuo fratello da due settimane, ormai. »
«Quel che ho appena detto
ti ha irritato. Non ne vedo il motivo, dato che non avevo assolutamente
intenzione di far cenno di Sherlock. » Ribatté con la solita flemma che lo
accompagnava in ogni momento della sua vita. Come d’abitudine, giocò
distrattamente con l’ombrello, spargendo gocce in giro come se fosse a casa
propria.
«Strano, dal momento che
sono il tuo miglior informatore. »
«Certo che lo sei, visto
che il dottor Watson si rifiuta cocciutamente di aiutarmi. Ma non è per questo
che sono qui questa sera. »
L’ispettore rimase
impasse, girandosi le dita e osservando i lineamenti del suo visitatore,
immutabili nonostante chissà quale pensiero che gli poteva attraversare la
mente. «Ho sentito un soprannome, una volta. Non ricordo quale sia la fonte, ma
a quanto pare a tirarlo fuori è qualcuno che potrebbe conoscerti, più o meno
bene. » Rifletté a voce alta. «L’uomo di ghiaccio. A volte capisco il motivo di
una simile attribuzione, altre volte no. Mi domando non di rado quale sia il
vero Mycroft Holmes: quest’uomo di ghiaccio che non si lega a nessuno se non al
proprio fratello, eccentrico come ce ne son pochi, o un uomo qualunque che ha
solo paura di dimostrare cosa è capace di provare. »
Per un fugace momento la
maschera di freddo distacco crollò lasciando scoperto lo spazio per un mezzo
sorriso che gli curvò gli angoli della bocca. «Come ho già detto, non sono
venuto fin qui per Sherlock, ma in questo caso mi trovo a doverlo chiamare in causa
riguardo a una cosa che mi disse tempo fa; di tutti i poliziotti tu sei quello
meno noioso. Spero che mi permetterai di aggiungere che ci sia molto di più in
Gregory Lestrade di un individuo che si distingue dalla massa per il semplice
“non essere noioso”, ma qualcosa che non riesco ancora ad afferrare. Non sono
sicuro, però, parlando sotto una certa prospettiva, posso azzardare a
comprendere quello che mio fratello trova nel dottor Watson. Capisci cosa
intendo, Gregory? »
Lestrade faticò a seguire
a pieno quel pensiero indubbiamente contorto, ma non si vergognò ad azzardare
un tentativo. «Voi Holmes ritenete di avere una mente superiore a tutti gli
altri e forse è così, ma in qualche modo trovate che alcune persone comuni
possano essere considerate vostri pari senza bisogno di tener conto del QI. »
Questa volta il sorriso di
Mycroft si manifestò indubbiamente e sincero. Lestrade se ne meravigliò tanto
da rischiare di rimanere a bocca aperta come un ebete: mai si sarebbe
immaginato di poter essere capace di tanto, era una consapevolezza che dava una
certa soddisfazione e stupore. Paragonare il loro rapporto a ciò che poteva
aver fatto iniziare quell’esotica amicizia e convivenza fra Sherlock e John di
cui nessuno aveva ancora capito se effettivamente si trattasse solo di questo o
d’altro, suonava un po’ strano.
Doveva pur significare qualcosa, seppure il ragionamento utilizzato non fosse
dei più semplici; ci voleva tanta fantasia per azzardare un’ipotesi simile
senza rischiare di fraintendere o dar l’impressione di ciò.
«Sei così normale,
ispettore. Sono venuto qui perché lo volevo, eppure sei confuso come se non ti
avessi dato abbastanza materiale su cui pensare e afferrare il concetto al
volo. » Fece qualche passo verso la porta e tornò a guardarlo, deciso a
salutarlo in modo più opportuno e comune. «Hai il mio numero, Gregory.
Prenditi il tuo tempo per riflettere sulle mie parole, cercherò di capirti se
tu cercherai di capire me. »
L’ispettore non ebbe la
capacità di trovare una risposta in un così breve lasso di tempo, quel
singolare saluto fu subito dal chiudersi della porta, lasciandolo solo come
pochi minuti prima. L’uomo di ghiaccio, pensò fra sé e sé, finendo il
caffè con un cipiglio soddisfatto.
Fine.