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Autore: Jenni Skeletron    06/03/2012    2 recensioni
Una ragazza che senza rendersene conto si è intrappolata in ciò che una volta era un sogno, fino al quel fatidico incontro. Un ragazzo biondo dallo sguardo triste, uno sconosciuto in grado di farla sentire nuovamente viva ed amata. Il tutto comincia con la notte di San Lorenzo...
Genere: Introspettivo, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het | Personaggi: Altro Personaggio, Cloud Strife, Kadaj, Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nessun gioco
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3 Settembre

Tre giorni passati senza avere loro notizie, tre giorni passati senza il suo sorriso.
Inutili i miei tentativi di contattarlo, di sentire la sua voce per assicurarmi del fatto che stesse bene.

Tre giorni prima…

Mi risveglio nel letto di Cloud, ma lui non si trova al mio fianco. Si trova davanti alla finestra con sul viso un’ espressione cupa.
Mi avvicino abbracciandolo alle spalle e ponendo il viso fra le scapole.
-Cloud c’è qualcosa che non va?
- Dovrò andarmene per qualche giorno.
Mi distacco facendo qualche passo indietro. Non riesco a seguire il discorso, cosa intende per andarsene?
- Cosa stai cercando di dirmi? Non riesco a seguirti.
La mia voce è un sussurro, ma sono certa che mi abbia sentita.
- Io e Kadaj siamo stati chiamati per un lavoro importante. Partiamo questa sera.
Abbasso il viso per evitare il contatto col suo e nascondere le lacrime che sono oramai sfuggite al mio controllo.
Le sue mani mi raggiungono lentamente stringendomi al suo petto. Davanti a quel gesto perdo definitivamente coscienza dei miei gesti lasciandomi travolgere dalle contrastanti emozioni che provo in quel momento. Ho un brutto presentimento ed un orribile senso di deja vu.
Lascio che le nostre labbra si incontrino e che le sue dita mi accarezzino dolcemente il viso.
Rimaniamo in silenzio ancora qualche istante, fino a che  qualcuno non bussa alla porta della camera.

xoxoxoxoxox

Era stata l’ ultima volta che ci eravamo abbracciati, che eravamo rimasti soli, poi più niente. Dopo la comparsa di quell’ uomo vestito in giacca e cravatta Cloud mi aveva riportata a casa e dopo avermi consegnato una lettera era sparito insieme a Kadaj.
Nella busta che mi aveva consegnato c’ erano un mazzo di chiavi ed un biglietto di scuse. Nessun’ indicazione su dove andasse o quando tornasse, nessuna promessa degna di questo nome.
Una frase in particolare mi aveva fatto infuriare:

“Non fare domande, ti prego di non indagare in alcun modo; ti spiegherò tutto al mio ritorno.
Ti amo,
Cloud”

Avevo accartocciato il foglio in preda ad uno scatto d’ ira e lo avevo gettato via. Perché non voleva che sapessi dove andasse? Chi era quell’ uomo in giacca e cravatta dai lunghi capelli neri raccolti in una coda con il quale era andato via? Avevo passato intere ore alla ricerca di una qualche risposta, ma era stato tutto inutile.

Ero ancora persa nelle varie domande che si scontravano con le uniche risposte che riuscivo a trovare, partiti che il mio cuore non voleva nemmeno considerare, quando cominciò a suonare il cellulare abbandonato sulla scrivania.
Avevo rischiato l’osso del collo per rispondere nella speranza che fosse lui, ma alla fine non era altro che Martina.

Avevo ceduto alle sue richieste ed ora eccomi qui, con il mazzo di chiavi in mano davanti a quella porta.
Perché mi ero lasciata convincere? Non volevo tornare lì, non senza di lui. Avevo paura dell’ ennesima crisi, paura che l’ombra dei ricordi persi nell’ incidente tornasse a rovinarmi la vita. Non riuscivo nemmeno ad infilare la chiave nella toppa della serratura senza tremare, cosa che rendeva impossibile anche solo immaginare cosa sarebbe successo se avessi rivisto l’interno.

Prima che possa far scattare la serratura avverto gli pneumatici di un’ auto fermarsi davanti l’ abitazione.
Mi volto alla ricerca del veicolo ed alla sua vista rimango paralizzata dalla consapevolezza che si fa spazio nella mia mente.
Sono tornati.

Senza pensarci nemmeno un secondo gli corro incontro buttandomi al suo collo. I dubbi che durante quei giorni mi avevano insistentemente accompagnato scompaiono a quel dolce contatto.
- Sono tornato.
Quelle due semplici parole mi fanno scoppiare in lacrime, tanto da farmi accorgere solo successivamente dell’ oscura presenza che ci osservava.
Anche l’ ultima volta avevo notato lo sguardo di quell’ uomo; uno sguardo indagatore, forse anche incredulo e qualcosa dentro di me mi diceva di stargli alla larga. Suggerimento che avrei seguito ben volentieri.

Un rantolo soffocato fa vibrare il petto Cloud, deve essergli successo qualcosa. Mi distacco leggermente per poter contemplare la sua espressione. Non posso non notare il labbro inferiore ed i segni che questo porta di uno scontro. Ripensando  alla lettera mi avvicino piano al suo orecchio.
- Mi devi molte spiegazioni a partire da questo.
Proferisco quelle semplici parole passando lentamente le dita sulla piccola ferita.

Un sorriso solca dolcemente il suo volto per poi rincupirsi al suono della voce dell’ uomo che fino a quel momento era rimasto ad osservarci rimanendo appoggiato alla portiera dell’ auto.
- Mi dispiace interrompervi, ma rimangono ancora alcune faccende di cui sarebbe necessario…
- Chiudi il becco Tseng.
La voce di Kadaj pare un ringhio a malapena trattenuto.
- Kadaj calmati e tu, adesso non è il momento. Come vedi abbiamo altro da fare quindi, se non ti dispiace, sparisci.
Anche Cloud sembra non gradire molto la sua presenza. Durante le ultime parole con cui lo aveva congedato si era frapposto fra me e lo sguardo indagatore che non aveva smesso un attimo di seguirmi. Sebbene non ne capissi il motivo trovavo la cosa più che giusta.
- In tal caso tolgo il disturbo. Avrete presto nostre notizie.
Un’ ultima occhiata indagatrice ed eccolo salire sul veicolo accompagnato da un verso di puro disprezzo del ragazzo davanti a me.

Siamo nella sua stanza mentre cerco le parole migliori per cominciare il discorso che più volte avevo immaginato durante quei giorni, ma che in quel momento pare essere scomparso dalla mia mente. Volevo parlargli da sola, trovare le risposte a quella lettera, ma in quel momento era difficile anche solo ripensare a tutto ciò.
-Cominciavo a dubitare di trovarti ancora qui al mio ritorno.
Quelle parole erano l’occasione che avevo aspettato fino a quel momento per cominciare il discorso. Tanto valeva lasciarci andare.
- Perché non mi hai detto dove andavi?
-Non volevo ti preoccupassi.
Non voleva che mi preoccupassi, mi ricorda tanto qualcosa. Sempre la solita discussione, ma questa volta le parti erano invertite.
- Pensi che non aver avuto tue notizie sia stato di aiuto? Hai idea di come mi sia sentita leggendo la tua lettera?!
Il tono della mia voce si alza di un’ ottava. Sono furiosa e sento di essere vicina ad una crisi di nervi.
-Era necessario. Se non lo avessi fatto avresti trovato un modo per raggiungermi, sarebbe stato troppo pericoloso.
- Cosa sarebbe stato troppo pericoloso?!
- Virginia io…
Non riesco più a tener a bada la rabbia ed in preda ad uno scatto d’ ira gli tiro uno schiaffo colpendolo dalla stessa parte lesa precedentemente da chissà quale scontro.

- Ti prego. Basta.
Le lacrime continuano a scendere copiose. Il suo viso si è rannuvolato; su di esso un’ espressione turbata, ma allo stesso tempo decisa.
Senza proferire parola mi prende i polsi costringendomi con le spalle rivolte verso la porta che chiude a chiave infilando quest’ultima nella tasca dei propri pantaloni. Sono spaventata, mai prima di allora lo avevo visto comportarsi così, eppure non temo per ciò che potrebbe fare a me, bensì per quello che farebbe a se stesso.

Inutilmente cerco di divincolarmi per scampare da quella scomoda posizione riuscendo solo a limitare maggiormente la mia mobilità. I nostri visi si trovano a pochi centimetri l’ uno dall’ altro quando si uniscono.
Un bacio diverso da quelli a cui ero abituata al quale non rispondo subito. Non è dolce come i precedenti, troppo simile a quelli di Alan. Mi costringe a dischiudere le labbra con un leggero morso permettendogli di approfondire il bacio.
Mi lascio trasportare dalla sua furia iniziale fino a che questa non si trasforma in una controllata dolcezza.

Non appena ci discostiamo sento le guance avvampare e lascio che le mie braccia, finalmente libere, cadano lungo il busto . Non riesco nemmeno  più a pensare, scossa solo dallo scatto della serratura.
-Non ti fermerò. Se desideri andartene smetterò di cercarti. Questa volta sono andato troppo oltre.
Cosa stai aspettando? Non merito di averti ancora al mio fianco.
Si è allontanato dirigendosi verso il mobile che teneva a fianco del letto dal quale estrae alcune garze. Mi sento confusa dalle sue parole e quello che è appena successo; le sensazioni e le varie immagini si affollano nella mia mente per poi dissolversi improvvisamente.

Cloud si è appena tolto la maglia, ma a sconvolgermi sono le varie fasciature che ha sul busto e le braccia. Mi sento svenire quando noto che in corrispondenza dell’ addome una di queste era intrisa di sangue, delsuo sangue.
Se precedentemente avevo anche solo accarezzato l’ idea di andarmene adesso mi sento una stupida per averci anche solo pensato.
- Cos’ è successo? E non raccontarmi frottole.
Si volta verso di me prendendo delicatamente la mano che avevo posato sulla sua schiena.
- Ho paura che dovrai aspettar ancora qualche minuto. Mi dispiace per prima. Il fatto è che…
- Niente scuse, pensiamo piuttosto alla tua ferita, ho paura che abbia cominciato a sanguinare.
Lo aiuto a ripulire il taglio e rinnovare la fasciatura nonostante le smorfie e le battute con le quali accompagna i miei gesti.

Conclusa la medicazione comincia a raccontarmi tutto. Vengo travolta da quel fiume di informazioni che faccio ancora fatica ad assimilare.
- Scusa, ma faccio un po’ di fatica a seguirti.
- Mi rendo conto. In effetti è tardi e devi cominciare a sentirti stanca. Provo a ripeteterlo nuovamente.
Virginia, sia io che Kadaj siamo collaboratori della Shin-Ra; la società di cui ti ho appena parlato.
- Comincio a capire, ma cosa c’entra tutto questo con le tue ferite?
- Vedi, questa volta abbiamo avuto dei “piccoli” incidenti.
- Carino il modo con cui chiami Loz e Yazoo.
In quel momento l’ esile figura di Kadaj emerge dall’oscurità del corridoio accompagnando la sua stessa voce.
- Chi sono? – continuo a sentirmi confusa e la stanchezza comincia a farsi sentire.
- Si tratta dei miei fratelli. Ce l’ hanno con me quando ho preferito unirmi a Cloud piuttosto che appoggiare la loro folle causa. Sono stati loro a ridurlo in questo stato.
Finalmente comincio a capire, ma tutto continua ad apparirmi così assurdo.
- Com’ è possibile?
Mille domande cominciano a riaffiorare nella mia mente. Come potevo spiegarmi le sue ferite, il suo silenzio?
La testa mi pulsava per le informazioni che avevo appena ricevuto e per i punti interrogativi ai quali non trovavo risposta.
- Ci sono ancora molte cose da spiegare, ma non adesso. Sei distrutta.
Continueremo domani, te lo prometto.

Le palpebre si fanno pesanti e, allo stremo delle forze, mi lascio adagiare sul letto senza fare storie.
Nel frattempo Kadaj era uscito chiudendosi la porta alle spalle.

Mi stringo nelle lenzuola mentre il corpo di Cloud prende posto accanto al mio.
Il bacio che mi aveva dato quel pomeriggio era stato qualcosa di incredibile, nonostante il timore iniziale era stato a dir poco piacevole. La rabbia che avevo provato era svanita ed ora che mi stringeva nuovamente a se mi sentivo al settimo cielo.
Mi lasciai cullare da quel momento di pura serenità prima di crollare addormentata fra le sue braccia.


Angolino schlero:

eccovi il quattordicesimo capitolo ^-^ spero di non avervi deluso. Scriverlo è stato a tratti quasi esilarante, soprattutto quando Cloud ha ricevuto lo schiaffo xD.
Ringrazio tutti coloro che continuano a seguirmi, non vedo l' ora di leggere i vostri commenti :3
Baci, baci
Jenni
   
 
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