Serie TV > Merlin
Segui la storia  |       
Autore: Quainquie    07/03/2012    6 recensioni
Quando la vita della sovrana di Camelot viene minacciata, Arthur e Merlin devono affrontare una sfida che potrebbe spingerli a riconsiderare la natura stessa della loro missione e del loro rapporto. Curiosamente, l'aiuto più significativo per impedire ai due di smarrire la via giunge dalla persona più inaspettata: Sir Percival.
***
«L’Isola ha già udito le tue preghiere, Morgana. Se il fato lo vorrà, ci rincontreremo per divenire sorelle di spirito» Inaspettatamente il piglio della bionda Sacerdotessa s’era ingentilito. Con un movimento aggraziato, aveva posato le mani sulla chioma insudiciata di Morgana e le aveva ingiunto, dolcemente: «Abbi fede, Morgana».
Genere: Avventura, Drammatico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Slash | Personaggi: Altro Personaggio, Merlino | Coppie: Merlino/Artù
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Nel futuro
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Care/i compagne/i del fandom merliniano,

Rieccomi qui! Colgo anzitutto l'occasione per ringraziare tutte/i coloro che hanno dedicato un poco del loro tempo alla lettura di questa mia storia e che, soprattutto, hanno speso per me commenti, complimenti, critiche costruttive e incoraggiamenti. Non potrei essere più felice e soddisfatta di così. In cambio cercherò di soddisfare le aspettative dei miei lettori e recensori, e di fare senza dubbio tesoro dei consigli ricevuti!

Non voglio anticipare nulla del capitolo. Mi permetto soltanto di consigliare, stavolta fortemente, la lettura della mia one-shot incentrata sul personaggio di Percival, Your enemies are my enemies: da questo capitolo in avanti si dispiega l'azione e, all'interno di questa, la vita di Percival gioca un ruolo determinante. La one-shot fornisce una cornice più definita per inquadrare le azioni e i pensieri del buon Perce, che altrimenti potrebbero apparire un (bel) po' OOC. Chi l'ha magari già letta riuscirà sicuramente a spiegarsi molti aspetti di questo capitolo. Per quanto riguarda personaggi, ambientazioni e story-line principale: tutto quanto è di proprietà della BCC e degli autori di "Merlin".

Buona lettura!

Quainquie

 

 

Cap. II – This is a gift, it comes with a price

 

Florence + the Machine, Rabbit Heart (Raise It Up)

 

 

Il Rising Sun era una costruzione un po' sghemba, incerta. Abbarbicata alle spesse mura di pietra che separavano la città bassa dalla cittadella, la taverna dalla facciata di malta e mattoni corrosa dalle intemperie e dalle travi marcescenti si confondeva tra le case e le botteghe che la circondavano, quasi volesse nascondersi al viandante e acuire le pene del suo cammino. L'insegna di legno dipinto e ferro battuto cigolava sommessamente nell'aria notturna, segnalando in modo sinistro la presenza dell'edificio in quella nicchia tra le mura.

Nonostante la cittadella si fosse richiusa su di sé, in un silenzio impenetrabile tutto teso a riecheggiare lo strazio e il mutismo doloroso del suo Re, la vita nella città bassa proseguiva con ritmo immutato: i rigattieri, gli ortolani, i sarti, i fabbri, i tintori e tutti gli altri artigiani si levavano ogni giorno prima dell'alba per dare avvio alle proprie faccende, mentre le donne aprivano le imposte, pulivano l'uscio con una spazzola di crine e stendevano la biancheria in attesa che il sole la candeggiasse. Alla sera, poi, gli abitanti di Camelot trascinavano le loro membra stanche ai loro usci, nella speranza di un sonno breve ma ristoratore.

Molti però non disdegnavano una visita al Rising Sun. Nonostante il clima di austerità pervadesse tutto il regno, la taverna continuava a riscuotere l’abituale successo, forse perché rappresentava l'unica scappatoia alla cappa di mestizia che era calata su Camelot.

I cavalieri del Re non facevano eccezione a questa tendenza. Quando Percival riuscì a fendere la ressa nello spiazzo antistante la taverna – non che gli fosse difficile, considerata la sua mole prodigiosa – e a superare l'uscio si ritrovò a fissare Gwaine che, completamente ubriaco ma ancora ragionevolmente stabile sulle gambe, stava dando sfoggio della sua non proprio piacevole estensione vocale in piedi su un tavolo, accompagnato da versacci, applausi e occasionali scrosci di birra e sidro di mele da parte degli avventori.
 

Quando siamo alla taberna

Non ci curiamo più del mondo...

Ma al giuoco ci affrettiamo,

Al quale ognora ci accaniamo!
 

Leon comparve dalla calca e si avvicinò a Percival, che ancora fissava Gwaine con una certa apprensione mista ad un colpevole divertimento.

«Per fortuna sei arrivato» disse Leon in tono sollevato all'amico, dandogli una pacca sulla spalla. «Non credo che sarei riuscito a sopportarlo oltre» aggiunse, indicando Gwaine, che ora accennava qualche incerto passo di danza tutt'altro che aggraziato. «Ma non voglio farlo scendere dal tavolo. Intendo...» Come sua abitudine, Leon lasciò sospesa la frase, sperando che il suo interlocutore capisse da sé. La sua sensibilità tutta cavalleresca gli impediva anche solo di esprimersi su questioni troppo spinose, sebbene queste fossero ormai sulle labbra di ogni cittadino del regno.

Percival annuì con empatia. Come Leon, sapeva che l'ubriachezza era il modo con cui Gwaine esprimeva non tanto la sua gioia di vivere, come comunemente veniva ritenuto, quanto il suo senso di impotenza di fronte a situazioni insormontabili. Era un modo per distaccarsi da un presente difficile, per dimenticare circostanze che non potevano venire risolte o mutate. Tutto nella canzoncina apparentemente frivola di Gwaine comunicava a Percival il disagio e la tristezza profondi dell'amico: Quando siamo alla taberna, non ci curiamo più del mondo, cantava il moro cavaliere, e la sua voce gracchiante da ubriaco tradiva una speranza sobria, quella di riuscire a scrollarsi di dosso il peso dell'afflizione che avvolgeva Camelot e chi vi viveva.

Stancamente, Percival diede le spalle a Gwaine e con Leon si accostò al bancone tarlato. Con un cenno del capo il cavaliere ricciuto ordinò il loro solito – due boccali colmi di birra scura schiumosa – che Aldith, la moglie del proprietario del Rising Sun, pose loro dinanzi poco dopo.

Dopo che ebbero sorbito qualche sorso ristoratore Leon chiese sottovoce, l'apprensione palpabile: «Come sta Merlin?»

«Non bene, direi» replicò Percival in tono altrettanto cupo.

«Gwen è una sua carissima amica, è normale che prenda questa disgrazia tanto a cuore» rifletté Leon con fare meditativo. Il suo viso si rabbuiò ulteriormente quando aggiunse: «Ognuno di noi l'ha presa tanto a cuore».

Nonostante la gravità del discorso, Percival sorrise dentro di sé alle parole ingenue dell'amico. Un sorriso amaro, certo, che tuttavia esprimeva perfettamente l'incredulità di Percival nell'udire quelle esternazioni. In un certo senso, era sorprendente constatare come Leon, che aveva trascorso tutta la sua vita a Camelot e che conosceva Merlin da molti più anni di lui, non avesse ancora realizzato che la prostrazione del giovane valletto era causata soltanto in minima parte dalla situazione, seppur tragica, di Guinevere. Doveva esserci un qualche schema mentale a lui ignoto, rifletté, che impediva naturalmente a Leon di vedere che erano Arthur e il suo atteggiamento la fonte di tutto il dolore e la disperata lealtà di Merlin. Ciononostante non espresse i suoi pensieri e disse soltanto, con fare accondiscendente e laconico come sua abitudine: «Già».

I due tacquero per qualche istante, sebbene ciò passò perfettamente inascoltato nel trambusto che li circondava.
 

Qui nessuno teme la morte,

Ma per Bacco gettan la sorte:

Prima si beve a chi paga il vino,

Indi beve il libertino!
 

«Credi che Gaius troverà il modo di curarla?» fece Leon, la voce ora impercettibile. Aveva cambiato colore, impallidendo vistosamente.

«È questo quel che si può sperare» replicò Percival con fare ragionevole. «Ma penso che, se esiste, non sarà un metodo comune».

Leon spalancò gli occhi: «Che intendi?»

«Avanti, Leon» Percival abbassò la voce di qualche tono ancora, come se stesse parlando di una cospirazione ai danni del Re, «È Morgana ad averle fatto questo. E Morgana è una strega. Ciò che è inflitto con la magia va curato con la magia, o con qualcosa che le è collegato» Quando Leon sgranò ancor di più gli occhi già innaturalmente spalancati, Percival aggiunse sbuffando: «Lo so che è tradimento anche solo parlarne. Ma anche Arthur dovrà vedere come stanno le cose prima o poi».

L'amaro sorrisetto interiore di Percival riapparve, stavolta evocato dalla stupidità che il suo Sire sapeva elargire nelle stesse pantagrueliche quantità con cui dispensava il suo coraggio e il suo buon cuore. La fedeltà di Percival nei confronti di Arthur non era questionabile: ma allora quella di Merlin? Non poteva fare a meno di pensare che se soltanto Arthur fosse stato un poco più ragionevole nei confronti della magia, non si sarebbe mai arrivati a quella situazione: Gwen maledetta e l'unica persona in grado di salvarla ridotta allo stremo e alla clandestinità.

Leon parve rinsavire a quel commento aspro: «Ti capisco, Perce. Ma ricordati che è la magia che ha ridotto sua moglie in questo stato. E entrambi i suoi genitori sono morti a causa della magia. E Morgana, che lo ha tradito dopo aver scoperto la sua magia... No, non lo permetterà mai».

«Allora Gwen è destinata a rimanere così per sempre».

«Questo è tradimento, Perce!» esclamò Leon, sinceramente stupito dalla forza con cui Percival aveva formulato quella constatazione.

L'altro cavaliere lo ignorò e proseguì: «In ogni caso, non sappiamo quale possa essere un rimedio magico in grado di annullare una maledizione così potente e letale. Dobbiamo aspettare Gaius» Fece un sospirò e posò il boccale vuoto. «Speriamo che lui e Merlin trovino qualcosa. Magari, se a proporlo fosse una persona fidata come loro, Arthur permetterebbe l'uso della magia».

Leon ebbe un sussulto, come se si fosse ricordato qualcosa di importante. O almeno, così Percival sperava.

«Io non me ne intendo» continuò Percival, fingendo di non aver notato il turbamento fin troppo evidente nelle smorfie di Leon, «ma mi piace sperare che esista una formula, un oggetto, un animale, insomma un modo qualunque per guarire la Regina» Si maledì per aver calcato così tanto la mano, sfociando addirittura nel melenso, cosa che gli era capitato di fare soltanto sotto l'incantesimo della Lamia e che chiunque lo conoscesse bene avrebbe identificato come segno inequivocabile di menzogna da parte sua.

Tuttavia Leon pareva troppo concentrato sul contenuto delle parole che il suo amico aveva appena proferito per badare al tono con cui erano state espresse. Si alzò di scatto dallo sgabello, rischiando di rovesciare il fondo del boccale sulla cotta di maglia: «Devo andare dal Re» annunciò in tono spaesato e fermo insieme.

«A quest'ora?» lo questionò Percival con ostentata incredulità – di nuovo, nessuna compagnia itinerante l'avrebbe mai assunto per le sue doti di attore.

«È importante» tagliò corto Leon, gettando qualche moneta d'argento sul bancone. In men che non si dica, il cavaliere riccioluto aveva attraversato la stanza fumosa con grandi falcate, diretto alla porta, e dietro questa era sparito con un fruscio del mantello scarlatto.

Percival rimase solo al bancone, mentre Gwaine era ormai stato strappato a forza giù dal tavolo dall'oste Evoric e stava ora seduto su una delle panche, mormorando sottovoce ancora qualche strofa della canzoncina, mentre Aldith, con fare materno, cercava di sottrargli la bottiglia di sidro.

Percival frugò la stanza con lo sguardo e non si sorprese di non vedere Elyan. La situazione disperata in cui versava sua sorella lo aveva distrutto e soltanto raramente lasciava i suoi alloggi, solitamente su richiesta di Arthur.

Con un sospiro, Percival allontanò il boccale e si diresse verso Gwaine che, con la vista annebbiata, esclamò in tono festoso: «Perce! Che bella sorpresa! E Merlin? Dov'è Leon?» Tacque, forse in preda ad un attacco di smarrimento provocato dalla bevuta. «Ti va una pinta?» aggiunse, cambiano improvvisamente discorso, fissando con occhi supplicanti, da cucciolo, la povera Aldith, che era riuscita ad impossessarsi della bottiglia.

«Non se ne parla» borbottò Aldith imperiosamente; poi si rivolse con gentilezza a Percival: «Potete occuparvene voi, Sir?»

Il gigante annuì e, sordo alle proteste di Gwaine, lo sollevò senza tanti complimenti, ignorando i fischi di scherno degli altri avventori che erano, se possibile, ancora più ubriachi di Gwaine. Lo trasportò con qualche difficoltà – dovuta più che altro ai movimenti selvaggi dell'amico che al suo peso – fuori dalla locanda. L'aria fresca che li accolse parve avere un effetto calmante su Gwaine, che s'acquietò e si decise finalmente a promette che se lo avesse messo giù non sarebbe tornato di corsa all'interno del Rising Sun.

Percival ripercorse all'inverso le viuzze che portavano al castello, con Gwaine qualche falcata dietro di lui lo seguiva oscillando da un lato all'altro della strada. Entrambi erano concentrati sui propri pensieri: confusi e in qualche modo gaudenti quelli dell'uno, cupi e fin troppo nitidi quelli dell'altro.

 

*   *   *
 

Il giorno seguente, Percival si svegliò poco prima dell'alba, pervaso da un senso di febbrile attesa del tutto insolito in lui. Aveva trascorso ore immerso in un sonno liquido e inquieto, sperando che venisse interrotto da un momento all'altro. Si vestì con cura, si rasò la barba con maniacale attenzione; poi si sedette sul letto, cercando di riacquistare il suo abituale autocontrollo.

Finalmente apparve Leon. Aveva occhiaie profonde di chi non aveva posato il capo sul suo giaciglio, la pelle smunta e i capelli arruffati. Nonostante fosse evidentemente stremato, la sua espressione tradì tutto il suo stupore nel vedere Percival già sveglio e abbigliato di tutto punto.

«Il Re ci ha convocati nella Sala del Concilio» annunciò in tono solenne ma stanco.

Come se la notizia non gli importasse granché, Percival non rispose e si limitò ad annuire, come avrebbe fatto insomma in qualunque altra occasione analoga.

Quando lui e Leon arrivarono alla Sala del Concilio, Gaius, Merlin, Elyan e Gwaine erano già presenti. Nel caso di Gwaine, la presenza era puramente un fatto fisico: a confronto delle sue, le occhiaie di Leon sembravano soltanto leggermente accennate. Percival fece un cenno a tutti, poi un altro, meno marcato, rivolto a Merlin. Il giovane mago ricambiò e, dallo sguardo di approvazione di Gaius, Percival fu certo che fosse a conoscenza della conversazione avvenuta la sera precedente.

Prima che qualcuno potesse anche solo tentare di avviare una discussione sulla loro presenza lì, a quell'ora così insolita, e tradire il timore che fosse accaduto il peggio, comparve Arthur; o perlomeno, loro sapevano che quella figura pallida ed emaciata che aveva appena varcato il portone di quercia era davvero Arthur.

Il suo volto dai lineamenti tanto attraenti era ora una maschera di dolore: la barba non fatta ne accentuava la cupezza, mentre gli occhi fino a qualche giorno prima luminosi erano divenuti cisposi e stralunati, ricoperti dalla patina liquida e rossastra del pianto ininterrotto. Tuttavia, quando parlò, la sua voce era ancora quella chiara e risoluta dell'Arthur valoroso, dell'Arthur re, che nulla rivelava del suo tormento: «Cavalieri. Gaius. Merlin».

Percival vide lo sguardo già lucido di Merlin osservare con ostentata determinazione la punta dei suoi calzari, ignaro del fatto che Arthur lo stava fissando con crescente intensità: il sovrano distolse tuttavia lo sguardo quando si arrese all'evidenza che il valletto non avrebbe sollevato il proprio.

«Vi ho convocati oggi in ricordo del giuramento di lealtà che avete prestato alla Tavola Rotonda. Ora più che mai necessito della vostra lealtà e del vostro consiglio» esordì Arthur, stringendo lo schienale di una delle sedie poste attorno al tavolo circolare, rimando implicito alla Tavola. «Conoscete tutti la... situazione in cui si trova la vostra Regina» La voce si era quasi incrinata alla menzione di Gwen, ma fu con straordinaria rapidità che il sovrano proseguì: «Sir Leon mi ha raggiunto la notte scorsa, portandomi notizia di un espediente secondo lui in grado di curarla».

La sala fu percorsa da un impercettibile brusio di sorpresa. Gli occhi scuri di Elyan si erano riempiti di speranza al suono di quelle parole, una speranza tuttavia frenata dal tono serio e glaciale di Arthur.

Il Re fece cenno a Leon di farsi avanti e di prendere parola, mentre si lasciava cadere pesantemente sulla sedia foderata di velluto, come se il pronunciare quel pur breve discorso avesse prosciugato le sue forze.

«Anni fa facevo parte di una delle pattuglie di sorveglianza dei confini. Una volta capitò che, oltrepassando il confini del regno di Re Cenred, fummo attaccati dai suoi mercenari. Fu...» La voce di Leon si interruppe per il terrore del ricordo. «... una carneficina. Nessuno sopravvisse, tranne... tranne me. Fui salvato per miracolo dai...» Arthur gli fece un brusco cenno di continuare. «... da un gruppo di Druidi. Mi dissero che le mie ferite erano di mortale gravità, ma che mi avevano potuto salvare grazie alla Coppa della Vita».

A quel punto, le reazioni dei presenti nella stanza passarono dalla confusione alla speranza, dall'incredulità al timore. Percival tentò di rimanere impassibile e, per facilitare la riuscita del suo intento, osservò le reazioni altrui. Gwaine e Elyan, quest'ultimo specialmente, furono presi da evidenti sollievo e speranza; Gaius e Merlin invece si fissavano l'un l'altro, chiedendosi probabilmente come mai a nessun dei due fosse ritornata alla mente l'esistenza del Calice e temendo la reazione di Arthur nell'udire un tale suggerimento.

«Ti ringrazio, Sir Leon» disse stancamente Arthur, mentre Leon indietreggiava di qualche passo con rispetto. «Questo è quanto. Credo che tutti voi conosciate la Coppa della Vita, ed il suo ruolo nella presa di Camelot da parte di Morgana e Morgause» Attese un cenno d'assenso, più o meno convinto, dagli astanti. «Conoscete molto bene anche la mia avversione alla magia. Per questo vi chiedo, fedeli della Tavola, di consigliarmi quale via intraprendere».

La stanza piombò nel silenzio, finché qualcuno segnalò la propria intenzione di parlare con un sommesso colpo di tosse. Tutti gli occhi vennero puntati su Gaius che, su ordine del sovrano, avanzò nella luce tenue dell'alba e delle candele.

«Sire, la Coppa della Vita è un artefatto magico molto potente e certo potrebbe rivelarsi la soluzione alla... condizione di Sua Maestà. Tuttavia ci sono non pochi intralci a questa soluzione, mio signore, che vanno tenuti in debito conto» Dopo aver scambiato uno sguardo fugace con Merlin, il vecchio medico aggiunse con pacatezza: «Anzitutto, la Coppa è andata perduta dopo la battaglia di Camelot: potrebbe trovarsi ancora nel perimetro del castello o essere stata sottratta. Inoltre, questo tipo di magia è molto potente, e soltanto qualcuno particolarmente versato nelle arti magiche come i Druidi o le Sacerdotesse dell'Antica Religione potrebbero renderla efficace» Gaius tacque, incerto sul da farsi; ma poi decise di proseguire: «E da parte nostra, l'uso della Coppa non è gratuito. Essa non appartiene al mondo degli umani, Sire, ma delle creature magiche. Se la volessimo usare, dovremmo pagare un prezzo».

Arthur, che lo aveva ascoltato con morbosa attenzione, chiese secco: «Quale prezzo?»

«Il prezzo è sancito dall'uso che se ne farebbe, mio signore. Richiamare qualcuno dalla morte comporta il sacrificio di un'altra vita» Gaius tentò di sopprimere la commozione che si stava impadronendo di lui al ricordo dei fatti avvenuti sull'Isola dei Beati tanti anni prima. «Ma nel caso della Regina, non è di morte che stiamo parlando, e il prezzo potrebbe essere inferiore. Soltanto una creatura magica può rispondere in modo preciso a questa domanda, la stessa creatura che può dare vita ed efficacia all'incantesimo».

Arthur balzò in piedi e prese a camminare avanti e indietro.

«Tutto ciò non toglie, sire, potrebbe essere l'unico modo» concluse Gaius. «E pertanto vi consiglio di prendere in considerazione questa possibilità».

Inaspettatamente, Leon prese la parola e disse soltanto: «Sire, se fosse davvero l'unico modo, allora vale almeno il tentativo» Abbassò lo sguardo, con le sue usuali goffaggine e timidezza miste a dignità dipinte sul volto commentò: «I Druidi mi hanno salvato la vita con la Coppa. Porto loro un debito di riconoscenza pari quanto ne porto a Voi e alla stirpe dei sovrani di Camelot. Sono stati buoni con me, mi hanno offerto il loro aiuto in modo del tutto disinteressato. E sono certo che lo faranno anche con Voi e la Regina.».

Il sovrano passò lo sguardo azzurro sui volti dei presenti: Elyan si limitò ad annuire piano; Gwaine rinnovò il gesto con più vigore. Sempre mascherando i suoi sentimenti, Percival assentì a sua volta.

«Merlin?»

La voce di Arthur tradì per la prima volta la sua disperazione e la speranza che il suo valletto, come sempre, gli venisse in soccorso con le sue rassicuranti parole di sostegno. Il giovane moro sollevò il viso, ed ogni traccia di spensieratezza quasi infantile era svanita dal suo viso solitamente così gioviale: la sua espressione era intensa, come lo era stata tutte quelle volte in cui il sovrano di Camelot aveva chiesto il suo consiglio nei momenti più bui e cruciali della sua vita. Il viso di Merlin era un libro aperto, che esprimeva lealtà e perdono. E un'amorosa devozione il cui fervore non poteva certo passare inosservato: ma come Percival capì, soltanto tre persone nella stanza se ne erano accorte: lui, Gaius e Merlin naturalmente.

«Sire, seguite il vostro cuore» La voce di Merlin risuonò dolce, determinata e fiduciosa al tempo stesso. «Sapete che le cose non vanno sempre come ci aspetteremmo. Potremmo fallire, Sire, ma potremmo anche farcela. Non toglietevi questa speranza» La parola Arthur gli si accennò sulle labbra, ma non venne pronunciata e rimase un muto incitamento.

Dopo un tempo infinito, Arthur smise di camminare in cerchio e si rivolse ai presenti con voce determinata, una determinazione nuova, venata di speranza: «E sia» Inspirò profondamente e ordinò: «Voglio che il castello sia setacciato da cima a fondo. Che siano interrogati tutti i servitori e le domestiche. Che le abitazioni della cittadella vengano perquisite, che il bando di ricerca raggiunga ogni angolo del regno. Leon» aggiunse, rivolto al cavaliere ricciuto, «organizza il maggior numero di pattuglie possibili. Forse c'è ancora speranza di ritrovare un gruppo di Druidi nei territori a noi vicini. Dite loro che il sovrano di Camelot li cerca in pace» aggiunse, con intensità.

Percival vide il viso di Merlin illuminarsi; a quel punto fece un passo avanti e chiese con voce profonda: «Chiedo il permesso di organizzare le ricerche nel castello, nella cittadella e nella città bassa, Sire».

«Ti accordo questo permesso, Percival. Elyan, chiama il segretario della cancelleria reale, si occuperà lui dei bandi. Gwaine, raduna i messi e organizza le loro destinazioni. Gaius, Merlin, voi resterete con me» Per pochi istanti, tutta l'abituale energia contagiosa parve riprendere possesso di Arthur.

Merlin ribatté inaspettatamente: «Sire, preferirei invece andare con Percival. Credo che vi sarei molto più d'aiuto».

La lucidità con cui aveva pronunciato queste parole lasciò Arthur interdetto e, si sarebbe detto, ferito, come se fosse sorpreso del fatto che il suo servitore, così intenso e infiammato pochi attimi prima, gli avesse ora rivolto quel rifiuto che del tono affettuoso precedente conservava poco o nulla. Ciononostante il sovrano rispose, perdendo un poco della sua energia: «Va bene, Merlin. Ora andate».

Le disposizioni del Re furono seguite da un ennesimo attimo di silenzio: poi, ognuno si affrettò ad eseguire l'incarico affidatogli. Merlin e Percival scesero gli scaloni del castello, ora illuminati dalla fioca luce del sole nascente, camminando fianco a fianco in silenzio, diretti verso e le stanze dei servitori, nei meandri del castello che si stava risvegliando, ognuno perso nelle sue riflessioni.

Poi, d'un tratto, Merlin si ritrovò spinto violentemente in una nicchia oscura tra le mura.

Disorientato, il giovane mago cercò di capire come mai Percival lo avesse immobilizzato; ma la risposta gli venne poco dopo quando lo sentì sussurrare con urgenza ben percepibile: «Tu sai dove si trova la Coppa, vero?»

 


 

So che or ora molti di voi esigeranno che io venga linciata seduta stante. Ma chiedo clemenza: non temete, la soluzione per la pseudo-morte di Gwen non è altro che l'inizio della fine ufficiale dell'Arwen in questa storia!

Mi spiace di aver dipinto Leon quasi come un'idiota, ma era necessario ai fini della narrazione. Insomma, idiota, ma un idiota buono e sensibile! Spero anche che i collegamenti con la mia one-shot siano abbastanza intuibili e che il piano di Perce suoni logico e plausibile. Il finale è un po' strano, insoddisfacente, un po' meh, tuttavia nella serie Merlin mi ha sempre dato l'impressione di uno che non prende mai decisioni per caso, e queste, agli occhi di chi lo conosce, risultano spesso prevedibili. Tutto una sua spiegazione, lo prometto!

La canzone di Gwaine proviene, tradotta, dalla terza parte dei Carmina burana, i cosiddetti Carmina lusoria et potatoria. Dato che di solito non traduco mai i testi latini, mi sembra giusto fornire il link di chi ha tradotto il Carmen potatorium rispettandone addirittura le rime (che io mi sono limitata ad aggiustare in un unico caso): http://www.liceomarconi.it/Socrates2001-2002-classi/3F/italiano/carmina/in_taberna_quando_sumus.htm

Come sempre, critiche, annotazioni e pareri sotto forma anche di brevissime recensioni sono benaccetti e, diciamocelo, più che desiderati! Ho cercato di migliorare i dialoghi come suggeritomi, ma non sono sicura di averlo fatto con successo. Mi scuso per l'impaginazione, stavolta decisamente meno riuscita delle precedenti.

Come di consueto, mi scuso vivamente per qualsiasi errore scopriate disseminato nel testo che, ahimè, stavolta è veramente lunghissimo.

 

A presto!

Quainquie

  
Leggi le 6 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Merlin / Vai alla pagina dell'autore: Quainquie