AIUTAMI
°04°
*Mi
scuso se sono letteralmente scomparsa (anche se molto probabilmente nessuno se
ne sarà accorto!)*
*Ho
iniziato l’università e il tempo credo si ridurrà ulteriormente (anche perché
non ho internet nella casa in cui vivo).*
*Spero
di poter aggiornare almeno una volta al mese ^___^ *
*Questo
capitolo non da le risposte a tutto ciò che era rimasto in sospeso nei
precedenti capitoli…forse non è un capitolo propriamente… “interessante”. Ma credo che servisse per far
comprendere meglio Kaede…e i
suoi pensieri. Spero di non aver fatto un disastro. *
*Grazie
a chiunque leggerà questa storia…grazie per i
commenti che ho ricevuto fino ad ora. Grazie. *
*Note
a fondo pagina*
*Melania*
*******************************************************************
Cazzo.
Sono fermo. Immobile nello spogliatoio
silenzioso.
Osservo le goccioline rosse sulle
piastrelle bianche.
Devo lavarle. O il Club potrebbe
passare dei guai.
Uso il mio asciugamano. Il
tessuto candido e morbido si impregna velocemente di
sangue.
Sono come un
automa. Penso ormai come un automa.
Sono stanco.
Di tutto.
***
Quando esco dalla palestra
respiro a pieni polmoni l’aria fresca. Il sole è già tramontato. E la sera sta
scendendo lentamente su Kanagawa. Fa freddo. Rabbrividisco leggermente nel
cappotto. Avrei dovuto portarmi dei guanti…le mani si geleranno per portare il
borsone a tracolla. Me le strofino lentamente l’una contro l’altra.
Non serve a molto.
Sbuffo, rilasciando nell’aria una
nuvoletta di vapore. Incomincio ad incamminarmi verso casa. La bici l’ho
lasciata a casa. Si era bucata una gomma. Domani dovrò portarla a riparare. O
potrei provare io a cambiare la camera d’aria…non so cosa è meglio
sinceramente.
………………………………………………….Che pensieri
inutili e banali rispetto tutto ciò che
è avvenuto negli ultimi giorni…nelle ultime ore.
Mi guardo un po’ in giro…c’è
ancora movimento per la strada. I vari impiegati stanno tornando a
casa…qualcuno si ferma presso qualche fast-food per consumare la cena…forse potrei farlo anche io…non ho voglia di tornare a casa. Ho troppi
pensieri per la testa.
Rimbomberebbero
incessantemente fra quelle mura.
Insieme ad alcuni studenti (che
evidentemente hanno finito i corsi serali) mi dirigo presso un okonomiyaki-ya (nota 1). Ce ne sono vari lungo il viale. Devo solo
scegliere quale m’ispira di più.
Non amo mangiare fuori. Non
sopporto stare in mezzo alla gente o nel loro fastidioso chiacchiericcio. Odio
il rumore. Delle loro bocche che mordono masticano succhiano. Odio la musica
che spesso funge da sottofondo. Musica spazzatura naturalmente. La gente quando
mangia deve rilassarsi…non deve concentrarsi. E il j-pop è molto indicato per questo.
Però…
Stasera…mi servirà a non farmi
concentrare su Sakuragi. Almeno per qualche ora.
M’incammino lungo una via non
molto larga. Il selciato è illuminato a tratti da alcune insegne al neon dei
vari okonomiyaki-ya. A tratti giunge
dall’interno un lieve chiacchiericcio e alcune risate. Ormai sono in molti a
preferire una cena veloce ed economica insieme ai colleghi che con la propria
famiglia. Ormai non c’è quasi più tempo di coltivare i sentimenti.
Ma cosa sto pensando? Dovrei
essere l’ultimo a parlare visto che non possiedo più una
famiglia…………………………………………………Stai cadendo in un’autocommiserazione
semipatetica Kaede.
Smettila!
Ormai parlo con me stesso. Devo essere impazzito.
Il mio sguardo cade su un piccolo
locale di okonomiyaki-ya…la struttura
è in legno...deve essere uno di quei vecchi locali che resistono a stento ormai
nella modernità imperante. È poco appariscente. Anche le insegne sono in
legno…dipinte con dei kanji rossi e
un po’ tremolanti. In parte sbiaditi. I proprietari devono essere anziani.
Decido di entrare. Dall’interno non sembra giungere molto rumore. Proprio
quello che voglio in questo momento.
Supero le tendine corte e
colorate.
Come pensavo. Dentro c’è solo una
coppia di amici (dai vestiti credo che siano impiegati)…il locale non è molto
grande ma sembra confortevole. È anche caldo. Mi siedo su una sedia di legno,
vicino al bancone.
Accanto a me ci sono i due
impiegati…sono un po’ alticci. Stanno bevendo del sake…dai loro discorsi comprendo
che stanno festeggiando la promozione di uno dei due. Gli sguardi sono
felici…ma vuoti.
Ci accontentiamo di così poco noi
giapponesi. Una stupida promozione…cambierà qualcosa nella vita di
quell’uomo?
Non si sveglierà più prestissimo
per andare a rinchiudersi in un ufficio grigio e claustrofobico?
Non subirà più le umiliazioni
derivanti dal suo status o dalla gerarchia?
Non tornerà più stanchissimo a
casa?
Non andrà più a soddisfare le sue
voglie con una puttana solo perché con la moglie non ha più dialogo?
Non credo. Goditi la tua
promozione.
Idiota.
Per questo voglio andarmene negli
Stati Uniti. Non voglio abitare in questa società di merda. Dove tutto è già
deciso. Imposto. Sembriamo delle stupide marionette.
Omologazione.
Non ne
voglio far parte.
-
Cosa le
posso servire?
Sono distolto dalla voce gentile
del proprietario. È un uomo sulla settantina. Mi rivolge uno sguardo
discreto…le rughe segnano il suo viso. La pelle è screpolata…soprattutto le
mani. Il contatto continuo con il calore del teppan (nota
2)
su cui cucina.
Mi guardo velocemente intorno,
cercando fra i vari cartelli appesi la consumazione che mi aggrada. I kanji non sono perfetti…alcuni sospetto
siano anche errati. Ma non è importante.
Mmmm….se prendo un okonomiyaki (nota
3) con sole verdure dovrei farcela con i soldi…
Comunico la mia consumazione al
vecchietto. Incomincia a cucinare davanti a me sul teppan. In pochi secondi
l’odore dell’uovo e del cavolo incomincia a
solleticare le mie nari. Non sono una persona che ama il cibo. A volte penso
che il mangiare sia solo un’appendice del vivere. Nel mio caso è l’unico modo
per avere le giuste energie per giocare a basket. Forse quando ero piccolo
mangiavo di più. Poi la fame mi è passata.
Sakuragi………..sarà
tornato a casa sua?....................si sarà medicato quei tagli? La pelle
segnata in quel modo orribile…
Ma non
voglio pensarci ora. A casa dedicherò un po’ di tempo a lui. Per comprendere
cosa mi sta succedendo…perché qualcosa sta accadendo.
-
Ecco…
Il proprietario mi porge su un
piatto di ceramica bianca l’okonomiyaki…l’odore
è invitante. Mi consegna anche le bacchette in legno e un bicchierino in
porcellana con dentro del sake. Lo guardo sorpreso. Sono minorenne…non potrebbe
darmelo.
Lui mi fa l’occhiolino (e
l’occhio sembra quasi scomparire fra le rughe) e prende l’ordinazione di un
altro cliente.
Contento lui…incomincio a
mangiare lentamente…si è proprio buono.
Mia madre amava gli okonomiyaki. Quando mio padre non era a
casa (a causa del lavoro), andavamo in qualche locale per mangiarne almeno uno.
Amava cospargerli di salsa di soia. Dovevano essere salatissimi in questo modo,
ma lei sembrava amare mangiarli in quel modo.
Quando fu costretta a rimanere tutto il giorno a
letto per la malattia…mi pregava di andare a comprargliene una porzione. Ma mi
faceva promettere di non dirlo al medico che la teneva in cura. Né a mio padre.
Ero piccolo…ma avevo compreso che non avrebbero approvato. Non poteva mangiare
alimenti così elaborati e calorici. Ma volevo vederle il sorriso increspare
le sue labbra.
Volevo farla
felice.
Correvo in strada, stringendo fra
le mani le banconote sgualcite…compravo gli okonomiyaki
più saporiti.
E lei sorrideva fra le lacrime
quando lo assaggiava. Eppure era freddo. Ma lei sembrava non pensarci.
E io sorridevo con lei.
Sono diventato troppo nostalgico.
Da quando Sakuragi ha bussato alla mia porta…..sto pensando molto a mia madre.
Era da molto che non lo facevo.
Non so perché.
Finisco di mangiare, bevendo in
un solo sorso il sake.
Lo sento scendere – bruciante e caldo – lungo il mio esofago.
Richiamo il proprietario,
pagandogli la consumazione. Gli chiedo se gli siano avanzate delle teste di polpo…potrei
portarle a Micky…ne sarebbe entusiasta.
Accenna con un sorriso gentile…lo vedo uscire dalla struttura in legno per poi
ritornare con un sacchetto di carta. Dentro ci sono le teste. Ringrazio con un
inchino e m’incammino verso casa.
***
Appena infilo le chiavi dentro la
serratura avverto il miagolio di Micky da dietro la porta. Sorrido.
In questi momenti penso che è
piacevole tornare a casa. E gustare la sensazione che qualcuno ha provato la
nostra mancanza. Ironicamente potrei constatare che ad aspettarmi è solo un animale.
Un gatto.
Ma io voglio bene a Micky. E
so…che anche lui, per quanto possa essere un animale, è affezionato a me.
-
Micky…ti ho
portato qualcosa.
M’incammino al buio verso la cucina.
Micky mi cammina accanto strusciandosi a momenti contro le mie gambe.
Poggio per terra il sacchetto di
carta, aprendolo. Un odore pungente e quasi nauseante di pesce si sparge
immediatamente per la cucina. Micky miagola visibilmente contento. Non ho il
tempo di spostarmi che si è già avventato sulle teste di polpo.
Lo osservo per qualche minuto
poggiandomi contro lo stipite della porta. Poi sfilandomi il cappotto, mi
dirigo nel salone, accasciandomi con un tonfo sordo sul il divano.
È tutto buio.
Spesso non accendo la luce nelle
stanze. Mi piace essere avvolto dall’oscurità. Non riuscire a distinguere gli
oggetti che mi circondano. Sembra di essere avvolti dal vuoto. Mi permette di
pensare. O di non pensare affatto. Dipende dai punti di vista.
Chiudo gli occhi.
Una chiazza rossa tinge
la mia vista celata dalle palpebre.
Sono i capelli rossi di
Sakuragi.
Bagnati per la doccia appena fatta. Gocciolanti.
E’ anche la divisa rossa che
stava riponendo con troppa cura dentro il suo borsone.
Sono le sue braccia.
Rosse.
.
Il sangue mischiato ai peli delle sue braccia.
Sono le sue ferite. I suoi tagli profondi…se usi un po’ di
immaginazione Kaede puoi vedere anche il bianco delle ossa sotto quegli
squarci.
Si...la vedi la linfa vitale scorrere fra quelle
braccia.
La vedi
percorrere i centimetri di quelle braccia abbronzate e cadere per terra
in mille goccioline silenziose e sporche.
Il pavimento è rosso.
Le piastrelle bianche sono sporche.
Rosse.
Tu e Sakuragi ci avete camminato sopra.
Il sangue si è insinuato nelle crepe del pavimento.
Tu l’hai lavato quel sangue.
Ma continuerà ad esserci
ancora in quello spogliatoio.
Ogni giorno che tu ci entrerai, ogni
giorno che ti sarai allenato e vorrai farti una doccia o bere un sorso
d’acqua fresca tu rivedrai quel sangue per terra. Ripenserai alla sua
espressione ferita.
I suoi occhi furenti e accesi piantati nei tuoi.
Micky salta improvvisamente sul
mio stomaco in un unico balzo. Apro di scatto gli occhi, lanciando un’imprecazione
a questo stupido botolo.
Miagola innocentemente. Osservo i
suoi occhi che rilucono nell’oscurità. Rivedo gli occhi di Sakuragi. Cosa mi
sta succedendo?
Pensare a Sakuragi non è mia
abitudine. L’ho sempre considerato uno stupido. Una persona senza obiettivi…senza un “qualcosa” da perseguire nella vita.
Scoprire che si taglia non mi ha
fatto cambiare idea completamente su di lui. Provo pietà nei suoi confronti.
Insomma….non augurerei nemmeno al mio nemico un qualcosa del genere. Ma
tagliarsi è da deboli. Cercare conforto nel dolore è da idioti.
Ti senti meglio dopo? Non credo. Anzi. C’è anche lo stress di doversi medicare
e di dover nascondere agli altri le proprie ferite.
Che pensieri cinici….e falsi. Non penso davvero questo di Sakuragi…in
fondo anche io
sono un debole.
Anche io ho pensato spesso al suicidio.
O a una via di fuga
che mi permettesse di scappare da questo presente che per me è sempre stato un inferno.
Ci ho
pensato.
Molto.
Ma dopo…quando ho compreso che il
basket poteva essere una valvola di sfogo per il dolore, migliore di qualsiasi
ferita…ho trovato la mia ragione di
vita. E il mio sogno di andare negli Stati Uniti non rimarrà solo un
sogno.
Ripenso al mio inconsueto comportamento
in presenza di Sakuragi. Sono stato troppo gentile, troppo disponibile nei suoi
confronti. Forse la parola giusta è “interessarsi”. Sì…mi sono interessato a
lui. Al perché del suo strano agire, del perché sia venuto a casa mia…mi sono troppo
interessato. E questo non è comportamento da Kaede Rukawa.
Perché l’ho
aiutato? Anzi…perché mi sono
interessato così tanto a lui?
Incomincio ad accarezzare
Micky…lui si accoccola sulla mia pancia, fuseggiando. Adoro accarezzare il suo
pelo. È così morbido.
Forse mi sono interessato a
Sakuragi perché ho visto nella sua fragilità una parte di me stesso. Quella
parte che tento costantemente di lasciare intrappolata nel profondo del mio
corpo. Quella parte che vorrebbe urlare e strapparsi le carni con forza. Che
vorrebbe eliminare il dolore. Il Vuoto. Ci sono stati momenti in
cui mi sono chiesto se potessi provare ancora dei sentimenti o qualche forma di
emozione al di fuori di un campo da basket. Forse il mio interessamento a
Sakuragi può essere una risposta a questa domanda.
Ora devo solo capire…se davvero
voglio aiutarlo. Lui lo vorrebbe. Lo so. Nonostante le sue urla di odio nei
miei confronti. Non sarebbe venuto a casa mia.
Ripenso alla sua figura
gocciolante sul pavimento di casa. Ed ecco un’altra domanda.
Perché io?
Perché ha scelto me per essere
testimone del suo dolore? Cosa ha visto in me (forse inconsciamente) da farlo
fidare?
Sento la
testa scoppiarmi.
Basta!
Interrompo le mie carezze su
Micky. Ho sonno. Stanotte ho pensato anche fin troppo a lui.
***
Cammino lentamente lungo il
viale. Fa freddo. Il vento gelido s’insinua dentro il cappotto. Rabbrividisco
leggermente. Il marciapiede è ricoperto di foglie. Cremisi. Castane. Giallastre.
Rosse. Distrattamente le calpesto, osservando a momenti le loro nervature.
Il cielo è terso. Non c’è molto
rumore per la strada. Le macchine che circolano sono poche. Anche le persone.
E’ domenica.
Qualche foglia secca volteggia
pigramente nell’aria, trasportata dal vento autunnale.
Fra poche settimane queste strade
saranno immerse nel caos. Si avvicina il periodo natalizio. E come ogni anno le
case vomiteranno folla di persone pronte a spendere milioni di yen per comprare
inutili regali. Ci sarà il rumore assordante delle loro inutili chiacchiere e
del traffico. Le luci abbaglianti e colorate delle insegne natalizie.
Io odio il
Natale. Troppi ricordi sono
rievocati da questa inutile festività.
Troppi.
Entro dentro il parco. Amo questo
posto. Normalmente ci vengo per fare jogging…o per allenarmi al campetto che vi
è dentro. È uno dei pochi posti a Kanagawa dove si può ancora respirare aria
“pura”. Ed essere immersi nel verde.
È deserto. Fa troppo freddo per
le famigliole. Fa troppo freddo anche per i bambini.
Mi siedo lentamente su una
panchina vicino al campetto di basket. È fredda. Chino la testa fino a farla
poggiare contro la parte superiore dello schienale di metallo.
Il cielo è azzurro. Di
quell’azzurro che solo un cielo invernale può essere. Un azzurro forte.
Invadente con la sua chiarezza negli occhi di chi lo guarda. Quasi accecante.
Chiudo gli occhi. Penso alla
settimana appena passata.
Con Sakuragi ci siamo ignorati.
Sarebbe più esatto affermare che LUI mi ha ignorato. Sembrava avessi la peste
da quanto non si avvicinava.
Ha giocato malissimo durante gli
allenamenti pur di starmi lontano. Nonostante i rimproveri e i pugni di Akagi
non ha cambiato atteggiamento. Io mi sono comportato di conseguenza. Non posso
perdere la testa o la mia concentrazione per lui. Alcuni giorni sono arrivato
anche a pensare di non fare nulla, di lasciare tutto come è.
Non sono affari miei…se si vuole
rovinare la vita è liberissimo di farlo. Non mi ha più chiesto il mio aiuto
esplicitamente. E questa può essere una buona via di uscita. Forse non aspetto
altro. Non voglio distrazioni dal mio Obiettivo. Giocare nell’NBA.
Tutto il resto è inutile.
Solo un pomeriggio il nostro
sguardo si è incrociato. E non so perché ma in quel momento mi sono sentito una
merda. Perché lo vedevo lì stanco. Uno sguardo mezzo spento conficcato nei suoi
occhi. Delle maniche di una felpa scura a celare il suo corpo e i segreti che
esso celava. Ed io che sapevo…io che SAPEVO. Non facevo nulla. Anzi. Lo
assecondavo nella sua pazzia di ignorare tutto ciò che era successo
In fondo io non avevo debiti nei
confronti di Sakuragi. Non ero un suo amico. A malapena mi potevo considerare
un suo compagno di squadra.
Mi sono girato dall’altra parte, interrompendo
il contatti visivo tra noi due. In quel momento mentre gli davo le spalle ho
compreso che a fuggire non era solo lui. Ero anche io. Nel non voler affrontare
Sakuragi c’era come anche il mio desiderio di non affrontare i miei fantasmi.
Che potevo vedere in parte rispecchiarsi nei suoi occhi.
E ora…ora sono qui in questo
parchetto deserto. E non ho fatto ancora nulla per cambiare la situazione.
Nulla cazzo!
Riapro gli occhi quando avverto
la risata di un bambino avvicinarsi da dietro la panchina.
Mi sfreccia accanto in pochi
secondi ridendo.
-
Non mi
prenderai Hana-kun! Sono più veloce io di te!!! – si ferma vicino alla rete del campetto, girandosi
verso qualcuno che evidentemente è rimasto indietro.
Avrà 5-6 anni. Ha i capelli
rossi. Se non fosse per le lentiggini che gli ricoprono tutto il viso…potrebbe
sembrare una versione più piccola di Sakuragi.
Sbuffo. Quel ragazzo è diventato
un’ossessione…ormai ogni persona o oggetto che vedo mi ricorda lui!
-
Vieni qui
stupido marmocchio!!! – la persona a cui si riferiva
il bambino mi sfreccia vicino, correndo.
Sgrano gli occhi.
Non è possibile.
Lo vedo afferrare il bambino che
cerca di districarsi – inutilmente – dalla sua presa.
Incomincia a fargli il solletico.
Il bambino incomincia a ridere, contorcersi, gridare…
Ha una espressione felice
in volto. Indossa una cappotto pesante e una sciarpa azzurra che gli avvolge
completamente il collo e in parte il mento. Sembra affogarci dentro.
Non si accorge subito della mia
presenza. Ed io posso per questi pochi secondi approfittarne…lo osservo. In
palestra non potevo farlo platealmente.
Sembra un poco dimagrito.
Ad un tratto continuando a
“torturare” il bambino alza gli occhi.
E mi vede.
Seduto a questa panchina verde e
fredda. Vedo la sua espressione rabbuiarsi. Continua a stringere il bambino ma
lo vedo ora assente da ciò che sta facendo. Sembra combattuto. Non sa come
comportarsi. Non può far finta di non avermi visto. Ma salutarmi andrebbe
contro il suo comportamento tenuto nei miei confronti in questa settimana.
Mi alzo di scatto. Gli do le
spalle e incomincio ad incamminarmi nella direzione opposta.
Lo so che fino a qualche attimo
fa avevo pensato di cambiare, di fare qualcosa che potesse aiutarlo. Ma mi sono
rotto del suo comportamento.
Forse sarebbe meglio
dire……………………………………………deluso.
Che infantile che sei diventato.
Come se in una situazione del genere si dovessero fare pensieri del genere.
Sei tu l’idiot..
-
Aspetta!
Interrompo i miei pensieri al SUO
urlo. Mi blocco in mezzo al vialetto. Era rivolto a me? Possibile? Rimango
immobile. Respiro lentamente l’aria fresca. Indeciso se girarmi o no.
Poi mi rendo conto di cosa sto
facendo.
Kaede Rukawa
che si blocca in mezzo alla strada solo per il volere di uno stupido ragazzino,
indeciso sul da farsi???
Ma cosa sono diventato…
Affondo con
fastidio le mani dentro le tasche calde del cappotto, ricominciando a
camminare.
-
TI VUOI FERMARE BAKA KITSUNE?!
Mi giro di
scatto. Allora parlava con me.
Lo vedo
dietro di me, camminare nella mia direzione mano a mano con il bambinetto. Li
osservo.
La sua
espressione è indecifrabile. Cosa vuole da me?
-
Già non
parli…incominci anche a non ascoltare Kitsune?
Assume
un’espressione divertita e strafottente. Il bambino sogghigna abbassando gli
occhi.
-
I do’hao non
devono essere ascoltati. Si potrebbe essere contagiati dalla loro stupidità.
-
Se vuoi
farmi perdere la calma non ce la farai! Nulla può scalfire il Tensai!!!
Ride platealmente. Suppongo si
stia comportando in questo modo per la presenza del bambino.
-
Comunque….Akito questa è la
famosa Kitsune si cui ti parlo spesso – si rivolge al bambino osservandomi…poi
si china sulla sua spalla parlandogli all’orecchio…ma con un tono di voce
abbastanza alto da fare sentire anche a me – …attenzione a non avvicinarti
troppo. E’ infido e furbo proprio come una Volpe…
Il bambino ridacchia, osservandomi
di sottecchi. Sbuffo…perché sto perdendo tempo con questi qui?
-
Piacere Signore
Volpe – mi sorride, mostrandomi i dentini bianchi da latte. Mi porge la sua
manina.
“Signore Volpe”???
Ma stiamo scherzando?????? Osservo il do’hao, che invece sembra divertito.
Perché sta facendo tutto questo?
Punto lo sguardo negli occhi del
bambino, afferrando la sua manina, stringendogliela. Meglio mettere i puntini
sulle “i”.
-
Il mio nome
non è “Volpe” è Kaede Ru..
-
MI SONO RICORDATO CHE DOVEVAMO ANDARE A VEDERE IL MARE VERO AKITO??? – Sakuragi
mi interrompe all’improvviso, afferrando la manina del bambino.
Ma è impazzito?
Akito sembra scordarsi immediatamente della
mia presenza, incominciando a saltellare e battendo le manine l’una contro
l’altra. Ride felice.
-
E’ vero è vero è vero!!!! Andiamo andiamo andiamo andiamo!!!!
Quanto rumore che fa……………ci
guardiamo negli occhi con Sakuaragi. Perché mi ha
interrotto? La sua espressione è seria. Fa un cenno con la testa, facendomi
intendere che poi mi spiegherà.
Ma “poi” quando?
-
Andiamo Hana-kun??? Eh eh
eh? Andiamo??? – ci osserva,
muovendo freneticamente la testa – viene anche il Signore Volpe vero??? Eh eh eh eh eh?
Conosco
questo bambino da appena cinque minuti e già non lo sopporto più! Fa troppo rumore ed è troppo esagitato per i
miei gusti….come questo stupido do’hao. Si comprenderanno bene i due. Ma io non
ho nessuna intenzione di passare del tempo con loro. La domenica senza di loro
è più che allettante….!
L’importante
sarebbe convincere anche me stesso…
-
Sì non ti
preoccupare Akito! Kaede viene con noi vero? – Sakuragi mi afferra per un
braccio, stringendolo lievemente. Con lo sguardo m’intima di non contraddirlo.
Come se io accettassi ordini da lui! Mi libero dalla sua stretta con fastidio.
Apro la bocca per rispondere ma sono
interrotto fulmineamente da urlo di contentezza di Akito. Incomincia a
saltellare sorridendo per poi infilare la sua manina dentro la mia. Sgrano gli
occhi. L’osservo stupito e lui per risposta ride. Ma si vuol sapere perché sono
così simpatico a questo moccioso???
Sakuragi sorride intenerito
osservando Akito, poi afferrandomi per il braccio libero, incomincia a
trascinarmi fuori dal parchetto.
Suppongo che io non abbia molta
scelta.
Ma in fondo…è quello che voglio.
Fino a qualche minuto fa rimuginavo sul mio dispiacere per non aver potuto
aiutare Sakuragi. E ora di cosa mi lamento? Sbuffo. Mi odio. Odio la mia
debolezza.
Akito mi stringe forte la mano.
Sembra come avere paura che io lo lasci (che è effettivamente quello che vorrei
fare…non mi piace il contatto fisico con le altre persone). A volte lo scopro
ad osservarmi di sottecchi. Poi mi sorride arrossendo e guardando da un’altra
parte. Che bambino strano.
Sakuragi durante il tragitto ride
e scherza con Akito (di cui ha preso l’altra manina…ora è in mezzo a noi il
mocciosetto) e continua nella sua parte del grande Tensai. Akito ride
divertito. Sembra volergli molto bene. Forse è il fratello. Il carattere da do’hao
ne sarebbe una prova.
Io rimango in silenzio (come
sempre) continuando a chiedermi chi me l’ha fatto fare di restare con loro.
***
Il mare è calmo.
Limpido.
Riflette questo cielo così
azzurro…non potrebbe essere altrimenti.
Io amo il
mare.
Mi dona calma. Serenità.
Venivo qui quando ero piccolo.
Non facevo nulla di particolare. Mi sedevo lungo la spiaggia. O mi sdraiavo,
senza preoccuparmi della sabbia che prepotente s’infilava dentro i miei capelli
e i miei vestiti. Chiudevo gli occhi. E sognavo. Che cosa non me lo ricordo
più.
Infastidito da questi pensieri
malinconici, soffermo la mia attenzione su Akito. Non ha ancora lasciato la mia
mano e quella di Sakuragi. Anzi. Non sembra intenzionato a lasciarcele.
Sembra quasi…intimorito. Ma da cosa? Dal mare? Possibile…? Difficilmente un
bambino si comporta in questo modo…normalmente schiamazzando corrono sulla
spiaggia, lanciando sabbia da tutte le parti e gridando a squarcia
gola.
Eppure Akito non si muove.
Aggrotto le sopracciglia. Che abbia un brutto ricordo legato al mare?
Sakuragi a un tratto, senza
lasciare la sua manina, s’inginocchia davanti a lui. All’altezza dei suoi
occhi. E sorride.
-
Non è
bellissimo come te lo avevo raccontato Aki-chan?
Per qualche secondo potrei
definire l’espressione e il tono di voce del do’hao…quasi dolce.
Ma un’immagine del genere stona ampiamente su di lui.
Akito sorride debolmente, arrossendo.
Poi ci lascia le mani…e fa qualche passo incerto sulla sabbia.
-
Ma si affondaaaaaaa!!! E entra la sabbia
nelle scarpeeeeee– si gira piagnucolando. Ha
un’espressione quasi comica in viso.
Però…non capisco…….è
come se Akito non avesse mai visto il mare. No ci fosse mai venuto. Ma è
impossibile.
Sakuragi ride, sfilandosi le
scarpe da ginnastica bianche e le calze. Poi si avvicina al bambino e fa lo
stesso con lui.
Quando Akito poggia i piedi nudi
sulla sabbia calda, sorride.
-
E’ bella
come sensazione Aki-chan?
Sakuragi s’inginocchia di nuovo
davanti a lui. E hanno un’espressione così felice in volto…tutti e due…che per
un momento mi sento…fuori luogo. Come se stessi assistendo a un qualcosa
che in realtà non mi sarebbe permesso di vedere.
Akito si volta verso di me.
-
Signor Volpe
togliti anche tu le scarpe. La sabbia fa il solletico ai piedi!
E ride. Ride ride ride ride ride!!!
Incomincia a correre sulla sabbia.
E mi fa uno strano effetto
osservarlo. Sembra un piccolo
girasole impazzito di luce. Con quei capelli rossi che risaltano così
tanto sulla sabbia chiara e fina…la sua risata cristallina. Le sue guance rosse
per l’emozione e la corsa.
Già….almeno con me stesso posso
ammetterlo. Osservando questo bambino…mi sembra di rivedere Sakuragi.
Un Sakuragi che forse è esistito
in passato. Ma che ora…mi giro osservandolo.
È rimasto in ginocchio e lo vedo
guardare Akito con un’espressione contenta. Ma c’è anche tristezza…e malinconia
nel suo sguardo.
-
Anch’io…
Si gira verso di me. La sua voce
è lievemente roca. Calma. Pacata. Non mi osserva in viso. Ha lo sguardo puntato
in basso. Sulla sabbia.
-
Anch’io…mi comportai nel medesimo modo quando venni la prima volta.
-
La “prima
volta”? – allora….non mi ero sbagliato. È la prima volta che Akito vede il mare
“dal vivo”. Ma come è possibile?
-
Sì. La prima
volta…… - alza lo sguardo, osservando però un punto fisso dietro di me – Akito
non era mai venuto.
-
Non eravate
mai venuti con la vostra famiglia? – forse sono troppo curioso. Non è nella mia
natura…ma forse non dovrei più stupirmene in presenza di Sakuragi.
-
Famiglia?
Sakuragi mi
guarda stupito. Anzi…sorpreso. Non capisco…poi sorride leggermente, piegando
lievemente verso l’alto il labbro inferiore. Mi guarda negli occhi senza
abbassare lo sguardo.
-
Pensavo che
qualcuno te lo avesse detto che io sono orfano.
Sgrano gli
occhi…e per un singolo secondo (non so perché) il fiato si blocca sulle mie
labbra fredde. Abbasso lo sguardo. Non dico nulla. Non sono il tipo che sa dire
frasi di circostanza.
E fra il
tumulto di sensazioni che provo ora, non so nemmeno se c’è quella della
tristezza o della compassione per lui…
Sakuragi
deve notare il mio turbamento perché continua a parlare con un tono
indifferente, senza dare (apparentemente) importanza a ciò che sta
dicendo…forse per distogliermi dal mio evidente imbarazzo.
-
Anche Akito
è un orfano. Vive da quando è nato in una Comunità (nota 4)…qualche volta (quando ho tempo e non lavoro), lo vado a prendere e passo
con lui una mattinata…o un pomeriggio. Dipende. L’importante è che lo riporti
in Comunità verso ora di cena.
In
Comunità…l’istituto non è molto lontano da casa mia. Quando ero più piccolo ci
passavo con la bicicletta per andare alle scuole elementari…e vedevo qualche
bambino della mia età giocare nel cortiletto interno. Dopo la morte di mia
madre…e dopo l’apparente abbandono di mio padre nei miei confronti, avevo paura
che dovessi vivere anche io lì.
Che stupido…
Alzo lo
sguardo osservando Akito giocare con la sabbia. È davvero felice. Cosa proverà
ogni giorno chiuso lì dentro?
-
Pensavo
fosse tuo fratello- rivolgo lo sguardo verso Sakuragi. Lui sorride lievemente,
portando lo sguardo sul bambino…
-
Avrei anch’io
voluto che lo fosse. È un bambino molto dolce…e solare…un po’ mi ricorda come
ero io quando ero piccolo…forse per questo motivo mi sono affezionato così
tanto a lui – si siede sulla sabbia calda, poggiando i gomiti sulle ginocchia.
Lo imito, osservandolo. Sakuragi
è un orfano…la mia fantasia non sarebbe mai arrivata così a tanto.
-
Anche tu…-
tossisco lievemente…- anche tu vivi in Comunità?
Vedo il suo sguardo adombrarsi.
Lo vedo accarezzarsi distrattamente il braccio destro, all’altezza dei tagli.
Perché?
-
No…dall’anno
scorso…vivo in un monolocale in periferia. Appartiene al Comune di Kanagawa…per
i ragazzi della nostra età è previsto un inserimento graduale nella società……….
– sorride amareggiato – se non hanno trovato una famiglia che li adotti….
Sospira lentamente. Ci giunge un
gridolino estasiato di Akito…l’acqua fresca e salata
del mare ha lambito i suoi piedini.
-
Quando sarò
diventato maggiorenne…dovrò lasciare il monolocale. A nessuno gliene fregherà
un cazzo che fine farò. Non sarò più un affare della Comunità. Gli assistenti
sociali se ne laveranno le mani.
Lo osservo stringersi con forza
il braccio ferito. Socchiude gli occhi.
Quanta rabbia malcelata nella sua
voce. Quanto acredine del suo animo.
Perché mi sta confidando tutto
questo ora…? Dopo una settima in cui mi ha ignorato platealmente?
Perché mi ha invitato a passare la giornata con lui e il bambino?
Sembra pensarci anche lui…si alza
di scatto, passandosi le mani tremanti sui jeans…cercando di togliere
invisibili granelli di sabbia.
Alza la testa osservando Akito.
-
AKITOOOOOOOO….VEDIAMO SE
SEI PIU’ BRAVO DEL TENSAI A COSTRUIRE UN CASTELLO DI SABBIA!
Prima di correre verso il bambino
mi guarda intensamente negli occhi. Per qualche secondo ci siamo solo noi due…solo
noi due.
Poi distoglie lo sguardo,
arrossendo e correndo verso Akito.
Note
Nota 1: Un okonomiyaki-ya (お好み焼き屋)è un locale dove si cucinano gli okonomiyaki (お好み焼き)che
è un piatto tipico giapponese. Se siete interessati questo è un sito dove
potete approfondire l’argomento: http://guide.supereva.com/cucina_etnica/interventi/2005/05/210382.shtml
.
Nota 2: Il teppan ( 鉄板)
è una piastra arroventata su cui si cucinano gli okonomiyaki.
Nota 3: Vedi la prima nota.
Nota 4: Allora...sinceramente non so
se in Giappone esistono delle Comunità. Pertanto mi sono ispirata
all’organizzazione odierna in Italia. Gli “Istituti” (definiti anche
“Orfanotrofi” ) sono stati chiusi in Italia il 28
marzo 2001 (con la legge 149). In loro sostituzione sono state create delle
“Comunità”, ovvero degli appartamenti o complessi nei quali vivono i bambini
fino alla maggiore età. L’ambiente (in teoria) dovrebbe essere migliore di un
orfanotrofio, anche perché l’obiettivo è quello di
ricreare un ambiente familiare all’interno di queste case. I bambini dopo la
maggiore età sono costretti a lasciare le “Comunità”, e il Comune
(rappresentato dall’apparato degli assistenti sociali, educatori professionali,
psicologi, ecc. ecc.) provvede a trovargli un lavoro ed
un’eventuale sistemazione. In teoria i bambini non dovrebbero soggiornare molti
anni in questi appartamenti, poiché si cerca costantemente di procurargli
un’adozione (o mala che vada, un “affido temporaneo”). Spero di essermi spiegata
bene.