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Autore: voiceOFsoul    10/03/2012    0 recensioni
Cris, uno studente universitario fuori sede, si ritrova dopo un anno a non aver ancora trovato nessuno con cui condividere la sua esperienza. La sua vita, però, sta per avere una svolta. Sia in facoltà che a casa le cose cambieranno e nelle sue mani si intrecceranno molti destini.
Genere: Slice of life | Stato: completa
Tipo di coppia: Nessuna, Shonen-ai
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Universitario
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- Certo che è una palla sto professore! - Naki aveva sbadigliato per quasi tutta la lezione, scarabocchiando ogni tanto qualche formula sui suoi fogli. 
- La materia è quella purtroppo, non si può migliorare più di tanto. - 
Mi sorrise rimettendo in borsa tutto quello che ne aveva uscito mentre il professore sempre più nevrotico lasciava l'aula quasi correndo.
- Vai via? Non segui l'altra lezione? -
- No, torno a casa. - 
Neanche avesse capito che era il momento di andare via, Brendon spalancò i suoi occhioni e iniziò a cercare di attirare l'attenzione coi suoi lamenti che sembravano quasi quelli di un gattino. - Vedi? Il dovere chiama. - Si alzò e mise in spalla la tracolla.
- Aspetta, ti aiuto. - Mi sollevai ed estrassi il seggiolino dalla sedia dove l'aveva saldamente incastrato Naki. Glielo porsi e lei mi ringraziò.
- Ci vediamo, allora. - Iniziò a scendere le scale spedita, quasi non fosse carica come un mulo.

La salutai con un gesto della mano e la guardai uscire in mezzo alla maggior parte dei ragazzi che avevano occupato l'aula, che si stava ormai svuotando. Solo quando fu fuori dalla porta mi ricordai di non averle dato gli appunti promessi. Li afferrai e mi precipitai giù dalle scale nel tentativo di raggiungerla. Arrivato nel grande corridoio su cui si affacciavano tutte le aule, però, di Naki non c'era nessuna traccia. Si era volatilizzata, puff, sparita nel nulla. Tornai in aula per appoggiarli di nuovo sul bancone, un po' sconsolato per non avere una scusa da usare per iniziare qualcosa di più di una conversazione sterile e scarna tra due colleghi vicini di posto. Volevo davvero diventarle amico. Nulla di più. Lei aveva già un bambino, probabilmente quindi aveva un fidanzato se non addirittura un marito. Anche se così non fosse stato, la situazione non sarebbe stata di certo delle più facili e di sicuro lei sarebbe scappata a gambe levate al primo accenno di approccio. Ma sentivo che aveva bisogno di qualcuno che la sostenesse ad affrontare le difficoltà che le si leggevano in volto. O forse volevo leggerle così da scusare la mia di necessità, quella di avere qualcuno di amico vicino, di mettere termine alla mia solitudine qui in questa grande città.

Presi gli spicci necessari e mi recai alle macchinette del caffè, sperando di riuscire a rilassarmi un attimo prima che il prossimo Professore arrivasse ad iniziare la sua lezione. Fortunatamente il Professore di Web programming era sempre in ritardo e questo permetteva a tutti di prendersi una necessaria pausa tra le due lezioni. Mi misi in fila dietro al ragazzo biondo e dagli occhiali scuri che aveva passato la lezione vicino alla mia lei. L'avevo osservato spesso con attenzione perché sembrava essere quello che aveva con lei più confidenza a livello fisico. Sì, parlo di abbracci, baci, carezze, grattini durante le lezioni, cose così. Anche oggi non era stato da meno. Le aveva passato un braccio intorno alla vita e avevano seguito la lezione abbracciati così, mentre lei prendeva appunti e lui giocava di tanto in tanto coi suoi riccioli. Da quando l'avevo visto insieme a lei la prima volta, mi ero convinto che fosse persamente cotto. Gli sguardi che le riservava mentre la sfiorava non erano da amico coccolone, ma piuttosto da ragazzo speranzoso che questo rapporto potesse sfociare in qualcosa di più. Anche se non era l'unico, eh! Più o meno tutti i ragazzi che le giravano intorno le riservavano spesso sguardi che lasciavano poco all'immaginazione. Lei, però, sembrava non accorgersene. Spesso la vedevo scherzare maliziosamente con loro, ma nei suoi occhi si leggeva chiaramente che non oltrepassava la linea di confine dello scherzo, non le interessava nessuno tra di loro. O forse questo era solo quello che io volevo credere. 

Mentre il tizio biondo si accingeva ad inserire le monete nell'apposita fessura, lei arrivò quasi come un uragano, una folata di vento improvvisa. Gli si catapultò in braccio, selezionando tutte e cinque le palline di zucchero a disposizione e digitando sul tastierino numerico il '31' per un caffè ristretto. Gli schioccò un bacio sulla guancia che durò finché il caffè non fu pronto.
- Umbi ti adoro. Non saprei come fare senza di te. - Prelevò il suo caffè scroccato e scappò via di nuovo.
- Come faresti senza di me? Non berresti più caffè all'università e non masticheresti più gomme. - Le urlò lui, sorridente. Nessuno avrebbe mai creduto al suo rimprovero.
Mi voltai a guardarla mentre rispondeva con una linguaccia da bambina maleducata ed andava fuori a gustarsi il suo caffè super dolce. 
Umbi, Umberto suppongo, inserì altre monete e finalmente potè prendersi il suo caffè. Quando anch'io lo presi, la mia intenzione era quella di recarmi fuori e sedermi sugli scalini del gazebo vicino al suo gruppetto di amici. Magari così sarebbe capitato di scambiare due parole. Non sarebbe capitato e lo sapevo benissimo, ma volevo continuare a sentire la sua voce da ragazzina piena di vita. Purtroppo per me, vidi passare il professore diretto all'aula. Lo seguii dispiaciuto entrando in aula subito dopo di lui evitando per un pelo la porta che stava richiudendo. Il Professore posizionò tutto l'occorrente, sistemò il video proiettore ed iniziò la sua lezione. Di lei e dei suoi amici nessuna traccia in aula. Di nuovo solo, senza Naki e Brandon vicino, senza lei da guardare, seguii la lezione distrattamente trasalendo quasi ogni volta che la porta si apriva per qualche ritardatario che entrava. Ma non era mai lei.


Il pomeriggio avrei avuto un'altra lezione. Dato che iniziava alle 15 ed erano ormai le 13.30 passate quando il Professore si era deciso a lasciarci andare, scendere a casa per pranzo era troppo difficoltoso. La mensa non aveva una buona nomina, ma mi era già capitato in passato di essere costretto a mangiarci e non ero mai morto. Non era cucina di gran classe, ma se sceglievi bene potevi sopravvivere. Preparai il mio vassoio e iniziai a cercare un posto dove potermi sedere. Tutti i tavoli erano stracolmi di gente ammassata quasi l'una sull'altra. Noi ultimi arrivati sembravamo delle cavie da laboratorio inserite in un labirinto: ci spostavamo seguendo l'istinto, cercando di percepire in tutto quel chiasso il rumore di qualcuno che si stava alzando per uscire, tentando di indovinare chi stava per completare il suo pranzo. Infine trovai un posto appena liberato in un tavolo in fondo alla sala. Mi sedetti ed appoggiai la mia roba. Solo dopo aver pulito il tavolo imbrattato dal mio predecessore guardai chi era accanto a me. Tre dei miei compagni di pranzo erano amici di lei. La ragazza rotondetta con i capelli corvini che le ricadevano sulle spalle, il ragazzo alto con la faccia da topo e il ragazzo dai capelli rossi. A quel tavolo c'erano anche altre due ragazze. Entrambe erano il classico esempio di ragazze fighe che sanno di essere fighe, di attirare l'attenzione dei maschi e non fanno nulla per evitarlo, anzi fanno di tutto per incoraggiarlo. A testimoniarlo c'erano le enormi scollature che lasciavano traboccare il seno. 

Cercai lei nei tavoli vicini, ma molto probabilmente era tornata a casa o era già col suo ragazzo. Mangiai il mio pranzo poco appetitoso dividendo i miei pensieri tra lei, la lezione appena passata, la lezione che mi attendeva e Naki. Quando stavo per finire, arrivò l'inseparabile della mia lei che si sedette sulle gambe della ragazza rotondetta. Gli occhi azzurro cielo, i capelli rossi che le incorniciavano il viso, il fisico slanciato, il look sempre curato e il trucco sempre presente ma mai esagerato. Era senz'altro una bella ragazza anche lei. Mi chiedevo, però, perché non fosse arrivata la mia lei. Poco dopo la vidi arrivare, sorridente come sempre. 
- Ragazzi io vado. Ci vediamo a lezione. -
- Ma ci arrivi? - le chiese l'amica.
- Devo arrivarci. - Fece una smorfia strana col viso e per un attimo mi parve di vedere i suoi occhi spegnersi. 
- Ti sta già aspettando? -
- Sì, è appena arrivato. - 
Senz'altro parlavano del suo ragazzo. Capitava spesso che la venisse a prendere per pranzo anche quando avevamo lezione il pomeriggio e la maggior parte delle volte la riaccompagnava in ritardo. 
- E brava la nostra Meg che si va a fare la trombatina di pranzo! - Disse il ragazzo con la faccia da topo senza moderare il tono della voce. 
Fortunatamente tutto il rumore che regnava in quello stanzone non permise alla sua voce di arrivare netta al di fuori del nostro tavolo. Le due ragazze erano troppo prese dai loro discorsi per dargli retta e io feci finta di non aver sentito nulla cercando anche di nascondere il fatto che il boccone che avevo appena mandato giù mi era andato di traverso. Lei, comunque, arrossì visibilmente. Salutò di nuovo velocemente con un gesto della mano e andò via ad occhi bassi. 

- Cazzo sei rincoglionito? - Lo rimproverò l'amica piantandogli una gomitata in pieno costato. 
- No, la rincoglionita sei tu! - Rispose lui piegandosi quasi in due per la botta. - Mi stavi per rompere qualcosa. -
- Avrebbe fatto bene. - Si intromise il ragazzo coi capelli rossi, usando un'aria parecchio incazzosa. - Dire queste cose così, davanti a tutti. L'hai fatta vergognare. -
- Perchè dovrebbe vergognarsi? Va a trombare col suo ragazzo. Cosa c'è di male? - 
Anche stavolta il pezzo di carne che avevo mandato giù era andato di traverso. Iniziai a tossire e a battermi sul petto. Il ragazzo dai capelli rossi venne in mio aiuto battendomi forte sulla schiena finché non mi ripresi. - Ehi amico. Tutto ok? -
- Sì, grazie. Mi è andato di traverso qualcosa. - Dissi fissando quello con la faccia da topo, poi ricominciai a mangiare. 
- Comunque sei un coglione. - Gli disse l'amica, prima di alzarsi ed andare via visibilmente alterata. 
Anch'io mi alzai dopo aver ringraziato ancora il ragazzo dai capelli rossi. Andai a posare il vassoio con tutto ciò che c'era rimasto sopra e che, ormai, non mi andava più. Raccolsi la mia borsa ed uscii. 

Aprofittando del sole che ancora risaldava bene nonostante fossimo agli inizi di novembre, mi andai a sedere in uno dei giardini che circondavano il palazzo delle aule. Ripensai a quello che era successo. Quel ragazzo meritava che la sua faccia da topo venisse rotta in quattro pezzi. Meg era scappata via sicuramente vergognandosi come una ladra. 
...Meg. Allora era questo il suo nome. Dopo più di un anno, finalmente, potevo darle un nome.

   
 
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