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Autore: Shainareth    11/03/2012    9 recensioni
*** Si ringraziano Atlantislux per l'impeccabile betaggio, Ike_ ed Erecose per l'indispensabile consulenza, e Milly Miu Miu per le bellissime illustrazioni. Nonché tutti voi lettori. ***
[Dragon Age: Origins] Ero viva per davvero? O quel disgraziato mi aveva seguita nel regno dei morti col solo intento di prendermi per i fondelli? Pensando a questa possibilità, valutai seriamente l’idea di dargli una testata sul naso. Se non lo feci, fu unicamente perché Duncan si avvicinò a noi e mi porse un boccale d’acqua. Ancora frastornata, mi misi a sedere e bevvi avidamente, come se avessi una sete insoddisfatta da giorni, cercando di mandare via l’orribile sapore che avevo ancora in bocca.
Unica precisazione: la protagonista NON è una Mary Sue. XD
Genere: Generale, Introspettivo | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Contenuti forti, Spoiler!
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- Questa storia fa parte della serie 'Nimue Surana'
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CAPITOLO TRENTACINQUESIMO - IL PRIGIONIERO DI PIETRA




Raggiungere il sud del regno, da dove mancavamo ormai da diversi mesi, non fu semplice. La Prole Oscura stava avanzando e spadroneggiando un po’ dappertutto, perciò non ci fu modo di evitare di scontrarci con essa in più di un’occasione. Dopo aver affrontato le Vie Profonde, però, dove quella maledetta piaga brulicava come formiche in un formicaio, mi resi conto che in me non c’era più l’antica paura che mi aveva assalita la prima volta che ci avevo avuto a che fare nelle Selve Korcari, non troppo distanti da dove ci trovavamo ora. All’epoca, in effetti, ero solo una maga appena reduce dal Tormento, costretta ad arruolarsi fra i Custodi Grigi per sfuggire all’ira dei templari. Una maga che, dall’età di cinque anni, non aveva mai messo piede fuori dalla Torre del Circolo e che tutto ciò che conosceva del mondo oltre quelle mura lo aveva visto da una delle finestre: la distesa d’acqua del Lago Calenhad, le luci della Principessa Viziata, le sponde di Redcliffe e il profilo ancor più lontano delle Montagne Gelide perennemente innevate. Non c’era da stupirsi, dunque, se quando Duncan mi aveva accompagnata oltre la soglia di Kinloch Hold ero stata presa da un subitaneo smarrimento e da un vago senso di panico che mi aveva indotto a guardarmi sempre alle spalle e ad aver paura della mia stessa ombra – e non era da escludere che Duncan avesse avuto dei ripensamenti riguardo alla recluta scelta nel Circolo. Ma prima di allora, l’ultima volta che ero stata all’aria aperta, dopotutto, avevo assistito al dramma di mia sorella, avevo quasi ammazzato i suoi assalitori e due energumeni in armatura mi avevano portata via dall’enclave per sempre. Tutto quello che era venuto dopo, da Ostagar in poi, mi aveva fortificata non poco, facendomi rendere conto di quali fossero davvero le mie capacità. E, tuttavia, non ero troppo sicura che mi piacesse quello che stavo diventando.
   Honnleath non distava troppo da Redcliffe, in realtà, pertanto supponemmo che le terre dell’Arle sarebbero state prese di mira in tempi più o meno brevi. Dovevamo affrettarci nel sistemare le cose una volta per tutte, mettendo fine per lo meno alla guerra civile che impediva al Ferelden di riorganizzare le forze e fare fronte comune contro il vero problema del nostro regno.
   Ad accoglierci trovammo alcune colonne di fumo scuro che si levavano turbinosamente verso il cielo e dei corpi sventrati appesi per la gola alle porte del villaggio. Tutt’intorno, sangue. Il ronzio fastidioso e prepotente che Alistair e io avvertivamo nella testa ci avvisava che quel posto pullulava di prole oscura, e Morrigan si offrì di andare in esplorazione al posto nostro sotto le solite sembianze di corvo. Tornò poco dopo, riferendoci che tutti gli edifici che circondavano la piazza principale erano stati dati alle fiamme da un gruppo piuttosto consistente di nemici e che il golem c’era per davvero.
   «Si trova al centro del villaggio», ci spiegò. «Se non avessimo già visto l’esercito di Caridin lo avrei scambiato per una statua.»
   «Non è attivo?»
   «No, non pare reagire a nessuno stimolo, anche se quando mi ci sono poggiata sopra con le zampe, ho avvertito una certa aura maligna provenire da esso.»
   Quella notizia mise di malumore Alistair, che subito si volse a guardarmi. «Potrebbe essere pericoloso.»
   «Potrebbe», non potei fare a meno di negare. «Vuoi tornare indietro? Senza nemmeno accertarci che ci siano superstiti tra gli abitanti?»
   Tornò a prestare attenzione alla strada davanti a noi con uno sbuffo. «Combattere la Prole Oscura è nostro compito», replicò soltanto, senza più questionare sull’argomento.
   Bisognava escogitare un piano e fu Leliana a farlo per conto nostro: poiché lei era abituata ad arrampicarsi anche nei posti più impensati grazie al suo vecchio lavoro di spia, si propose di costituire, insieme a Morrigan, la forza d’attacco che avrebbe fatto fuoco dall’alto, abbattendo i primi nemici e coprendoci le spalle. «Dai tetti degli edifici ci sarà anche più facile tenere la situazione sotto controllo, e se saremo abbastanza in gamba da non farci scoprire subito, potremmo riuscire a farne fuori diversi prima che voi siate costretti a intervenire.»
   E mentre lei spariva cautamente tra i vicoli più vicini e la figlia di Flemeth tornava ad assumere le sembianze di un uccello per planare poi tra le cime degli edifici, noialtri avanzammo lentamente e senza abbassare le armi verso il punto che Morrigan ci aveva indicato, lo stesso dal quale proveniva il ronzio più forte.
   La prima cosa che vedemmo fu in effetti il golem, circondato da un drappello numeroso di prole oscura. Se ne stava immobile al centro di un’aiuola recintata che ancora rimaneva miracolosamente intatta. Era enorme e identico a quelli che Branka ci aveva scagliato contro e allo stesso Caridin. Di colpo mi ricordai che anch’io, quando ero stata nell’Oblio a causa del Demone della Pigrizia incontrato durante la nostra spiacevole avventura alla Torre del Circolo, mi ero trasformata in uno di quei giganti di pietra. A differenza loro, però, avevo mantenuto la mia autonomia di movimento e di pensiero, mentre quello che avevamo davanti ai nostri occhi, adesso, doveva essere stato prigioniero della volontà degli altri – e lo era ancora, probabilmente.
   Un sibilo annunciò l’inizio dello scontro e la prima freccia di Leliana trafisse un genlock alla base del collo, facendolo crollare al suolo con un rantolo strozzato. I suoi compagni si affrettarono a mettere mani alle armi, guardandosi tutt’intorno per capire cos’era accaduto. Un secondo di loro fece la medesima fine e poi un altro ancora. A quel punto, individuato il nostro arciere sulla cima di una casa, furono pronti ad assalirlo in qualche modo; lanciarono un grido di guerra, ma durò un attimo, perché tutti loro furono sbalzati a terra dalla potenza di una palla di fuoco che, dall’alto, si abbatté spietata sui loro corpi. Le urla agghiaccianti di quegli esseri immondi ci ferirono le orecchie e l’odore acre e pungente della loro carne bruciata ci diede il voltastomaco. Tuttavia non potevamo esitare: quello era il nostro momento. In un attimo la nostra prima linea, costituita da Alistair, da Oghren e da Merlino, fu addosso ai nemici e grazie alle altre frecce di Leliana e agli incantesimi circoscritti che io, Wynne e Morrigan riuscimmo a lanciare senza ferire i nostri compagni riuscimmo a concludere quello scontro senza gravi conseguenze, a dispetto del numero degli avversari.
   «Quindi… è questo», mormorò il nostro Principe quando, non trovando nessuno nei dintorni tra prole oscura e abitanti, ci avvicinammo indisturbati all’aiuola. Si passò il dorso di una mano sul volto, sporcandosi di sangue scuro senza neanche accorgersene, preso com’era da quella grossa figura di pietra. A guardarla attentamente, aveva qualcosa di diverso dagli altri golem in cui ci eravamo imbattuti nelle Vie Profonde: era ricoperto di escrementi di uccello. Oh, e poi aveva dei bellissimi cristalli luminosi incastonati sulle spalle, sugli avambracci e sui polpacci. «Tira fuori quell’affare e attivalo, prima ch’io cambi idea», mi disse Alistair con un sospiro.
   Misi mano alla scarsella e presi l’involucro di stoffa che mi aveva affidato il Primo Incantatore. Mi ritrovai fra le mani una verga di controllo molto simile a quella che avevamo visto utilizzare a Branka durante lo scontro davanti all’Incudine del Vuoto, e la sola idea di dovermi comportare nello stesso modo di quella pazza mi fece venire la nausea.
   «Che c’è?» domandò Morrigan, inarcando le sopracciglia come tutte le volte che era sul punto di prendermi in giro. «Ci hai ripensato?»
   «No», risposi, più per orgoglio che per altro. «Mi stavo solo immaginando come potesse essere quella che avrei usato su di te nel qual caso ti avessimo dato ascolto, quella volta.»
   «Te l’ho mai detto che ti amo?» mi fece sapere Alistair in tono appassionato, mentre la nostra compagna ringhiava qualcosa fra i denti e andava a spegnere il fuoco appiccato alle case con la magia, tanto per potersi sfogare in qualche modo.
   Sentimmo Leliana richiamare Merlino con una certa ansia e ci girammo appena in tempo per vedere il mio cane annusare una delle gambe del golem con fare interessato. Ci avrebbe fatto su la pipì, ne ero certa. «Merlino!» vociai. Lui, che aveva già sollevato la zampa da terra, mi guardò con quei suoi occhi intelligenti. «Non farlo! Vieni qua!» Uggiolò per il modo perentorio e brusco con cui mi ero rivolta a lui, ma obbedì prima che fosse troppo tardi. Mi venne vicino con le orecchie basse e la corta coda all’ingiù, e subito lo afferrai per il collare, dandolo in consegna a Oghren, molto più forte di me – non che ci volesse molto ad esserlo.
   «Qual era la formula?» chiese Wynne, scrutando anche lei con un certo interesse la verga di controllo. «Irving ve l’ha detta, suppongo.»
   Annuii. Tornai a rivolgere la mia attenzione al golem e, infine, pronunciai: «Dulef gar
   Per qualche lungo attimo rimanemmo in silenzio, udendo solo il respiro affannato di Merlino e lo scoppiettio delle ultime fiamme che ancora ci circondavano. Ma non accadde nulla.
   «Sicura che fosse quella giusta?» volle sapere Leliana.
   «Ho una buona memoria per le formule», le spiegai. Tutti i maghi dovevano necessariamente averla per non rischiare di combinare guai con la magia che regolavamo per mezzo delle parole.
   «Forse è quella del Primo Incantatore che comincia a fare cilecca», ipotizzò allora Alistair, guadagnandosi uno sguardo scettico da parte mia e di Wynne. «Andiamo», riprese facendo cenno verso di me. «L’hai sentito anche tu che s’è scordato il nome Connor. Com’è che l’ha chiamato? Connolly?»
   Fummo distratti di nuovo da Merlino. O meglio, da ciò che Oghren stava tentando di fargli. «Sta’ fermo, stupido cane!» La bestia scrollò il capo. «Ecco, da bravo… Oghren è tuo amico», le garantì il nano, facendole alcune carezze sul manto bruno. «Stai fermo, ora…» Sollevò una delle corte gambe e fece per passarla oltre il dorso di Merlino, ma lui guaì e si sottrasse alla sua presa, scappando e facendolo capitombolare a terra. «Torna indietro!» gridò il guerriero, cercando di riguadagnare goffamente una posizione comoda. «Non ti ho ancora messo la sella!»
   Mi passai stancamente una mano sul volto, ripromettendomi di non affidare mai più il mio cane a Oghren. «Ci rinunciamo, allora?» mi sentii domandare da Alistair.
   Scrollai le spalle e mi rigirai la verga di controllo tra le dita. «Suppongo di sì, visto che non abbiamo idea di come far funzionare questo affare.»
   «In tal caso», riprese l’altro Custode Grigio con un sospiro, «proporrei di girare ancora qui intorno in cerca di superstiti.»
   Così facemmo e solo dopo aver girovagato a vuoto per alcune abitazioni in parte distrutte Leliana trovò un passaggio che portava a una cantina. Scendemmo di sotto e subito Alistair, grazie ai suoi sensi di templare, ci informò di avvertire della magia nell’aria; ma né io né Wynne né Morrigan ne stavamo facendo uso. Procedemmo gradualmente in quegli spazi bui e angusti e, quando fummo all’altezza di alcune grossi botti di birra a cui Oghren si abbeverò senza tanti complimenti, trovammo gli abitanti del villaggio. Si erano rintanati lì sotto, almeno quelli che erano riusciti a sfuggire alla Prole Oscura, forti anche della barriera magica che li proteggeva e che uno di loro disattivò solo quando si resero conto che il pericolo era finito e che eravamo lì per aiutarli.
   L’uomo che aveva fatto svanire la barriera non sembrava un mago, però. «Siete… Siete stati mandati qui dal Bann, vero? Per salvarci?»
   «No, a dire il vero siamo Custodi Grigi…»
   «Sia lodato il Creatore per la nostra fortuna, allora!» esclamò, sgranando gli occhi per la sorpresa. «E cosa ci fate qui?»
   «Un mercante ci ha parlato di questo villaggio», risolse di rispondere Wynne, non volendo mettere di mezzo il Primo Incantatore a cui era devota.
   Sulle prime l’altro ci fissò con aria smarrita, ma poi sospirò. «Oh, credo di capire. Riguarda Shale, vero?»
   «Shale?»
   «Quel dannato golem non ha fatto altro che portarci guai», ci spiegò con un certo fastidio. «Mia madre vendette la verga di controllo anni fa, dopo che esso uccise mio padre. Fu una liberazione.»
   «Uccise vostro padre?» lo interruppe Alistair, non capendo. «Che volete dire?»
   «Mi chiamo Matthias. Mio padre Wilhelm era il mago dell’Arle di Redcliffe ed era anche uno degli eroi della guerra contro Orlais.»
   Se ancora avessi avuto dei sospetti sulla nostra fortuna, di certo in quel momento essi furono del tutto dissipati: imbattersi giusto nel figlio di Wilhelm non era forse la cosa migliore che potessimo aspettarci?
   «E cosa ci guadagnò?» continuava a parlare lui in tono sempre più indignato. «Un giorno mia madre lo trovò con le ossa talmente rotte da riconoscerlo a stento. E Shale era lì, come lo è tuttora.» Alistair schioccò la lingua e mi lanciò un’occhiata eloquente. «Mio padre meritava certamente di meglio. Ma se volete Shale, prendetevela. Almeno mi libererete della sua presenza.»
   «A dire il vero…» stava per dire, ma Morrigan si intromise, coprendo la sua voce.
   «Questo luogo è curioso. Dove siamo?» domandò, guardandosi attorno. Non aveva torto, in effetti, poiché l’aria era ancora impregnata di magia, eppure Matthias continuava a non dare segni di usarla.
   «Nel laboratorio di mio padre», c’informò. Esitò e proseguì con espressione preoccupata. «Sentite… Lo so che mi avete già salvato la vita e che forse, anzi sicuramente, avete cose più importanti a cui pensare… però… Mia figlia. Si è spaventata a causa dell’attacco ed è scappata in fondo al laboratorio, oltre quei cunicoli laggiù», ci spiegò, mostrandoci che in realtà quel luogo era molto più vasto di quello che poteva sembrare sulle prime. «Non so come abbia fatto a passare oltre le difese di mio padre.» Non lo sapevamo neanche noi, ma questo spiegava la presenza di quella barriera magica, forse. «Un uomo ha provato a cercarla, ma… non è più tornato. Temo possa essere stato ucciso.»
   «Da cosa?»
   Matthias si strinse nelle spalle. «Io sapevo della barriera e avevo la chiave del laboratorio, però… del resto non so nulla. Non mi sono mai spinto così in profondità.» Tornò a balbettare, spostando il peso del corpo da un piede all’altro. «Amalia… Mia figlia… potrebbe essere rimasta ferita. Per favore… potreste aiutarmi a cercarla?»
   «Nessun problema», garantì Alistair per tutti, pronto come sempre a prendere le difese dei più deboli. E si avviò mentre l’uomo stava ancora finendo di ringraziarci.
   Gli fui subito dietro insieme agli altri, spaventata che potesse accadergli qualcosa. «Non sappiamo cosa si celi oltre questo punto», gli feci notare, cominciando ad avvertire quel lato assai poco onorevole del mio carattere prendere il sopravvento.
   «Vuoi lasciare quella bambina sperduta e in pericolo di vita?»
   «No, certo che no!»
   Mi sorrise con tenerezza. «Se sono magie, posso passarci oltre senza correre rischi, l’hai dimenticato?»
   No, non avevo dimenticato che ero una maga masochista con la tendenza a invaghirsi dei templari, ma andare incontro all’ignoto continuava a terrorizzarmi. La Torre del Circolo era stata una prigione così accogliente per troppi anni, era ovvio che, nonostante tutto quello che avevamo passato fino a quel momento, di tanto in tanto io mi facessi ancora prendere dall’ansia al pensiero di non avere certezze riguardo a quello che avrei trovato lungo la mia strada. Tuttavia avevo proposto io di andare a Honnleath e ora che c’ero non aveva senso tirarsi indietro.
   «Forse quel tizio potrà dirci qualcosa di più sul golem», suppose Morrigan. «Magari sa qual è la formula esatta per attivarlo.»
   «Non posso crederci… Volete ancora farlo dopo quello che ci ha raccontato Matthias?» non se ne capacitò Alistair, continuando ad avanzare e a prestare attenzione a dove metteva i piedi, visto che quel sotterraneo cominciava a farsi sempre più simile a un tunnel scavato alla buona, con passerelle di legno pericolanti sopra cui penzolavano le radici di alcuni alberi.
   «Per essere precisi, Matthias ha detto che il golem era lì dov’è ancora adesso, quando fu trovato il corpo di suo padre», lo corresse Leliana, abituata da sempre a fare maggiore attenzione ai dettagli e alle informazioni di cui veniva in possesso. «Non ci ha detto che è stata proprio quella creatura a ucciderlo, né credo ne abbia le prove.» Alistair fece per ribattere ma ci ripensò quasi subito, limitandosi a sbuffare e a borbottare qualcosa che persino io non fui in grado di afferrare.
   Alla fine, comunque, riuscimmo ad arrivare fino in fondo al laboratorio senza grossi intoppi visto il valido addestramento che lui aveva ricevuto quand’era stato costretto a studiare all’abbazia dei templari. Trovammo anche il corpo dell’uomo che era andato in cerca della bambina e ci ripromettemmo di riportarlo indietro quando fossimo riusciti a trovare anche lei.
   Scoprimmo però che Amalia si era spinta nell’ultimo antro di quel posto e che adesso, ridendo spensierata, se ne stava acquattata a terra a coccolare un gatto dal manto rosso. Merlino ringhiò, ma non si avvicinò né l’altra bestia parve scomporsi per la nostra visita. La ragazzina alzò lo sguardo, invece, ed esclamò: «Oh, guarda! È arrivato qualcuno per giocare con noi!»
   «Sei Amalia, vero?» le domandò Leliana. «Tuo padre è preoccupato per te. Seguici, ti porteremo da lui.»
   «Non voglio andarci ora», rispose la bambina, imbronciandosi e abbracciando il gatto. «Non posso lasciare Micia da sola.»
   «Puoi portarla con te.»
   Scosse le treccine bionde e mormorò: «Micia dice che non può uscire da questo posto.»
   Sicuramente non fui l’unica ad essere sul punto di domandarle il perché, eppure a parlare non fu nessuno di noi. «Sei così gentile, Amalia… Se tu te ne andassi, mi mancheresti molto.» Quella voce, spettrale e profonda, ci fece sobbalzare tutti. Proveniva da qualcuno o piuttosto da qualcosa.
   La prima idea che mi venne in mente fu che doveva trattarsi di un qualche marchingegno di Wilhelm. La seconda, che a parlare era stato il gatto. Merlino me lo confermò abbaiando e rimanendo fermo davanti a me, come volesse farmi da scudo. Sospirai.
   «Quello non è realmente un gatto.» Quella di Morrigan non era una domanda.
   Amalia parve scandalizzata. «Certo che è un gatto! È solo che parla», ci spiegò come se fosse stata una cosa normalissima.
   «Parlare è semplice, se sai come fare», aggiunse Micia. Se non fossi stata una maga e non avessi già avuto una buona istruzione teorica e pratica riguardo a certe faccende, di certo avrei pensato di essere impazzita.
   «Non sapevo che qui sulla superficie quelle cose di pelo potessero parlare», constatò Oghren, studiando il presunto gatto con aria curiosa. «Avete delle bestie intelligenti, quassù.»
   «Cosa sei realmente?» domandò Wynne a Micia, ignorando le convinzioni del guerriero di Orzammar – anche perché non c’era tempo per spiegargli come stavano le cose.
   «Sono un gatto, davvero», si sentì rispondere. La voce proveniente dalla bestiola cominciò a ridere. «Niente di tutto ciò che direte convincerà Amalia… Lei ora ama solo me.»
   «Cos’è, esattamente?» chiese Alistair sottovoce, avendo ormai intuito di cosa si trattava. «Un Demone del Desiderio?» Annuii silenziosamente e lui fece una smorfia sconsolata. «Perché proprio quello?» si lagnò, ricordando bene l’infelice esperienza passata alla Torre del Circolo, prima che venissimo catapultati tutti nell’Oblio.
   «Sono stata legata a questo posto per troppo tempo da quel dannato mago», riprese a parlare Micia, rivelandoci così che Wilhelm la stava trattenendo nel suo laboratorio. Ma a che scopo? Forse la sua corrispondenza con il Primo Incantatore Arlen avrebbe potuto svelare l’arcano, tuttavia difficilmente saremmo venuti a capo della faccenda. «Liberatemi, mortali, e lasciatemi la bambina. Con essa tornerò da suo padre e vedrò il mondo con occhi diversi.»
   Non c’era neanche da pensarci, a una cosa simile. Però il demone era troppo vicino ad Amalia e rischiava di possederla alla nostra prima mossa falsa. Ci occorreva del tempo o comunque un espediente per far sì che si allontanasse da lei.
   «In che modo dovremmo liberarti?» s’interessò di sapere Morrigan. Vista la frequenza con cui differivano i nostri metri di giudizio sul bene e sul male, ebbi come la sensazione che quella domanda nascondesse un sincero interesse e la cosa mi mise i brividi.
   Grazie al Creatore, Micia balzò dal grembo della bambina e, dopo essersi stiracchiata, zampettò al centro dell’antro, illuminato da un fuoco che pareva perenne. «Questa stanza è disseminata di sigilli magici. Solo una creatura mortale può avvicinarsi a essi.»
   «Quindi se li distruggessimo, tu saresti libera di riprendere le tue sembianze?» chiesi con circospezione.
   «Esattamente.» Se lo avesse fatto forse sarebbe stato più pericoloso per noi, ma almeno Amalia non si sarebbe messa di mezzo.
   Avanzai con cautela verso di loro, e subito Alistair e Wynne mi furono dietro, mentre Merlino si ostinava a camminarmi accanto e a fermarsi davanti a me. «D’accordo. Ti libereremo.» Era talmente folle, come risposta, che pronunciata dalla bocca di un’esorcista ormai collaudata come lo ero io non lasciava adito al dubbio che stessi bluffando. Nessuno dei miei compagni difatti si scompose e, anzi, mi lasciarono agire, dandomi persino una mano a distruggere i sigilli di Wilhelm.
   Quando anche l’ultimo fu rimosso, il fuoco al centro dello spiazzo ebbe un guizzo più forte e dal gatto si sprigionò una luce ancora più accecante che fece spaventare Amalia, già fatta da noi indietreggiare subdolamente con la scusa di cercare i sigilli. «Che succede?!»
   «Corri da tuo padre se non vuoi vedere un demone», l’avvisai io stessa, pronta a metterle ancora più paura pur di allontanarla da lì. La bambina non se lo fece ripetere due volte e subito scappò via.
   La luce svanì e al posto di Micia comparve un corpo sinuoso che stava ancora finendo di contorcersi nel tentativo di riprendere le proprie sembianze di bellissima, invitante fanciulla, identica in tutto e per tutto a quelle che avevamo visto a Kinloch Hold e nell’Oblio.
   «Palle di bronto!» fu la curiosa esclamazione che si lasciò scappare Oghren, affascinato da quello spettacolo che probabilmente vedeva per la prima volta in vita sua.
   «Non lasciatevi ingannare», lo mise in guardia Alistair, comprendendo benissimo quale effetto doveva fare su di lui quel dannato demone. «Se dovesse farvi delle proposte, non pensate neanche lontanamente di accettarle!»
   Il nano fu sul punto di protestare, ma non fece in tempo ad aprire bocca perché Micia – se così ancora potevamo chiamarla – si guardò attorno in cerca di Amalia. «Dov’è la bambina?» domandò, senza ottenere risposta. I suoi occhi scuri si restrinsero in due fessure maligne. «Voi… mi avete tradita», ringhiò con voce cavernosa.
   «Avevamo detto che ti avremmo liberato, non che ti avremmo lasciato la bambina», le fece notare Wynne, già pronta a dare inizio alla battaglia. «Ora!» esclamò, lanciando il primo di una serie di attacchi che, tra ghiaccio, fuoco, terra e lame affilate, quasi non diede modo al demone di rendersi conto che ormai la sua fine era giunta.
   Quando Micia si accasciò su se stessa e poi sparì, provai un grosso sollievo. «L’ho già detto che odio i Demoni del Desiderio?» C’era da capirmi, visti quello che aveva provato a sedurre Alistair alla Torre del Circolo, quello che si era impossessato di Connor e quello che avevo affrontato nell’Oblio prima di arrivare al Demone della Pigrizia che teneva prigionieri me e i miei compagni e che aveva ucciso il povero Niall.
   «Perché sono più sinuosi di te?» infierì Morrigan, infastidita da quanto appena accaduto. Per noi che ormai la conoscevamo piuttosto bene era facile intuire che l’aver ingannato quella creatura non le era andato giù; probabilmente, come sua madre, anche lei aveva una predisposizione a parlare con spiriti e demoni senza temere nulla. All’epoca nutrivo una fiducia talmente ben radicata nei suoi confronti che mi rifiutavo anche solo di ipotizzare che, magari, anche Morrigan era un Abominio come Flemeth. Forse la mia non era altro che paura di ritrovarmi ancora una volta tradita da una persona amica. O, peggio, avevo soltanto bisogno di aggrapparmi a delle certezze, giuste o sbagliate che fossero, salde al punto da consentirmi di continuare a voler vivere nonostante quella situazione disperata.
   «Sono molto contenta di quello che sono, sai?» ribattei, decidendo di non darle soddisfazioni. Non era propriamente la verità, ma per fortuna non ho mai avuto evidenti complessi sul piano fisico, preferendo accettarmi per quella che sono piuttosto che perdermi dietro ulteriori fisime; ne avevo – e ne ho – già tante a livello psicologico, dopotutto.
   Una volta tornati sui nostri passi, portandoci dietro anche il corpo dell’uomo che si era sacrificato nel vano tentativo di salvare Amalia, trovammo quest’ultima, ancora in lacrime, aggrappata al collo di suo padre. Matthias ci aveva aspettati all’uscita del laboratorio e non appena ci vide si profuse immediatamente in ringraziamenti, mentre altra gente ci veniva incontro per alleviarci del peso del defunto e piangere la sua scomparsa. Parlammo del demone, ma Matthias giurò di non sapere nulla degli esperimenti condotti negli anni passati da suo padre né sapeva altro riguardo a Shale a parte la formula corretta che ci avrebbe consentito di liberarlo. Ce la rivelò purché portassimo via dal villaggio quel gigante di pietra.

Scrutai Shale con attenzione. «Oghren… dentro questo golem c’è l’anima di un nano, vero?»
   «Aye», rispose lui. «Caridin li forgiava così. Fu lui a creare i primi golem con quel maledetto aggeggio che ho distrutto. Non dirmi che l’hai dimenticato?»
   «Affatto», gli assicurai, accigliata. Non era un gradevole ricordo, quello. «Il che significa che questa povera creatura, pur rimanendo immobile, è viva.» Ciononostante, se l’avessimo liberata, avrebbe comunque vissuto una vita in schiavitù per colpa della verga di controllo che stringevo nel pugno. Cos’avrei dovuto fare? Nessuno dei miei compagni, a parte Alistair, aveva espresso un’opinione in merito. Mi ritenevano forse capace di prendere quella decisione da sola? Certo avrei potuto dare ascolto al mio compare, però…
   «Sei… sicura di voler portare questa… cosa con noi?» mi sentii domandare ancora una volta proprio da lui. Quindi il suo non era proprio un no, giusto? Non mi stava vietando di attivare il golem? «Potrebbe essere pericolosa, grossa com’è.»
   Reputando poco gentile dirlo davanti a Shale, benché in quel momento fosse del tutto simile a una scultura, lo presi per un braccio e lo invitai a seguirmi poco lontano da lì sotto gli occhi perplessi degli altri membri del nostro gruppo. «Potremmo considerarla un ariete portatile», bisbigliai, in modo che potesse sentirmi soltanto lui.
   Alistair inarcò le sopracciglia chiare, mostrando finalmente cenni di cedimento. «Un valido punto. Meglio lei che me, a ogni modo.»
   «A Orzammar hanno stimato che un golem possiede la forza di una dozzina di nani. Pensa, avremmo un piccolo esercito di Oghren a portata di mano.»
   Stirò le labbra in un’espressione dubbiosa. «Non oso immaginarne l’odore. E il rumore, anche.»
   «E magari potrebbe aiutarci a combattere Flemeth», aggiunsi allora io, dando voce al mio animo pavido.
   Alistair sospirò pesantemente. «Va bene», mi accontentò infine, come al solito. «Ma lo attivi tu. E te ne assumi tutta la responsabilità, visto che sei il nostro capo.»
   Da quanto tempo non glielo sentivo dire? Parecchio, tanto che speravo se ne fosse dimenticato. E invece quel disgraziato riportò a galla la questione proprio adesso che avevo bisogno di un po’ di sostegno morale. Bofonchiai di malavoglia qualcosa che avrebbe dovuto suonare come un assenso e tornammo insieme dai nostri compagni, davanti a Shale.
   «Che avete deciso?» s’incuriosì Leliana.
   «Lo attivo. State indietro.» Quindi, tenendo la verga davanti a me con entrambe le mani, scandii bene le parole: «Dulen harn
   Trattenemmo il fiato. Quella che fino a un attimo prima era parsa una statua cominciò a tremare: la sua testa si mosse, le sue spalle ebbero un fremito e infine, con uno scatto secco, sferrò un pugno e poi anche l’altro a mezz’aria, facendoci esclamare per la sorpresa. Per la paura, indietreggiai al punto da inciampare su Merlino che si trovava alle mie spalle e caddi a terra senza che gli altri, troppo presi da quel prodigio, potessero afferrarmi in tempo. Quando riuscii a rivolgere di nuovo la mia attenzione a quello che stava accadendo, non prima di essermi avvinghiata al collo del mio cane presso cui cercai protezione, scoprii che Shale mi stava fissando con i suoi occhi non più spenti. Si trattava di due fessure scavate nella roccia del volto, luminose come lo erano anche le rune e i cristalli presenti sul resto del suo corpo.
   Mi sentii improvvisamente a disagio. E rimasi ancor più sbigottita quando il golem schiuse quelle che dovevano essere le sue labbra e disse con voce chiara e ambigua: «E naturalmente è toccato a un altro mago.» Indietreggiammo ancora di qualche passo. Io lo feci strisciando sulle ginocchia, ma Shale continuava a indirizzare il suo sguardo proprio nella mia direzione. «Essa è una maga, vero? La mia solita fortuna.»
   Di colpo avvertii tutti gli occhi dei presenti fissi su di me. Vigliacchi, pensai ipocritamente con un moto di stizza, benché fossi stata proprio io ad assumermi ogni responsabilità riguardo a quella faccenda.
   «La… La mia solita fortuna?» balbettai, chiedendo indirettamente spiegazioni e rimettendomi in piedi con fare maldestro.
   «Oh, immagino che mi coccolerà come ha fatto l’ultimo mago. Sempre ad agitare la sua lingua.» Shale sospirò. Era incredibile il modo in cui, a dispetto delle apparenze, essa – o ella? – apparisse simile a noi in certi atteggiamenti. «Me ne sono rimasta qui in questo punto a osservare questi dannati paesani girarmi intorno per… non so nemmeno per quanto tempo. Molti, molti anni.»
   «E gli abitanti del villaggio non avevano idea di essere osservati?» si permise di intervenire Alistair, ritrovando anche lui il dono della parola. «Inquietante.» A me lo sembrava anche l’aver lasciato imprigionata quella povera creatura così a lungo.
   «Oh, povero caro!» si lasciò sfuggire difatti Leliana in un atto di commiserazione. «Dev’essere stato davvero, davvero noioso.»
   «In tal caso», cominciò Morrigan, intrecciando le braccia al petto, «ci si potrebbe chiedere se non dovresti essere grato a chi ti ha permesso di sgranchirti le gambe, golem.»
   «Un’altra maga, vedo. E un’altra ancora. Affascinante», osservò Shale, facendo scorrere lo sguardo anche su lei e Wynne. «Iniziavo ad abituarmi alla quiete. Ditemi, i paesani sono tutti morti?»
   «Perché sembra che la cosa non ti preoccupi?»
   «Come si dice, confidenza toglie riverenza, e dopo tanti anni passati come pubblico obbligato avevo una confidenza assoluta con quei paesani. Non che auguri loro del male, no, ma sarebbe stata una deliziosa novità.»
   L’unico golem con cui avevo avuto a che fare in modo realmente pacifico, nonostante tutto, era stato Caridin. Anche lui parlava, e questa particolarità che Shale aveva in comune con lui iniziava a darmi un po’ di coraggio: per lo meno potevo provare a ragionarci. «Hai… assistito all’attacco?»
   La creatura di pietra tornò a concentrarsi su di me. «Non quanto essa penserebbe. Ci sono state urla e gente in fuga… e poi giorni e giorni passati a osservare i prole oscura che si aggiravano per il villaggio. Non avrei mai pensato che potesse esserci qualcosa di meno interessante dei paesani, ma così è stato.» Il fatto che non temesse coloro che costituivano la piaga che si stava abbattendo sul Ferelden mi rincuorò ulteriormente. «Beh, continuate, dunque. Sentiamo, qual è il comando di essa?»
   Corrucciai la fronte. «Perché ti rivolgi a me in terza persona?»
   Shale scrollò rumorosamente le spalle. «Un radicato senso di ostinazione. L’ultima persona che stringeva quella dannata verga di controllo mi chiamava golem. “Golem, prendimi la sedia.” “Golem, da bravo, schiaccia quel bandito.” E non dimentichiamoci di “Golem, tirami su, sono stanco di camminare.”» Che vita orrenda doveva aver passato quella poveretta… Mi convinsi che avevo fatto bene a insistere per attivarla. «Essa… deve avere la verga di controllo, vero? Sono sveglia, quindi… deve…» Esitò e poi non disse altro.
   «Qualcosa non va?»
   «Sì», mi rispose con una certa confusione. «Io vedo la verga di controllo, eppure sento…» Tentennò di nuovo. «Avanti, ordinatemi di fare qualcosa.»
   «Cosa?» mormorai scioccamente. «Perché?» Suppongo che dovesse essere la domanda più stupida che il possessore di un golem potesse rivolgere a quest’ultimo.
   «Oh, andiamo. Sarà divertente», mi garantì Shale.
   Avevo le mie perplessità, ma poiché ella insisteva preferii non questionare. «Ehm… D’accordo. Vai laggiù.» E allungai un braccio verso un punto qualunque.
   Lei rimase ferma e in silenzio per alcuni istanti. Poi considerò quasi fra sé: «E… niente? Non sento niente. Non provo l’impulso di eseguire l’ordine.» Oh. E questo era un male? Una delle sue grosse dita di pietra si mosse verso ciò che tenevo fra le mani ed io m’irrigidii tutta. «Forse la verga è… rotta?»
   «Non… Non dovresti esserne felice?» Io lo ero, perché in questo modo avrei potuto lavarmene le mani riguardo alla sua prigionia. Non sarei mai stata la sua burattinaia e tanto mi bastava. Rimaneva però una spinosa questione: che avrebbe fatto, Shale? Ci avrebbe seguiti di sua spontanea volontà, se ne sarebbe andata per la sua strada o avrebbe sfogato su di noi tutta la sua frustrazione di quei lunghi anni d’attesa?
   «Immagino che se non posso essere comandata…» prese a ragionare fra sé a mezza voce. «Significa che ho libero arbitrio? È semplicemente…» S’interruppe e alzò di nuovo lo sguardo su di me, come se avessi potuto rispondere alle sue perplessità. «Cosa dovrei fare? Non ho ricordi, a parte l’aver fissato questo villaggio così a lungo. Non ho uno scopo… Mi ritrovo un po’ smarrita», ammise. E sebbene quello non fosse il momento adatto per farlo, mi chiesi perché mai Shale continuasse a rivolgersi a se stessa al femminile. «Essa cosa può dirmi? Sicuramente mi ha svegliato per un motivo, no? Cosa intendi fare di me?»
   Che brutta domanda. Se prima avevo accarezzato l’idea di portarmela appresso come ariete portatile e come schiaccia-Flemeth, adesso che avevo sentito quello che le era capitato non avevo davvero più cuore di avanzare una simile, crudele richiesta.
   «Non intendo fare nulla con te», risposi. Alistair si voltò a guardarmi di scatto ed io mi sentii miserevolmente in colpa nei suoi confronti. Sperai di essere in grado di farmi perdonare anche questo, da lui.
   «Ah», esclamò Shale, riportandomi con i piedi per terra. «Questa sì che è una sorpresa. Ma gradita. Immagino di avere due opzioni, no? Proseguire con essa o… andare altrove?» Ringraziai il Creatore che non avesse preso in considerazione quella di frantumarci le ossa. «Io… non so nemmeno cosa ci sia oltre questo villaggio…»
   Fu un nuovo colpo basso, quello. Si poteva davvero arrivare a provare dei sentimenti verso un ammasso roccioso? Sì, perché al suo interno albergava l’anima di una creatura vivente. E per di più aveva vissuto ciò che era successo a me alla Torre del Circolo: la prigionia. Mi illusi di provare una certa empatia nei suoi confronti.
   «Tu cosa vuoi fare?» le chiesi, avvicinandomi finalmente di qualche passo e fissandola dalla mia bassa statura. Come tutti i golem, anche lei mi metteva in soggezione, tuttavia cercai di ignorare la paura, per una volta.
   «Ho osservato questo villaggio così a lungo senza potermi muovere o reagire. I miei ricordi precedenti sono… vaghi, nel migliore dei casi. Quindi non ho idea di che cosa voglio fare. Sono felice di potermi muovere, questo non basta?»
   Certamente sì. Ora che ci pensavo, però, avevo una domanda ben legittima da porle, benché non sapessi in che modo farlo. Mi schiarii la gola. «Ehm… Ci hanno detto che… hai ucciso il tuo precedente padrone…» farfugliai, pronta ad avvalermi della mia velocità da elfo per sfuggire ai suoi movimenti lenti e pesanti.
   «L’ho fatto?» volle sapere da me Shale, forse non capendo bene come prendere quella notizia. O almeno così credetti ingenuamente. «Ricordo di aver avuto un padrone. Il mago con le sopracciglia folte che mi pungeva, mi punzecchiava e sbraitava ordini. L’ho ucciso io? Spero di sì. Forse l’ultimo comando che mi ha dato è stato: “Golem! Smettila di schiacciarmi la testa!” Ah!» Mi si ghiacciò il sangue nelle vene, tanto che temetti di non avere i riflessi abbastanza pronti per scattare lontano nel qual caso le fosse venuto in mente di fare lo stesso con me. «Fortunatamente», riprese Shale come se nulla fosse, «immagino che il possedere una verga di controllo inutilizzabile renderà essa meno incline a trattarmi nello stesso modo.»
   Strinsi convulsamente quell’aggeggio tra le dita delle mani, ora sudate, usandolo come amuleto sacro a cui rivolgere le mie mute preghiere. «E… E come… come faccio a sapere che posso fidarmi di te?» Udii la mia stessa voce tremare, ma sperai che nessuno degli altri me lo rimproverasse, vista la gravità della situazione.
   «Non ne ho idea», mi rispose il golem, sereno. «Come fa essa a fidarsi di loro senza una verga di controllo?» E nel dirlo fece cenno ai miei compagni di viaggio.
   Non mi voltai nella loro direzione, temevo che darle le spalle, abbassando la guardia, potesse essermi fatale. «Gli… Gli altri miei amici non sono fatti di pietra…»
   «Giusto», mi concesse lei, annuendo per darmi ragione. «Allora prometto di non sedermi su essa se non verrò sufficientemente provocata. Che ne dice?»
   Non sapevo quanto potesse essere affidabile la parola di un ominide di roccia, ma che altro mi rimaneva da fare? Tanto, se non mi avesse ammazzata Shale, senza il suo aiuto ci avrebbero presumibilmente pensato Flemeth o l’Arcidemone a farlo.
   «Continuerai a chiamarmi essa?» volli sapere, giusto per avere un’idea di cosa dovevo aspettarmi.
   «Sì. Molto probabilmente», mi sentii rispondere. «Dunque?»
   Dovevo darle io una risposta? Ma a quale domanda? «Se… Se vuoi… puoi venire con noi», mi azzardai a proporle, sperando che, in un modo o nell’altro, riuscissi comunque a convincerla a fare ciò per cui l’avevo risvegliata – un po’ come facevo subdolamente con Alistair e gli altri. Se era vero che avevo forti capacità persuasive, tanto valeva provare a sfruttarle fino in fondo.
   Shale annuì. «Allora seguirò essa… per ora.»

Sentire la terra tremare a ogni passo non era propriamente una sensazione gradevole, senza contare che, con tutto il frastuono che facevano i grossi piedi di pietra della nostra nuova compagna di viaggio, non potevamo più contare sull’elemento sorpresa. Ma, ehi!, avevamo un golem nelle nostre fila! Era questo il pensiero su cui cercavo di concentrarmi per rafforzare in me la convinzione di aver fatto la scelta più giusta. Dovevo indagare meglio.
   «Quindi… hai ucciso il tuo vecchio padrone…»
   Shale ruotò il collo nella mia direzione. Non era inquietante come potrebbe sembrare, non dopo aver avuto a che fare con molti altri golem pericolosi – ed esserlo stata a mia volta, seppur per un breve periodo di tempo. «Non ho già detto a essa che non ricordo di averlo fatto? Rammento di aver avuto un padrone. Le mie memorie su cosa gli sia successo sono… vaghe.»
   «Vaghe ma non inesistenti», insistetti. Se lo feci fu solo perché sapevo che Shale mi era grata per averle scrostato di dosso – con l’aiuto di Leliana e di Wynne – tutti gli escrementi di uccello.
   La sentii sospirare. «Osservazione acuta e vera», rispose quasi controvoglia. Sperai di non averla indispettita, per questo. «Oh, d’accordo, vediamo cosa riesco a ricordare. Al mio vecchio padrone piaceva compiere esperimenti su tutto.» E visto quello che avevamo trovato nel suo laboratorio, la cosa era assai credibile. «Lui… armeggiava con gli incantesimi, poi con i cristalli.» Additò quelli che aveva addosso. «Era ansioso di alterare la loro funzione, credo.»
   «Cosa sono esattamente?» domandò Morrigan, intromettendosi nella nostra conversazione.
   «A me piace considerarli accessori», spiegò l’altra con voce seria.
   «Ma a che servono?»
   «Sospetto si trattasse di un’arte praticata quando i golem erano più… diffusi.» In effetti, se Shale era stata creata ai tempi di Caridin, doveva essere centenaria. «Il mio precedente padrone collezionava ogni forma di sapere che trovava sul soggetto. Ha cercato in lungo e in largo  per raccogliere quanti più cristalli possibili, poi… li ha aggiunti. Non è una sensazione sgradevole.»
   «Quindi sono semplici decorazioni?» volle sapere Leliana, rimasta affascinata da tutto quel luccichio.
   «Per come la vedo io», riprese Shale con pazienza, «i cristalli mi permettono di… alterare il flusso di magia intorno a me.» Non ero molto sicura di voler scoprire in che modo, ma confesso che la faccenda era talmente nuova e affascinante che per un attimo persino la mia proverbiale codardia cedette il passo alla curiosità. «Wilhelm sperava di trasformarmi in una batteria di mana, qualcosa a cui attingere liberamente.»
   «Ci è riuscito?»
   «Non proprio, anche se, ora che ci penso, forse sono stati quei tentativi a provocare il mio… disturbo.» A quale si riferiva? A quello di potersi muovere e parlare liberamente o a quello di aver perso il controllo e spappolato il suo padrone? «In ogni caso, mi piacciono. Se doveste trovare qualcuno di questi cristalli, probabilmente sarei in grado di dire qual è la sua funzione e che effetto avrebbe… se aggiunto su di me.»
   «Saresti disposta a fartene aggiungere altri?» chiesi quasi tradendo una certa speranza nel tono della voce. Una speranza derivata dall’aver appena appreso che Shale sembrava essere davvero intenzionata a collaborare o per lo meno ragionare insieme a noi prima di decidere di farci a pezzi.
   «Perché no? Non posso indossare vestiti e ornamenti come voi, dopotutto.» Quella risposta mi lasciò quasi convincere che forse il fatto che continuasse a rivolgersi a se stessa in quel modo era perché un tempo Shale era stata una nana. Una femmina, quindi.
   «Oh!» squittì Leliana, tutta contenta. «Anche a voi dunque piacciono queste cose?»
   Prima ancora del golem, ci pensò Morrigan a ribattere. E lo fece con fare seccato. «Non ricominciare con questa storia, Leliana.» Mi stupii non poco di sentirle usare il nome proprio della nostra compagna, piuttosto che un qualche aggettivo non proprio simpatico.
   L’altra inarcò le labbra carnose in un sorriso divertito e i suoi occhi azzurri scivolarono sulla scollatura dell’abito della Strega delle Selve. «Peccato», si limitò a commentare con un sospiro.
   «Te l’ho già detto una volta», s’inalberò a quel punto Morrigan, coprendosi meglio col mantello. «Smettila di guardarmi in quel modo lascivo!»
   «Oh, scusa», ridacchiò Oghren con finto rammarico, credendo che quella frase fosse rivolta a lui. «Ma sai… sono all’altezza giusta, per me.» La figlia di Flemeth sbuffò e accelerò il passo per sfuggire a entrambi.
   «Che genere di esperimenti conduceva Wilhelm?» s’interessò di sapere Wynne, presa molto più da quel tipo di argomenti che dagli sciocchi screzi fra gli altri nostri compagni.
   «Beh», cercò di fare mente locale Shale, «non sono una maga, e lui non mi ha mai dato spiegazioni. Non più di quante voi ne dareste alle vostre armi. Lui possedeva già la mia verga di controllo e al tempo avrebbe potuto impedirmi di fare qualunque cosa io volessi, indipendentemente dalla mia forza di volontà.» Più si tornava su quel punto, più mi si contorceva lo stomaco al pensiero di quanto dovesse aver sofferto quella creatura. E con lei anche tutti gli altri golem creati da Caridin. «Poi cos’è successo?» continuava a riflettere Shale fra sé. «Non ne sono sicura. Lui stava conducendo quei suoi esperimenti e poi… nulla. Ci fu… del dolore?» Sospirò ancora. «Non lo sento come succede alle creature morbide come voi, quindi ho uno strano ricordo. Lui non c’era più. Mi trovavo al villaggio, e non riuscivo più a muovermi. Vennero gli abitanti e mi punzecchiarono e pungolarono in preda alla paura, ma poi capirono che non avrebbero potuto né spostarmi né distruggermi… quindi mi lasciarono dov’ero. Col tempo si dimenticarono che non ero sempre stata lì.»
   Forse per consolare me stessa, mi convinsi sempre più che forse Shale non c’entrava davvero con la morte di Wilhelm. Tuttavia non mi parve il caso di insistere sull’argomento. «Mi dispiace. Dev’essere stato terribile», commentai mortificata.
   «In realtà all’inizio fu più un sollievo», mi contraddisse lei. «Per anni e anni ho dovuto obbedire a ogni ordine di quel fungo velenoso! “Prendi questo!” “Solleva quello!” “Mettilo giù!” “Tiralo su ancora!” Che fastidio!» Fui tentata di chiederle se Wilhelm sapesse che dentro quello che credeva un soldato pronto a scattare sull’attenti a ogni sua necessità – o capriccio – si nascondesse un’anima. Sperai di no, altrimenti quell’uomo sarebbe stato imperdonabile. «Inizialmente avevo sperato che avesse deciso di lasciarmi lì, paralizzata. Uno scambio accettabile», proseguì Shale. Probabilmente adesso che era di nuovo tornata libera aveva bisogno di parlare e sfogarsi con qualcuno. «Dopo che furono passati alcuni anni, non me ne importò più nulla.»
   «Forse c’entrano i tuoi cristalli», ipotizzai.
   «Può darsi. Ma in quel periodo non stava facendo esperimenti su di essi, credo… Non ho una buona memoria. Forse essa ha ragione. Qualunque cosa il mago abbia fatto, sembra che abbia reso inutilizzabile la vecchia verga di controllo. Cosa per cui dovrei essergli grata, no?»
   «Direi proprio di sì», sorrisi, mostrando di simpatizzare per lei e le sue ragioni.
   Shale dovette apprezzarlo, perché aggiunse: «Premesso che essa e gli altri non ripetano i suoi esperimenti… cosa che comunque non permetterei», ci tenne a sottolineare, «non hanno nulla da temere da me. Non molto.»
   «Mi sta bene.»
   Quella notizia mi fece sentire meglio, al punto che fui di nuovo capace di rivolgere il mio sguardo verso Alistair senza sentirmi troppo in colpa. Se n’era rimasto silenzioso e imbronciato, prestando attenzione alla strada davanti a noi. Sicuramente era ancora indispettito con me, tuttavia non aveva lasciato il mio fianco neanche per un attimo, forse timoroso che, goffa e minuta come sono, potessi inciampare e finire per sbaglio sotto ai piedi del golem. Che la ragione fosse sul serio quella o meno, mi fece comunque tenerezza. Allungai una mano per sfiorare la sua e lui subito l’afferrò in una presa salda, consolando il mio cuore e alleviandolo in parte dalla pena di avergli fatto l’ennesimo torto.












Eccomi di nuovo qui, seppur con una settimana di ritardo rispetto a quanto preannunciato. Chiedo scusa, non è stata una dimenticanza da parte mia, stavolta; semplicemente ho avuto degli impegni improrogabili e non ho potuto mettermi dietro alla fanfiction. Adesso che sono più libera, però, riprenderò a scrivere e recupererò le letture in arretrato.
Ugh! Al momento sono ancora talmente intontita dallo studio che non riesco a ragionare con lucidità, abbiate pazienza! XD Quindi almeno per questa volta sarò breve, ma se avete domande, curiosità o altro, non esitate a chiedere ed io risponderò senza alcun problema. :D
Grazie a tutti voi che avete letto e buona domenica!
Shainareth





  
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