Fanfic su artisti musicali > Adam Lambert
Segui la storia  |       
Autore: itsjjoy    11/03/2012    5 recensioni
HTML della storia in revisione!
2018. Adam è sposato con Sauli, abita a New York e sta per adottare un bambino. Ma dopo 5 anni, Isaac torna a bussare alla sua porta e gli dice solo 3 parole: ‘è per Tommy’. Questo basta per far correre Adam a Burbank da quel ragazzo che già una volta gli aveva fatto riconsiderare tutte le proprie convinzioni e l'aveva cambiato da cima a fondo, e chissà che non l’avrebbe fatto ancora. La storia di due anime gemelle che la vita ha portato ad incontrarsi per poi separarsi ancora e di quel loro legame irrimediabilmente indissolubile che li porta, dopo essersi rivisti, ad un percorso di riscoperta di sé stessi, dei propri sentimenti, delle proprie passioni e delle proprie priorità. Un percorso difficile fatto di debolezza, ostinazione, rifiuto, fiducia, speranza, pentimento, affetto, perdono e accettazione; un percorso che forse non li porterà a tornare quelli di prima, a riavere indietro ciò che avevano, ma certamente li cambierà nel profondo.
[Adam/Tommy; Adam/Sauli; Isaac/Sophie]
Genere: Angst, Introspettivo, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: Het, Slash | Personaggi: Adam Lambert, Isaac Carpenter, Tommy Joe Ratliff, Un po' tutti
Note: OOC, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
 <<    >>
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A

Note: In questo momento sono occupata a scrivere il capitolo 5 e dovrò rallentare perché l'introspezione di Sauli sta risultando essere la cosa più difficile e scomoda che io abbia mai scritto... Ma questo ancora non vi interessa, quindi torniamo a noi.
Questo capitolo è molto intenso e mi piace davvero tanto. È stato difficile scriverlo e c'è voluta davvero una quantità impensabile di ricerche per comprendere come debba sentirsi Tommy e per non scrivere stupidaggini. Mi scuso in anticipo se ho sbagliato qualcosa, in ogni caso.
Non vedo l'ora di postare il prossimo capitolo, anche quello è di un intensità tremenda... *-*
Nel frattempo godetevi questo, e non dimenticate di farmi sapere che ne pensate :)









02 Open Prison


“L’avete portato qui? È qui?! A Los Angeles?”
Isaac non vedeva il suo amico sorridere in quel modo da tanto, troppo tempo. Annuì lentamente, sorridendo a sua volta, sebbene fosse decisamente contrariato dal fatto che il solo pensiero di Adam gli facesse ancora quell’effetto dopo tutto quello che aveva passato a causa sua. Sophie scosse la testa. “Io continuo a pensare che sia una cattiva idea...” mormorò rassegnata, mentre preparava una cena che sapeva che Tommy non avrebbe mangiato.
“Voglio vederlo.”
Il tono del biondo era risoluto e quella sicurezza si rifletté nei suoi occhi, anche se solo per pochi istanti, prima che il suo sguardo si annebbiasse ancora, il cuore oscurato da chissà quali pensieri.
“Ne sei certo?” Isaac esitò, avvicinandoglisi lentamente, e quando l'altro annuì, allungò una mano ad accarezzargli il braccio, delicatamente per paura di essere respinto: Tommy repelleva i contatti fisici da molto tempo ormai. C’era stato solo un breve periodo, due anni prima, durante il quale il ragazzo sembrava ormai guarito: aveva interrotto i farmaci e ridotto al minimo le visite dallo psicoterapeuta, usciva spesso e volentieri di casa per il suo lavoro part-time come cassiere ed aveva iniziato persino a socializzare di propria volontà, nonché a lasciarsi abbracciare volentieri da Isaac e Sophie, che speravano che quell’incubo fosse finalmente finito. Ma a quanto pareva quella situazione non stava bene ad Adam, che aveva ben pensato di divenire la causa di un secondo crollo di nervi dell’ex musicista – da quant’era che non prendeva in mano le sue chitarre? – persino più forte dei precedenti. Isaac ricordava che in quella prima settimana di ‘ricaduta’ gli attacchi di panico avevano raggiunto addirittura l’impressionante quota di tre o quattro al giorno, e rammentava di aver avuto sinceramente paura che quella volta l’amico non avrebbe retto. Lo vedeva rannicchiarsi in un angolo, ansimante, pallido, gli occhi sgranati con il terrore dipinto dentro e quando provava ad avvicinarsi Tommy lo mandava via, e lui non si sarebbe mai perdonato se davvero l’amico avesse ceduto alla malattia. Se Adam era il morbo, lui sarebbe stato la cura, doveva esserlo, o non ce l’avrebbe fatta mai più a guardarsi allo specchio.
Cinse con le braccia il corpo magro del biondo, stringendolo delicatamente in un abbraccio leggero, mentre il cuore gli si stringeva alla reazione rigida di Tommy, che restava immobile e impacciato nell’abbraccio, senza rispondere ad esso, mentre si teneva un labbro tra i denti e sembrava perso tra i propri pensieri.
“Ti va di mangiare?”
Sophie servì una frittata e guardò Tommy con il sorriso incoraggiante di una madre. Il ragazzo ricambiò lo sguardo con gli occhi persi e l’aria un po’ smarrita, sciolse l’abbraccio di Isaac e si sedette composto a tavola, guardando il cibo nel piatto con un'espressione a metà tra il disgusto e l'astio. Gli altri due si guardarono negli occhi, con aria preoccupata, prima di sedersi quasi contemporaneamente, l’uno accanto all’altra. Tommy li osservò e le labbra gli si distesero in un debole sorriso. Li amava, li amava con tutto se stesso e non c’era nulla che potesse farci. Ed era solo peggio: se loro se ne fossero andati? Se fossero morti? Non sarebbe sopravvissuto un giorno solo senza di loro. Se soltanto fosse stato capace di esprimere quei sentimenti... Invece non serviva a nulla. Era incapace di fare anche una cosa semplice come mangiare, figurarsi esprimere i propri sentimenti. Tutto lo annoiava, persino suonare non aveva più alcun significato per lui. A cosa serviva?
Non era già morto perché non voleva ferire Sophie ed Isaac che si dedicavano a lui con tanto affetto e tanto amore, o forse, più probabilmente, era troppo codardo anche per il suicidio.
“C’è qualcosa che non va, Tommy?”
Tommy scosse la testa in risposta, mentre si chiedeva se ci fosse qualcosa che andasse. Si sforzò di ricordare ciò che gli ripeteva sempre lo psicoterapeuta: trova i lati positivi. Ecco, un lato positivo era che Adam era lì per lui. Anche se avesse fatto una figura terribile, anche se lo avesse trovato brutto, inguardabile, o gli avesse confermato quanto poco gli importasse di lui, almeno Tommy era stato abbastanza importante da portarlo lì. Si sforzò ancora, ma altri lati positivi non ne trovò. Anzi, più vi indugiava col pensiero, e meno desiderava vedere il cantante. Non sarebbe mai stato come nei suoi sogni, Adam sarebbe stato un uomo diverso, come lo erano Tommy ed Isaac, come diversa era Sophie.
Adam era sposato adesso, e gli sembrò di aver inghiottito un bicchiere di aghi nell’istante in cui ebbe formulato il pensiero. Si visualizzò un uomo del tutto diverso da quello che aveva conosciuto – o creduto di conoscere – e si domandò se una volta visto il ‘nuovo Adam’ l’avrebbe amato ancora. E se non fosse stato più così? Sarebbe finita davvero?
Percepì a stento Sophie che mormorava un “Ci penso io” in direzione del marito e si sedeva accanto a lui, passandogli affettuosamente un braccio attorno alle spalle, mentre con l’altra mano lo aiutava a tagliare la frittata.
La paura iniziava già ad entrargli dentro, per quanto cercasse di scacciarla. Finita? Per sempre? Non voleva che finisse. La sua vita aveva senso solo grazie a quel tormento interiore, aveva senso solo perché era vuota e insensata, ed era su quella antitesi che si basava la sua esistenza adesso. Viveva della certezza che avrebbe amato quell’uomo per sempre, anche se lui non ricambiava, e perdere quella sicurezza, l’unica che gli era rimasta, avrebbe significato rompersi di nuovo. Non ce l’avrebbe fatta a sopravvivere quella volta, lo sapeva! Era prosciugato da ogni forza, andava avanti con quel poco che gli restava e ogni minimo avvenimento negativo minacciava di succhiargli via tutto e di lasciare di lui soltanto un guscio vuoto.
Mentre il panico lo assaliva lentamente, senza che lui potesse fare più nulla, il filo dei suoi pensieri lo riportò a qualcosa a cui non pensava da tempo, lo riportò a quella sera, a quell’addio.

“Tommy, voglio che tu te ne vada.”
Il ragazzo non capiva, non aveva senso. Il respiro si faceva affannoso e lo stomaco si contorceva, ma aveva capito male, era impossibile, non poteva essere.
“Siamo a casa mia, Adam.” replicò, fingendo una risata e fallendo miseramente. Si arrese allo sguardo duro che gli scoccò il moro, chiudendo gli occhi e passandosi una mano sul viso.
“Che... che problema c’è?” domandò a bassa voce, avvicinandoglisi lentamente e poggiando una mano sul suo fianco, cercando il contatto con lui, perché era convinto che se l’avesse abbracciato tutto si sarebbe sistemato. Ma Adam lo spinse via. Aveva lo sguardo basso e sembrava cercare di trattenere le lacrime. Tommy semplicemente non capiva, o non voleva capire, tutto se stesso si rifiutava di accettare la realtà che gli veniva posta davanti agli occhi e quelle parole. Ancora desiderava ardentemente di avvicinarsi, ma il suo corpo non pareva volersi muovere.
Poi arrivò il colpo di grazia.
“Dalla band... voglio che tu vada via dalla band. E dalla mia vita.” Adam lo mormorò freddamente, gli occhi puntati da un’altra parte. Esitò, prima di continuare, e gli scoccò uno sguardo; “Sei... licenziato. Non voglio vederti mai più.”
Quello che Tommy provò fu all’incirca la stessa sensazione che prova qualcuno il cui cuore viene strappato via a mani nude. Stava mentendo, Adam stava mentendo, non credeva alle sue parole, non era possibile. Era solo un orribile scherzo di cattivo gusto, una vendetta per qualcosa di sbagliato che aveva fatto.
“Stai... Stai scherzando, vero?”
Nessuna risposta. Il biondo alzò la voce. “Stai scherzando, Adam?!”
Sentì gli occhi bagnarsi di lacrime, ma non pianse, non lo avrebbe fatto, non doveva farlo. “Qualunque cosa sia successa, qualunque cosa io abbia fatto, possiamo risolvere, possiamo-”
Fu interrotto da un urlo furioso del moro: “Tu non sei nulla per me, okay?! Sei stato capace solo di crearmi problemi! Quale parte della frase ‘non voglio vederti mai più’ non ti è chiara?”
Tommy si ammutolì, e tutti i suoi pensieri, tutto ciò che conosceva, tutte le sensazioni e quella matassa di emozioni che aveva nel petto scivolarono via da lui. Gli sembrò di collassare, si sentiva come un foglio accartocciato su sé stesso e buttato via, inutile, insensato, senza alcun valore. Guardò l’altro che andava via chiedendosi come potesse il suo cuore battere ancora se lui si sentiva morto dentro.
La prima sensazione fu la rabbia. Tirò giù quadri e strappò poster dalle pareti, ruppe bottiglie e bicchieri poggiati sulla penisola della cucina, gettandoli a terra con tutta la forza che aveva nelle braccia, urlando, piangendo, maledicendosi e maledicendo Adam; tagli sulle mani, sulle dita e sulle braccia comparvero senza che lui si accorgesse di causarseli, ma non gli importava. Odiava Adam, odiava sé stesso, odiava il giorno che aveva deciso di partecipare a quel maledetto provino, odiava il modo in cui Adam l’aveva guardato dal primo istante, odiava il fatto che fosse stato preso, odiava avergli permesso di baciarlo, e odiava quelle labbra, Dio quanto le odiava, le odiava con ogni dannata fibra di sé, e odiava anche il suo odore, e la sua pelle così piacevole al tatto, e le sue grandi mani calde, e odiava ogni singolo istante passato con lui, ogni singolo orgasmo, ogni singola notte passata insieme, e ogni volta che avevano fatto l’amore.
Un pensiero stranamente lucido gli attraversò la mente, all’improvviso: non lo avrebbe rivisto mai più. Bastò quella consapevolezza a farlo cadere in ginocchio tra i cocci di vetro, mentre si sentiva soffocare, e il respiro si faceva sempre più affannato, mentre il cuore batteva fortissimo, tanto che sembrava dovesse vomitarlo fuori a momenti. E non passava, non riusciva a pensare, a parlare, a gestire il proprio corpo. Le mani insanguinate, tra le quali si prese la testa, sembravano quelle di un altro – o forse lo erano? Non sapeva più nulla, non era più nulla, si era totalmente annullato, sapeva solo che sarebbe svanito ben presto, si sarebbe dissolto, sarebbe morto, lo sapeva come sapeva che il cielo era blu, e l’acqua insapore, esattamente come sapeva che amava Adam e l’avrebbe amato per sempre sapeva che sarebbe morto soffocato dal proprio dolore. Eppure non riusciva a incolpare quell’uomo. Era propria, la colpa, aveva sbagliato, aveva sbagliato e si pentiva, se solo avesse potuto glielo avrebbe detto: “Scusami, Adam, scusami, scusami.”

Rifiutò il boccone che Sophie tentava inutilmente di fargli mangiare, sentiva un nodo allo stomaco, ed era certo che se avesse aperto la bocca avrebbe vomitato. La allontanò, spingendola via, mentre tra i propri pensieri riusciva a distinguere solo dei ‘no!’ che sembravano urlati senza sosta. Non un altro attacco di panico, non in quel momento! Non avrebbe visto mai Adam, sarebbe morto lì, quella volta sarebbe morto, e non lo aveva rivisto, e non gli aveva mai chiesto scusa. Il battito accelerato del cuore, il respiro affannato, gli impedivano di sentire quello che Sophie diceva, ma gli parve di cogliere il nome di Isaac. Non riuscì a distinguere l’espressione negli occhi di lei perché la vista gli si era annebbiata, mentre gli sembrava che qualcuno gli stesse stringendo le costole in una morsa. Era così che finiva? Non sarebbe neanche riuscito a ringraziarli? Tremava, e d’improvviso non vide più nulla, voleva parlare, ma la bocca secca non rispondeva ai suoi comandi. Almeno avrebbe smesso di essere loro di peso, li avrebbe liberati della propria presenza. Ogni attimo durava quanto un minuto, ed ogni minuto pareva un ora, e giunse persino a desiderare di morire. Tutto, tutto purché quelle torture finissero, tutto purché quella paura smettesse di coglierlo inavvertitamente e senza ragione, tutto purché dovesse smetterla di vergognarsi di sé, tutto purché quella malattia andasse via o almeno mettesse fine alla sua misera esistenza che era vergognoso chiamare vita.
E proprio quando pensava di essere spacciato, quando sperava di esserlo, quando credeva di sapere che quello era il suo ultimo respiro, proprio in quell’istante tutto finì. Come sempre.
A volte si sentiva un peso anche per se stesso. Quando quegli attacchi di panico finivano, non si sentiva più sollevato di non essere morto. All’inizio di tutto quello, anni prima, lo spaventava l’idea di diventare pazzo, di perdere il controllo, e alla fine di quelle crisi era contento che non fosse successo nulla. Ma adesso che già era pazzo, che aveva perso anche la dignità, che senso aveva preoccuparsi di quelle cose? Che senso aveva continuare a vivere? Cosa voleva dimostrare, che lo avrebbe amato tutta la vita? Ad Adam non importava, a nessuno importava. Poteva anche morire. E probabilmente sarebbe stato sotto terra da un pezzo, se non fosse stato per Sophie ed Isaac.
Quando la respirazione tornò regolare e aprì gli occhi, vide l’amico che tranquillizzava la moglie, sussurrandole qualcosa. Si vergognò tremendamente della propria condizione, delle proprie crisi, del proprio essere irrimediabilmente guasto. I suoni smisero di arrivargli ovattati solo dopo qualche altro secondo, e Isaac era già inginocchiato davanti a lui. Gli aveva preso le mani tra le proprie ed aveva mormorato il suo nome.
Lo guardava con i suoi occhioni verdi, e Tommy non poteva né voleva fare altro che starlo a sentire, che aggrapparsi a lui e non lasciarlo mai più. Strinse forte la presa sulle sue mani.
“Non lasciarmi...” mormorò il biondo. “Ti prego, non lasciarmi...”
Lo disse con le lacrime agli occhi, cercando di non piangere, di non sbattere le palpebre e di continuare a guardare quegli occhi. Non ne poteva più, voleva solo tornare ad essere ciò che era una volta, tornare ad essere felice, ma più provava a riaffiorare da quel baratro e più quello si faceva profondo e buio, e lui trascinava giù con sé anche quelle poche persone che lo amavano.
“Non ti lascio, Tommy... Non ti lascio.” Mormorò Isaac mentre sentiva il cuore spezzarsi per l’ennesima volta di fronte alla fragilità dell’amico, di fronte a quegli occhi svuotati del luccichio che li rendeva unici un tempo e trasformati in un baratro oscuro e senza fine. Lui non avrebbe fatto come Adam, lui sarebbe stato con Tommy per sempre, per davvero. Lui sarebbe riuscito a restituire la speranza a quegli occhi, fosse stata l’ultima cosa che faceva.
“Andrà tutto bene. Te lo prometto. Ti fidi di me, Tommy?”
Il biondo annuì piano. Sì, si fidava di lui. Sapeva che non avrebbe dovuto, sapeva che prima o poi se ne sarebbe andato anche lui, lo sapeva, ma si fidava, e quel sentimento era più forte di qualunque altra cosa. Si fidava di lui, dei suoi occhi, della sua stretta: erano tutto ciò che lo manteneva in vita.
“Allora non devi preoccuparti. Non permetterò che nessuno ti faccia del male. Mai. Capito?”
Tommy annuì ancora, abbozzando un sorriso di gratitudine.

– – – –

“Te l’avevo detto di non portarlo qui! L’hai solo fatto peggiorare!” il sussurro di Sophie sembrava quasi un lamento. Si sentiva impotente davanti a quegli attacchi, quando vedeva Tommy in quelle condizioni, pallido e tremante, stava così male che avrebbe potuto averli lei, gli attacchi di panico, e il suo stato d’animo non sarebbe cambiato di una virgola.
“Soph, amore, dimmi con quale coraggio potevo dirgli di no. Sai che io non sopporto Adam, ma è l’unica cosa che gli fa brillare gli occhi...” Isaac sussurrò a voce bassissima, tanto che Sophie dovette avvicinarglisi per sentirlo. Lo guardò malissimo.
“E quindi lui deve sopportare tutto ciò perché a te piace vedergli brillare gli occhi?!” la donna alzò la voce più del dovuto, troppo arrabbiata per curarsene. “Ti rendi conto che Adam gli fa solo male, Isaac?!”
L’uomo la guardò senza rispondere per alcuni secondi, poi sospirò rivolgendo lo sguardo verso il corridoio, dal quale proveniva il suono dei passi di Tommy che si avvicinavano.
“Anche la cioccolata fa venire le carie.” disse poi, avvicinandosi a Tommy, che li guardò entrambi, chiedendosi perché parlassero di cioccolata e carie e perché Sophie guardasse Isaac a quella maniera. Ma non ebbe il tempo di formulare la domanda.
“Hey, Tj, possiamo parlare un minuto?”
Il biondo fece cenno di assenso e aspettò che l’altro parlasse, osservandolo tormentarsi nervosamente le mani e mordicchiarsi il labbro inferiore.
Cosa aveva combinato adesso? Volevano dirgli che non potevano più mantenerlo, nonostante l’aiuto economico di sua madre, e che era giunto il momento di imparare a cavarsela da solo? L’ansia gli assalì lo stomaco. Ancora.
“Tu vuoi vedere Adam.” Non era una domanda, sembrava più che altro l’inizio do un ragionamento. Tommy si rilassò. Si diede qualche istante per scacciare via le proprie ansie e focalizzare la mente sulle parole di Isaac. Le sue parole e null’altro. Annuì con un piccolo sorriso sollevato e aggiunse un ‘sì’ mormorato.
“Che ne dici se facciamo un patto, io e te? Una piccola sfida.” Isaac gli sorrise, cercando di apparire più incoraggiante possibile, mentre l’amico si sentiva più che altro trattato un po’ come un bambino – come sempre, d’altronde. Ma capiva che Isaac aveva soltanto paura di osare troppo e ferirlo. Annuì ancora, curioso di sapere in cosa doveva fallire miseramente quella volta.
“Io ti porto da Adam se tu accetti di sostenere un colloquio di lavoro.”
Tommy impallidì all’istante. Scherzava? Non lo avrebbero mai preso, mai e poi mai, aveva l’aspetto malaticcio, era silenzioso e triste, e non era bravo a trattare con la gente. Lo avrebbero cacciato fuori a calci!
“Non devi superarlo!” Isaac alzò il tono di voce improvvisamente, e sembrava lo stesse supplicando. Inspirò profondamente e continuò, più calmo. “Non c’è bisogno che tu lo superi. Voglio... Vorrei solo che tu sostenessi un colloquio di lavoro. E anche se sarà il peggiore della storia, io sarò fiero di te.”
Quelle parole scaldarono il cuore dolorante di Tommy. Fiero di lui. Anche se era un fallimento, anche se dava solo problemi, Isaac sarebbe stato fiero di lui. Provò verso l’amico un moto d’amore tanto profondo da farlo rabbrividire.
“Siamo d’accordo allora?” gli occhi verdi dell’uomo erano tanto colmi di speranza che Tommy non avrebbe mai desiderato deluderli.
“Sì, d’accordo.” rispose flebilmente.

– – – –

“Soph, posso farti una domanda?”
Gli occhi castani della donna incontrarono i suoi per qualche secondo, come a voler prevedere la domanda che stava per esserle posta; Tommy non fece in tempo ad abbassarli per evitare quello sguardo, ma comunque l’occhiata durò pochi istanti, poi Sophie si spostò un ciuffo castano dietro l’orecchio, annuì e tornò a guardare la strada. Il suo malessere si leggeva chiaramente nella sua posizione tesa e nell’espressione pensosa del suo viso, ma soprattutto nei suoi occhi. Tommy si sentiva in colpa: sapeva che, qualunque cosa fosse accaduta, era per causa sua.
“Tu ed Isaac avete litigato?” domandò esitante.
Aveva capito che parlavano di lui. Sarà stato depresso e malato, ma non era stupido. Forse c’entrava Adam, o il colloquio di lavoro, o il fatto che non metteva nulla sotto i denti da due interi giorni, o forse ancora l’aumento di frequenza improvviso dei suoi attacchi di panico, proprio ora che pareva stesse migliorando. Qualunque cosa fosse, non voleva che litigassero. Vederli stringersi ed abbracciarsi gli dava speranza, lo faceva sentire in pace col mondo, anche solo per qualche istante. Avrebbero meritato la vita più felice che si potesse immaginare, una bella casa, grande, in riva al mare, e dei figli, magari anche un cane. Invece dovevano occuparsi di lui.
“Abbiamo discusso.” rispose lei con una smorfia, e Tommy impiegò qualche secondo a ricordare a che domanda stesse rispondendo. Tentò di sorriderle, ma rinunciò quasi subito e si limitò ad inumidirsi le labbra secche con la lingua, spostando lo sguardo fuori dalla finestra.
“Ti ama tanto. Davvero tanto.” mormorò, come se ricordarle di quei sentimenti risolvesse tutto. E in fondo era proprio così, era grazie a quei sentimenti che loro erano andati avanti, che avevano superato ogni difficoltà insieme, facendosi forza l’uno con l’altro. L’amore bastava. O almeno, per loro tre era così.
Sophie sorrise intenerita. Parve soppesare le parole di Tommy, come se stesse decidendo se perdonare o meno il marito. Infine sospirò, e sembrava stare meglio.
“Ama tanto anche te.” replicò, guardandolo con affetto e accarezzandogli il braccio, prima di prendergli dolcemente la mano nella propria e stringerla forte. “Ti amiamo entrambi.” aggiunse poi, quando i loro sguardi si incontrarono di nuovo.
Tommy ricambiò debolmente la stretta, e annuì, mentre il cuore accelerava. Se solo avesse potuto renderli fieri di lui per davvero...









   
 
Leggi le 5 recensioni
Segui la storia  |        |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Capitoli:
 <<    >>
Torna indietro / Vai alla categoria: Fanfic su artisti musicali > Adam Lambert / Vai alla pagina dell'autore: itsjjoy