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Autore: Vavvina    11/03/2012    4 recensioni
La statua della Strega Orba era sempre lì, nel suo angolo buio, silenziosa osservatrice di milioni di eventi da milioni di anni.
Sfiorandola appena, Rose la aggirò e, in un secondo, sparì alle sue spalle.
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Storia partecipante al contest 'Titoli per Tuttigusti+1' indetto dal gruppo HPeace&Love.
Genere: Angst, Romantico, Sentimentale | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Luna Lovegood, Neville Paciock, Priscilla Corvonero, Rose Weasley, Serpeverde
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno | Contesto: Più contesti
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MIDNIGHT IN HOGSMEADE Autore: Vavvina

Titolo: Midnight in Hogsmeade

Genere: Sentimentale, Romantico, Angst

Avvertimenti: Missing moments, Wath if?

Personaggi: Rowena Ravenclaw, Salazar Slytherin, Luna Lovegood, Neville Paciock, Rose Weasley

Betareader: Daphne Kerouak (tahk you, dear!)

Introduzione: La statua della Strega Orba era sempre lì, nel suo angolo buio, silenziosa osservatrice di milioni di eventi da milioni di anni.
Sfiorandola appena, Rose la aggirò e, in un secondo, sparì alle sue spalle.

Numero di parole: 4.951, titolo escluso.










MIDNIGHT IN HOGSMEADE






Hogwarts, 995

Era notte, e il castello giaceva addormentato come i suoi abitanti, cullato soltanto dal dolce silenzio del buio.
Eppure, come quasi tutte le notti da molto tempo a quella parte, Rowena non riusciva a dormire. Attendeva con trepidazione che la Magiclessidra sul comodino indicasse l’ora esatta per alzarsi, per poter finalmente uscire.
La luce della luna illuminava a giorno la sua camera, quando la donna decise di abbandonare il letto per infilare le morbide pantofole ai piedi gelati.
Indossò la vestaglia di seta blu che era appesa alla spalliera, la annodò sul fianco con un morbido fiocco e poi, dopo aver acceso la candela che teneva sempre accanto al letto, uscì nel freddo corridoio di pietra.
Le sue gambe la condussero in automatico al terzo piano.
La statua della Strega Orba era sempre lì, nell’angolo,  proprio dove la salutava ogni mattina all’alba, quando rientrava silenziosamente tentando di non svegliare Helga, che dormiva lì accanto ed aveva il sonno molto leggero.
Sfiorandola appena, Rowena aggirò la statua e raggiunse l’apertura che nascondeva per scivolarci dentro, ritrovandosi in un passaggio angusto e buio.
L’odore di muffa impregnava l’aria, e il freddo era gelido, penetrante.
 Rabbrividendo, si strinse nella vestaglia decisamente troppo leggera, alzando la candela all’altezza del viso.
In realtà, quella era qualcosa di più di una semplice candela.
Era un regalo. Un regalo di sua sorella,  perciò la custodiva gelosamente, protetta da un incantesimo affinché non si consumasse per l’utilizzo costante.
Un Lumos probabilmente sarebbe stato più efficace, giusto per vedere oltre i suoi piedi, tuttavia per quell’occasione era giusto così, era giusto che fosse la candela di sua sorella ad illuminarle il cammino.
Ci mise dieci minuti ad arrivare in una grande stanza, piena di armadi a muro e scatoloni riempiti di qualsiasi cosa. Era il magazzino di un nuovo locale, una sorta di emporio di dolci che avrebbe aperto di lì a poco.
Rowena l’aveva scoperto per caso, mesi addietro. Era notte, e a causa dei molti pensieri che affollavano la sua testa non riusciva a dormire, così si era messa a passeggiare per i corridoi del castello. Al terzo piano, poi, si era imbattuta nella statua della Strega Orba, che non aveva mai notato prima.
Il suo senso estetico la portò a domandarsi chi mai avesse potuto sistemare lì un’oscenità tale.
Tuttavia, aggirandola poté notare che in realtà la Strega non aveva schiena, ma che al so posto partiva un buio cunicolo. Incuriosita, non aveva potuto fare a meno di imboccarlo per vedere fin dove arrivava.
In quella che era una notte senza luna, non aveva potuto capire dove si trovava, così il mattino seguente si era recata al villaggio di Hogsmeade, nei pressi del castello, e, approssimativamente, era riuscita ad individuare il luogo, associandolo alla cantina di un edificio in fase di restauro, appena acquistato da una donna che aveva intenzione di aprire un emporio per permettere agli studenti della scuola, durante le rare uscite, di accompagnare le loro passeggiate con qualche dolcetto.
La sera in cui scoprì il passaggio fu la notte in cui poté incontrarla di nuovo, incontrarla e parlarci, confidarsi con lei, sentire la sua presenza. Da allora quello era diventato il momento più importante della giornata, quello fondamentale.
Di nuovo, quella notte era lì.
Come d’abitudine, prese da uno degli armadi una calda coperta scozzese di lana ruvida, che aveva portato direttamente dal castello, e ci si avvolse dentro, proprio mentre il campanile della chiesa del villaggio batteva i dodici rintocchi della mezzanotte.
Allora, avvolta da un alone perlaceo e luminoso, lei apparve, e un dolce sorriso spuntò sulle labbra di Rowena, fino a raggiungere i suoi occhi scuri.

Hogwarts, 1997

Il respiro tranquillo delle sue compagne di stanza cullava i pensieri di Luna, senza che tuttavia la giovane Corvonero riuscisse ad addormentarsi.
Erano molte, ormai, le notti che passava pressoché insonni. La routine era sempre la stessa: dopo cena, si ritirava presto nel suo dormitorio, infilandosi nel letto e fingendo di dormire man mano che le sue compagne rientravano.
Intorno alle undici, generalmente, un unico respiro pesante e regolare aleggiava nella stanza.
Quella notte non fece eccezione.
La Magisveglia sul suo comodino, rosa con delle decorazioni simili a rapanelli arancioni, dono di suo padre, segnava le undici e mezza: era giunto il momento, finalmente.
Silenziosamente, Luna sgusciò fuori dal letto. Nonostante la brezza che filtrava dalla finestra socchiusa, non si preoccupò di indossare una vestaglia, né tantomeno le pantofole, che erano misteriosamente scomparse il secondo giorno di scuola. Prima di richiudersi la porta del dormitorio alle spalle, l’unica cosa che afferrò fu la sua bacchetta di legno di noce, inseparabile compagna.
Scalza e con indosso soltanto un leggero pigiama azzurro pallido, che peraltro le lasciava scoperte le caviglie, scese velocemente le scale della Torre di Corvonero, poi ancora giù, fino a raggiungere il terzo piano e a svoltare in un freddo corridoio di pietra.
Con un sorriso, individuò la statua della Strega Orba, esattamente dove si trovava la notte precedente, e tutte quelle addietro.
Sfiorandola appena, la salutò sottovoce: - Buonasera, signora. Con il vostro permesso, io passerei. Dissendium!
Senza attendere risposta, ma senza mai smettere di sorridere, Luna aggirò la statua e si infilò nello stretto passaggio che si era appena aperto sulla sua gobba, buio e umido.
Rabbrividendo a causa dei numerosi spifferi e pensando con un po’ di nostalgia al letto caldo che aveva appena lasciato, accese la sua bacchetta con un Lumos e si accinse a percorrere l’angusto corridoio, respirando l’odore di muffa e di umido che permeava l’aria, mentre i suoi piedi camminavano sulla pietra gelida.
Poco tempo dopo, si trovava nella cantina di Mielandia, l’emporio di dolci di Hogsmeade.
Trovandosi completamente a proprio agio in quell’ambiente, con la sicurezza di chi l’ha già fatto milioni di volte, Luna tirò fuori da uno scatolone una vecchia coperta scozzese e se la avvolse intorno, beandosi per un momento del contatto con la lana ruvida, poi accese una candela che si trovava su un mobiletto lì accanto e si accoccolò su uno scatolone, attendendo paziente.
La mezzanotte non si fece attendere.
Le campane della chiesa del paese batterono dodici rintocchi, e in quel momento una raffica di vento spense la candela, lasciando la stanza completamente immersa nel buio di una notte senza luna.
Pochi secondi dopo, un bagliore colpì gli occhi della ragazza, che sorrise abbassando le palpebre, mentre una figura perlacea, avvolta da un candido biancore, le appariva davanti.
- Ciao, mamma…


Hogwarts, 995

Puntuale come ogni notte, Salazar aprì gli occhi allo scattare di una serratura poco distante dalla sua stanza.
Era molto tempo, ormai, che verso le undici e mezza, quando il castello era addormentato, una porta sul suo stesso corridoio si apriva e si richiudeva, con una delicatezza che però non bastava ad attutire del tutto il rumore.
L’unica cosa possibile era che Rowena, ogni notte, lasciasse la sua stanza per farvi ritorno soltanto all’alba.
Quella volta, Salazar decise di scoprire cosa facesse.
Velocemente, infilò la sua vestaglia verde petrolio, calzò le pantofole e, afferrata la bacchetta, si affacciò sul corridoio silenzioso.
Ci mise poco ad individuare la figura longilinea della strega, avvolta nella sua vestaglia frusciante, che si allontanava a passo rapido verso le scale.
Tenendosi a distanza, Salazar la seguì, percorrendo la scalinata che portava al terzo piano, sino a giungere in un angolo scuro di quest’ultimo, laddove risiedeva una statua raffigurante una Strega Orba che non riuscì a riconoscere. Chissà da chi era stata posta lì: da lui, no di certo.
Mantenendosi nell’ombra, osservò Rowena scivolare letteralmente nella schiena della statua, per poi sparire alla vista.
Incuriosito, il mago si guardo attorno per un momento, prima di avvicinarsi con cautela al punto in cui la donna era scomparsa.
Con suo sommo stupore, vide uno stretto passaggio che si allungava all’interno della Strega Orba, buio e con un odore decisamente poco allettante.
L’indecisione durò nulla più che un breve istante: avrebbe scoperto cosa la strega nascondeva, a tutti i costi.
Reprimendo un brivido di disgusto, si infilò a sua volta nel cunicolo.
Pochi secondi per abituare i suoi occhi al buio, ed individuò una tremula luce poco distante da lui. Non era un Lumos, di questo era certo, ma sembrava più che altro la fiamma flebile di una candela: perché mai Rowena non tirava fuori la sua bacchetta?
Rabbrividendo a causa degli spifferi, la seguì comunque, cercando di fare il meno rumore possibile per evitare di farsi scoprire.
Perché lo stava facendo?
In realtà, non lo sapeva nemmeno lui. In genere, non gli importava molto di ciò che faceva la gente, era perlopiù indifferente a ciò che accadeva attorno a lui.  
Con Rowena, però, non funzionava allo stesso modo. Non riusciva ad ostentare indifferenza, non riusciva a fare a meno di interessarsi a lei, a ciò che faceva, a ciò che pensava, a ciò che nascondeva.
E no, questo non era decisamente un bene, specialmente per lui, abituato a pensare solo ed esclusivamente a se stesso.
Quasi senza che se ne rendesse conto, il corridoio finì, e Rowena non c’era più, per la seconda volta in una sola sera.
Con un po’ di sforzo, riuscì ad individuare lo sbocco di quell’angusto passaggio.
Prudente, si affacciò, e ciò che vide lo paralizzò letteralmente, rendendolo incapace di fare qualsiasi cosa, tantomeno di pensare.
Di fronte a lui, c’erano due Rowena.
La donna che aveva seguito sedeva ora in terra, avvolta in una coperta scozzese, con un bellissimo sorriso ad illuminarle il volto.
Di fronte a lei, c’era un’altra Rowena, forse più giovane.
Stessa flessuosità di fisico, stesso portamento regale, stessi occhi profondi, stessi capelli neri come il catrame, stesso incarnato perlaceo, stesso sorriso ad abbellirle il volto.
L’unica, sostanziale, differenza, era che la seconda Rowena sembrava non avere consistenza, non avere fisicità, ed era avvolta da un alone chiaro, luminoso.
Chi diavolo era?
Cosa diavolo stava accadendo, proprio davanti ai suoi occhi?


Hogwarts, 1997

Quella notte, Neville non riusciva proprio a prendere sonno.
Il suo rospo, Oscar, era di nuovo scomparso, e Piton gli aveva rifilato per la milionesima volta una T, dopo che aveva fatto esplodere il suo calderone, accompagnata da quattro pergamene di tema sulla Bevanda della Pace.
Come se ciò non bastasse, Ron russava piuttosto rumorosamente, Harry si agitava mugugnando nel letto, Seamus blaterava cose senza senso e Dean, ancora sveglio, leggeva un libro ad alta voce.
Dato che, a quanto pareva, di dormire per il momento non se ne parlava, Neville decise che poteva anche fare un giro per il castello, stando bene attento a non farsi scoprire dal custode o dalla sua gatta.
Prendendo la bacchetta e infilando le pantofole, il ragazzo abbandonò il dormitorio, sgusciando silenziosamente oltre il ritratto della Signora Grassa.
Gli piaceva, il castello di notte.
Completamente addormentato, era l’antitesi di come appariva di giorno. Il silenzio e la pace regnavano sovrani ma, tendendo le orecchie, di tanto in tanto si potevano udire le scale muoversi, un quadro russare e un altro borbottare, il miagolio di Mrs Purr o il passo strascicato di Gazza
Era bello passeggiare nei corridoi deserti, da solo con la fredda pietra: gli sembrava di essere un tutt’uno con il castello stesso, e questo lo faceva sentire parte di qualcosa, come se quello fosse davvero il suo posto.
Quella notte, però, accadde qualcosa di diverso.
Al terzo piano, Neville notò un’ombra muoversi lungo il corridoio.
Appiattendosi contro il muro per non farsi vedere, poté osservare Luna dirigersi lenta verso un angolo buio.
Incuriosito, la seguì e la osservò avvicinarsi ad una statua di pietra, salutarla e poi sparire oltre le sue spalle.
In effetti, rifletté, era una cosa molto da Luna, quella di mettersi a parlare con le statue, ma sparire a quel modo no, non era normale.
Spinto da un qualcosa di indefinito, si mosse nell’ombra fino a quella che constatò essere una Strega Orba, decisamente brutta: i fondatori di Hogwarts, in quel caso, non avevano avuto certo buon gusto, bisognava ammetterlo.
Girandole attorno, però, Neville fece appena in tempo a notare che la statua conteneva al suo interno un passaggio stretto e buio, dal quale proveniva un odore decisamente poco invitante.
Un attimo prima che la gobba della Strega tornasse al suo posto, il ragazzo ci si infilò dentro, ritrovandosi immerso nell’oscurità.
Luna era a qualche passo di distanza da lui, che avanzava tranquilla, come se l’avesse fatto un milione di volte, la bacchetta a illuminarle il percorso.
Era strana, quella ragazza, decisamente.
Tuttavia, era un essere strana che Neville trovava estremamente positivo.
Ad esempio, quella situazione: camminava a piedi scalzi, come se niente fosse, lungo un passaggio segreto che puzzava tremendamente di muffa e di chiuso, a proteggerla dai numerosi spifferi soltanto un leggero pigiama azzurro, che tra l’altro le stava decisamente corto.
Eppure, quell’immagine non stonava affatto.
Per qualunque altra persona, non sarebbe stato normale. Eppure, per Luna lo era.
Forse era questo, che attirava così tanto Neville, che gli piaceva così tanto di quella ragazza: il suo essere, in un qualche modo che solo a lei riusciva, perfetta in qualsiasi situazione, a proprio agio in qualsiasi contesto.
Lui si sentiva sempre inadatto, fuori luogo. Luna, al contrario, sembrava sempre nel posto giusto e con l’atteggiamento giusto.
In poco tempo, il corridoio terminò, e Neville si ritrovò, quasi senza accorgersene, in quello che aveva tutta l’aria di essere il magazzino di un qualche negozio, probabilmente di Hogsmeade.
Tuttavia, ciò che gli si presentò davanti gli impedì di muovere un altro passo.
Luna era lì, di fronte a lui, avvolta in una coperta di lana scozzese dall’aria molto vissuta, seduta su uno scatolone.
Accanto a lei, in piedi, c’era una donna.
Una donna molto bella, con delle fattezze e dei tratti molto simili a quelli della sua compagna di scuola.
I capelli erano gli stessi, biondo cenere e disordinati, così come gli occhi, grigi e sporgenti, di quelli che sembravano sapere tutto.
Tuttavia, la donna sembrava avere qualcosa di strano, come un senso di incorporeità, di mancata materialità, avvolta da un tenue alone luminoso.
E, come se questo non bastasse, Luna l’aveva appena salutata chiamandola ‘mamma’.
Da ciò che sapeva lui, la madre della ragazza era morta quando lei aveva solo nove anni… cosa accidenti stava capitando, dunque?


Hogwarts, 995

La routine, ormai, era la stessa da un paio di settimane.
Rowena, nel cuore della notte, si alzava e, con la compagnia della candela regalatale da sua sorella, percorreva in silenzio i corridoio bui, raggiungendo la statua della Strega Orba, per scivolarle dentro ed arrivare a Hogsmeade.
Salazar, non appena sentiva la serratura della porta della camera della strega scattare, lasciava la sua stanza e la seguiva, attento a non farsi scoprire, fino a quello che aveva capito essere il magazzino di un emporio di dolci di Hogsmeade di prossima apertura.
Lì, osservava Rowena parlare con quella che doveva, per forza di cose, essere una sua parente.
Le ascoltava parlare di tutto, per un tempo che sembrava infinito.
In quel magazzino, vedeva una donna ben diversa da quella che conosceva e con la quale aveva a che fare tutti i giorni.
Raccontava a quella sorta di spirito tutto ciò che le accadeva, le sue giornate e le sue lezioni. Parlava di piccoli aneddoti, dei suoi studenti, dei suoi colleghi.
Poi, dopo averla resa partecipe del più e del meno, si apriva completamente a lei. Esternava i suoi problemi, i suoi pensieri, le sue ansie e le sue preoccupazioni, si metteva a nudo.
Era una Rowena diversa, una Rowena fragile, non più la donna forte e sicura di sé che Salazar era abituato a conoscere.
E gli piaceva.
Per Merlino, se gli piaceva.
Faticava ad ammetterlo, ma se aveva un cuore, seppellito sotto spessi strati di indifferenza e superbia, quello stava lentamente iniziando a battere per Rowena.
Per quella donna così bella fuori per quanto lo era dentro, così forte all’apparenza ma che nascondeva una fragilità interiore che gli faceva un effetto strano, non consono alla sua apparenza altezzosa ed glaciale.
Fu per questo, forse, che quella notte Salazar decise di farsi vedere.
Perché era convinto che parlare con uno spirito non era una cosa che le giovava. Perché la vedeva, ogni giorno di più, chiudersi in se stessa ed attendere con trepidazione il calare delle tenebre.
Perché, in realtà, voleva essere lui quello con il quale Rowena potesse parlare, quello al quale potesse appoggiarsi per non cadere.
- Rowena…
La strega, che stava riponendo la coperta di lana nell’armadio, sobbalzò sorpresa, girandosi di scatto.
- Salazar, per Merlino! Mi avete spaventata! Cosa ci fate qui?
- Potrei fare a voi la stessa domanda, che ne dite? Chi è quella donna, Rowena? Perché venite qui ogni notte?
La strega lo guardò a lungo, prima di rispondere. Quando lo fece, il suo sguardo era rivolto altrove, come fisso su qualcosa che non si trovava in quella stanza.
- È una storia piuttosto lunga…
- Non ho fretta. Permettetemi di offrirvi una tisana alle erbe nel mio studio, per riscaldarvi.
Rowena annuì appena, richiudendo l’armadio e lasciando che Salazar la conducesse indietro lungo il passaggio segreto, fino a tornare di nuovo al castello e a raggiungere il suo studio, nei sotterranei umidi.
Qui, il mago accese il camino con un colpo di bacchetta e fece accomodare la strega su una morbida poltrona di velluto verde, offrendole una calda coperta affinché potesse riscaldare il suo esile corpo gelato.
Ad un suo schiocco di dita, un Elfo Domestico apparve con un lieve pop, per scomparire appena ebbe udito l’ordine del suo padrone.
Quando fu di ritorno, portava un vassoio con due tazze fumanti e una ciotola più piccola contenente zucchero, che poggiò su di un tavolinetto basso.
Una volta soli, Salazar si sedette di fronte a Rowena, le porse la sua tisana e poi attese, in silenzio, scrutandola di tanto in tanto.
Per un po’ di tempo, l’unico rumore che si udì nello studio fu il crepitare delle fiamme nel caminetto, mentre fuori dalla finestra iniziava lentamente ad albeggiare.
Poi, la donna iniziò a parlare, lentamente, con un’espressione distante dipinta sul volto stanco e provato.
- Ho scoperto quel passaggio mesi fa, per caso. Non riuscivo a dormire, quella notte, così ho provato a passeggiare per il castello, nella speranza di prendere sonno. Invece, mi sono imbattuta in quell’orribile statua. È stata una coincidenza, se ho trovato quel freddo cunicolo. Non so cosa esattamente mi abbia spinta a percorrerlo, ma è stato come se le mie gambe avessero avuto una propria coscienza. Sono arrivata in quel magazzino, che poi ho scoperto essere del nuovo emporio di dolci del villaggio. Lì, quando le campane della chiesa hanno suonato la mezzanotte…
Rowena rimase in silenzio.
Il suo sguardo era perso nel nulla, ben distante da lì, e la tisana giaceva, ormai fredda, nella tazza che teneva in mano.
- Chi era, quella donna? – la spronò Salazar, con una voce delicata che stentò a riconoscere come propria.
- Caleigh Ravenclaw. Mia sorella.
- Avete una sorella? Non lo sapevo…
- Una sorella gemella. Avevo, in realtà. Dieci anni fa, un incendio è divampato nelle nostre proprietà, partendo dalle stalle: un garzone, per sbaglio, ha fatto cadere una torcia accesa su un cumulo di paglia accanto a lui. Siamo riusciti a salvarci tutti… tutti tranne lei, che si trovava troppo vicina alle stalle per poter scampare alle fiamme.
- Io… mi dispiace, Rowena, non ne avevo idea.
Il silenzio scese di nuovo su di loro.
Rowena aveva l’espressione tesa, i tratti delicati del viso tirati, mentre lottava con se stessa per impedire alle lacrime di scendere.
Salazar, dal canto suo, osservava la donna che stava esercitando su di lui quello strano effetto, ammirando la sua forza d’animo, nonostante la fragilità.
- Parlatemi di lei, ve ne prego.
Quella mattina parlarono a lungo, Rowena e Salazar. Parlarono fino a che fu giorno inoltrato, parlarono di tutto.
La strega si sfogò, si liberò di molti pesi.
Il mago la ascoltò, la confortò, con una goffaggine causata dalla mancanza di abitudine a situazioni del genere, dalla novità di ciò che sentiva dentro.
Prima che Rowena si ritirasse nelle sue stanze, Salazar le disse ciò che pensava.
- Non andate, questa notte. Non tornate più lì. Ve ne prego. Non vi fa bene parlare con qualcuno che non c’è più, che se n’è andato, che non può più capire le questioni terrene.
- Io non posso…
- Venite da me, se volete. Io vi starò a sentire tutte le volte che vorrete, o starò in silenzio con voi. Ma dovete staccarvi dallo spirito di Caleigh, dovete dire addio a vostra sorella. Lei non è più di questo mondo, non è parte della vostra realtà, così come voi non lo siete della sua. Io sarò parte della vostra realtà, se me lo renderete possibile.
Rowena lo guardò negli occhi, con serietà.
Si rendeva conto che Salazar aveva ragione, che si stava aggrappando a qualcosa che non l’avrebbe portata da nessuna parte, che aveva un disperato quanto insano bisogno di sua sorella, della sua Cal.
- Io sarò qui, stanotte, fino all’alba. Non andate a Hogsmeade, venite da me.

Hogwarts, 1997

Anche quella notte, Neville seguì Luna fino al magazzino di quello che aveva capito essere Mielandia, l’emporio di dolci di Hogsmeade.
Da un paio di settimane a quella parte, ormai, succedeva sempre la stessa cosa.
Neville attendeva nelle vicinanze della strega orba, immerso nell’oscurità, che Luna arrivasse, per poi seguirla, in assoluto silenzio, fino a Hogsmeade.
Qui, la ragazza si sedeva sempre sullo stesso scatolone, attendendo che sua madre, in quella strana forma, arrivasse.
Neville, nascosto dietro uno dei tanti mobili lì dentro, la guardava.
Aveva scoperto, parlando con Harry, che Luna aveva visto sua madre morire, a causa di un esperimento venuto male, nel quale aveva sbagliato le dosi di due sostanze da unire tra loro. Aveva nove anni, quando successe.
Durante quelle notti, sembrava che Luna ritrovasse il sorriso.
In realtà, Luna sorrideva sempre.
Tuttavia, avendola osservata molto in quegli ultimi giorni, Neville si era reso conto che quella era una cosa che le veniva in automatico, come quasi un tic, un sollevarsi degli angoli della bocca fatto sovrappensiero, senza apparente motivo.
Di fronte a sua madre, invece, Luna sorrideva con il cuore.
Ed era una cosa bellissima da vedere, a parere di Neville, poiché era come se ricoprisse la ragazza di luminosità.
Con sua madre, Luna parlava di tutto.
Le raccontava come erano andate le lezioni, le parlava di Harry, di Ron, di Hermione, di Ginny, persino di lui.
Con tranquillità, come se davvero non gliene importasse più di tanto, le diceva degli scherzi crudeli che le sue compagne le facevano, degli oggetti che man mano le sparivano.
La rendeva partecipe dei progressi di suo padre nel campo della ricerca, delle sue nuove scoperte.
Le faceva vedere gli occhiali per individuare i Gorgosprizzi, il profumo per tenere lontani i Nargilli.
Era felice, Luna.
In compagnia di quella mamma che aveva perso troppo presto, Luna era felice.
Senza fare nulla di particolare o di eccitante, semplicemente parlandole e godendo della sua compagnia.
Tuttavia, Neville percepiva che c’era qualcosa che non andava, in tutto ciò, qualcosa di profondamente sbagliato.
Cosa?
Non era semplice da definire. Luna aveva bisogno di qualcuno di reale con cui parlare, di qualcuno che facesse parte del suo mondo e della sua realtà, di qualcuno in carne ed ossa che la ascoltasse, che la proteggesse, che la abbracciasse.
Era sbagliato, per quanto potesse essere bello, aggrapparsi a qualcuno che non c’era più, a qualcuno che non era più parte di quel mondo, a qualcuno che, in realtà, non esisteva più.
- Neville?
La voce leggera e appena sorpresa di Luna lo riscosse dai suoi pensieri.
Perso com’era nelle sue riflessioni, non si era reso conto che ormai iniziava ad albeggiare e che Luna si stava accingendo a fare ritorno al castello, cogliendolo in flagrante dietro al suo scatolone.
- Ecco, io…
- Cosa ci fai qui?
- Io… potrei fare la stessa domanda a te, ecco. Perché vieni qui tutte le notti? E come fa tua madre ad apparirti?
In quel frangente, Luna parve per la prima volta sinceramente stupita.
- Come fai a saperlo, Neville?
- Beh, io… ti va una cioccolata calda?
Solo dopo aver parlato, Neville si rese conto che probabilmente non era la frase più intelligente da dire, in una situazione come quella, tuttavia fu rincuorato quando Luna sorrise e annuì, porgendogli la mano.
Assieme, si avviarono di nuovo lungo il passaggio, scendendo poi nei sotterranei. Qui, raggiunsero il dipinto con il cesto di frutta e Neville solleticò la pera, scoprendo così l’accesso alle cucine.
Come aveva fatto molte altre volte, il ragazzo mise su una cioccolata calda per due, poi la travasò in due tazze e ne porse una a Luna, accomodandosi sull’alto sgabello accanto al bancone, di fronte a lei.
Fu Luna a parlare per prima.
- Non so perché mia madre mi appaia. Però lo fa tutte le notti, nello stesso posto e alla stessa ora. Mi manca molto, sai? È davvero bello poter parlare di nuovo con lei, vorrei che potesse farlo anche mio padre.
- Immagino. Solo che… Luna, tu credi che sia giusto? Voglio dire, tu parli con una persona che non c’è più, e che quindi non può capire la tua vita fino in fondo.
Luna ci pensò.
Neville la osservò concentrarsi, con l’aria trasognata di sempre, trasportata in chissà quale mondo a lui sconosciuto.
- Forse hai ragione. Ma lei è la mia mamma, lei può capirmi più di chiunque altro, no? Non è così che funziona?
Il ragazzo ci pensò.
- A dire il vero, io non ho molta esperienza in materia. Sono cresciuto con mia nonna, che è un po’ particolare, ecco. Però sì, credo che dovrebbe essere così. Ma non sono sicuro che sia giusto. Insomma, tu ti stai aggrappando a qualcuno che non può condividere davvero tutto con te.
Luna lo guardò, poi disse una frase che per Neville fu come una pugnalata, dritta al cuore. Perché una persona belle come lei, così pura e dolce, così pulita, non poteva, non doveva dire una frase così, per di più come se fosse la cosa più normale del mondo.
- Ma non c’è nessuno che voglia condividere davvero tutto con me, solo lei.
La risposta gli salì spontanea alle labbra, senza che lui potesse fare nulla per impedirlo.
- Io voglio. Non andare a Hogsmeade, domani notte. Non farlo, per favore. Io sarò qui, a fare cioccolata calda per due tutte le notti, se necessario… ma tu vieni da me. Parla come me, ridi, sorridi come fai con lei, voglio essere io a condividere tutto con te. Ti prego, io… pensaci, d’accordo?
Luna sorrise, un sorriso di quelli fatti con il cuore.
- Va bene, Neville, ci penserò.


Hogwarts, 995

Quella notte, Rowena si recò di nuovo presso il magazzino di Hogsmeade.
Ma era diverso. Non aveva con sé la candela, quella notte.
Perché sarebbe stata l’ultima.
Quando lo spirito di Caleigh apparve nel solito baluginio di luce, lei era sull’uscio del passaggio segreto che l’avrebbe ricondotta al castello.
- Rowena, cosa…?
- Addio, Caleigh, ti voglio bene…
Con le lacrime ad offuscarle la vista, Rowena corse via, dando le spalle alla sorella, dando le spalle ad un passato al quale non poteva più aggrapparsi per andare avanti.
Rientrata nel castello, sigillò il passaggio per Hogsmeade aggiungendo una brutta gobba alla strega, permettendo la sua apertura solo con un incantesimo.
Con il fiato corto e le lacrime che ormai le inondavano gli occhi, scendendo poi sulle guance arrossate, arrivò nei sotterranei, davanti allo studio di Salazar, dal quale provenivano dei rumori.
Facendo un profondo respiro, bussò ed entrò.


Hogwarts, 1997

Cara mamma,
devo dirti addio. Neville ha ragione, tu non ci sei più, e io non posso tenerti legata a questa realtà, perché non è giusto per nessuna delle due.
Però non ti preoccupare, perché lui ha detto che vuole condividere tutto con me al tuo posto, e che preparerà la cioccolata calda per tutti e due tutte le notti.
Ti saluterò papà, tu ogni tanto pensami, perché io lo faccio sempre.
Ti voglio bene,
Luna

Luna ripiegò con cura il biglietto che aveva appena scritto, stando attenta che l’inchiostro fosse asciutto.
Poi, di corsa, raggiunse la cantina di Mielandia. Qui, sorridendo al nulla, depositò il foglietto sullo scatolone sul quale era solita sedersi, sopra alla coperta di lana scozzese.
Rivolgendo un ultimo sguardo alla stanza, si incamminò di nuovo lungo il passaggio segreto.
A mezzanotte precisa, si trovava nei sotterranei, davanti al quadro con il cesto di frutta.
Solleticò la pera ed entrò nelle cucine, lasciandosi avvolgere da un dolce aroma di cacao.
Neville era lì, con due tazze fumanti di cioccolata calda sul bancone.



Hogwarts, 2022

Le undici e mezza, per Rose Weasley, quella notte sembravano non giungere mai.
Ingannando l’attesa, si era portata avanti con i compiti di Trasfigurazione e di Incantesimi, poi si era ritirata nel dormitorio, fingendo di dormire al rientro delle sue compagne.
Finalmente, il momento tanto atteso arrivò. Silenziosamente, la ragazza si avvolse nella morbida coperta di pile regalatale da suo fratello il Natale precedente e, una volta che ebbe calzato le pantofole e che si fu assicurata che la bacchetta fosse con lei, lasciò il suo letto ed uscì dalla Sala Comune.
Facendo il meno rumore possibile, scese le scale della Torre di Corvonero e, mantenendosi nel buio per non farsi scoprire dai Prefetti di ronda, raggiunse il terzo piano.
La statua della Strega Orba era sempre lì, nel suo angolo buio, silenziosa osservatrice di milioni di eventi da milioni di anni.
Sfiorandola appena, Rose la aggirò e, in un secondo, sparì alle sue spalle.






***






VAVVINA'S CORNER :)



Questa storia è stata scritta per il contest 'Titoli per Tuttigusti+1' indetto dal gruppo su Facebook HPeace&Love.
In primis, ho scelto questo titolo senza avere la minima idea di cosa mi sarei inventata, semplicemente perché quel film l’ho davvero adorato. In realtà, come avrete notato, la mia storia non c’entra poi molto.

È una WhatIf?, quindi per le parti riguardanti Rowena è tutto di mia invenzione, così come per quelle che riguardano Rose, mentre per la parte di Luna ho immaginato un suo ipotetico sesto anno, niente Voldemort, niente Carrow a pattugliare i corridoi, e simili.
Per quanto riguarda, invece, il passaggio segreto nascosto nella gobba della Strega Orba, ho lavorato molto di fantasia. Mi è piaciuta l’idea di una Hogwarts che, in quanto luogo magico, si sia creata un po’ da sola, per magia appunto, e che quindi nemmeno i fondatori ne conoscano tutti gli angoli. Inoltre, è sempre di mia invenzione il fatto che, inizialmente, il passaggio fosse sempre aperto, e che sia stata Rowena, dopo la sua esperienza, a sigillarlo con un incantesimo.
Per il resto... beh, spero che vi sia piaciuta, un commento è sempre gradito!

Baci,
Vavvina ^^
  
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