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Autore: Sylphs    12/03/2012    2 recensioni
Ehilà! Ho scritto questa favola un po' folle quando avevo 14 anni ed è in assoluto il primo romanzo che ho finito a quell'epoca, perciò ho deciso di tentare la sorte e pubblicarlo su efp, confido nella vostra pietà :) la storia si ispira alla mia fiaba preferita, "La bella e la bestia", salvo che la protagonista è un peperino ed è tutto fuorché una graziosa fanciulla. Spero che qualcuno leggerà!
Genere: Azione, Comico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO 9

 
 
 
 
 
Il giorno seguente Isadora, svegliandosi nel maniero, per la prima volta si sentì bene. La tranquillità era un sentimento che non provava da tempo. Si vestì con calma, fischiettando, indossando un abito verde e lasciandosi i capelli sciolti, assaporando il dimenticato piacere di mettersi in tiro. Katrina le portò addirittura la colazione a letto, che era ancora più sostanziosa di quella del giorno prima, e comprendeva, meraviglia delle meraviglie, il suo piatto preferito: frittelle al cioccolato! Quella bella sorpresa la lasciò stupita, poi ricordò che la sera prima, parlando a raffica, doveva essersi lasciata sfuggire quella sua preferenza.
Sul vassoio c’era un biglietto lasciato dall’orco. Isadora si aspettò, con delusione, di trovarci almeno due mansioni da svolgere, ma scoprì che lui ci aveva scritto: prepara qualche storia da raccontare. Katrina le strizzò l’occhio: “Il padrone è rimasto molto colpito dai tuoi racconti. Spero che stasera ci diletterai ancora”.
“Con molto piacere” disse Isadora. Ma voleva anche parlare di quella questione. Si ripromise di affrontarla dopo aver narrato due storie. Durante la mattinata giocò con Armageddon, guardandolo che si arrampicava agilmente sulle assi della branda per raggiungere il pezzettino di formaggio che lei gli aveva messo sulla cima del letto. “Sei un bravo topino” gli disse quando lui raggiunse la meta agognata: “Ti piace il formaggio? Era da tempo che non lo mangiavi, eh?”
L’orco si presentò nel tardo pomeriggio. Non faceva che tornare sempre più in anticipo, e sembrava persino sollevato di essere tornato a casa. Isadora suppose che la vita nel maniero, prima del suo arrivo, doveva essere stata triste e soffocante, per questo Katrina era stata ancora più stramba di adesso e l’orco si assentava tutti i giorni. Lui non era poi così male, in effetti. Aveva un carattere difficile, ma si stava ammorbidendo.
“Spero che tu abbia in serbo qualche storia da raccontare” le disse gentilmente gettando con tutta l’indifferenza del mondo il suo prezioso sacco a terra. Aprendolo, Katrina vide con stupore che era vuoto. Stavolta non riuscirono neanche a raggiungere la sala da pranzo: l’orco e la vecchia domestica sedettero su un divano, in una sala dove il fuoco scoppiettava allegro nel camino, mentre Isadora prese posto su una poltrona di fronte, attaccando a raccontare. Stavolta li tenne inchiodati sul divano narrando loro di tre simpatici porcellini e dei tre capretti che si erano lasciati ingannare da un lupo.
Alla fine, Katrina era in visibilio e l’orco le sorrideva: “Sei davvero brava a raccontare storie”.
Con un pizzico di asprezza, poiché sapeva che ora poteva esprimersi, Isadora disse: “Allora non sono del tutto inutile, eh?”
Sul volto dell’orco apparve chiaro il senso di colpa: “Perdonami per quello che ti ho fatto” le disse timidamente, senza guardarla in faccia: “Non ti conoscevo, non potevo sapere che tu fossi così…così…”
“Fantastica? Gentile?” gli suggerì Katrina, infervorata. Isadora, però, si fece furba: “Saresti disposto a sdebitarti per quello che mi hai fatto?” vide chiaramente che lui non si aspettava una risposta simile, ma rispose ugualmente: “Credo…credo di sì”.
“Bene” sorrise lei: “Non temere, non pretendo nulla di impegnativo da te. Solo…domani potresti mettere da parte la tua caccia per accompagnare me e Katrina in giro per il lato nord del tuo territorio?”
L’orco trattenne il respiro, Katrina spalancò gli occhi. Isadora attese, calma, una risposta. Per far leva sul suo senso di colpa, lo fissò dritto negli occhi con aria accorata. Lui cercava di evitare il suo sguardo: “Perché vuoi visitare il lato nord?” le chiese infine, con un eco della vecchia rudezza. Lei alzò le spalle: “Per fare qualcosa tutti insieme. Cosa c’è di male?”
Lo sguardo dell’orco si ammorbidì di nuovo. Rimase combattuto per un bel pezzo, poi, correndo via come per sfuggire a quello che avrebbe detto, disse in un soffio: “Lo farò”.
Isadora sorrise, raggiante, e gridò alla sua schiena: “Grazie!” poi prese nelle sue le mani di una sconvolta Katrina e le disse: “Visto? Domani tornerai a casa!”
“A casa…” mormorò Katrina, immobile come una statua: “Domani rivedrò la mia casa…dopo tutti questi anni” si accasciò e Isadora la sostenne con dolcezza: “Su, fila a dormire, così sarai carica, domani!”
 
La mattina dopo era tutto pronto. Isadora si era messa il mantello da viaggio e aveva raccolto un po’ di cose in un tascapane che portava a tracolla, in cui si era infilato anche Armageddon. L’orco era fuori dal maniero, intento ad attaccare due stalloni ad un calesse di legno dall’aria sbilenca.
Katrina uscì dalla sua stanza con passo barcollante, incredula di quello che stavano per fare. Aveva sostituito i suoi sudici vestiti con un mantello liso e coperta i capelli grigi con uno scialle. Sembrava più normale. Quando, al braccio di Isadora, uscì nella foresta, le mancò il cuore e si bloccò: “Non ce la faccio”.
“Coraggio” la incitò Isadora: “Sarà una gita magica!” Katrina si lasciò scortare, tremante di spavento. L’orco le avvistò e finì di cingere i cavalli con le strisce di cuoio che li tenevano attaccati al calesse: “Sarà meglio sbrigarsi” disse loro cupamente: “Di solito non vado mai nel lato nord”.
“Beh, sarebbe ora di farlo, non credi?” gli disse Isadora. Era eccitata. Le piaceva visitare posti nuovi. L’orco fece salire Katrina sul calesse, poi si voltò verso di lei. Isadora gli porse la mano. Allora lui sussultò, e gliela prese quasi cautamente, aiutandola ad issarsi sopra all’alto calesse. Isadora si stupì di quanto il tocco fosse delicato. Si lasciò aiutare, poi lui le lasciò andare la mano con aria turbata. Per darsi un contegno, le voltò le spalle per sistemare meglio i cavalli, poi saltò a bordo e strinse le redini: “Siete proprio decise?”
“Al cento per cento. Non è vero, Katrina?” rispose Isadora abbracciando la frastornata domestica. Lei restò immobile. Allora l’orco emise un lungo sospiro, tirò le redini e fece muovere i cavalli.
Era una bella giornata. Il cielo era di un azzurro denso, privo di nuvole, e vi splendeva il sole d’oro. La foresta finì ben presto, aprendosi su un panorama dalla bellezza mozzafiato: una prateria punteggiata di fiori colorati ed erba smeraldina che si estendeva fino alla linea luminosa dell’orizzonte. Katrina lottava con le lacrime, Isadora osservava quella visione celestiale con stupore. Rivolgendosi al silenzioso orco, gli chiese: “Come mai hai scelto di sistemarti proprio nella foresta?”
“Non sono stato io a decidere” rispose lui goffamente: “Mio padre ha scelto la foresta. Pensava che si confacesse alla sua personalità. Lui amava la solitudine e l’oscurità. Qui ci veniva solo per rapire i suoi sudditi…per questo non amo tornarci. Sono tutti molto circospetti”.
Parlava del padre con la stessa timorosa sottomissione di Katrina. Isadora capì che era un brutto fantasma che li minacciava dall’alto. Con grande sincerità, disse osservando quella prateria lussureggiante: “È…bellissimo”.
“Ti…ti piace?” le chiese lui. Ogni volta che esprimeva un giudizio positivo, si stupiva, come se ciò fosse impossibile. Isadora annuì con convinzione: “Neanche Soledad è così verdeggiante”.
“Soledad ti manca molto?” domandò l’orco, e stranamente sembrava in difficoltà. L’espressione della ragazza divenne più triste: “A volte”.
“Parlami di Soledad”.
“C’è sempre il sole” mormorò Isadora: “Ed è piena di vita. Per le strade calde e affollate ci sono sempre bambini che giocano, vecchiette che spettegolano e coppie di innamorati. A Soledad ci conosciamo tutti, e sappiamo tutto di tutti. Bisogna fare attenzione a ciò che si dice: i muri hanno le orecchie!” ridacchiò: “Io vivo…vivevo in un palazzo bianco come il latte, con balconi fioriti ed eleganti sculture”.
“Deve essere bellissimo” commentò l’orco, guardando più lei che la strada. Isadora si strinse nelle spalle: “Sì…un po’ monotono, forse. Come per te, fu mio padre a scegliere. Io allora ero molto piccola. A Soledad ci viveva la mia matrigna, per questo papà volle andarci a vivere”.
“Quella donna, con tutto il rispetto, mi è sembrata sgradevole” disse l’orco. Isadora scoppiò a ridere: “Si vede subito, vero? Mi chiedo come gli sia venuta a papà l’idea peregrina di innamorarsi proprio di Natalie”.
“Il mio villaggio!” strillò Katrina, interrompendoli. Era balzata in piedi sul calesse, il viso rugoso illuminato da una luce potentissima, e puntava il dito freneticamente sul gruppo di casupole che si stagliava all’orizzonte. Isadora non l’aveva mai vista così agitata e felice. Sembrava tornata giovane. Le strinse calorosamente la mano: “Vivevi proprio in un bel posto, Katrina”.
“Oh, Isa, mi viene quasi da piangere…chissà se la casetta dove vivevo è ancora intatta. Ero io che la mandavo avanti, la mamma era sempre ammalata” disse Katrina commossa, gli occhi strabici puntati sul villaggio che andava facendosi sempre più nitido. Isadora partecipava a quella gioia, perché si rivedeva nella vecchia domestica che tornava a casa dopo cinquant’anni di prigionia. Come poteva suo padre averla definita pazza?
“Lui non la conosceva davvero. La vedeva da fuori”.
Guardò l’orco per vedere come reagiva alla gioia di Katrina. Anche lui studiava il villaggio, ma era diffidente e curvo e stringeva violentemente le redini. Il villaggio era davvero un luogo adorabile: molto più piccolo di Soledad, con casette dal tetto spiovente, ognuna di un colore diverso dall’altra, tutte attaccate come a sorreggersi a vicenda, i portoncini preceduti da zerbini con su scritto “benvenuto” e campanelli a forma di lecca lecca. Sembrava il paese delle favole. La gente che passeggiava sulle vie lastricate era vestita in modo semplice ma sgargiante, intenta a fare acquisti, a camminare e a svolgere faccende. C’era un pozzo coronato di rose e, in una piccola piazzetta colorata, una piccola orchestra suonava un motivo vivace ballato da alcune coppie.
Katrina, con la faccia rigata di lacrime, non resistette più, saltò giù dal calesse e si mise a correre qua e là come impazzita, agitando le braccia, ritrovando ogni cosa lasciata e perduta: “Il pozzo!” singhiozzava: “È ancora qui! E anche la bottega del maniscalco! Oh, ecco il calzolaio! Ancora ricordo quei calzari di palissandro che mi si rovinarono…”
La gente si teneva alla larga da quegli stranieri, soprattutto a causa della presenza dell’orco, ma doveva essere bene a conoscenza del fatto che lui fosse il padrone delle loro terre, perché non si scomponeva. Frattanto Katrina si era fermata di fronte ad una casupola di un rosa acceso, con due balconcini aggraziati e il tetto color arcobaleno. La porta era stata murata. Vi si gettò perdutamente, le lacrime che le scendevano copiose sul viso: “La mia casa! La mia casa c’è ancora! C’è ancora!!” baciò più volte con le labbra rinsecchite quei muri fucsia.
L’orco e Isadora l’osservavano in silenzio sopra al calesse che si era ancorato poco discosto dalla piazzetta dove si ballava. Lui aveva fatto una smorfia di dolore che la ragazza non seppe spiegarsi: “Che c’è?”
“Guardala” le rispose l’orco indicandole Katrina inginocchiata presso la casa murata: “Che piange e si scioglie su un edificio che non vede da cinquant’anni. Nessuna di voi penserà al castello come a una casa. Continuerete a desiderare quelle che avevate prima”.
Lo sguardo di Isadora si addolcì: “Non dire questo. Non è detto. È che tu… come dire? Ti ci sei messo d’impegno a farci odiare il castello”.
“Forse è così” mormorò l’orco tristemente: “Ma è nella mia natura. Io non mi fido di nessuno” e aggiunse aggrottando le folte sopracciglia: “E non ho bisogno di nessuno”. 
“Aver bisogno di qualcuno a volte è piacevole”.
“Al momento, forse, ma poi so che verrai tradito. Sono pochi attimi in cui ti illudi di aver raggiunto la felicità che vengono distrutti dall’immancabile pugnalata. Preferisco rinunciarvi”.
Il ragionamento profondo stupì Isadora. L’orco dunque aveva un cuore. E c’era una tale, lugubre amarezza in quelle parole, che si sentì in dovere di ribattere: “Perché devi pensare che arrivi la pugnalata? Perché devi pensare che verrai tradito?”
“La felicità non dura, Isadora” le disse lui. Lei allora gli prese le mani. Lo sentì sussultare e irrigidirsi, ma non le lasciò andare. Quando incontrò il suo sguardo, disse con decisione: “Io e Katrina non ti tradiremo. Credimi”.
Gli occhi aridi dell’orco divennero lucidi: “Perché dovrei crederti? Ti conosco appena”.
“Io voglio esserti amica” esclamò Isadora, sincera. L’orco parve trattenere spasmodicamente una lacrima. Lei gli sorrise, stringendogli le mani inerti: “Prova a lasciarti andare, anche se solo per un attimo. Io non ti tradirò. Fidati di me”.
Gli lesse negli occhi che era tentato, ma che non osava. Come quella volta che aveva guardato la carne che gli aveva cucinato con sospetto, ora temeva che volesse approfittarsi delle sue debolezze per ottenere la libertà, e questo l’avrebbe schiantato. Allora la giovane diede un’occhiata vivace alla piazzetta dove si stava ballando, si alzò in piedi e tirò le sue mani per tirarlo su: “Andiamo a ballare, ti và?”
“Ballare?” sperduto, oppose resistenza: “Io non so ballare, Isadora. Non fa per me”.
“Oh, per favore” insistette lei, tirandolo verso la piazzetta: “Chi ti impedisce di provarci?” poiché lui continuava a scuotere la testa, sporse il labbro inferiore in uno sbuffo: “Sarà divertente”.
Non si sa come, riuscì a trascinarlo in pista nonostante le sue mille proteste. Una volta lì, l’orco rimase piantato dov’era, con le braccia lungo i fianchi e il viso paonazzo. Le coppie che danzavano si ritirarono rapidamente dall’altra parte. Isadora prese un braccio inerte dell’orco, se lo piazzò sui fianchi e lo spinse a stringere la presa. Poi si chinò, sollevò un lembo della gonna e prese l’altra mano di lui: “Pronto?”
“Isadora, ti prego” la implorò lui, imbarazzato: “Ti farò solo sfigurare”.
“Non mi importa cosa penseranno di me” dichiarò lei. Poi ripeté: “Pronto?”
Lui emise un sospiro di esasperazione, ma annuì. Lei contò muovendo la testa: “Uno. Due. Tre” al che fece un cenno all’orco e, goffamente, con impaccio, si mossero. Al principio l’effetto era assai comico, tanto che tutti si fermarono a guardarli: mentre Isadora si muoveva a ritmo con la musica, lasciandosi trasportare, l’orco si muoveva il meno possibile, girando su se stesso col suo passo fragoroso, faticando ad andarle dietro. Per cui erano un incrocio tra leggiadria e goffaggine, tra grazia e imponenza. Notando come l’orco si imbarazzava e come tentava di sciogliersi dalla stretta, Isadora gli bisbigliò: “Stai andando alla grande. Cerca solo di seguire il ritmo. Lasciati trasportare”.
Lui era disperato. Lo fissò intensamente: “Smetti di pensare. Ti limita”.
L’orco ricambiò lo sguardo, prese un profondo respiro e chiuse gli occhi. Ora andava un po’ meglio. I loro movimenti erano più coordinati e quello che stavano facendo poteva quasi esser chiamato ballo. L’orco, come Isadora, cominciava a divertirsi. Aumentarono di velocità.
Katrina, dimentica della casa fucsia, li osservava allegramente ai margini della piazzetta. Si mise pure a battere le mani, e quando passarono volteggiando accanto a lei, scambiò una strizzata d’occhio con Isadora. L’orco, troppo preso a muovere bene i piedi, non se ne accorse. Ad un certo punto staccò gli occhi dal suolo e li fissò in quelli di Isadora: “Come vado?”
“Bene. Gli altri non ballano mica meglio di te, sai” rispose lei. Non specificò che aveva ballato solo con suo padre e con un paio di ragazzetti di Soledad, e che tutti e tre non brillavano certo per grazia. Suo padre, poi, con una moglie come Natalie, aveva completamente perso le sue doti di ballerino. Poiché, scoprì sorpresa, si stava davvero divertendo, scoppiò a ridere, e contagiò anche l’orco. Ben presto dovettero fermarsi per ridere fragorosamente. Katrina saltellò verso di loro con aria giuliva: “Padrone, non sapevo che ballavate!”
“Effettivamente non lo sapevo neanche io” commentò l’orco. Finalmente si era lasciato andare. Poi Isadora si mise le mani sui fianchi e sorrise: “Che ne dite di andare a mangiare qualcosa?”
Comprarono da un venditore ambulante degli spiedini di carne che mangiarono voracemente, seduti su un vecchio muricciolo di pietra. Isadora si scostò una ciocca di capelli dalla fronte: “Allora, Katrina: ti è piaciuta questa visita?”
“Se mi è piaciuta?” si infervorò lei: “È stato semplicemente fantastico! Grazie, Isa!”
“Non devi mica ringraziare me” ribatté la ragazza. Si volse, prese l’orco per un braccio e lo sospinse al suo fianco: “È lui che ci ha portate”.
“Grazie padrone!” esclamò Katrina grata. L’orco cercò di schermirsi: “Non è stato nulla, davvero…”
Più tardi, sulla via del ritorno, quando erano tornati nell’immensa prateria fiorita, Isadora, col vento che le soffiava gentilmente sul viso, riuscì a sentirsi pacificata, e avvertì di meno la nostalgia per Soledad e per suo padre. Certo, aveva ancora la sensazione di vivere nel maniero per costrizione e non per sua scelta, ma almeno si era instaurata una piacevole serenità.
“Fatemi fare una corsa in questa prateria, vi prego” li implorò Katrina ad un certo punto. L’orco ed Isadora si scambiarono una rapida occhiata. Lui fece sì con la testa. Allora la ragazza diede una pacca sulla spalla della domestica mentre il calesse si fermava: “Su, vai!” stette a guardarla placidamente che correva a braccia aperte per la prateria, piena di gioia. Allora, per assaporare appieno la frescura del tardo pomeriggio, Isadora si tolse il mantello e rimase con un bell’abito verde a maniche corte.
Mentre era intenta a piegare il mantello, l’orco le sedette più vicino, torcendosi le mani, come sul punto di dire qualcosa che però gli arrecava imbarazzo. Per un po’ restò in silenzio, poi trovò il coraggio e bisbigliò: “Isadora?”
“Sì?” chiese lei, alzando lo sguardo a guardarlo. Lui esitò ancora un istante, furioso per quell’improvvisa debolezza; alla fine ce la fece: “Io sono stato…io volevo ringraziarti”.
“Per cosa?”
“Per…per avermi chiesto di portarvi qui, oggi” confessò l’orco a fatica: “Era da tantissimo tempo che non mi sentivo così…bene”.
“Mi fa piacere” lei gli rivolse un gran sorriso: “Vale lo stesso per me”.
“Non mentirmi” balbettò l’orco abbassando gli occhi: “Probabilmente non ti sei divertita affatto…ma grazie per averci fatto stare così bene”.
“Ehi” Isadora gli prese il viso fra le mani e lo costrinse a guardarla negli occhi: “Non saltare a conclusioni affrettate. Io mi sono divertita davvero. È stato tutto molto bello”.
“Anche il ballo?”
“Soprattutto quello!” scoppiarono in una risata nervosa. L’orco adesso la guardava negli occhi, e lei vedeva che le fiamme che gli animavano lo sguardo se ne erano andate del tutto, lasciandolo limpido: “Io non volevo trattarti male. Non volevo darti quegli ordini disumani e urlarti contro…” serrò i pugni: “Non voglio che tu mi odi”.
“Io non ti odio” gli rispose Isadora: “Davvero”.
“Non ho mai osato concedermi né speranze, né svaghi” mormorò lui: “Mi sembrava di tradire la memoria di mio padre. Lui mi diceva sempre che un vero orco si distingue per sadismo e crudeltà…”
“Te lo dico per esperienza personale” borbottò la giovane: “Molte volte i padri dicono e fanno solo sciocchezze, e non sono meravigliosi come crediamo”.
L’orco pensò all’improvviso che gli occhi azzurri di Isadora erano più grandi e più dolci di quanto credeva. Quasi ci si perdeva dentro. Erano la cosa più bella che avesse mai visto. Avvicinandosi, provò il desiderio sempre più impellente di abbassare le proprie difese: “Isadora…”
“Sì?”
“Io vorrei…”
“Cosa?”
“Vorrei…”
“Sentita la mia mancanza?” si intromise bruscamente Katrina, che tornava dalla sua corsetta campestre. L’orco e Isadora si scostarono di scatto come se fossero stati sorpresi a rubare. Lei accennò un sorriso: “E come non sentirla, Katrina?”
Più tardi, quando furono tornati al maniero e Isadora si fu ritirata per farsi un bagno, Katrina si avvicinò all’orco chino sul calesse e gli disse: “Ci siamo divertiti molto, non credete, padrone?”
“È stato meglio del previsto” rispose lui bruscamente. Con Katrina era più scontroso. La vecchia domestica annuì compiaciuta: “Lei ci tiene davvero a noi”.
“Lo pensi davvero?” mormorò l’orco. Katrina tornò ad annuire: “Si vede. Non ci abbandonerà mai”.

 
  
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