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Autore: MariaChiraOtaku    13/03/2012    2 recensioni
Quando scoppiò la Terza Guerra Mondiale nessuno avrebbe potuto prevederne l'esito. Il mondo cambiò volto e i neri divennero sovrani di una nuova realtà. Cassian, ragazzo bianco di genitori neri, vive in Italia e nemmeno nei suoi sogni più folli potrebbe mai immaginare cosa gli succederà.
Complotti, minacce e tradimenti. Cosa si cela dietro una sconfitta?
Genere: Avventura, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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    Il giorno dopo mi sveglia come sempre alle cinque. Feci colazione da solo, perché mio padre non era rientrato per la notte e mi preparai per uscire.


A quei tempi andavo al liceo classico Martin Luter King, costruito nel 2111. Era un liceo povero, nella vecchia zona del Vomero. Ci andavano si o no cento studenti e tutti non erano proprio il top come cittadini. Di quei cento solo dieci erano bianchi e gli insegnanti erano solo neri.

Come sempre, prima di uscire controllai di aver preso il coltellino e mi abbassai il cappuccio.

Per le scale non incontrai nessuno, fortunatamente e fui libero di scendere in strada in tutta tranquillità. Per le strade c’erano almeno venticinque gradi, e io spiccavo parecchio, dato che ero completamente coperto con un giubbino nero, una sciarpa e un cappellino. Me era meglio sembrare strano, che essere scoperto bianco.

Mi ficcai le mani in tasca e ne approfittai per accendere l’ipod. Era un vecchio modello di ipod nano uscito nel 2010. Era un pezzo da museo: se lo avessi venduto ci avrei fatto veramente molti soldi, indipendentemente dal mio colore. Però a me piaceva; era piccolo, maneggevole. Confrontato agli altri modelli usciti non valeva molto, però non mi andava a genio l’idea di chiedere a mio padre di comprarmi un nuovo lettore.

Ascoltavo pezzi rarissimi: U2, Nirvana, Green Day, Led Zeppelin, Cranberries e John Lennon. Erano tutti pezzi illegali, fatto sta che avevo dovuto pagare molti soldi per acquistarli da un immigrato che vendeva cip memoria contraffatti, ma ne era valsa la pena. Non circolava musica decente da molti anni: da quando il Pop aveva sostituito ogni altro genere di musica tutte le canzoni erano diventate banali, sopratutto perché il senso delle canzoni era sempre lo stesso: i bianchi erano bastardi, i neri erano i migliori eccetera eccetera.

La strada era ingombra di gente che andava a lavoro o ragazzi che correvano a scuola. Molti si spostavano grazie allo Speed 3000 una tavola di metallo che volava sopra il manto stradale. In realtà la tavola raggiungeva appena un’altezza di quattro centimetri da terra, ma solo quello bastava a mandare in delirio i ragazzi.

Dopo appena due giorni dalla prima produzione, tutte le tavole erano state esaurite, e molti negozi per giocattoli avevano già decine di prenotazioni per la prossima uscita. Le tavole costavano circa dieci mila euro ma i genitori erano molto propensi ad acquistare le tavole: il presidente stesso aveva dato l’approvazione al progetto e, di conseguenza, ogni adulto responsabile della città avrebbe speso volentieri i suoi risparmi per far felice i l proprio pargolo e il presidente.

Io mi accontentavo di camminare, cosa molto più economica. Tenevo la testa bassa, tanto che ormai conoscevo a memoria tutte le mattonelle della strada, ma il panorama non era molto più vario.

I neri avevano distrutto tutto e ormai l’unica cosa rimasta del lungo mare erano i palazzi ultra moderni che affacciavano sul mare. Il porto di Napoli era stato bombardato dagli aerei neri e le uniche barche che navigavano erano militari, poiché il presidente aveva proibito la navigazione, per diminuire l’inquinamento del mare.

La soluzione era molto drastica e non giocava a favore degli  abitanti: Napoli si era improvvisamente trovata esclusa da ogni tipo di commercio marino e il turismo, già scarsissimo, era ormai praticamente assente.

Girai a sinistra e mi allontanai dal lungo mare per prendere la funicolare.

Dopo l’occupazione della città tutte le metropolitane e le funicolari, come pure le linee degli autobus, erano state chiuse e le sedi cambiate. La funicolare Centrale era stata la prima ad essere chiusa ed era una delle poche aperte in tutta la città; il nome era stato cambiato in “Funicolare Lion” come il famoso condottiero che riuscì ad occupare Roma con le sue truppe.

Molte linee della metrò erano ancora in fase di costruzione ma La Funicolare Lion sbucava direttamente a piazza Vanvitelli quindi non ci mettevo molto per arrivare a scuola.

Una volta a Vanvitelli, scendevo verso pizza Fuga ed imboccavo una piccola stradina che sbucava dalla parte destra della piazza. Piazza Fuga era squallida: una piccola aiuola si trovava al centro della piazza ed un piccolo alberello verdognolo era piantato dentro l’aiuola. Tutto intorno c’erano quattro panchine bianche e, lungo i muri, decine di scritte, che imbrattavano le facciate dei negozi, già aperti nonostante l’ora: la maggior parte dei negozietti erano di cartoleria, ma altri vendevano dolciumi e i bar occupavano tutto un lato della piazza.

Sulla sinistra c’era la strada che portava a piazza Vanvitelli e decine di persone sbucavano dalla stradina per correre a lavoro. Sul muro centrale c’era una grande scalinata che portava a via Morghen e da li poi a una serie di edifici che costituivano il nuovo parco Morghen.

Dove prima si trovava la funicolare di Chiaia c’era una scuola elementare mentre la funicolare di Chiaia era stata completamente chiusa, dato che il presidente aveva deciso che la sua utilità era troppo limitata e i suoi prezzi troppo alti.

Arrivai a scuola alle otto meno un quarto e mi fiondai nell’istituto, dato che fuori il cancello si erano appartati molti gruppetti che aspettavano pazienti l’arrivo dei compagni bianchi.

Evitai di sbattere contro il bidello, dribblai due ragazze che ridacchiavano e scansai una coppietta che si contorceva contro il muro prima di entrare in classe.

La nostra aula era al secondo piano e non era molto numerosa, dato che moltissimi ragazzi avevano cambiato sezione quando avevano saputo della mia presenza; chi era rimasto non aveva potuto cambiare classe solo perché tutte le altre erano già piene.

Ero in terza liceale, dato che il ginnasio era stato riammesso nel 2098, e gli insegnanti avevano ideato uno scherzo molto di cattivo gusto: mi avevano promosso fino al terzo liceo, poi mi avevano bocciato per due volte, nonostante le interrogazioni brillanti e i compiti perfetti. Dato che erano stati tolti due anni per le elementari mi trovavo ad essere un diciottenne bloccato all’ultimo anno di liceo.

Nonostante la differenza di età, i miei compagni erano il doppio di me, ragazze comprese: raggiungevano un’altezza media di due metri, contro il mio metro e ottanta; avevano pettorali scolpiti e muscoli d’acciaio. Molti portavano i capelli lunghi fino alla vita, senza curare il regolamento che vietava chiaramente di portare i capelli lunghi. Indossavano vestiti firmati, collane d’oro e orecchini in qualsiasi parte del loro viso visibile.

Si riunivano in gruppi e il maschio, o la femmina, più forte del gruppo veniva riconosciuto come capo. Erano molto ignoranti, ma tutti quelli che capitavano nelle classi frequentate da bianchi venivano promossi anche se con la media del tre. Certo non facevano strada all’università, e le possibilità di trovare lavoro erano scarsissime, ma ai professori non importava: a loro bastava farci rosicare.

Entrai in classe e fui sollevato nel trovarla vuota.

Mi sedetti all’ultimo banco della terza fila, quelle più lontana dalla porta: la lontananza dall’entrata mi assicurava protezione dai lanci dei ragazzi che passavano per i corridoi, che tentavano di colpirmi lanciando forbici o temperini di ferro.

Fortunatamente eravamo al secondo piano, quindi non dovevo preoccuparmi dell’esterno. L’anno prima mi era toccato il primo piano e per tutto l’anno mi erano arrivati insulti, chiodi, spilli e pezzi di vetro addosso, lanciati dalla finestra che le professoresse lasciavano sempre aperta. Mi avevano assegnato, secondo loro casualmente, il posto proprio sotto la finestra e avevano fatto in modo che tutti gli altri occupassero i posti delle altre file, cosa accaduta anche quest’anno.

Accettavo volentieri la solitudine, perché sapevo che era meglio stare soli che essere disturbati continuamente dai calci o i pugni degli altri.

Rimasi seduto al mio banco con le auricolari nelle orecchie fino a quando non arrivarono i miei compagni di classe. I primi ad entrare mi indicarono con un sorriso cattivo stampato in faccia ed urlarono per il corridoi – Abbiamo un bianco in classe!! -.

Subito l’aula si riempì di ragazzi, che si accalcavano fuori la porta per urlarmi contro improperi o per lanciarmi contro ogni tipo di articolo di cancelleria esistente. Mi arrivò addirittura un diario di cartone rigido in testa e mi colpì proprio l’orecchio con un angolo.

Io mantenni un contegno ed evitai di fare smorfie, dato che il lanciatore già esultava, aspettando compiaciuto la mia reazione. Per tutta risposta mi limitai a sospirare: non potevo far altro che aspettare l’arrivo della professoressa, anche se non credevo che il suo intervento avrebbe migliorato la situazione.



*****

Ciao! Bene, il mio ultimo capitolo, come si intuisce dal titolo, vi dà un'idea di cosa significhi avere a che fare con gli abitanti del nuovo mondo. I ragazzi, come avrete potuto capire, sono i peggiori, anche se i professori non sono meglio! Resta il fatto che il nostro povero Cassian è circondato da un branco di bulli razzisti. Fatemi sapere cosa ne pensate e se avete consigli non esitate a illuminarmi!

  
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