Serie TV > Glee
Ricorda la storia  |      
Autore: Inheritance    13/03/2012    3 recensioni
One-shot dedicata alla seconda giornata della Klaine week (AU) ispirata a "I want to hold your hand" e alla canzone di Jovanotti “Gente della notte”. La seconda non è citata nella storia, ma davvero mi ha aiutato tantissimo nella stesura.
Dal testo:
"-Oh, lei si sbaglia. Io non sono un guardiano notturno, il che evidentemente implica che Joseph ha svolto il suo compito. Sfortunatamente per lei, però, sono un medico. E la sto pregando di tornare all’interno.
Kurt sorrise sarcasticamente.
-Oh, andiamo! Lei non mi sta pregando, mi sta imponendo di andarmene. Sa che le dico? In un ospedale non dovrebbe parlare così ad una persona, potrebbe essere incappato in un suicida e il suo tono lo spingerebbe solo che a buttarsi.
Dicendo queste parole fece un passo in avanti verso lo strapiombo formato dalle alte pareti dell’edificio."
Genere: Romantico, Triste | Stato: completa
Tipo di coppia: Slash | Coppie: Blaine/Kurt
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
Per recensire esegui il login o registrati.
Dimensione del testo A A A
One-shot dedicata alla seconda giornata della Klaine week ispirata alla canzone di Jovanotti “Gente della notte”. Non è citata nella storia, ma davvero mi ha aiutato tantissimo nella stesura.
Lo so, è lunghissima, non pensavo sarebbe venuta fuori una cosa del genere. Se leggete fino alla fine, battete un segno o lasciate una recensione, se ne avete voglia. ;)

 
 

Please, let me hold your hand.

 
 
Kurt sospirò pesantemente osservando la città sotto di sé con sguardo assorto. Non aveva mai girato di notte per svariati motivi. Primo fra tutti, la sua perpetua stanchezza. Lavorava sodo per ore ogni giorno, tanto che le sue due coinquiline e migliori amiche Rachel e Santana avevano iniziato a preoccuparsi per la sua salute fisica e mentale. Ogni volta che cercavano di fargli una ramanzina sui suoi troppi impegni lui sorrideva loro e prometteva che avrebbe diminuito lo stress, che avrebbe smesso con tutto quel caffè e avrebbe riniziato a dormire come una persona normale.

In realtà non faceva mai niente di queste cose e le sue amiche non se ne stupivano neppure. In una città grande come New York, in un appartamento di tre ragazzi che giocano a fare le persone adulte, alle prese con studi, lavori, stage, amicizie e relazioni, a tutti loro risultava in fondo abbastanza normale vivere in questo modo.

E’ così che si vive, di giorno, a New York.

Kurt, però, conosceva  bene la differenza che intercorre fra una vita vissuta alla luce del sole e una passata lì, rischiarati dai lampioni e dai neon degli edifici, le stelle troppo lontane e insignificanti, la luna quasi sempre assente.

 Kurt lo sapeva perché lui d’un tratto aveva smesso.

Semplicemente, aveva smesso con la vita di giorno e aveva iniziato con quella di notte.
Erano mesi ormai che passava tutte le notti in bianco, che faceva spesa alle tre di notte, che passeggiava per i marciapiedi illuminati da luci artificiali. Gli capitava spesso di ringraziare quella meravigliosa città, New York, la città che vive anche di notte, perché gli aveva permesso di mantenersi una vita. Era riuscito persino a continuare con il suo lavoro di designer, lavorando dalla sera fino al mattino sui suoi bozzetti. Non era stato complicato, era bastato trovare un fattorino disposto, per qualche soldo in più, a ritirare i suoi disegni al mattino presto e portarli  in ufficio in orario per essere visionati. Kurt aveva scoperto, inoltre, di preferire il suo lavoro così, c’era meno confusione, nell’aria c’era più ispirazione che lo avvolgeva delicatamente e muoveva le sue dita sulla carta con maestria. Se poi l’ispirazione non arrivava, aveva scoperto un metodo eccezionale per rimuovere qualsiasi blocco.

Osservare New York.

Aveva trovato nella sua città la musa di cui aveva bisogno nei momenti bui ed era riuscito in qualche modo ad amare quel posto più di quanto avesse mai fatto prima.

Puntò di nuovo gli occhi su quel grande palazzo non molto distante, poteva vedere le luci delle finestre spegnersi, la gente andare a dormire, mentre più in lontananza vedeva interi locali illuminarsi dalle fondamenta alla cima, pronti per iniziare a vivere la notte.

Per un istante si sentì incredibilmente potente. Pensò di riuscire a sentire qualsiasi rumore, qualsiasi odore, come se l’oscurità avesse rallentato e amplificato ogni minuscolo dettaglio intorno a lui nel raggio di chilometri. Poteva percepire la gente camminare a passo lento e misurato, perché è così, la notte non ha mai fretta, aspetta tutti. C’era sempre una specie di lentezza a circondare tutti i suoi gesti, Kurt se n’era reso conto i primi tempi. Aveva smesso di correre, di gesticolare in maniera esagerata, aveva persino smesso di parlare più veloce di quanto fosse necessario.
Di notte, pensò, c’era calma a permeare l’atmosfera ed era una sensazione bellissima.

-Lei non può stare qui, lo sa?

Una voce dietro di lui sul tetto dell’ospedale lo riportò alla realtà.

-Lei non è il primo che me lo dice, lo sa? Speravo che Joseph avesse chiesto agli altri di chiudere un occhio. Mi ha imbrogliato, quel farabutto.

Non si voltò neppure a guardare l’uomo che aveva parlato, mentre gli rispondeva in tono acido.

-Oh, lei si sbaglia. Io non sono un guardiano notturno, il che evidentemente implica che Joseph ha svolto il suo compito. Sfortunatamente per lei, però, sono un medico. E la sto pregando di tornare all’interno.

Kurt sorrise sarcasticamente.

-Oh, andiamo! Lei non mi sta pregando, mi sta imponendo di andarmene. Sa che le dico?  In un ospedale non dovrebbe parlare così ad una persona, potrebbe essere incappato in un suicida e il suo tono lo spingerebbe solo che a buttarsi.

Dicendo queste parole fece un passo in avanti verso lo strapiombo formato dalle alte pareti dell’edificio. Sentì il respiro della persona alle sue spalle bloccarsi, poi ricominciare accelerato e più pesante.

-Stia- stia calmo, va tutto bene. Non…non c’è assolutamente nulla di cui preoccuparsi. V-vuole parlarmene? Niente è così grave come può sembrare in un primo momento, sa?

Cerco di tranquillizzarlo con voce più ferma possibile, ma il risultato fu tanto penoso che Kurt scoppiò a ridere fragorosamente. Si voltò di scatto per fronteggiare l’uomo, ma scoprì che nel buio non era poi molto facile distinguerne anche solo i tratti.

Con un altro accenno di risa, alzò un sopracciglio verso il muro di oscurità che lo circondava. Il tetto dell’ospedale era decisamente troppo alto per poter essere illuminato dalle luci degli altri palazzi o tantomeno della strada e solo una piccola parte, quella in cui si trovava lui, era colpita dall’insegna dell’ospedale.

-Se fossi un suicida, sarei già morto a “calmo”. Non può pretendere di tranquillizzare qualcuno quando lei stesso rischia di farsela nelle mutande. Non mi prenda per un presuntuoso che intende insegnarle il mestiere, ma ho una certa esperienza con questo genere di cose. I suicidi, intendo. (*)

L’altro rise appena e poi lo schernì.

-Ah, davvero? Quante volte ci ha provato?

Blaine sapeva di non dover scherzare con certe cose, non con dei probabili pazienti, magari anche fuggiti dalla propria stanza. Ma non resistette a fronteggiare quel ragazzo così borioso. Aveva ancora molto da imparare nel suo mestiere.

Se ne rese conto, quando vide il volto dell’altro trasformarsi, gli occhi diventare lucidi e lo sguardo vagare di nuovo sulla città sotto di lui, come quando lo aveva visto pochi minuti prima.

-Due volte. (**)

Disse con voce flebile, quasi più a se stesso che all’uomo con lui.

A Blaine si mozzò il fiato. Non aveva fatto caso alla bellezza di quel ragazzo prima, troppo preso da quel battibecco che aveva coinvolto entrambi. Ma vederlo così, col volto parzialmente illuminato, gli occhi lucidi e lo sguardo perso fece perdere al suo cuore un battito.

-M-mi dispiace.

Riuscì a sussurrare. La gola secca, il cervello tanto ingarbugliato da non permettergli di creare un frase di circostanza che non sembrasse troppo stupida o insignificante.

Il ragazzo spostò di nuovo lo sguardo su di lui e Blaine vide ricomparire sul suo volto il sorriso sarcastico di prima, quando lo aveva preso in giro.

-Uh…non si preoccupi, davvero. Niente è così grave come può sembrare in un primo momento, sa?

Ripetè la sua frase di poco prima con molta più decisione nella voce, con l’espressione di chi intende davvero ciò che sta dicendo e con quel pizzico di superiorità negli occhi che Blaine aveva notato fin da subito. 

Poi fece un ghigno.

-E’ così che convincerà qualcuno a non uccidersi la prossima volta, dottore.

Se ne andò senza neppure scrutarlo meglio mentre gli passava accanto, come se non avesse alcun interesse a conoscere il volto della persona con cui stava parlando.

Blaine rimase lì, da solo, a chiedersi chi fosse quel ragazzo così bello, così tormentato e così dannatamente triste.
Una volta tornato all’interno si chiese quanto tempo fosse rimasto lassù, ma non seppe darsi un’indicazione temporale specifica. Si sa, in fondo, che la notte rende tutto più lento.
 
………………………………………………….

 
Blaine camminava per i corridoi dell’ospedale come ogni notte. Quando aveva acconsentito ad occupare quel ruolo era stato incredibilmente contento, perché era l’unica posizione che gli avrebbe permesso di operare dei pazienti in caso fosse capitata un’emergenza. Erano in pochi quelli disposti a correre alle tre di notte ad operare qualche bambino con una scheggia in un occhio. A Blaine quello sarebbe bastato, ma si era accorto ben presto di come fosse noiosa la vita in un ospedale durante l’orario notturno. Nessuna emergenza, nessuna operazione. La cosa più eccitante che gli era capitata in quelle ultime due settimane era stato l’incontro con un falso suicida sul tetto. Roba grossa, pensò sarcasticamente, anche se sapeva bene di aver pensato a quell’accaduto molto più del necessario e di aver sognato quegli occhi fin troppe volte.

Quel ragazzo lo aveva stregato con i suoi modi di fare bruschi, ma sinceri.

Una cosa che Blaine aveva imparato quando aveva iniziato a vivere di notte era che la gente diventa stranamente più vera. Non c’è bisogno di bugie di notte perché qualsiasi sporco segreto fugge via nel buio e si perde fra i bar vuoti e i negozi chiusi.

Riflettendo su queste cose passò davanti ad una stanza dalle pareti di vetro e il suo sguardò vagò per un istante all’interno dove vide il solito malato addormentato nel lettino, attaccato a tanti di quei tubi da non far pensare niente di buono sulla sua sorte, e accanto a lui, seduto….

Oh.

Il ragazzo dai meravigliosi occhi color del cielo era lì e piangeva. Piangeva e cantava, mentre stringeva dolcemente la mano dell’uomo sdraiato.
 

“Oh, I’ll tell you something, I think you’ll understand.
And when I’ll tell this something, I wanna hold your hand.
I wanna hold your hand,
I wanna hold your hand.”

 
Blaine si stupì di come quella voce arrivasse limpida e definita alle sue orecchie, anche attraverso le pareti, prima di rendersi conto che la porta era leggermente socchiusa.

Senza spostare lo sguardo dal ragazzo all’interno, che adesso teneva gli occhi chiusi, entrò all’interno della stanza cercando di fare meno rumore possibile.
 

“Oh, please, say to me you’ll let me be your man.
And please, say to me, you’ll let me hold your hand.
Now, let me hold your hand,
I wanna hold your hand.”
 

Sentì le lacrime pizzicargli gli occhi e le lasciò uscire senza preoccuparsene, gli occhi fissi sull’immagine davanti a sé, seppur sfocata a causa del pianto che ormai non stava più trattenendo.

Cercò tuttavia di restare nel più assoluto silenzio per il resto della canzone. Non avrebbe mai rovinato un momento simile fra quel ragazzo e….suo padre?
Non riusciva a vedere dalla sua posizione la persona sdraiata nel letto, anche se si poteva ben intuire che si trattava di un uomo. Per un attimo passò per la testa di Blaine l’idea che quel ragazzo potesse essere gay e che in quel letto ci fosse il suo compagno, ma non sapeva davvero come reagire ad un pensiero simile e scacciò l’idea così come si era presentata. Rivolse di nuovo l’attenzione a quella voce stupenda.
 

“And when I touch you I feel happy
Inside.
It’s such a feeling that, my love,
I can’t hide,
I can’t hide,
I can’t hide.”

 
Blaine rimase senza fiato colpito dall’intensità di quella canzone cantata in modo così triste e disperato da una voce tanto bella e pura. Rallentò il respirò, ma la frequenza dei suoi battiti, fuori dalla sua giurisdizione, aumentò.

Poteva un momento, un istante, essere definito perfetto? Pensò che no, non era giusto affibbiare un tale aggettivo a quell’immagine davanti a sé, perché sapeva che gli attimi svaniscono e quella visione sarebbe stata davvero perfetta solo se fosse stato possibile vederla perdurare nel tempo all’infinito.
 

“Oh, you’ve got that something, I think you’ll understand
When I’ll feel that something, I wanna hold your hand.
I wanna hold your hand.
I wanna hold your hand.
I wanna hold your hand.”

 
Blaine sentiva le lacrime invadergli il viso e si vergognò all’istante pensando che quel ragazzo prima o poi avrebbe aperto gli occhi e lo avrebbe visto in quelle condizioni e magari lo avrebbe riconosciuto, nonostante il buio sul tetto, e lo avrebbe riempito di insulti e cacciato da quella stanza.

Tutte queste idee gli invasero la testa, ma non riuscì comunque a muovere un muscolo. Era paralizzato e non riusciva neppure a spiegarsi perché. Era un medico, in fondo, no? Quale malattia aveva come sintomi la paralisi, il battito accelerato del cuore, i sudori freddi e la sensazione di svenimento improvviso?

Il ragazzo aprì gli occhi e li puntò su di lui.

-E’ triste, vero? Quando qualcuno soffre e tu sai di non poter fare abbastanza. Lei è un medico. Dovrebbe sapere come funzionano certe cose.

Evidentemente no, non lo aveva affatto riconosciuto. Schiarì la voce e parlò.

-A volte fai dei sogni strani. Sogni di essere in una gabbia con tutti i parenti dei tuoi pazienti che ti guardano in modo accusatorio. Hai addosso il peso di ogni singola persona, morta o sopravvissuta che sia, e….semplicemente dimentichi di aver fatto del tuo meglio e riesci a pensare solo a quanto avresti potuto fare in più. E’…. straziante.

Kurt annuì piano col capo e indicò la sedia accanto a sé, che Blaine raggiunse lentamente.

Da vicino notò che l’uomo sdraiato doveva avere una certa età e che probabilmente era il padre di quel ragazzo.

-Un po’ giovane per fare il dottore.

Constatò Kurt. Blaine lo guardò e sentì il petto scoppiare davanti a quegli occhi e a quelle pelle tanto vicini da poterli sfiorare con la punta delle dita. Si diede dell’idiota quasi istantaneamente.

-Al mio corso ero il migliore. A volte aiuta.

Il suo tono era semplice, non si stava vantando.

-Dicono che le condizioni sono molto gravi, difficilmente sopravviverà.

Il suo tono era piatto, rassegnato. Blaine sentì una morsa avvolgerlo completamente.

-Posso….uhm…posso dare un’occhiata alla cartella, se….se vuole.

Kurt accennò una risata.

-Sei giovane, è vero, ma non c’è bisogno di darmi del lei. O…beh, se preferisci così…allora lo farò anche io.

-N-no…non ce n’è bisogno. Hai…hai ragione. Meglio darci del tu. Non sono neanche il suo medico.

Disse, piegando un po’ la testa verso l’uomo sul lettino.

-Già. Comunque no, ne ho abbastanza di sentire pareri. Sono mesi ormai che passo ogni notte qui e lo vedo stare sempre allo stesso modo. Non-non mi piace che stia da solo. Di giorno c’è Carole, così io sto con lui la notte.

Blaine lo guardò confuso e lui sembrò capirne il motivo.

-Carole è sua moglie. Mia madre è morta molto tempo fa.

Il ragazzo riccio si chiese come facesse il destino ad essere così crudele, a volte. Non riusciva a spiegarselo. Quel ragazzo aveva perso sua madre e ora suo padre era in quelle pessime condizioni e lui sperò solo che potesse esserci un modo per farlo sorridere, per farlo sorridere davvero. Non lo conosceva, ma gli venne spontaneo chiedersi chi fosse stato tanto cattivo da affibbiargli una sorte tanto cattiva.

Non riusciva a parlare, non sapeva cosa dire, perciò rimase in silenzio a fissare la sua mano stretta a quella dell’uomo.

I minuti passarono e loro rimasero così, in quel silenzio che a modo suo riusciva a dire tutto ciò che c’era da dire al posto loro.

D’un tratto Kurt scoppiò a piangere e le sue lacrime e i suoi singhiozzi invasero la stanza come una tormenta di quelle che investono la strada lungo il ritorno verso casa e ti lasciano da solo, perso chissà dove, lontano.

Blaine sentì il bisogno di prendere quel ragazzo per mano e condurlo in un luogo sicuro, in un posto in cui i suoi sospiri sarebbero stati ascoltati e le sue lacrime asciugate, e niente di tutto questo sarebbe andato perduto nel vento.

Alla fine lo fece. Prese l’altra mano di Kurt, quella poggiata sul suo grembo e la strinse forte, poi gli asciugò il viso, liberandolo da quella morsa di tristezza e desolazione che fu sostituita da una maschera di sorpresa. Poi il suo volto si trasformò ancora, i tratti divennero più dolci e sorrise. Non era un sorriso abbagliante, non di quelli che ti tolgono il fiato, ma era un sorriso. Ed era così bello che Blaine pensò di poter svenire.

In quel momento un’infermiera apparve per chiamare Blaine e lui si alzò con uno sforzo immane da quella sedia. Non riusciva ad allontanarsi da quel ragazzo e la cosa lo spaventava. Lo salutò brevemente con un gesto della mano e si avvicinò alla porta.

Prima che potesse lasciare la stanza, Kurt lo chiamò e lui si voltò.

-Sai, penso….penso che questo sarebbe un bel modo per convincere qualcuno a non suicidarsi. A volte basta solo sapere che c’è ancora qualcosa di buono nel mondo.

Blaine riuscì solo a lanciargli uno sguardo adorante prima che l’infermiera visibilmente scocciata lo tirasse via per la manica del camice.
 
……………………………………………………………
 

Andò avanti così, fra di loro, per alcuni mesi. Si trovavano a parlare, ogni notte, in quella stanza. A volte Kurt piangeva e Blaine lo consolava come possibile. Altre volte parlavano, semplicemente, tante di quelle ore che entrambi si trovavano al mattino con la gola secca e niente più parole da dire.

Si conobbero, fra quelle pareti di vetro così sottili e trasparenti, davanti al resto della città, illuminato da tutte quelle piccole luci, davanti ai vari dottori e assistenti che passavano di lì, lenti e silenziosi, come erano soliti fare di notte.
Perché la notte rende tutto più calmo, quieto, e parlare non è mai difficile e non si ha paura di tirare fuori i mostri del proprio passato e non si fanno progetti e non si pensa al futuro.

Di notte, Kurt e Blaine scoprirono di provare un sentimento grandissimo e lo resero forte e potente, quasi rumoroso se paragonato al silenzio che regna sovrano quando fuori tutto è buio.

Di notte, Kurt e Blaine si innamorarono.
 
……………………………………………………………………

 
-Pensavo non avrei mai ricordato come mi sentivo il giorno in cui è morta mia madre, ma mi sbagliavo.

Blaine osservò Kurt accanto a lui e sentì qualcosa rompersi nel suo petto.

Guardò la bara davanti a sé che veniva calata in una fossa molto profonda. Scrutò i visi attorno a loro e vide solo riflessi di tutto il dolore impresso a fuoco sul volto del ragazzo che amava.

-I-io….

Tentò di parlare, ma Kurt lo bloccò.

-Non devi essere triste, sai? Io non lo sono, non più di tanto. So che adesso lui è in pace, magari con mia madre, chissà dove. Mi sono rassegnato all’idea di averlo perso molto tempo fa, ma sai cosa ti dico? Credo di potermi definire fortunato. A pochi è concessa un’altra occasione, come è successo a me. Pochi incontrano nel baratro più profondo, qualcuno in grado di dar loro la forza di risalire. Se vuoi sapere cosa penso, noi ci siamo trovati. (***) E questo può bastarmi. Adesso….adesso voglio chiederti solo una cosa.

Blaine trattenne le lacrime a malapena.

-Certo, amore mio.

-Mi…mi lasceresti tenerti la mano? 

Blaine non rispose, ma gli afferrò la mano e la strinse forte fra le dita.

Entrambi si sorrisero e poi si voltarono a guardare il tramonto.

Le loro mani non si lasciarono un secondo, mentre il sole spariva dietro l’orizzonte e lasciava spazio alla notte.

 
 










 
(*)= Ogni riferimento è puramente casuale xD 
(**)= Kurt non ha mai conosciuto Blaine, quindi ho immaginato la sua adolescenza un po’ più tribolata. Capitemi D’:

(***)= Altri riferimenti…? :3

 



 
Nda.
Bene, se siete vivi….complimenti!
Non avevo davvero intenzione di allungarla tanto, ma giuro che è nata da sé ç_ç
Spero che vi sia piaciuta, mi sono divertita a scriverla e ho anche pianto un po’ mentre mi godevo per l’occasione “I want to hold your hand” a ripetizione. (Cantata da Chris, obviously ù_ù)
Vabè, un bacio a tutti. Vi adoro :3
-Her- 
  
Leggi le 3 recensioni
Ricorda la storia  |       |  Torna su
Cosa pensi della storia?
Per recensire esegui il login oppure registrati.
Torna indietro / Vai alla categoria: Serie TV > Glee / Vai alla pagina dell'autore: Inheritance