Anime & Manga > Kuroshitsuji/Black Butler
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Autore: MadLucy    16/03/2012    3 recensioni
Semplicemente, il compleanno di Alois Trancy.
***
-Non riuscivo a dormire, ero troppo emozionato. Così ho deciso di alzarmi prima!- rivelò, con un sorriso entusiasta.
-Buongiorno.-
Aveva un aspetto particolarmente angelico, quella mattina: i capelli biondo cenere erano tanto chiari da parere argentei alla luce del Sole, la camicia immacolata che indossava per dormire ricadeva fino alle ginocchia. Gli occhi turchesi erano sgranati, ancora un po' gonfi dal sonno.
-Sai che giorno è oggi, Claude?- domandò poi, eccitato.
-Certamente.- Claude si esibì in un breve inchino. -Buon compleanno, danna-sama.-
Genere: Generale, Malinconico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Alois Trancy, Claude Faustas, Lau Tare
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Le urla che non ascolti.











Quattordici. Da quel giorno, sarebbero stati quattordici.



La parete color crema, decorata da aggraziati arabeschi d'oro pallido, fu attraversata da una fugace ombra tinta di fresco che in un istante svanì, veloce come era apparsa. Le rose dei petali setosi, del rosso cupo e seducente che ammalia le donne, riposavano silenti nel vaso di porcellana dal collo sottile e nemmeno una grinza rovinava le loro corolle maniacalmente perfette. Uno specchio dalla cornice di bronzo rifletteva davanzali rilucenti e un pianoforte, nero come vivido inchiostro.
Nemmeno un rumore si riusciva a cogliere, in quelle stanze: eppure i servitori lavoravano di buona lena già da qualche ora. Tutti conoscevano le regole. Non un fiato, al mattino, non un fiato.
Le impeccabili scarpe scure del maggiordomo parevano sfiorare appena le piastrelle, senza camminarci, poichè i suoi passi svelti e misurati scivolavano senza emettere il benchè minimo suono.
Iniziò a salire le scale, quei gradini che venivano più lustrati che sporcati, con l'evanescente leggerezza d'uno spettro. Uno dopo l'altro, non aveva bisogno di stare attento per fare piano. Ormai era un'abitudine, quella di rendersi concreto quanto una fiammella in equilibrio sullo stoppino.
Il secondo piano era illuminato dalla luce intensa dei candelabri di rame, posati su piccoli tavoli a puro scopo decorativo. Proseguì lungo il corridoio, attraversato da un tappeto lanuginoso. Camminò per qualche minuto, passando veloce davanti a tutte quelle porte accostate agli stipiti e magari inquietanti. Inquietanti per qualcuno, non certo per lui. E' sciocco avere paura di una porta chiusa.
Ad un certo punto si fermò, voltandosi verso una a destra. Non aveva nulla di speciale rispetto alle altre, almeno dall'esterno.
Con un gesto preciso e quasi meccanico il maggiordomo sollevò una mano guantata di morbido bianco e la strinse in pugno, bussando delicatamente. Nessuna risposta, naturale.
Insistere era inutile, il maggiordomo ci era abituato; rigirò lentamente il pomello dorato nel palmo, finchè un flebile schiocco accompagnò il socchiudersi della porta, permettendogli di entrare con un movimento fluido.
La stanza in cui si trovava era vasta, molto. Riposava in un buio pesto, quello pacato e pigro della mattina presto, in cui era così piacevole crogiolarsi. La penombra impediva una visuale precisa di ciò che conteneva, ma lui lo sapeva fin troppo bene.
Si avvicinò alla parete opposta rispetto all'ingresso, per scostare le tende di pesante broccato blu. Appena i lembi ricaddero contro il muro, liberati dalla stretta d'un cordone dorato, la dolce luce rosata dell'alba filtrò dai vetri rischiarando la stanza.
Era arredata con ostentata eleganza, si riusciva a percepire chiaramente: ogni cosa era troppo costosa ed eccentrica, dal baldacchino di fruscianti stoffe pregiate all'armadio finemente intagliato. Eppure le lenzuola del letto erano sfatte, il cuscino di piume sformato e il letto vuoto.
-Sono qui, Claude!- La figura esile di Alois Trancy si stagliava contro i bagliori giallastri che penetravano dal corridoio. Entrò, esaurendo con pochi passi la distanza che li separava. -Non riuscivo a dormire, ero troppo emozionato. Così ho deciso di alzarmi prima!- rivelò, con un sorriso entusiasta.
-Buongiorno.-
Aveva un aspetto particolarmente angelico, quella mattina: i capelli biondo cenere erano tanto chiari da parere argentei alla luce del sole, la camicia immacolata che indossava per dormire ricadeva fino alle ginocchia. Gli occhi turchesi erano sgranati, ancora un po' gonfi dal sonno.
-Sai che giorno è oggi, Claude?- domandò poi, eccitato.
-Certamente.- Claude si esibì in un breve inchino. -Buon compleanno, danna-sama.-
Il ragazzino sorrise, andandosi a sedere sul bordo del letto. -Oh, lo sarà. Su, avanti, sbrigati: ho un sacco di progetti in mente per quest'oggi. Sono arrivati, vero?-
-Sì. Regali da parte di moltissime famiglie fra le più prestigiose a Londra sono stati recapitati proprio un'ora fa. Nessuno le farebbe un torto, scordandosi di farle i propri più sentiti auguri.- rispose apaticamente Claude, chianandosi dinnanzi a lui e cominciando a slacciare con mani esperte i bottoni della camicia, per poi sfilarla.
-Ovvio che no.- concordò Alois compiaciuto. Ma la sua mente era altrove, già fantasticava sulle incredibili opportunità che quel giorno gli offriva.
Il maggiordomo lo aiutò ad indossare un elegante completo rosso intenso, abbottonando con cura la giacca con gli alamari e lisciando il colletto guarnito di pizzo rigido.
Alois sporse languidamente una delle gambe affusolate e candide, così che Claude potesse infilargli i pantaloni.
-Questa mattina mi porterai in città, mi fermerò a mangiare lì. - ordinò con brio. L'altro annuì rigidamente, ben sapendo che il suo padrone avrebbe cambiato idea nel giro di qualche minuto.
Appena ebbe stretto il bel fiocco color rubino degli stivali al ginocchio, Alois balzò in piedi e piroettò con grazia. -Ohh, sarà tutto così perfetto, Claude! Sì, è tutto perfetto. Ora andiamo, su, su! Sorridi, Claude, è una bellissima giornata!-
Lui non lo fece, ma il padrone o non se ne accorse o fece finta di non vederlo. Claude non sorrideva mai, in fondo, e persino la cocciutaggine del giovane conte non sarebbe mai riuscita ad increspare quelle labbra severe.


Tlac tlac tlac, facevano i tacchi di Alois contro i gradini. Saltellava esuberante giù per le scale, e forse poteva sembrare felice. In realtà è solo esaltato, rimuginava Claude silenziosamente, e non durerà a lungo. Sicuro, no.
Hannah, di fianco alla scalinata, attendeva ansiosa. Fra le mani reggeva il manico d'una scopa, alla cui estremità vi era uno straccio bagnato, e lavava con monotona precisione ogni piastrella. I suoi occhi blu lapislazzulo scintillavano speranzosi.
-Buon compleanno, danna-sama.- sussurrò, timorosa. Lui giunse al pianerottolo e le passò di fianco senza degnarla d'un occhiata, limitandosi ad annuire distrattamente.
Hannah si morse il labbro inferiore. Era una porta chiusa, quella, lo sarebbe stata sempre: e faceva paura, sì.
Alois attraversò il salotto ancora semibuio; gli unici raggi del Sole provenivano dalle persiane socchiuse, creando un gioco di luci e ombre sul pavimento smaltato.
Raggiunse la soglia della cucina, ed il suo sguardo raggiante si posò sulla tavola imbandita: i tre demoni gemelli suoi servitori si affacendavano attorno ad essa, intenti a posarvi piatti e piegare con attenzione tovaglioli. Il conte riuscì a scorgere fette di pane abbrustolito, vasetti di marmellata, una scodella di panna, biscotti di diverso genere, caraffe di latte, succo, tè e spremute. Sorrise soddisfatto.
Thompson, Timber e Canterbury interruppero il loro lavoro per qualche istante, giusto per poter fare una riverenza e bisbigliare senza un suono dei buon compleanno. Alois ignorò anche loro, dato che aveva appena addocchiato l'alta pila di regali che l'attendeva. Scordatosi di colpo della fame, si gettò sul pavimento emozionato.
-Questo cos'è?- Afferrò un pacco squadrato ricoperto di semplice carta da pacco marrone, la strappò malamente. Aprì poi la scatola bianca che vi trovò all'interno: conteneva un vaso, probabilmente di vetro soffiato, d'uno straordinario blu cobalto. Storse il naso infastidito, quasi emanasse un cattivo odore.
-Banale.- Lo mollò immediatamente, attirato da una pergamena arrotolata legata da un nastrino. Appena la dispiegò, spalancò gli occhi.
-Claude.-
-Danna-sama?-
-Cosa credi che rappresenti?- Alois indicò il disegno raffigurato sul foglio. Era una specie di vortice colorato, attraversato da diverse linee orizzontali, in uno sfondo viola prugna.
-Suppongo si tratti di un'opera astratta.- ribattè Claude, con tono monocorde. L'altro osservò la pergamena ancora qualche secondo, con le sopracciglia aggrottate, prima di perdere completamente interesse per essa -come per tutto, come sempre. Attaccò un altro pacchetto, non molto grosso, rettangolare, e lo scartò rapidamente. Si trattava di un libro, L'aristocrazia ieri ed oggi; Alois non dedicò alla copertina di pelle più di cinque secondi prima di gettarlo, con un gesto di stizza, alle sue spalle.
-Che regali noiosi. Possibile che nessuno riesca a farsi venire idee migliori?- sbuffò, il buonumore di pochi secondi prima già esaurito.
-Mi perdoni, danna-sama.- Alois si voltò, poichè Claude era rientrato in cucina e lo stava fissando con i freddi occhi dorati. -Hanno appena consegnato questa, per lei. Con tanti auguri.-
Da dietro le sue spalle comparve una figuretta minuta. Si trattava di una ragazzina, sì, una ragazzina dall'aria spaurita. Aveva boccoli neri e scompigliati sciolti sulle spalle e grandi occhioni castani, scuri e profondi come pozzi; la sua carnagione smunta sembrava quasi malata, e indossava un abito grigio sgualcito dall'orlo incrostato di fango e terra, che le copriva a malapena le gambe ossute. Teneva lo sguardo basso, fisso sul terreno, e tremava vistosamente. 
Alois non disse niente. La osservava, schiudendo impotente le labbra mute. Nulla, non ci riusciva. Silenzio.
Lentamente, sui suoi lineamenti rigidi iniziò a prendere forma qualcos'altro. Incredulità.
-...una...dodicenne?-
I suoi occhi si affilarono come schegge di ghiaccio. Rabbia.
-Mi hanno regalato una dodicenne per il compleanno?! Una dodicenne?! Una dodicenne?!-
Cadde il silenzio. Nessuno parlava, persino la bambina aveva trattenuto il respiro. I battiti del suo piccolo cuore spaventato erano frastuoni assordanti.
Alois afferrò un piatto di porcellana dalla tavola egregiamente apparecchiata e lo scaraventò a terra con tutte le sue forze. Ansimava, lo sguardo sbarrato e vitreo.
Proprio come avevo previsto, meditò Claude strattenendo una smorfia sprezzante. Il conte Trancy non era il terribile tiranno che molti descrivevano ma solo un bambino, un bambino capriccioso e malinconico che passava le sue giornate ad illudersi d'avere trovato la felicità. La maggior parte degli umani sapeva essere prevedibile o patetica, lui riusciva in entrambi.
-Portala via, Claude. Portala via!- Tremava, un bambino irragionevolmente arrabbiato con colei che scatenava quei tormentosi ricordi. -Non voglio più vederla!-
Claude s'inchinò senza parlare. E, altrettanto silenzioso, uscì dalla sala accompagnato dalla figuretta sottile della ragazzina.
Alois non aveva più fame. Deglutì. -Buttate via tutta questa porcheria. Non state lì a fissarmi!-
I gemelli si mossero in sicrono, impilando nelle braccia cataste di piatti in un equilibrio sempre più precario. I tovaglioli vennero raccolti e ripiegati. La festa era già finita.
Era stufo, Alois, di quella realtà amara e spietata. Pronta a sbattergli in faccia il suo dolore, mai davvero finito, in qualsiasi momento. Determinata a non fargli dimenticare nemmeno una lacrima. Non voleva piangere, non voleva disperarsi nè compatirsi. Era stufo, Alois. Stufo del suo passato e del suo presente.
Attese, finchè il tavolo non tornò una superficie traslucida. Ignorò -o finse di ignorare, impossibile dirlo- i gemelli, che per liberarsi di tutto quel cibo avevano deciso di utilizzare i loro stomaci. E pensò a ciò che aveva sul serio intenzione di fare.
Qualcosa di diverso. Qualcosa di nuovo. Qualcosa che, negli anni a venire, non avrebbe dimenticato.
Un sorriso naque lento sul suo volto. Forse gli era venuta un'idea.
-Claude, sbrigati!- lo chiamò vivacemente, all'improvviso.
Forse quella giornata poteva ancora essere salvata.


Il sole sorgeva pallido da dietro una spessa coltre di nubi, quasi timidamente, nel cielo lavato dalla pioggia. La grande tenuta Trancy si stagliava contro la luce bianca, squadrata ed elegante ed imponente, il candore delle mura violato da tralci di rose di sangue. La carrozza varcò il cancello di ferro battuto, dagli spuntoni acuminati, un rumore di zoccoli equini sulla strada acciottolata.
Claude si voltò, la sua solita espressione indecifrabile in volto.
-Danna-sama, le spiacerebbe informarmi riguardo la sua destinazione?-
Era sprofondato nel sedile di velluto arancio, di fianco a lui, il giovane padrone: aveva riaquistato tutta la vitale, frizzante allegria del risveglio e l'episodio della bambina sembrava ormai dimenticato. Il suo sguardo trasognato era perso in un punto impreciso della moquette che tappezzava la carrozza, i tacchi degli stivali colpivano distrattamente il sedile anteriore ed i suoi pensieri volavano a miglia e miglia di distanza. Il ragazzino sorrise enigmatico, per poi attaccare bisbigliando una nenia infantile.
No, niente da fare. Si divertiva troppo, Alois, a mettere in difficoltà il suo maggiordomo perfetto.
L'altro rigirò il capo, silenzioso. Non sapeva cosa aspettarsi, ma d'altronde aveva imparato a non azzardare futili interpretazioni sui sardonici silenzi del ragazzino. Finiva sempre per fare qualcosa di terribilmente immaturo e insensato, nemmeno quella volta si sarebbe smentito.
In fondo, che importanza poteva avere il luogo in cui avrebbe sprecato il suo inutile tempo?, si chiese volgendo la sua attenzione alla campagna inglese oltre il finestrino.
E Alois gli lanciava occhiatine fugaci, esitanti, sperando di intravedere una smorfia di contrariata curiosità insoddisfatta su quel viso di marmo.
Che non c'era. Non c'era mai stata la minima attenzione nei suoi confronti. Lui urlava e non veniva sentito, lui piangeva e veniva ignorato.
Soffriva senza parlare, il cuore consumato sempre di più da un acre cero in una notte senza sorriso.


Alois spinse contro il battente della porta, aiutandosi ad aprirla con una spalla.
Un odore nauseante di sudore, soffocante e pestilenziale, gli riempì le narici. Il locale era affollato, una massa di corpi umidi che si spintonava a vicenda, e le luci soffuse gli impedivano di scorgere molto di più. Il bancone di lineum scuro era coperto di graffi consumati, un vecchio ingobbito dagli anni lustrava stancamente dei boccali di birra dietro ad esso. In sottofondo, si poteva udire una fioca musica indistinta proveniente da un giradischi gracchiante.
Si fece largo, tentando di non urtare quella calca disgustosa, aguzzando lo sguardo per individuare una persona.
-Lei è il signor Trancy?- Un cameriere alto e allampanato attirò la sua attenzione, un vassoio poggiato sul braccio.
-Cosa volete?- esordì Alois irritato.
-La prego, mi segua. Mi hanno chiesto di accompagnarla nella sala fumatori.- rispose l'altro.
-Allora faccia strada!- ribattè animandosi. Passarono in mezzo alla gente, fino al fondo dell'angusto locale: una tenda verde scuro occultava un ingresso; il cameriere la scostò di lato, permettendo ad Alois di entrare, poi si dileguò senza dire una parola.
Nella sala dove fece capolino, invece, vi era un intenso aroma speziato che non avrebbe potuto definire con certezza. Era piccola, circolare, e non vi erano tavoli nè posti a sedere. Su un comodo divano imbottito era stravaccato un uomo magro -e anche piuttosto alto, da quanto Alois poteva intuire-, dai lineamenti del volto evidentemente orientali ed un chimono azzurro indosso, ricamato di vorticose spirali. Accoccolata sulla sua gamba, avvinghiata con ambo le braccia al suo corpo, stava una ragazza molto graziosa dai lucenti capelli corvini, anch'ella cinese, strizzata in un minuscolo abitino a fiori.
L'uomo socchiuse gli occhi sottili, concedendogli poi un sorriso placido e sereno.
-Conte Trancy! Sono davvero lieto di fare la sua conoscenza. Prego, si accomodi.- Con un leggero cenno della mano, indicò il posto di fianco al suo.
Sorrise angelico. -Non si disturbi, signor Tare. Ho piuttosto fretta. Davvero, intendo solo concludere questo affare il più presto possibile. Solo...perchè ha scelto questo posto per incontrarmi?-
-Ci sono affari che non si possono fare alla luce del sole, sa? E poi mi chiami Lau. Tutte queste formalità non servono.- Lau, una pipa molto lunga fra le dita, aspirò una boccata.
Attese pazientemente che riprendesse a parlare. La ragazza lo fissava impassibile, con grandi e gelidi occhi d'oro puro, e Alois sosteneva tranquillo il suo sguardo.
-Cosa la spinge a fare un acquisto del genere, se posso permettermi? Si tratta di droga, non di un semplice divertimento per ragazzini.- L'uomo lanciò un'occhiata di scherno, a quel bambino stizzito che non voleva domande, a quel moccioso che non sapeva quel che stava facendo.
-Il desiderio di levarsi ogni problema dalla testa. Non è forse quello che vogliono tutti?- ribattè lui, senza scomporsi.
Lau non indagò oltre. Era lì per vendere, non per chiacchierare nè per farsi i fatti di Alois.
-Ecco dunque tutto quello che le serve. Mi raccomando, conte: non più di 100 grammi al giorno.- Gli tese un sacchettino di cuoio, chiuso da un laccio.
-Altrimenti cosa succede?- rispose subito lui, sgranando gli occhi azzurri curioso. Lau si limitò a ridere piano.
-Non glielo consiglio.-
-Quanto vuole?-
-No, per ora non facciamone nulla.- Lau respinse con un cenno l'altro sacchetto che Alois porgeva, gonfio di monete. -Faremo i conti quando tornerà, la prossima volta.-
Alois lo fissò confuso. Non aveva parlato di prossime volte.
Ma, come Lau aveva previsto, ci sarebbero state.
Provoca assuefazione, l'oppio.


Appena socchiuse la porta di casa, una folata di vento gelido gli ferì il viso. Erano le undici meno dieci, il cielo pesto era nuvoloso e le stelle non riuscivano a brillare.
Una brutta notte, quella.
La figuretta scivolò fuori, rapida e silenziosa, e lui la seguì. In quel momento erano lì, su quella stradina di ghiaia bianca.
-Vai.- Alois indicò con un braccio il cancello aperto, la strada che portava in città, il mondo sconfinato che l'attendeva. -Puoi andare. Sei libera.-
La ragazzina, solo una piccola schiava coperta di stracci, lo guardò incredula e terrorizzata. Non ci credeva.
-Vattene, ho detto! Sparisci dalla mia vista, rendi la tua vita qualcosa per cui valga la pena respirare! Subito!- ordinò perentorio, la voce appena incrinata.
Lei esitò, con quegli occhioni enormi e straziati. Azzardò qualche timido passo, poi una corsetta spaurita.
-Va'.- ripetè Alois, in un sussurro. Si sentiva meglio, in qualche modo. Se non l'avesse fatto, non sarebbe riuscito a dormire.
Gli occhi gli bruciavano, ma non pianse. Se l'era ripromesso: non avrebbe pianto mai più per Jim Macken.
Rientrò in casa, sicuro di avere fatto la cosa giusta quella sera.
E incerto su tutto il resto.






Quattordici. Da quel giorno sarebbero stati quattordici, gli anni del suo inferno.




























Note dell'Autrice: Fi-ni-ta. Alè. Anzi, no, olè (ahahahah, che ridere -.-).
Ci lavoro da secoli, e finalmente è terminata. Non posso credere che qualcuno sia davvero riuscito a leggerla tutta, ad arrivare fin qui. In questo caso:
1. Complimenti. Sei il primo, sicuramente.
2. Come ricompensa recensirai! Ahahah!

Scherzo, ovviamente. Recensite solo se vi fa piacere. Grazie per la cortese attenzione,
Lucy
  
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