Film > L'Ultimo Dei Mohicani
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Autore: Eilan21    17/03/2012    1 recensioni
Una ri-narrazione del film dal punto di vista di Alice, con delle scene aggiunte. Centrato sulla storia d'amore tra Alice e Uncas, e con una piccola sorpresa nel prologo. Adoro il film e volevo contribuire... Enjoy!
NOTA: In fase di revisione. A breve ne pubblicherò una versione ampliata e riveduta!
Genere: Avventura, Drammatico, Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: Het
Note: Missing Moments, What if? | Avvertimenti: nessuno
Capitoli:
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 Alice correva abbracciata a sua sorella, i colpi di cannone che sibilavano sopra le loro teste; Duncan, Nathaniel, Uncas e Chingachgook le seguivano. Alice non riusciva a udire altro che gli spari e si lasciò sfuggire uno strillo spaventato quando una palla di cannone colpì il muro esterno del forte, molto vicino a loro. Le due sorelle fecero gli ultimi metri di corsa quando videro che il loro padre stava venendo loro incontro; Alice si staccò da Cora per tuffarsi fra le braccia del Colonnello, gridando: “Papà, papà!”

 “Alice! Cora!”, esclamò il Colonnello Munro, stringendo entrambe le figlie in un abbraccio. “Perché siete qui? E dove diavolo sono i miei rinforzi?”, gridò frustrato mentre scortava le figlie verso i suoi quartieri. Mise la sua giacca sulle spalle di Alice, ma la tolse appena furono dentro la stanza, gettandola poi su una sedia.

 “Chiamate il signor Phelps!”, ordinò secco. Poi, in modo più paterno, si rivolse alle figlie. “Vi avevo scritto di non venire! Perché mi avete disobbedito?”

 “Quando? Come?”, chiese Cora, confusa.

 “La mia lettera!”

 Alice era incredula come la sorella, ma riuscì a notare con la coda dell'occhio che Uncas, Chingachgook e Nathaniel avevano appena fatto il loro ingresso nella stanza.

 “Quale lettera? Non è arrivata!”, esclamò Cora con veemenza.

 “Ho mandato tre corrieri a Webb!”, ribatté il Colonnello, rivolgendosi stavolta a Duncan.

 “Ne è arrivato uno chiamato Magua”, ripose questi.

 “Non ha riferito un messaggio del genere!”, rincarò Cora.

 “Quindi Webb non sa che siamo assediati?”

 “Signore, Webb non ne ha idea! E di sicuro non sa di dover mandare rinforzi”, disse Duncan in tono secco.

 Per un momento nella stanza calò il silenzio. Sembrava che il Colonnello Munro fosse totalmente abbattuto, e che niente stesse andando come lui aveva sperato.

 Alice guardò suo padre con occhi tristi. Stava male per lui, e avrebbe tanto voluto poterlo consolare in qualche modo, pur sapendo che non sarebbe servito a nulla.

 L'espressione di Munro si addolcì, mentre il suo sguardo si spostava sulla figlia minore. “Cosa vi è capitato?”, chiese gentilmente.

 “Un'imboscata”, disse semplicemente Duncan.

 “Stiamo bene”, si affrettò a rassicurarlo Cora.

 “Tu stai bene?”, chiese Alice a suo padre, con un tono che avrebbe scaldato anche un cuore di pietra.

 “Sì...”

 “Ma che succede qui, papà?”

 Cosa avrebbe dovuto rispondere un padre a una domanda simile? Che erano assediati e che, a meno di non sperare in un miracolo, sarebbero stati conquistati? Forse se Alice avesse fatto la stessa domando un'ora prima il Colonnello avrebbe potuto rispondere che i rinforzi stavano per arrivare, ma ora anche questa speranza era svanita. E mai come in quel momento Munro si sentì solo e abbandonato da tutti. Il padre che era in lui prese il sopravvento sull'ufficiale, e lo indusse ad abbracciare la figlia.

 “Vedrai, ce la caveremo”, mormorò, pur non essendone affatto sicuro. Nonostante la sua giovinezza e ingenuità, Alice non era stupida. E non gli credette, nemmeno per un secondo.

 “Quel Magua ci ha traditi”, s'intromise Duncan. “Diciotto caduti. Questi uomini ci hanno soccorso e guidato qui.”

 Alle parole del Maggiore, l'attenzione di tutti nella stanza venne rivolta ai tre uomini che stavano aspettando silenziosamente in fondo alla stanza. Alice non poté farci niente quando il suo sguardo venne attratto da Uncas, che stava in piedi fra suo padre e suo fratello, e, senza quasi rendersene conto, le sue labbra si incurvarono in un piccolo sorriso.

 “Grazie”, disse il Colonnello Munro e, dei tre uomini, fu solo Uncas che rispose con un accenno di sorriso che in tutte le lingue del mondo aveva il significato di: “non c'è di che”.

 “Serve niente?”, continuò Munro.

 “Ci farebbe comodo un po' di polvere da sparo per riempire i corni”, rispose Nathaniel.

 “E del cibo”, aggiunse Uncas.

 “Vi siamo debitori.”

 In quel momento l'ennesima cannonata scosse la stanza, facendo cadere un po' di polvere dal soffitto.

 “Signorina Cora, come state?”, si levò improvvisa la voce del signor Phelps, il chirurgo del Colonnello, entrato in quel momento nella stanza.

 “Salve signor Phelps”, rispose Cora con voce fioca.

 “La signora McCann vi porterà dei vestiti asciutti.”

 Mentre Cora ringraziava il signor Phelps, il Colonnello Munro si rivolse alla figlia più giovane. “Va' con tua sorella, Alice”, disse gentilmente.

 Alice lo guardò per alcuni secondi. Le si spezzava il cuore a lasciarlo, perché perfino lei capiva che suo padre si sentiva perso e spaesato, pur non potendo permettersi il lusso di darlo a vedere. Mai come in quel momento, suo padre dimostrava tutti i suoi anni. Gli pesavano sulle spalle come macigni, aggravati delle responsabilità che aveva nei confronti dei suoi uomini, dei civili che abitavano al forte, e della stessa corona inglese. Non poté far altro che abbracciarlo un'ultima volta.

 “Andrà tutto bene, bambina mia. Andrà tutto bene”, ripeté Munro. E mentre si allontanava seguendo la sorella, Alice si chiese, per la seconda volta quella sera, se suo padre la ritenesse così ingenua da credere a una simile bugia.

 

 Alice vagava per la stanza che era stata assegnata a lei e a sua sorella, inquieta. Aveva fatto un lungo bagno nella tinozza di acqua calda che le avevano portato e si era perfino cambiata d'abito. Ora i capelli le ricadevano morbidi e sciolti sulle spalle, e non c'era nessuna donna, in quel forte nel mezzo di una guerra, che potesse intrecciarglieli di nuovo. Cora era andata ad aiutare il signor Phelps in infermeria, ma non aveva chiesto ad Alice di seguirla. D'altronde Alice non aveva alcun talento o istruzione come infermeria, cosa che Cora invece possedeva, avendo già seguito il padre in una precedente campagna militare in Austria. E poi si sentiva talmente esausta che temeva di non riuscire a reggersi in piedi ancora a lungo.

 Il letto, con l'invitante materasso imbottito, la chiamava a gran voce e Alice gli rispose. Si sdraiò sulle coltri e le sembrò di sprofondare in una nuvola di morbidezza. Ma, nonostante la stanchezza, la sua mente si rifiutava di cedere al sonno. Un turbinio di pensieri l'attraversavano, e Alice scoprì che finivano inevitabilmente per fermarsi su Uncas. La ragazza si sforzò di pensare ad altro: al fatto che si trovava in un forte assediato, alla casa di famiglia a Portman Square, alle sue amiche Frances ed Elizabeth, alla zia Camille e alla cugina Eugenie, al suo ritorno a Londra... ma l'immagine che aveva davanti agli occhi era sempre quella di un viso dai tratti regolari e la pelle brunita. E Uncas fu il suo ultimo pensiero prima di addormentarsi.

 
Alice si trovava nel dormiveglia già da qualche minuto quando la porta della stanza venne spalancata di schianto.

 “Cora!”, esclamò Duncan, facendo irruzione nella stanza. “Io vorrei parlarti”, aggiunse abbassando il tono di voce, perché Cora, che stava rassettando la stanza, si era portata un dito alle labbra facendo cenno verso la figura apparentemente addormentata di Alice.

 Alice si mise a sedere sul letto. “Parla pure con Duncan, Cora”, disse alzandosi in piedi, e cominciando ad avviarsi verso la porta. “Posso cavarmela da sola, non sono una scolaretta invalida”

 “Alice...”, la chiamò Cora.

 “Vedo se serve niente al signor Phelps”, la interruppe Alice.

 E uscì chiudendosi la porta alle spalle. Alice era vagamente irritata dalla situazione: ancora una volta veniva considerata alla stregua di una bambina, da proteggere e maneggiare con i guanti, tagliata fuori da ogni decisione importante. In Inghilterra aveva sopportato questi atteggiamenti, ma lì, in quel posto, il ruolo della ragazza debole e fragile stava cominciando ad andarle stretto. Non era forse scampata ad un imboscata, in seguito alla quale aveva camminato due giorni interi senza sosta nella foresta e dormito sul terreno duro e freddo? Non era stata testimone del massacro di un'intera famiglia? Forse che qualcuno l'aveva sentita lamentarsi, o lasciarsi andare alla disperazione? Eppure tutti continuavano a trattarla come se avesse bisogno di essere sempre accompagnata per mano! Poi si corresse... quasi tutti. Uncas l'aveva sempre trattata come la giovane donna che era, aveva visto in lei una forza che nessuno aveva mai visto. Aveva guardato dentro di lei e aveva visto la vera Alice, senza mai guardarla con scherno o con sufficienza.

 Appena uscita dalla stanza, Alice imboccò il corridoio, ma non si diresse verso l'infermeria. Forse avrebbe potuto aiutare il signor Phelps – non con i feriti, quello era ovvio – ma svolgendo qualche piccolo compito. Ma adesso non poteva – non voleva. Adesso voleva trovare Uncas. Voleva assicurarsi che stesse bene, era stata così preoccupata quando aveva notato che era stato ferito, voleva parlargli, voleva... non sapeva nemmeno lei perché volesse così disperatamente vederlo, ma era così.

 Dopo diversi minuti che camminava si rese conto di non avere idea di dove cercare Uncas; senza accorgersene era sbucata nel cortile del forte, dove i bombardamenti erano temporaneamente cessati e tutto era tranquillo. Diversi coloni, soldati e indiani si erano riuniti lì approfittando della notte tiepida. Avevano acceso dei fuochi, alcuni parlavano tra loro, altri addirittura danzavano accompagnando la musica che qualcuno stava suonando con un violino. Alice si appoggiò al muro di legno di una casupola per osservare quegli uomini e donne che per una sera, tentavano di dimenticare la situazione in cui si trovavano. Dopo qualche minuto si sedette su un tronco, con le mani poggiate su di esso e il busto leggermente reclinato in avanti; era abbastanza vicina da vedere i giochi di luce dei falò che si riflettevano sui suoi capelli biondi, ma abbastanza lontana da non essere vista da quelle persone.

 “Alice”, la chiamò una voce alla sua destra. La ragazza sobbalzò e voltò la testa.

 Il suo primo pensiero fu che quella era la prima volta che lui la chiamava per nome, e il secondo che il suo nome sulle sue labbra aveva un suono così dolce. Alice si riscosse in fretta da quei pensieri e tentò di recuperare un po' di dignità, mentre Uncas le si avvicinava.

 “Cosa ci fai qui fuori?”

 “Mia sorella e Duncan avevano bisogno di parlare, così ho lasciato loro un po' di privacy”, spiegò Alice tentando di non far tremare la voce. “E poi”, aggiunse facendo un respiro profondo, “ti stavo cercando.”

 “Me? E perché?”, Uncas apparve sorpreso. Si sedette sul tronco accanto a lei.

 “Volevo vedere come stava la tua ferita, se... se stavi bene...” disse, incespicando nelle parole. Uncas ora le era molto vicino, e questo la metteva a disagio. Le loro mani quasi si toccavano.

 Uncas si sfiorò il fianco. “Tua sorella ha fatto un ottimo lavoro, guarirò in poco tempo.”

 “Ora ripartirete?”, chiese Alice dando voce alla sua preoccupazione maggiore.

 “Non subito, questo è sicuro”, rispose Uncas scuotendo il capo.

 “Eravate diretti ad ovest, vero?”

 “In Can-tuck-ee, dai Delaware... mia madre apparteneva al loro popolo. Sono come dei cugini per noi.”

 “Andate lì per allontanarvi dalla guerra?”

 “In parte sì...”

 “E per quale altra ragione allora?”, chiese Alice. Ma cosa diavolo le passava per la testa? Chi le dava la forza di essere così sfrontata?

 Uncas rimase in silenzio alcuni momenti, poi decise di dirle la verità. “Dovrei sposarmi.”

 Alice sentì come se le stringessero il cuore in una morsa. Quelle semplici due parole le fecero più male di una pallottola, e comprese con immediata, acuta consapevolezza che non voleva che lui appartenesse ad un'altra. Sembrava che il petto stesse per scoppiarle. Cosa le stava succedendo?

 “Ma non posso farlo”, aggiunse, prima che lei potesse dire qualcosa.

 Alice sentì il dolore nel petto affievolirsi, ma con esso venne anche l'improvviso desiderio di scappare via, di fuggire da quel forte, da lui, da quello che stava provando; desiderò perfino di tornare da Jonathan Hartley e sposarlo immediatamente. Perché quello che stava provando era pericoloso, era sbagliato, era-

 “Alice”, la chiamò Uncas dolcemente.

 Il suo nome pronunciato di nuovo da quella voce calda e profonda che ormai le era fin troppo familiare, la bloccò, inchiodandola dove si trovava. Non riuscì a impedirsi di alzare il viso verso quello di lui e quando lo fece, se ne pentì. Perché i suoi occhi erano come una calamita, e la attiravano a lui inesorabilmente. Il cuore prese a batterle talmente forte, che Alice si chiese come mai lui non lo sentisse.

 Uncas allungò la mano ad accarezzarle la guancia, e la sua mano forte e scura spiccò sulla pelle candida e morbida di lei. Poi lui si avvicinò e le loro labbra si incontrarono, come obbedendo ad un richiamo. Le labbra soffici di lei si fusero con quelle forti di lui. Alice si sentì morire e rinascere mille volte in quel bacio. Uncas spostò la mano dalla sua guancia alla sua nuca, accarezzandole dolcemente i morbidi capelli. Poi si staccò da lei e la guardò negli occhi. Fu come se un'ondata di consapevolezza si abbattesse su Alice, facendola quasi vacillare sotto il suo peso. Improvvisamente ebbe voglia di piangere, ma le lacrime non vennero. Come poteva una cosa suonare così sbagliata, eppure essere tanto bella? Si sentiva lacerata, combattuta fra il desiderio di fuggire da lui e quello di rimanere per sempre fra le sue braccia. Uncas dovette indovinare i suoi pensieri, perché la circondò con le braccia stringendola a sé dolcemente. Improvvisamente tutti i dubbi di Alice svanirono, e comprese che avrebbe dato qualsiasi cosa al mondo perché quel momento non finisse mai. Perché – e perfino in quel momento Alice lo capiva – il loro futuro era impossibile. Sapeva che era impossibile che una donna bianca e un indiano potessero stare insieme. Nessun bianco l'avrebbe mai accettato... fino ad una settimana prima perfino Alice sarebbe inorridita se le avessero raccontato una cosa simile. Come era cambiata in quei pochi giorni! Si chiedeva come avesse fatto a considerare “selvaggi” gli indiani, come avesse fatto a valutarli con la superiorità che la sua razza credeva di possedere, quando invece non sapeva niente di niente!

 Dopo averla stretta a lungo, Uncas si tirò indietro. “Credo che sia meglio che tu vada”, disse a malincuore. “Tua sorella ti starà cercando.”

 Alice si riscosse. Cora! Ormai mancava da parecchio e Cora forse la stava cercando. Non doveva trovarla lì! Cosa avrebbe detto? Lo avrebbe riferito al loro padre? Alice si alzò in piedi di scatto.

 “Sì, devo proprio andare”, mormorò, cercando di nascondere la sfumatura rosata che le sue guance avevano acquistato. Lui annuì senza rispondere, e Alice si allontanò evitando di guardarsi indietro.


 

   
 
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