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Autore: Moon    18/04/2004    2 recensioni
Se qualcuno si trovasse in una situazione a dir poco inaspettata e molto imbarazzante che reazione avrebbe? Ma soprattutto se scoprisse che ....
Genere: Romantico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Orlando Bloom
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Questa storia è stata scritta per divertimento

● CAPITOLO DICIANNOVE ●

 

 

I giorni trascorrevano a ritmo lento e ripetitivo, sembravano essere l'uno la brutta copia dell'altro. Sveglia alle sei. Lavoro. Pausa pranzo, ancora lavoro. Doccia, cena, studio e poi di nuovo a letto. Spesso dormire non era facile per Aylén e ultimamente era molto stanca. Quella domenica mattina ruppe gli indugi e si decise a telefonare alla sua amica Reina per sfogarsi, non ce la faceva più a tenersi tutto dentro. 

“Lo sapevo io!” esclamò Reina dopo aver ascoltato Aylén.

“Porca miseria! Te lo avevo anche detto di andarci piano. Io non ti capisco, a volte sembra che tu ti voglia per forza far del male. Ostenti una sicurezza e un’arroganza che vanno ben oltre a quello che sei veramente. Non potevi fare a meno di cacciarti in questa situazione? Era proprio necessario spingersi così al limite?”.

Aylén l'ascoltava e sapeva che aveva ragione, ma la verità è che il tutto era accaduto senza che lei se ne rendesse neanche conto.

“E' vero, avrei potuto evitarlo, ma a che serve ammetterlo adesso? A niente” commentò come se parlasse più con se stessa che con l’amica.

“E ora che farai?” le chiese l'altra preoccupata.                        

“Che vuoi che faccia? Aspetto con ansia di poter tornare a casa. Solo questo è importante per me adesso: dimenticare”.

“Ma come stai? Come ti senti?” domandò ancora Reina.

“Mi sento strana. Mi sembra di essere completamente svuotata. La cosa peggiore è che sono costretta comunque a vederlo, credo che se non lo vedessi starei sicuramente meglio. Fortuna che ormai manca poco…” rispose come un automa l’altra.

Aylén aveva reagito davvero in modo anomalo e singolare. Era calma: né rabbiosa né triste. Sembrava che niente la potesse toccare né scalfire minimamente, era come se i sentimenti, le sensazioni, gli stati d'animo, l'avessero abbandonata e fluttuassero a distanza da lei. Non sentiva assolutamente nulla, era il vuoto più completo ciò che la circondava. Tutto ciò era molto strano per lei che aveva avuto sempre un carattere vivace, ribelle, impulsivo e combattivo. Non era riuscita a metabolizzare il dispiacere né a sfogarsi e ora stava in questa specie di limbo ovattato, in attesa di poter finalmente tornare a casa e lasciarsi tutto dietro le spalle. Dopo aver parlato con Reina decise di andare a cavalcare. Arrivò alle stalle che erano deserte e sellò il cavallo con cui aveva più feeling, era quello con cui lavorava. Salì su e galoppò per ore. Aveva bisogno di stancarsi per poter riposare la notte, per far passare il tempo e per distrarsi. Quando non ne poté più rientrò in albergo.

 

Orlando era rimasto tutta la domenica chiuso in camera, era insofferente. Gli dava fastidio tutto. Anche quella maledettissima barba che doveva portare per esigenze sceniche gli stava dando sui nervi. Gli pizzicava da morire come se avesse avuto i pidocchi e moriva dalla voglia di radersi. Ovviamente non lo fece, ma questa cosa lo tenne agitato per tutta la giornata. Ultimamente era spesso teso, molto nervoso, irritabile. Quella strana esperienza con Aylén, oltre che a turbarlo lo aveva infastidito oltre misura, era tormentato. Non parliamo poi del fatto che era obbligato a vederla tutti i santi giorni, nonostante non volesse assolutamente più avere a che fare con lei, continuava ad esserne maledettamente attratto. Anche lui non vedeva l'ora che questa tortura finisse per metterci definitivamente una pietra sopra.

Alejo si presentò in camera sua subito dopo cena.

“Stasera esci?” gli aveva chiesto.

“Si, ne ho proprio bisogno” aveva risposto Orlando, ma senza troppo entusiasmo.

Si preparò ed uscì con Alejo e gli altri ragazzi, era una tipica uscita tra uomini. Andarono tutti insieme in un locale a bere sangria. A metà serata, Orlando fu messo al corrente di una novità che ancora non conosceva.

“Allora sabato prossimo è deciso, tutti alla cena d'addio prima della partenza per il Marocco! Ovviamente è di rigore una sbronza di quelle da urlo!” aveva detto Alex uno degli stunt.

“Per me va bene, ma non è un po’ troppo presto? Insomma dovremmo farla alla fine delle riprese in Marocco e non prima” disse Orlando.

“Ma come non lo sai?” gli chiese Alejo un po’ stupito, visto che era di dominio pubblico.

“No, cosa?” chiese Orlando leggermente perplesso.

Alejo lo guardò e rise.

“Ultimamente sei proprio sulle nuvole! Saluteremo la maggior parte degli stunt, non verranno con noi in Marocco, là saremo affiancanti da una troupe del posto. Di noi verranno solo cinque persone”.

“Chi?” chiese Orlando.

Alejo vide la sua espressione e capì al volo. Non avevano parlato molto dell'argomento, ma era chiaro come il sole che Orlando stava piuttosto male. Cercava di nasconderlo e spesso ci riusciva anche bene, ma a volte era evidente, proprio come in quel momento. Nei suoi occhi aveva letto come una sorta di preoccupazione mista ad ansia, quindi gli poggiò una mano sulla spalla e con tutta la comprensione possibile gli disse: “Lei non verrà, se è questo che volevi sapere”.

Orlando non rispose e bevve un sorso della sua sangria, perfino quella bevanda dolce gli parve amara e poco gradevole. Così finalmente era davvero tutto finito, si trattava solo di attendere una settimana, sette giorni; centosessantotto ore, e poi la fine. Non bevve più, non parlò più e cercò di non pensare, per quanto fosse un’impresa piuttosto ardua.

 

Aylén era in camera sua, non aveva mangiato niente ed era irrimediabilmente sveglia. Decise di accendere la tv, ma non funzionava. Strano, pensò. Alzò il ricevitore del telefono e chiamò l’hall.

“Forse si è guastata, le mando su qualcuno tra pochi minuti” le rispose gentilmente l'addetto alla reception.

Si alzò dal letto, s'infilò una tuta per non farsi trovare in pigiama e si mise in attesa.

Orlando intanto in preda ad una sorta di strana sensazione era tornato in albergo. Gli era entrata addosso un'agitazione che faceva fatica a tenere a bada. Prese l'ascensore e schiacciò il pulsante per andare al piano dove si trovava la sua camera. Quando fu il momento di scendere schiacciò un altro pulsante e scese di nuovo. In poco tempo si ritrovò davanti alla porta della camera d’Aylén. Fermo, immobile, la osservava. In quel momento quella non era una porta, ma una montagna enorme che forse lui non era in grado di scalare. Fece per bussare, ma poco prima che le sue nocche venissero a contatto con il legno, ritrasse la mano. Rimase ancora immobile, con lo stomaco contratto, il cuore in gola e il cervello in confusione. Che senso aveva fare una cosa del genere?

Lentamente si girò e si allontanò cercando di riacquistare un po’ di lucidità.

Pochi secondi dopo la porta si aprì.

Aylén stava uscendo per recarsi nell’hall, visto che ancora non si era presentato nessuno per rimettere in funzione la sua tv. Arrivò all'ascensore giusto in tempo per accorgersi che qualcuno era appena salito. Sbuffò. Era insofferente e aspettare la infastidiva.

Si erano mancati solo per pochi istanti. Sarebbe bastato un soffio e Aylén avrebbe trovato Orlando fermo davanti alla sua porta. Evidentemente il destino aveva deciso in maniera diversa.

La settimana passò tranquillamente. Fino al giorno di sabato quando accadde una cosa molto brutta.

Aylén come sempre a lavoro, erano le ultime scene che stava girando, quando all'improvviso sotto un suo comando preciso, una cosa di routine, il cavallo  fece un movimento brusco e si accasciò malamente a terra. Lei cadde, per fortuna non si fece assolutamente niente, ma il cavallo si ruppe una gamba.

Ci fu un gran parapiglia. Prima corsero da lei, una volta accertatisi che stava bene, si dettero subito da fare per soccorrere il cavallo.

Il veterinario non portò buone notizie, l'animale era messo molto male, era possibile curarlo, ma non avrebbe più potuto essere utilizzato per quel tipo lavoro e a meno che qualcuno non se lo fosse comprato, sarebbe stato abbattuto per farne bistecche.

Aylén la prese malissimo e si rifugiò nelle stalle. Amava gli animali e poi per quel cavallo aveva una predilezione particolare poiché erano mesi che lo cavalcava.

Raul, il coordinatore capo degli stunt, che l'aveva vista sconvolta, la raggiunse.

La trovò in piedi, immobile, con gli occhi sbarrati colmi di lacrime che le scendevano sulle guance. Sembrava innaturale perché non singhiozzava ed era statica,  come se fosse una bambola di pezza.

“E' tutta colpa mia!” esclamò la ragazza disperata.

“No, non è vero, il veterinario ha detto che è stata una fatalità” la rassicurò lui.

“Mente! Sono io che lo stavo cavalcando e la responsabilità è mia” continuava a ripetere.

Le lacrime continuavano a scorrerle sul viso, ma lei era sempre immobile.

Raul provò tenerezza per quella ragazza che avrebbe potuto essere sua figlia e l'abbracciò per confortarla.

“Su, non fare così!” le disse comprensivo proprio come un padre.

A quel contatto umano, le difese di Aylén caddero e si lasciò andare in un pianto liberatorio e disperato.

“Ero così nevosa in questi giorni e devo averlo trasmesso al cavallo” cominciò a dire lei tra i singhiozzi.

Poi come se non potesse fermarsi più continuò: “Sono una persona orrenda! Non riesco mai ad usare il cervello e combino un sacco di guai! E' colpa mia, è sempre colpa mia! Riesco sempre a rovinare tutto!”.

“Ora stai decisamente esagerando” le disse l'uomo con tono di gentile rimprovero.

“Non sei affatto una persona orrenda, sei solo una giovane ragazza molto vivace, ma io non ti ho mai considerato male”.

“Perché non mi conosci altrimenti mi detesteresti, come mi detesta mio padre… e come mi detesto io! Sono un essere ignobile!” disse Aylén.

“Conosco tuo padre da molti anni e ti assicuro che non ti detesta affatto! Forse è un po’ burbero e non sa dimostrarti il suo affetto, ma sono sicuro che ti adora. E non dire più queste cose! Non sei affatto un essere ignobile!” la rassicurò Raul. Lui non poteva certo sapere che dietro quella reazione così violenta c’erano anche ben altre ragioni oltre il dispiacere per l’incidente al cavallo. Aylén non gli rispose, tanto non credeva a quelle parole e poi in quell’ultimo periodo si odiava così tanto, non riusciva proprio a perdonarsi per ciò che era accaduto con Orlando. Pensava di essere solo un’incosciente senza cervello e senza amor proprio, pensava di non aver avuto il minimo rispetto per se stessa e si vergognava da morire.

Raul la lasciò andare e le disse che non c’era bisogno che finisse la giornata di lavoro, il girato che avevano era più che sufficiente, ma lei non aveva voglia di riposare, voleva occuparsi del cavallo e non pensare più a niente.

“Non ti preoccupare per lui, ci penserò io stesso. Ti giuro, a costo di sobbarcarmelo, nessuno lo abbatterà. Lo sai che non lo permetterei mai!”.

A quelle parole finalmente Aylén smise di piangere e dopo che Raul ebbe insistito ancora un po’  acconsentì a tornarsene in albergo, in realtà aveva voglia di starsene sola e di non vedere nessuno.

Orlando aveva passato tutto il giorno in uno stato di prostrazione indicibile. Aveva saputo dell’incidente e immaginava che Aylén stesse male, in più l’indomani sarebbe partita e lui non l’avrebbe più rivista. A quel pensiero era diventato come matto. La tentazione di andare da lei era forte, troppo forte per ignorarla, così senza pensarci troppo decise di passare da lei prima ancora di rientrare in camera sua.

Aylén dopo quel pianto liberatorio stava appena un poco meglio, era come se finalmente avesse tirato fuori tutti i dispiaceri accumulati negli ultimi tempi ed ora voleva solo provare a dimenticare. Si era appena fatta una doccia e aveva indossato la tuta. Aveva ancora i lunghi capelli bagnati  e stava preparando le valige, quando qualcuno bussò alla sua porta. Senza pensarci andò ad aprire e quando si trovò Orlando davanti, non riuscì a spiccicare parola. Anche lui quando la vide, con i capelli umidi i grandi occhi spalancati per la sorpresa e le labbra leggermente dischiuse, restò letteralmente senza parole. Era bella come un’alba di primavera e l’emozione che provò lo lasciò senza respiro.

“Io…” articolò incerto “Ho saputo … e … mi dispiace … e ….volevo dirtelo” riuscì poi a dire con fatica. Si sentiva un deficiente perché non sapeva che fare. 

“Grazie” disse lei con un filo di voce, era in subbuglio e come lui non sapeva proprio che fare neanche lei.

Il silenzio regnava sovrano.

Erano rimasti fermi: lei con il pomello della porta ancora tra le dita e lui in piedi sulla soglia con le braccia allacciate sulla vita come se si stesse sostenendo.

“Così domani vai via?” disse all’improvviso Orlando in tono casuale, per cercare di sbloccare quella strana situazione piuttosto imbarazzante.

“Si” rispose lei.

“Allora ti saluto, io non credo che verrò alla cena”.

“Sinceramente neanche io sono molto in vena di andarci, forse lo farò solo per i ragazzi, ma mi tratterrò poco, domani mattina presto mio padre verrà a prendermi” gli rispose Aylén abbassando leggermente lo sguardo.

“Beh … allora… io vado, ciao” disse lui girando la testa verso il lungo corridoio, come se non sapesse che altro dire.

“Ciao… e grazie di esser passato” disse lei.

Poi lo vide avviarsi verso l’ascensore, stava uscendo definitivamente dalla sua vita e un’ultima lacrima solitaria le solcò una guancia inumidendola appena.

Stupido idiota! Si disse Orlando, sferrando un colpo potente con il palmo della mano alla parete dell’ascensore. Lo stava lentamente portando alla sua camera, irrimediabilmente lontano da lei. Non era riuscito neanche a fare un discorso compiuto, non le aveva detto niente, non si era nemmeno scusato per come si era comportato l’ultima volta che erano stati insieme. Che c’era andato a fare? Sarebbe stato meglio evitare piuttosto che ritrovarsi senza neanche il coraggio di farle capire che nonostante tutto gli dispiaceva che se n’andasse.

 

La mattina seguente alle sette, Abel Delgado puntualmente si presentò all’albergo a prendere la figlia per riportarla a casa. Aylén camminava piano dietro suo padre, lasciandosi alle spalle un pezzo importante della sua vita. Un esperienza che non avrebbe dimenticato facilmente. Ma la vita continua e bisognava pur andare avanti.

Da una finestra dell’albergo qualcuno stava osservando quella giovane donna che si sistemava dentro l’abitacolo della macchina, qualcuno che già sentiva la sua mancanza, qualcuno che ancora faceva una fatica enorme con se stesso ad ammettere di essere innamorato di lei, qualcuno che comunque non fece nulla per fermarla.

La macchina partì e sparì in pochi secondi dalla visuale di Orlando, che come in un rituale affondò le mani nelle tasche dei pantaloni e a testa bassa rientrò in camera.

 

 

  
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