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Autore: Sylphs    20/03/2012    2 recensioni
Ehilà! Ho scritto questa favola un po' folle quando avevo 14 anni ed è in assoluto il primo romanzo che ho finito a quell'epoca, perciò ho deciso di tentare la sorte e pubblicarlo su efp, confido nella vostra pietà :) la storia si ispira alla mia fiaba preferita, "La bella e la bestia", salvo che la protagonista è un peperino ed è tutto fuorché una graziosa fanciulla. Spero che qualcuno leggerà!
Genere: Azione, Comico | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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CAPITOLO 13

 
 
 
 
 
 
L’ennesima sedia volò da una parte all’altra della stanza e si schiantò con un tonfo sordo sulla parete di pietra, scivolando al suolo senza una gamba. Katrina, disperata, che non osava farsi avanti per timore di essere colpita, disse con la voce ormai arrochita: “Padrone, vi prego, calmatevi!”
Lui rispose con un mezzo ruggito. Era al centro della sua stanza da letto, completamente devastata: il letto polveroso aveva le coperte a brandelli e il cuscino che aveva sparso piume tutt’intorno, frammenti di legno giacevano sul pavimento, gli arazzi pendevano dai muri stracciati, e c’erano sedie rovesciate, oggetti rotti e ciotole spezzate. Katrina, ferma sulla soglia, con le mani premute sul volto pallido, fissava disperatamente l’orco che fracassava tutto con furia cieca. Per la prima volta ne aveva paura: non l’aveva mai visto così infuriato, così fuori di sé. Ansimava, il petto che si sollevava ed abbassava rapidamente, la faccia contorta in una smorfia terribile, e gli occhi gettavano bagliori infuocati dappertutto, dandogli un’aria folle. I vestiti erano a brandelli. A volte gridava, altre urlava parole contorte.
Si scagliò contro un ripiano di legno, lo afferrò, lo sollevò sopra la testa come se pesasse meno di una piuma, gli fece fare un mezzo giro e lo lanciò con un grido contro il letto. Urtandolo, andò in pezzi, spargendo scaglie tutt’intorno. Katrina emise un gemito quando il botto riempì l’aria: “Padrone, smettetela!”
L’orco non la ascoltava. Se fosse stata invisibile avrebbe ottenuto lo stesso effetto. Cercò insistentemente qualcos’altro da distruggere. Tolse dalla parete un quadro antichissimo che raffigurava la foresta nei minimi dettagli. La vecchia domestica spalancò gli occhi: “No! Non il quadro di vostro padre!”
Non ci fu nulla da fare: l’orco scagliò il quadro a terra, e continuò a infrangerlo fino ad averlo distrutto completamente. A Katrina sembrò di udire il grido indignato del vecchio padrone. Erano giorni che lui fracassava il maniero con quell’aria folle, e non erano valse a nulla le sue preghiere, le sue parole, i suoi gesti. Aveva perfino rifiutato il cibo. Il peggio era che lei non sapeva più come fare.
L’orco colpì con una manata le corna di cervo infisse sopra al camino e le gettò nel fuoco. Prese a calci la ringhiera di ferro che lo separava da esso. Bruto, che era rimasto accanto a Katrina, perplesso dall’atteggiamento del padrone, si fece avanti cautamente e provò a tirarlo per l’orlo della casacca. L’orco si voltò, gli piantò addosso uno sguardo rovente, e rovesciò per terra un tavolino. Cadendo, questo sfiorò la coda di Bruto, che si ritrasse di scatto con un guaito. Tornò da Katrina con la coda tra le gambe. Lei tentò ancora: “Padrone, non è questo il modo di comportarsi. Dimostrate un’immaturità che non mi aspettavo da voi”.
“Tu non capisci niente, Katrina” urlò l’orco, uscendo di colpo dall’abisso del suo furore. La bruciò con le fiamme del suo sguardo: “Non capisci nemmeno lontanamente come mi sento…”
“So che soffrite…”
“NON È VERO!” gridò l’orco furibondo, scagliando contro il muro un vaso di vetro e rompendolo. Affermazione azzardata, dato che si vedeva lontano un miglio. Katrina gli parlò dolcemente: “Io vi capisco”.
“No, invece” replicò lui affannosamente: “Non puoi capire. Mi ha ingannato. Sapevo che sarebbe arrivata la pugnalata, ma ho lasciato che mi illudesse, ho lasciato che mi mentisse, ho lasciato che…”
“Io ancora non riesco a crederci” sussurrò Katrina. Era vero. Non riusciva a credere che Isadora li avesse ingannati. Sentiva che era stata sincera, l’aveva visto, l’aveva letto nei suoi occhi…l’affetto che provava per lei era ricambiato, ne era convinta. Non poteva credere a quanto aveva detto l’uomo dai capelli rossi. Non era da Isadora un simile comportamento. Ma d’altronde che altre spiegazioni c’erano?
“Se penso alle mie patetiche speranze…” gridò intanto l’orco, ancora intento a distruggere. Katrina lo guardò con pietà, ed era la prima volta. Sotto alla smorfia di rabbia, alle fiamme nei suoi occhi, c’era una sofferenza inaudita. Povero padrone. Se lei soffriva, poteva a malapena immaginare come si sentiva lui.
“Sarebbe stato meglio che non fosse venuta affatto” si sorprese a pensare.
No. Cosa le saltava in mente?! Isa, il tesoro che le aveva permesso di rivedere il suo villaggio, che le aveva tenuto compagnia nei giorni di duro lavoro…com’era possibile che fosse in realtà una serpe astuta? Mai, neppure una volta aveva intravisto la malignità nei suoi occhi azzurri.
“I sogni sono per gli stupidi” ringhiò l’orco, dando un calcio ad una lampada: “Mio padre lo diceva sempre”.
Katrina lo guardò tristemente: “Voi l’amate, vero, padrone? Siete innamorato di Isadora?”
Lo vide bloccarsi di colpo, come se l’avesse appena colpito un fulmine. La fissò ad occhi spalancati. La rabbia se n’era andata di colpo. Poi il suo volto si distese in una semplice smorfia di dolore, corse con uno strano sussulto alle spalle in direzione della tenda, vi si aggrappò, ci affondò dentro la faccia e prese a singhiozzare disperato. Era la prima volta che piangeva in tutta la sua vita. Katrina rimase stupefatta: “Padrone…”
“Lasciami solo” disse lui con voce tremante. Staccò un attimo il viso rigato di lacrime dalla tenda e la fissò, umiliato e furioso: “Vattene!”
Katrina obbedì senza discutere, tirandosi dietro Bruto. Capiva che l’orco non voleva farsi vedere in lacrime nemmeno da lei, e francamente quello spettacolo l’aveva riempita di una tristezza immensa.
Uscì dal maniero col cane alle costole e si diresse stancamente verso il calesse. Non sapeva perché, ma voleva allontanarsi da lì almeno per un po’. Salì a bordo, fece sedere accanto a sé Bruto, poi tirò le redini, i cavalli si mossero e si infilò nella foresta. Pensò al pianto del padrone. E un altro pianto le tornò alla mente: quello di Isadora prima che suo padre la portasse via.
“Come può averci ingannato? Isa?” disse rivolta al cane. Ebbe in risposta uno sguardo desolato. Forse non lo sapeva neanche lui. “E poi” proseguì la domestica: “Come può amare quell’uomo orribile? Aveva uno sguardo…assai poco raccomandabile. Non fa per Isa. Assolutamente!”
Il calesse stava uscendo dalla foresta, per i campi battuti dalla luna piena di Soledad. Lo sguardo strabico di Katrina si perse nel profilo color oro di quei campi sconfinati. Le parve di tornare giovane. Lei aveva avuto assai poco tempo per dedicarsi alle cose belle della vita: la tortura era arrivata fin troppo presto. Fino a poco tempo prima, era ridotta ad una povera derelitta che a malapena era conscia d’essere viva. Era stata Isadora ad illuminarle la vita, a darle un senso. Ora che se n’era andata, Katrina si sentiva di nuovo vuota.
“Non saremo mai felici senza di lei”.
Con aria abbattuta, accarezzò il testone di Bruto. Anche lui era triste: aveva le orecchie abbassate e stava tutto raggomitolato su se stesso. A Katrina uscì un singhiozzo: “Mi sento così sola, Bruto…”
Una luce soffusa catturò la sua attenzione, facendole sollevare lo sguardo: si era imbattuta in una vecchia locanda, un baraccone di legno con le finestre illuminate. Stupita, frugò nella gonna sudicia e ci trovò due fiorini risalenti ai tempi in cui Isadora era ancora con loro. Si diceva che un bel boccale di sidro attenuasse la depressione, a volte…
“Perché no?” fece Katrina. Saltò giù dal calesse e, con Bruto al fianco, si avviò decisa verso la locanda, che era preceduta da una trave con su scritto: L’AQUILA NERA.
Spinse la porta di legno e un calore soffocante la travolse. La locanda era uno stanzone ampio, di legno: in un angolo c’era un camino in cui ardeva il fuoco, accanto ad un largo bancone al quale un oste era intento a pulire un boccale con un fazzolettaccio. Per il resto era occupato da tavoli di legno a cui sedevano clienti intenti a bere, a ridere e a far battute. Katrina si fece avanti timidamente, stringendo tra le mani un lembo della gonna. Bruto procedeva guardingo, le orecchie tese.
Fu stupita da quanto la gente di Soledad fosse allegra: ovunque guardasse, c’erano solo facce sorridenti, risate e brindisi. Si sentiva quasi indegna di partecipare a quel quadro da favola.
Arrivò al bancone e richiamò timidamente l’attenzione dell’oste con un colpetto di tosse. Lui, un omaccione coperto di sudore, con un largo sorriso stampato in faccia, posò il boccale che stava pulendo e le rifilò un’occhiata sospettosa: “Ehi, nonna, ce li hai i soldi?”
Katrina arrossì fino alla radice dei capelli. D’accordo, non era molto pulita, d’accordo, indossava abiti cenciosi, e d’accordo, era denutrita e malsana, ma non era una poveraccia! Appoggiò i due fiorini sul bancone e l’oste sorrise: “Bene. Cosa ti porto, nonna?”
“Del sidro” balbettò Katrina. Lui annuì: “Vatti a sedere. Col sidro ti porto anche una ciotola di zuppa. Hai l’aria di averne bisogno. Offre la casa!”
Katrina arrossì ancora di più quando l’oste le strizzò l’occhio. Si sedette a un tavolo libero quasi di corsa, trascinandosi Bruto dietro. Essere in mezzo a tutta quella vitalità la stordiva: non era abituata. Scrutò placidamente la varia clientela della locanda. Poi l’oste tornò con il boccale di sidro per lei e una fumante ciotola di zuppa di carne: “Ecco a te, nonna. A buon rendere!” le sbatté davanti il pasto e poi andò al bancone. Katrina lo ringraziò con un cenno, poi bevve un lungo sorso di sidro. Il liquore le bruciò la gola e la costrinse a sputacchiare e tossire convulsamente. Bruto, allarmato, la tirò per la gonna. Katrina si riprese un poco, afferrò di nuovo il boccale e bevve un altro lungo sorso: “Non farmi da balia, Bruto. Stasera voglio ubriacarmi!”
Fu mentre era sul punto di ingollare il resto del sidro in un colpo solo che udì una voce compiaciuta esclamare: “Un po’ di pazienza, amici miei”.
Si girò di scatto, e anche Bruto lo fece, con un ringhio sommesso: due tavoli più in là, seduto in mezzo a una folla adorante, c’era l’uomo dai capelli rossi e gli occhi verdi che si proclamava fidanzato di Isa. Sedeva accanto a un ometto laido e placava con sorrisi e occhiatine la gente che si era assiepata intorno al suo tavolo.
Katrina saltò sulla sedia per la sorpresa. Frenetica, afferrò il cartoncino del menu appoggiato al suo tavolo e ci si nascose dietro per non farsi riconoscere. Sbirciò in direzione dell’uomo. Ahia. Non ci voleva. La iella l’aveva seguita fin lì. Era capitata nella locanda dove oziava l’ultima persona al mondo che desiderava vedere. Da dietro il menu, si rivolse a Bruto bisbigliando: “Iella nera, Bruto. Guarda un po’ chi c’è là”.
Il tizio, che doveva chiamarsi Lord Fox, se non ricordava male, era contornato da loschi figuri assai poco rassicuranti, che lo guardavano come se fosse il loro capo. Lui aveva stampato sulle labbra un sogghigno furbo. Katrina udì la folla esclamare: “Ti prego, raccontaci di domani!”
“Sì, raccontaci!”
“Presto detto” sorrise Lord Fox: “Siete tutti invitati al mio matrimonio con la marchesina Isadora, che si terrà domani mattina alle dieci, nella cattedrale di Soledad”.
Katrina provò una stretta al cuore: “Allora fanno sul serio” disse tra i denti. Non aveva voglia di torturarsi gratis. Era meglio andarsene al più presto. Uno dei brutti ceffi che contornavano il Lord fece un ghigno abominevole: “Ehi, Fox, a noi non la dai a bere: com’è che l’hai liberata dal maniero, veramente?”
Suo malgrado, Katrina si fece attenta. Lord Fox, dopo averci girato intorno per un po’, si chinò in avanti con atteggiamento cospiratore. Lei lo udì a malapena: “Un gioco da ragazzi. Sapete, a dir la verità la ragazzina non se la passava poi così male. Ma ho usato questo fatto a mio favore: ho finto di essere il suo fidanzato, ho mentito per quanto riguarda il piano, e ho messo l’orco contro di lei. Una messinscena perfetta. In realtà non c’è mai stato alcun piano: Isadora nemmeno mi conosceva”.
Katrina rimase a bocca aperta dallo choc, immobile al tavolo. Le parve che il cuore le si fermasse in petto. Era senza fiato. Un altro ceffo intervenne: “E così l’hai riportata a Soledad e convinta a sposarti?”
“Esatto” si vantò Lord Fox: “Isadora era disperata e triste, ma alla fine il padre l’ha convinta ad accettare la mia proposta. Ah, quell’idiota del marchese è diventato, senza saperlo, il mio complice più prezioso!”
Katrina aprì la bocca, ma ne uscì solo un mugolio incomprensibile. Non era possibile. Fissò Bruto esterrefatta, ma lui non poteva capire. L’ometto alla destra di Lord Fox bevve un sorso dal suo boccale: “E sapete come la ucciderà questa?”
“Una cosa divertente” disse Lord Fox: “La sposerò, poi, quando mi sarò assicurato il suo patrimonio, la lascerò sola in un bosco minacciato da un gigante pericolosissimo”.
Katrina lasciò cadere il foglio del menu. Era diventata pallidissima, e tremava come una pentola a pressione. Era inorridita. Quell’uomo orribile voleva uccidere Isadora per il suo patrimonio, e loro gliel’avevano consegnata senza obiettare, lasciandosi ingannare dal suo subdolo piano! Ah, ma lei se lo sentiva che c’era qualcosa che non andava. La povera Isa era sempre stata sincera, e, come loro, si era ritrovata coinvolta contro la sua volontà.
Piena di una comica rabbia, la vecchia domestica scattò in piedi, fissò minacciosa il tavolo a cui sedeva Lord Fox e si lanciò in avanti per dargliele di santa ragione. Bruto, però, che era un tipo poco impulsivo, la trattenne afferrandole la gonna tra i denti, ma Katrina, che non se n’era accorta, continuò per un bel pezzo a muovere passi che non faceva e a gesticolare nell’aria: “Brutto mascalzone, villano, assassino, cafone, se osi toccare Isa te la faccio vedere io!”
Fu solo quando si fu ripresa un po’ che ricominciò a ragionare. No. Non poteva agire adesso, lei era da sola, mentre loro erano in tanti. Cosa poteva fare una vecchia domestica? C’era bisogno di un piano d’azione. Ma cosa potevano fare? Il matrimonio era appena l’indomani! Isadora era in grave pericolo, e non sospettava nulla!!
“Calma, Katrina” si disse a mezza voce: “La prima cosa da fare è avvertire il padrone. Una cosa è certa: Isadora ha bisogno di noi!”   
Di colpo, Lord Fox voltò la testa verso di lei. Katrina si girò di scatto, afferrò un ventaglio da un altro tavolo e se lo piazzò sulla faccia per nasconderla. Il mascalzone non doveva accorgersi che l’aveva smascherato. Si avviò alla porta assieme a Bruto continuando a sventagliarsi col ventaglio. Fissò accigliata Lord Fox. “Gongola pure” borbottò: “Ma presto la pagherai! I crudeli vengono sempre puniti!”
“Che fai, nonna?” le chiese l’oste allegramente quando gli passò accanto: “Parli da sola?”
“Prendo un po’ d’aria” rispose lei. Uscì dalla locanda scoccando un’altra occhiataccia al mascalzone che li aveva ingannati tutti e che voleva uccidere Isa.
 
Quando tornò al maniero, dopo una corsa forsennata in calesse, la notte stava già lasciando il posto ad una pallida alba rosata. Katrina fissò angosciata la strisciolina di sole adagiata sull’orizzonte: il tempo scorreva. Era come se la vita di Isadora fosse appesa ad un orologio pronto a suonare le dieci.
Una volta di fronte al maniero, Katrina non attese nemmeno di fermare il calesse e già correva forsennatamente dentro alla costruzione. Passò in mezzo a cocci infranti, sedie rotte e mobili a pezzi senza fermarsi mai. Il cuore le batteva forte dentro alla gracile cassa toracica.
“Padrone!” chiamò. Non le rispose nessuno, così insistette: “Padrone!”
Superò la stanza da letto del padrone correndo, ma si bloccò di colpo e tornò sui suoi passi: l’orco era dentro, ma non distruggeva né fracassava più. Era una figura solitaria in mezzo ad un catafascio di mobili fatti a pezzi. Sedeva sul letto rovinato e le dava le spalle, la schiena curva. Non sembrava neanche essersi accorto di lei. Ansimando, Katrina si appoggiò allo stipite della porta: “Padrone…”
“Lasciami in pace” disse lui lugubre, senza voltarsi. Katrina, però, entrò nella stanza buia: “No, padrone, dovete ascoltarmi. Ho scoperto una cosa terribile che riguarda Isadora”.
A quel nome, l’orco serrò convulsamente i pugni: “Smettila di parlarne, Katrina”.
“Padrone, state a sentire…”
“Và via”.
“Insomma, padrone, state zitto un attimo!” Katrina alzò la voce, spazientita. Va bene, soffriva, ma la stava facendo troppo lunga. Per fortuna l’orco si azzittì, così poté andare avanti: “Non è come credevamo noi. Isadora non ci ha affatto mentito. L’uomo che la vuole sposare, Lord Fox, e che la sposerà domani, ha architettato un piano per spingerci a consegnargliela, e ora vuole ucciderla subito dopo le nozze per accaparrarsi il suo patrimonio!”
Prese fiato. Vide che l’orco si era fatto completamente immobile. Ad un certo punto, si voltò, l’espressione stranita: “Ma che cosa stai dicendo?”
“È la verità, padrone, ve lo giuro!” disse Katrina disperata, fissando il sole che saliva fuori dalla finestra: “So che è difficile da credere, ma dovete fidarvi di me. Isadora era sincera. Lei ci teneva a noi. È quel Lord Fox che l’ha incastrata. Ha inscenato quella pantomima per averla per sé. Non appena sarà sua moglie, potrà liberarsi di lei”.
Colse un barlume di speranza sul volto dell’orco, che morì subito. Lui scosse la testa brutalmente: “Perché mi tormenti così, Katrina? Sono ancora troppo debole per non ricominciare a sperare, e tu giochi con me”.
“Vi sembro in vena di giocare? Stiamo perdendo tempo. Isadora è in pericolo. E forse parlo solo per intuito, ma ho visto come si comportava durante il suo soggiorno qui…io penso che ci tenesse a me, ma soprattutto a voi”.
L’orco la guardava fissamente. Il dolore, la rabbia svanivano lentamente, lasciando il posto alla solita speranza, ma anche alla preoccupazione. Alla fine chiese piano: “Mi stai dicendo la verità?”
“Sì”.
“Lo giuri?”
“Lo giuro!”
L’orco si accigliò un attimo, poi: “Raccontami tutto di nuovo”.
Katrina lo fece, stando attenta a non tralasciare il minimo dettaglio. Durante il racconto, l’orco prima si alzò dal letto, poi assunse un’espressione carica di apprensione e di terrore. Alla fine, queste due cose stemperarono in una certa decisione. Prese un coltello dal muro e lo infilò alla cintura: “Dobbiamo impedire quel matrimonio” disse, deciso e furioso insieme: “Non permetterò che quell’uomo faccia del male a Isadora”.
“Ooh!” esclamò Katrina, sospirando di sollievo: “Finalmente vi è tornato il senno!”
“Dobbiamo sbrigarci” disse freddo l’orco. Allo stesso tempo, alla freddezza che usava quando doveva agire si univa il desiderio eroico di salvare Isadora: “Finché non sono sposati possiamo sperare di avvertire Isadora e suo padre”.
“Ma come facciamo?” chiese Katrina disperata: “Il matrimonio è solo alle dieci, e Soledad dista parecchio da qui!”
“Prenderemo il calesse, andremo alla massima velocità” sbottò l’orco. Gli occhi gli ardevano, ma stavolta dall’amore che provava per la ragazza: “Non chiedermi di fermarmi, non chiedermi di rallentare: non potrei. Quell’uomo mi ha ingannato per far del male a Isadora, e questo basta a firmare la sua condanna. Ma se osa torcerle anche un solo capello…”
“Così vi voglio!” disse Katrina. L’orco la prese per un braccio: “Andiamo”.  

 
  
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