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Autore: Hullabaloos    21/03/2012    3 recensioni
"Quel che voglio far capire, è di non considerare i personaggi come graziose bambole che danzano nel vostro teatrino. Può darsi che quanto racconterò stia accadendo anche su questa terra, chissà. Dopotutto, questa è solo la storia di anime perse in questo spazio e tempo indefinito, che intrecciano la loro esistenza seguendo un sottile filo comune, così facile da spezzare. Tutto quello che chiedono è di essere ascoltate"
Genere: Azione, Drammatico, Sovrannaturale | Stato: in corso
Tipo di coppia: Shonen-ai | Personaggi: Un po' tutti
Note: AU | Avvertimenti: Incompiuta
Capitoli:
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La biblioteca dell’Aletheia, una tarda mattina

Heracles era di fronte a una delle sue ampie librerie, sfogliando distrattamente un tomo estratto a caso dagli scaffali. Tutto era immobile. Solo ogni tanto quella quiete era interrotta dal guizzo della lingua sul pollice e dal fruscio delle pagine girate. L’atmosfera era quella di un pigro pomeriggio di domenica, in cui il tempo scorre più lento del solito e si trascorrono ore interminabili a crogiolarsi nel dolce far nulla. Le iridi opache si alzavano di tanto in tanto dalle parole d’inchiostro per osservare il pulviscolo dorato della stanza, senza un motivo apparente.

All’’improvviso qualcuno bussò alla porta. Il bibliotecario girò la testa verso l’uscio di scuro mogano. Osservò per qualche istante il libro che ancora stringeva in mano. Poi, come se nulla fosse, lo lasciò cadere a terra. Il libro si mescolò al resto delle paginette e degli appunti che costituivano il pavimento della stanza. Il greco si prese tutto il tempo necessario per dirigersi con calma verso l’entrata, facendo attenzione a porre un piede dopo l’altro in zone sgombre dalla presenza di plichi precari di volumi. Infine, dopo un tempo lunghissimo, abbassò la maniglia.

-Buongiorno Heracles-

Kiku, proprio come aveva previsto. Sapeva di poter sempre contare sulla lealtà del giapponese. Questo lo guardava in silenzio, probabilmente attendendo che l’altro lo invitasse a entrare nella biblioteca.

-Kiku, vai a fare del tè-

Non era il genere di frase che il moro si sarebbe aspettato. Corrugò le sopracciglia con fare perplesso.

-Del tè?-

Heracles continuò a fissarlo. Probabilmente si stava domandando quale fosse la difficoltà nel comprendere una frase dalla costruzione grammaticale così semplice.

-Mi hai chiamato qui solo per fare del tè?-

Heracles alzò le mani con lentezza per poi posarle sulle spalle del ragazzo. Kiku sentiva quelle iridi opache su di lui. Inespressive, come al solito. Il suo viso sembrava una statua coperta da un sottile strato di pelle.

-Abbiamo molto di cui discutere-

La voce assolutamente monocorde e insipida non faceva che accentuare questo paragone.

-Penso che il tè sia qualcosa di ideale in queste occasioni-

Kiku era dubbioso. Scrutò il volto dell’uomo. Si chiese se stesse scherzando. Ma ormai conosceva Heracles come le proprie tasche ed era certo che non era tipo da lasciarsi andare a burle e battute. Il breve silenzio che seguì convinse l’asiatico a seguire il comando dell’uomo con una scrollata di spalle.

“Qualcosa di ideale in queste situazioni?”, ripensò il moro, mentre sollevava il bollitore fischiante dal fuoco.

“Questo non è qualcosa che di solito esce dalla bocca di Heracles”

Il bibliotecario se ne fregava delle situazioni e delle buone maniere: mirava esclusivamente al proprio obiettivo e ogni suo gesto era finalizzato al raggiungimento di un determinato scopo.

Scosse la testa, avviandosi nuovamente verso la biblioteca. In mano aveva un vassoio su cui traballavano un poco due tazze e una teiera. Dopotutto, anche il greco era umano, no?

“Magari ha semplicemente voglia di qualcosa di caldo”

Mentre posava il prezioso carico sullo scrittoio colmo di libri e polvere, il moro si impose di smettere di occupare la propria mente con questi pensieri superflui.

Come protese il braccio verso il recipiente con l’intenzione di versare la bevanda, fu bloccato da il movimento repentino della mano dell’altro.

-Siediti-

Il castano prese la teiera e versò con lentezza il liquido nelle tazze.

-Faccio io-

Kiku, sempre più confuso, non obiettò. Ora più che mai era impaziente di ascoltare ciò che l’altro doveva dirgli. In quei pochi istanti in cui l’asiatico si voltò alla ricerca di una sedia, il greco fece scivolare repentinamente della fine polverina bianca in una delle due tazze.

Finalmente, entrambi si accomodarono, Kiku su uno sgabello, Heracles dietro la sua scrivania. Per un po’ sorseggiarono il liquido fumante in silenzio.

L’asiatico osservò il bibliotecario: questo si limitava a guardare di fronte a sé con aria assente, alzando ogni tanto il braccio per portare la fredda ceramica alle labbra. Sembrava il solito Heracles, ma il giapponese sembrò cogliere uno strano particolare nella sua espressione, qualcosa che increspava il suo usuale velo di indifferenza.

Kiku provò una crescente sensazione di disagio. Si mosse un poco sulla sedia, spostando il peso da un lato all’altro. Fu colto di sorpresa quando il bibliotecario finalmente aprì bocca.

-Come procede l’allenamento dei nuovi arrivati?-

Kiku rimase in silenzio, soppesando la domanda. Una semplice richiesta, del tutto lecita. Eppure era stata posta come una semplice frase di circostanza. Iniziò lo stesso a parlare. Qualunque cosa per sciogliere la tensione formatasi nella stanza. Descrisse i progressi dell’inglese, di come ormai sapesse maneggiare discretamente le spade, nonostante fosse palese la mancanza di un vero e proprio talento. Con un po’ di imbarazzo, provò a riferire dell’assoluta incapacità di Feliciano di afferrare saldamente un qualsiasi tipo di arma, cercando di trasmettere il messaggio con parole più clementi e gentili.

Heracles annuiva. Kiku credeva di trovarsi di fronte a un vecchio giocattolo inceppato, l’unica azione di cui era capace resa perpetua. Ebbe l’impressione che l’altro in realtà non stesse ascoltando una singola parola di quello che stesse dicendo. Per quanto fossero imperscrutabili i suoi occhi, non poté non notare gli sguardi che di tanto in tanto lanciava alle ombre della stanza che lentamente si accorciavano per dare spazio alla luce del giorno.

 

Feliciano arrancava lungo il corridoio, strascicando un piede dopo l’altro. Una mano tentò di coprire uno sbadiglio troppo rumoroso e troppo grande. Mugolando, il ragazzo si stropicciò gli occhi assonnati. Si massaggiò lentamente un fianco, i dolori dell’allenamento del giorno precedente che comparivano nuovamente: non poteva contrarre un muscolo senza sentire una fitta di dolore che si irradiava in tutto il corpo.

Feliciano osservò con astio il volume che stringeva tra le mani, la causa di quella levataccia mattutina: “Tecnica e procedimenti per lo sviluppo dell’idrostatica”. Idrostatica… Ma cosa diavolo servirebbe l’idrostatica? Ma soprattutto, cosa importava al greco dell’idrostatica?

Sospirò rassegnato, lasciando ciondolare il braccio e facendo dondolare il volume su e giù. Si chiese lamentosamente perché il bibliotecario aveva assegnato a lui un incarico tanto seccante. Non avrebbe potuto semplicemente restituirlo a pranzo, quando sicuramente si sarebbero incontrati?

Immerso in queste elucubrazioni, s’appresto a girare all’ennesimo incrocio di volte.

Ma improvvisamente si fermò. Semi nascosto dall’ombra del corridoio, vide un piccolo gatto bianco. Era immobile, vigile e lo stava scrutava con i suoi grandi occhi gialli.

-Ehi!-

L’italiano si abbassò, protendendo amichevolmente un braccio verso l’animale.

-E tu cosa ci fai qui?-

Prima che l’italiano potesse accarezzargli la testolina, il piccolo felino indietreggiò. La mano si bloccò a mezz’aria. Il gatto continuò a fissarlo. Non sembrava intimorito: semplicemente lo guardava.

D’un tratto, il gatto si voltò e schizzò a tutta velocità lungo il corridoio, scomparendo nel buio. L’italiano seguì la linea di quella insensata quanto rapida fuga. Sospirando ancora, si rialzò e procedette nuovamente verso la biblioteca.

“Sicuramente”, pensò, “non sono l’unico ad avere iniziato male la giornata”

 

Eduard premette le tempie tra i palmi delle mani. Un gemito di dolore sfuggì dalle sue labbra, risuonò come un eco per la stanza semi buia. Si accovacciò contro il muro, il viso coperto da uno strato di sudore freddo.

“Hai fatto come ordinato?”

Un altro lamento, più acuto dei precedenti, rotolò fuori dalla gola arrochita dalle troppe grida.

-Si-, uggiolò l’estone.

“Il posto è quello prestabilito?”

Il ragazzo scosse violentemente la testa, nella speranza che quella voce maledetta gli uscisse dalla testa.

“RISPONDIMI!”

Quell’urlo sembrò lacerargli le carni, ridurgli il cervello in poltiglia. Si strinse disperatamente la testa, si rannicchiò contro la parete mentre guaiva e balbettava.

“RISPONDI EDUARD!”

-Si, si, basta!-, strillò, quelle fitte che rischiavano di farlo impazzire, -Ho fatto tutto quello che mi hai ordinato!-

Il dolore che lo opprimeva sembrò allentarsi per un poco. L’estone compianse la propria misera condizione: il tremare incontrollabile gli impediva di reggersi sulle proprie gambe e il sapore salato delle lacrime e del muco ricopriva le sue labbra screpolate.

“E l’altro ragazzo, il fratello… è in quella città, vero?”

-Si…-, sussurrò Eduard, quell’unica parola così difficilmente distinguibile tra i balbettii sconnessi.

La voce sembrò scomparire. Eduard chiese se fosse tutto finito.

 “Eduard…”

Un suono strozzato uscì dalla sua gola.

“Devi fare in modo che i Possessori escano dalla sede per cercarlo”

Eduard alzò di scattò la testa, pietrificato.

-M-ma è impossibile!-, tartagliò, un sorriso incerto che apparve frastagliato sul volto pallido.

-Come farò da solo a-

Il resto della frase fu inghiottito da nuovi spasimi. Gridò, gridò con quanto fiato aveva in gola. Attendeva che quella tortura scemasse, perché sapeva che la Voce era così crudele da non donare neanche il ristoro dell’incoscienza.

“Forse non capisci la tua situazione”

Lo scienziato, frastornato dai propri urli, distinse questi pochi sibili.

“Tu sei mio, io posso farti quello che voglio. Con uno schiocco di dita posso anche ucciderti. È questo che vuoi?”

Quella tortura era terribile. Era come se la propria testa fosse trapassata innumerevoli volte da lame infuocate.

“È QUESTO CHE VUOI EDUARD?”

-No!-, urlò, -No, no, no! Farò tutto quello che vuoi! Ora, basta, BASTA!-

Il dolore cessò definitivamente. Mentre piangeva silenziosamente, i denti che battevano senza controllo, la Voce sembrò lasciare un ultimo messaggio, come un pensiero sfuggente.

“Ricordati Eduard”, quel suono si frammentò in sillabe scomposte, “Non puoi più sfuggirmi…”

 

Kiku continuò a tormentarsi le mani: una strana tensione aveva iniziato a impossessarsi delle sue membra. Di tanto in tanto lanciava brevi occhiate al bibliotecario: questo aveva addirittura abbandonato il tentativo d’instaurare una conversazione, limitandosi a fissare il vuoto. La tazza di tè era ancora stretta tra le mani. L’uomo era congelato in quella posizione di chissà quanti minuti.

Il giapponese si dondolò nervoso sulla sedia. L’istinto gridava di lasciare quel luogo il prima possibile. Ma una strana inquietudine lo inchiodava alla sedia, sentiva una strana sensazione, forse un presagio, qualcosa di imminente che lo stava minacciando, come una spada appesa sopra la propria testa.

Qualcosa interruppe il filo dei suoi pensieri. Sobbalzò quando vide il gatto bianco di Heracles comparire misteriosamente davanti ai suoi occhi.

“Come ha potuto entrare nella stanza così silenziosamente?”

Il piccolo animale balzò nel grembo del proprio padrone, si strofinò contro la sua vecchia casacca, miagolando soddisfatto. Il greco parve scuotersi dal suo stato di torpore. Osservò per qualche instante il gatto che alla fine decise di accoccolarsi meglio sulle sue gambe.

Dopo un tempo che parve infinito, il bibliotecario parve aver elaborato ciò che era successo intorno a sé. Iniziò ad accarezzare distrattamente il piccolo felino, mentre le sue iridi si inchiodarono finalmente in quelle scure dell’altro.

-È giunto il momento, Kiku-

Kiku sentì nuovamente quella strana sensazione strisciargli nello stomaco.

Cercò di scrutare nello sguardo dell’altro: non vide altro che la sottile pellicola di un guscio vuoto.

 

Feliciano alzò gli occhi ed esultò: vide a qualche metro l’ultima svolta che lo avrebbe condotto finalmente alla biblioteca. Si sarebbe potuto liberare da quello stupido libro, schiacciare un pisolino e poi andare a trovare Ludwig nel laboratorio! Con questo ultimo pensiero che lo rallegrò ulteriormente, si precipitò verso quella fatidica porta con un sorriso sulle labbra.

-Sei un mostro, Heracles!-

L’italiano si bloccò nella sua posizione, la mano pronta ad abbassare la maniglia. Quell’urlo non era forse di Kiku?

-Il mostro non sono io, Kiku-

L’altro non poteva essere che il bibliotecario. Avrebbe riconosciuto ovunque quella voce monocorde, quasi surreale ed estranea a qualsiasi corpo umano.

-I mostri sono là fuori e sono aumentati. Una crescita esponenziale, e sai cosa questo comporterà-

Felicitano tentennò. Forse sarebbe dovuto tornare più tardi, dopo che i due avessero risolto le loro questioni.

-Heracles, ascolta-

Felicitano percepì che qualcosa non andava: la voce del giapponese era implorante e disperata.

-Appena un mese fa hai fatto la scelta giusta, lo hai lasciato vivere! Perché proprio ora…?-

Ma non era solo questo. Le parole erano strascicate, ingarbugliate. Non vi era qualcosa di strano nelle sue frasi, ma in come le pronunciava. La lingua aveva difficoltà a muoversi, il respiro era spezzato.

-Un semplice esperimento-

-Un… Esperimento…?-

-L’ho lasciato agire liberamente. Era mia intenzione capire se il Bokor lo riteneva una minaccia tale da muoversi personalmente per sopprimerlo-

Felicitano non conosceva il soggetto di quella conversazione. Eppure sentì un brivido percorrergli la pelle. La voce del greco era come una lama, anzi, come un bisturi: freddo, asettico, ma ugualmente spaventoso e letale.

-A quanto pare, egli ritiene che il soggetto non sia abbastanza pericoloso. Per questo, reputa sufficiente l’intervento dei Jardin. Ormai ti sarai reso che da ogni angolo di strada ne spuntano nuovi nugoli. E se non l’uccidiamo adesso, le città si trasformeranno in veri e propri vespai di zombi-

-Non possiamo, non possiamo!-

Rumore di mani che sbattono sullo scrittoio colmo di volumi.

-Non posiamo ucciderlo! Noi difendiamo persone come lui! Non ha senso combattere questa guerra se uccidiamo persone innocenti!-

Feliciano non ce la faceva più: voleva capire cosa diavolo stava succedendo lì dentro. Così,  deglutendo nervosamente, abbassò con delicatezza la maniglia. L’uscio produsse solo un leggero cigolio che fece però saltare il cuore in gola al ragazzo. L’italiano gettò un’occhiata: vide Kiku ritto davanti alla scrivania, le mani che stringevano spasmodicamente il bordo di mogano. Feliciano si spaventò: il volto del giapponese era eccessivamente pallido, quasi cereo, il corpo era scosso da forti tremiti e sentiva il suo respiro affannoso che riempiva il momentaneo silenzio della stanza.

Indeciso sul da farsi, il rosso lasciò vagare ancora lo sguardo. Sobbalzò: Heracles, seduto dalla parte opposta dello scrittoio, sembrava guardare proprio nella sua direzione!

“Impossibile!”, si disse l’italiano, “non c’era modo che da quella posizione mi possa scorgere!”

Trattene il fiato, finché, con suo enorme sollievo, le iridi del bibliotecario scivolarono di nuovo sul viso tremante del giapponese.

-Questa tua affermazione è del tutto insensata, Kiku. Devo forse ricordarti che tutti i Jardin che hai ucciso sono state persone innocenti?-

Kiku tentò di ribattere, ma Heracles lo interruppe.

-Non abbiamo scelta, dobbiamo ucciderlo. Non voglio ripetermi ancora. È già stato tutto deciso. Ludwig ha già fatto atterrare la nave-

Feliciano ricordò la sera precedente: Ludwig correva frenetico da una parte all’altra del laboratorio, imprecando contro il greco che aveva insistito nell’anticipare l’atterraggio per la pulitura della Stanza del Fuoco.

-Heracles…-

Un sussurro timoroso e angosciato provenne dal moro.

-…dove siamo…?-

I suoi ansiti diventavano via via più pesanti. Il viso del greco era imperscrutabile.

-È la città dove attualmente soggiorna il soggetto, una città a nord della Confederazione Etrusca-

-Ti prego, Heracles…ci deve essere un modo…-

-Finisci il tuo inutile dramma, Kiku-

Ora Feliciano ne era sicuro. Heracles lo stava proprio fissando.

-Questo è il giorno…-

Il greco si alzò. Pronunciò quella frase come un oratore di fronte a una platea.

-…in cui Lovino Vargas morirà-

Silenzio.

Le parole, le frasi, le immagini, tutto quel guazzabuglio incomprensibile parve unirsi e seguire un unico filo conduttore.

Un tonfo. Il libro era scivolato dalle sue mani.

Confusione. La porta era spalancata. Era stato lui ad aprirla? Non importa.

Vide gli occhi sgranati di Kiku, due pozze nere su una distesa bianca. Poi seguì lo sguardo di Heracles. Sulla sua patina verde lesse ciò che l’uomo voleva che facesse. Questo combaciava perfettamente con ciò che aveva intenzione di fare.

Non lo deluse.

Indietreggiò, voltò le spalle alla biblioteca e iniziò a correre.

Doveva salvare suo fratello.

 

-No…!-

Kiku si slanciò verso la porta. Aveva frainteso, doveva fermarlo, aveva letto sul suo viso le sue intenzioni, sarebbe morto!

Come il suo piede poggiò sul pavimento, Kiku ebbe appena il tempo di provare un brevissimo senso di vuoto, come se qualcuno avesse tolto l’appoggio ai propri passi. Un momento terribile, di sospensione, in cui ti si mozza il respiro e il cuore pare fermarsi.

Sentì le gambe cedergli e in un momento si ritrovò steso sul pavimento, il proprio corpo che non rispondeva ai suoi ordini. Gli oggetti parvero sbiadire, i contorni mescolarsi e creare un caotico insieme di linee, macchie e colori. Provò a parlare, ma ciò che uscì dalla propria bocca furono suoni privi di senso. Un buio denso e pesante calava inesorabilmente sulla sua mente. Cercava inutilmente di lottare contro di esso, ma sentiva le proprie forze che andavano scemando.

D’un tratto vide gli sporchi stivali del greco davanti i suoi occhi. Alzò lo sguardo, confuso. Era forse un’allucinazione, o quello che vide sul suo volto era una pallida ombra, un germe stentato di un’emozione?

Non lo seppe mai. Una pesante coltre d’oscurità ricoprì i suoi pensieri. Sprofondò in un sonno profondo e senza sogni.

Heracles vide il corpo drogato del giapponese accasciarsi scomposto tra le pagine dei propri amati libri.

-Dormi per un po’, Kiku…-

 

Il bibliotecario chiuse lentamente la porta dietro di sé.

La mano indugiò un poco sulla maniglia. Kiku era dall’altra parte, svenuto. Sentiva la presenza fisica di quel corpo come se non ci fosse una barriera di legno a separarli.

La fronte liscia del bibliotecario s’increspò per un secondo. Un attimo, nulla di più. Con una nuova maschera, si voltò definitivamente per compiere il proprio dovere.

Come decise di muoversi, la sua attenzione fu catturata da un uomo che correva verso di lui in una chiara condizione di agitazione e confusione. Riconobbe Eduard, l’assistente di laboratorio assunto cinque anni fa. Non appena l’estone vide il greco, gli corse incontrò, sommergendolo con sillabe tartagliate pronunciate gesticolando nervosamente.

-Signore…! L’atterraggio…! Siamo, siamo… in pericolo! Si, in pericolo! Dobbiamo scendere tut-

-Zitto-

Lo scienziato si bloccò. Non seppe perché, ma quella semplice parola sembrava possedere un velo di minaccia. Il volto del greco era imperturbabile.

-Ascoltami bene, non lo ripeterò un’altra volta-

Eduard deglutì.

-È una questione della massima importanza e ho bisogno della tua completa collaborazione. Ci siamo intesi?-

L’estone annuì, incerto.

-Feliciano è scappato alla ricerca di suo fratello. Deve aver premeditato questa fuga da molto e tempo e ha atteso l’atterraggio mensile della nave. Rischia di attirare a sé gruppi di Jardin, mettendo in pericolo la propria vita e quella degli abitanti della città. Ordina a tutti i Possessori di uscire e andare a cercarlo-

Eduard lo guardò confuso, aprì più volte la bocca senza emettere un suono. Cercava di fare una somma delle parole dell’altro, delle sue intenzioni, del proprio piano.

-Cosa ci fai ancora qui?-

Lo scienziato si spaventò. Quel basso sibilo era stato pronunciato proprio dal greco, sempre così indifferente? Con crescente terrore, vide il viso del greco trasformarsi: una fredda maschera cadde per lasciar posto a un viso trasfigurato dall’ira. Nessun cambiamento poteva essere più mostruoso.

-MUOVITI!-

Eduard sobbalzò, si sistemò con mani tremanti gli occhiali, balbettò un incerto “si”, ciabattò velocemente lungo il corridoio.

-Aspetta-

L’estone si fermò. Un muto e insensato terrore lo convinse che il greco avesse scoperto tutto.

-Non preoccuparti per Kiku. Lo avvertirò personalmente-

Dopo che lo scienziato, letteralmente, fuggì, Heracles si concesse un lunghissimo sospiro. Qualcosa si sfregò contro la sua gamba. Abbassò gli occhi. Vide delle iridi dorate fissarlo. Tremò. Per qualche assurda ragione, quel colore lo riportò indietro nel tempo.

palià

Si guardò le mani. Vide quei guanti, quei guanti che possedeva da così tanti anni, quei guanti che continuava a indossare giorno e notte per una semplice promessa fatta a un morto. Quante volte aveva desiderato di toglierseli e porre fine a quella tortura interminabile?

-Sei felice adesso, vecchio?-

Il gatto inclinò la testa. Forse si chiese il motivo per il quale si era meritato quella frase sprezzante. Forse non sapeva neanche di aver risvegliato vecchi dolori sepolti sotto tonnellate di libri e inutili giustificazioni.

 

Francis correva a perdifiato. Sentiva i propri passi rimbombare per l’alte volte del corridoio e il cuore che batteva furiosamente. La Stanza del Fuoco. Era lì che avrebbe trovato sicuramente Gilbert, sapeva che era il luogo dove l’amico sgattaiolava a ogni buona occasione.

Svoltò, rasentando lo spigolo della parete. Vide l’entrata del corridoio buio e i lontani bagliori che disegnavano nell’oscurità sfocati vortici fiammeggianti. S’addentrò tra le tenebre senza indugio.

-Gilbert!-

Si stupì nel constatare che quelle parole fossero uscite dalla propria bocca: in esse coglieva il panico e l’angoscia che lo stavano attanagliando. Quell’eco sembrò storcersi nell’atmosfera densa, rimbalzò sulle pareti per tornare alle sue orecchie come un suono distorto e sinistro.

Superò la porta trasparente, dietro cui il cuore della nave respirava grandi torri di fuoco. Intravide il fondo del corridoio e finalmente lo trovò: l’albino era seduto, una spalla appoggiata al muro e le gambe strette al petto. Quelle iridi rosse erano come due piccoli fuochi che costellavano il buio e in quel momento lo fissavano sorpresi e, non ne era sicuro, molto irritati.

-Francis!-

Decisamente irritato, la sua voce gracchiante inspiegabilmente più aspra.

-Cosa diavolo ci fai qu-

Una sfumatura nel buio, un movimento registrato dall’occhio in un attimo. Per istinto, Gilbert alzò le braccia per afferrare al volo ciò che il francese gli aveva lanciato contro. Abbassò lo sguardo, trovandosi ad abbracciare la propria spada. Alzò gli occhi sull’altro, le sopracciglia aggrottate, la bocca leggermente aperta. Francis si era nuovamente voltato. Rapidi gesti, armoniosi nonostante trasparisse da essi ansia e agitazione. Il biondo alzò un braccio, puntò il palmo aperto della mano davanti a sé.

-Francis, che cazzo sta suc-

Le parole dell’albino furono inghiottite da un cupo fischio proveniente da sopra la propria testa. Sentì misteriose correnti d’aria che soffiavano intorno a lui e che gonfiavano i suoi vestiti. D’un tratto, la forza delle correnti aumentò, costringendolo ad abbassarsi per non essere trascinato avanti.

-Che cazzo sta succedendo, Francis?-, gridò sopra quel frastuono.

 I venti iniziarono a confluire davanti al palmo teso del francese, formando un piccolo vortice.

-Non c’è tempo per spiegare!-

Lentamente, come piccole isole luminose, particelle di luce bianca apparvero nell’oscurità e si lasciarono catturare dai flusso della spirale.

-Feliciano è fuggito!-

Il rumore era insopportabile. I venti parvero accavallarsi, ululare come bestie rabbiose, i corpuscoli fluorescenti cozzavano tra loro, onde luminescenti si scontravano come un mare in tempesta.

Gilbert tentò di superare quel caos.

-Fuggito?-

-Si, fuggito!-, ruggì il biondo, che tentava di dominare quella frattura nello spazio.

-È scappato ed è corso in città! Sta attirando su di sé tutti i Jardin! Rischia di farsi ammazzare!-

Il globo sospeso davanti alla mano di Francis parve acquistare densità. Le correnti iniziarono a vorticare intorno a questo punto, i corpuscoli lattei si addensavano al centro. Era come assistere alla nascita di un piccolo universo.

-Ma cosa… Perché?-

-Non lo sappiamo!-, gridò Francis frustato.

Gilbert non poté vedere la smorfia carica di sofferenza che si disegnò sul volto dell’altro.

-Ma quella città è invasa da Jardin, non si è mai vista una cosa simile, finirà ammazzato se non lo troviamo!-

La creazione del portale era al suo apice. Lo specchio di pura materia si andava ad allargare ogni secondo che passava, emanando bagliori argentati lungo il corridoio buio.

Gilbert cercò di fare ordine all’interno della sua mente. L’improvvisa interruzione, la notizia della scomparsa dell’italiano, il Dono dello Spazio, tutto era successo troppo velocemente! Solo allora l’albino riuscì a cogliere dei bassi sussurri provenienti dietro la superficie a cui si stava appoggiando.

-Gilbert…? Gilbert, che succede?-

Il ragazzo lanciò una fugace occhiata al francese: era concentrato sull’ultimazione del portale, e comunque il sibilo delle correnti impediva all’altro di cogliere quelle parole bisbigliate. L’albino tornò a voltarsi verso le ante. Posò una mano sulla fredda superficie metallica, come se quel contatto fosse rivolto all’individuo celato oltre ad esse.

-Sono qui-

-Jardin? Ha detto Jardin, vero? Gilbert!-

Il ragazzo fissò il freddo metallo, confuso. Cosa era quella strana reazione? E come faceva l’uomo a conoscere i Jardin?

-Non ti preoccupare, me ne occuperò in un attimo e-

-No, ti prego!-

Il suo sguardo cremisi perforava le ante che gli si ergevano davanti, come se riuscisse davvero a vederlo oltre quella barriera fisica.

-Non i Jardin! Non andare, non andare!-

Una risata strafottente fu risucchiata dall’ululato delle correnti.

-Tu stai dimenticando chi sono!-

Gilbert batté una mano sul petto, un ghigno che percorreva il pallido viso.

-Io sono Gilbert, il Magnifico, e nulla potrà farmi del m-

-Gilbert!-

Il richiamo dell’amico lo fece voltare. Lo specchio era pronto, si stagliava davanti a lui come un mare dai fondali brillanti. Vide l’amico estrarre la spada dalla cintura stretta alla vita. Francis si voltò, fece segno di muoversi, e si immerse nelle acque argentate.

Gilbert sapeva che il tempo era scaduto. Rivolse un ultimo sguardo alla porta metallica, una fuggevole carezza alla sua superficie, una frettolosa promessa.

-Tornerò presto-

L’albino balzò in piedi e si gettò nel lago senza fondo. S’immerse nel Nulla e scomparve.

-Gilbert, Gilbert!-

L’uomo continuava a chiamare il nome dell’altro. Batteva con forza i pugni contro le fredde ante di metallo. Inutile. Se fosse stato nel pieno delle sue forze avrebbe sfondato quella porta maledetta e lo avrebbe fermato. Il rimorso di essersi lasciato indebolire nel corso degli anni lo colpì per la prima volta. Si accasciò contro il muro, privo di forze. I Jardin erano ancora vivi. Lui… lui credeva di averli uccisi tutti!

Un barlume di dolore. Un frammento di ricordo impresso a fuoco nella sua mente stanca e confusa. Fiamme. Sangue. Morte. Occhi dorati. Vuoti.

-No…-

Si portò il viso tra le mani. Perché tutto gli sfuggiva come sabbia tra le dita? Un’altra persona che se ne andava e moriva e lui troppo lontano per proteggerla. Voleva uscire. Voleva andarsene da quel luogo, disperatamente. Non avrebbe mai creduto che potesse nascere di nuovo in lui questo desiderio. Ma ora sentiva che aveva qualcuno che aveva bisogno del suo aiuto.

 

 

Note d’Autrice

 

PERDONOOOOOOOOOOO!!!!

CHIEDO SCUSA PER L’IGNOBILE RITARDO SONO UNA PERSONA ORRIBILE, UNA CANAGLIA, UNA DISGRAZIATA, LA FECCIA DELLA SOCIETÀ PERDONO PERDONO PERDONO ASDJFGHBKOGPKVPLF IUVUIODCDH!!!

*personaggio random che da una schiaffo all’Autrice e la fa rinsavire*

Emh, dicevo.

Cari lettori e lettrici.

Chiedo venia per il ritardo mostruoso.

Beh, è tutto ciò che ho da dire. Potrei stare a scrivere tante scuse per giustificarmi, ma non lo farò.

Spero che semplicemente vi godiate il diciassettesimo capitolo di Underneath! :D

   
 
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