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Autore: Anto1    22/03/2012    5 recensioni
Serventi è di nuovo in circolazione. La sua smania di sconfiggere Gabriel lo porta a fare un patto con un demone. Prima di combatterlo, però, il Gesuita dovrà fare i conti con qualcosa di altrettanto oscuro: il suo stesso potere.
Genere: Generale | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: Incompiuta
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Pianse come non aveva mai fatto in vita sua, come non credeva che fosse possibile piangere. Le lacrime scorrevano sconsolate sul suo viso; i singhiozzi si susseguivano ininterrottamente, così forti che le squassavano il petto, quasi ostruendo le vie respiratorie; sentiva come se i suoi polmoni avessero dimenticato lo scopo per cui erano stati creati, le giungeva poca aria. La crisi di panico sarebbe stata completa se non si fosse seduta un attimo sul divano, cercando di rilassarsi e di non pensare a quello che era successo; non vi riuscì, e si lasciò andare alla crisi, lasciò che quelle lacrime scorressero indisturbate. Ormai non si sentiva al sicuro nemmeno in casa sua: come poteva, ora che era accaduto l’impensabile? L’uomo di cui si fidava ciecamente, di cui era perdutamente innamorata, a cui avrebbe affidato la sua stessa vita, le aveva tentato violenza. Com’era possibile che proprio lui, Gabriel, l’uomo che più volte era giunto in suo soccorso come un cavaliere dall’armatura scintillante, l’avesse tradita nel modo più orrendo? L’aveva tradita non solo tentando di violentarla, ma anche non offrendole amore, quell’amore che lei avrebbe tanto voluto sperimentare con lui, almeno una volta nella vita. Non poteva più fidarsi di lui, e se non poteva più fidarsi di lui, non poteva più fidarsi di nessuno. Più volte da lei in terapia erano venute donne che avevano subito una violenza sessuale, oppure erano state vittime di stalking, e tutte quelle volte lei aveva creduto di capire quello che provavano: la paura di non poter più vivere senza quella sensazione di sporco addosso, che le accompagnava ovunque andassero, quella sensazione di piacere ogni volta che un uomo le toccava, che ormai era diventata ribrezzo; persino il compiacimento che di solito provavano quando gli uomini si voltavano a guardarle, giudicandole belle, era cambiata, era diventata vergogna e terrore. Questo era quello che si provava quando si veniva violentate da uno sconosciuto. Ma questo dolore diventava infinito se a tentare la violenza non era stato uno sconosciuto, ma l’uomo amato; perché insieme alla vita distrutta e all’onore infranto, si aggiungeva l’amore infangato. Amore, che cosa significa davvero questa parola, Claudia? Credevi di saperlo, prima che lui ti facesse questo; credevi che proprio lui te l’avesse insegnato. Ma era davvero amore? Ora che ti alzi a fatica dal divano, cercando di tirare indietro le lacrime, e raggiungi con passo pesante la doccia, pensi con orrore che forse lui mentiva, sì, lui mentiva, perché il suo era soltanto desiderio, un desiderio malato. Eppure, speri in cuor tuo che quel sentimento ci sia stato davvero, non è così? Ma allora perché quel sentimento così puro non l’ha fermato nell’intento di violare il tuo corpo? Forse quel sentimento non era poi così puro, non era amore vero. Adesso le tue lacrime si confondono fra le gocce d’acqua che ti scorrono per il corpo, andando a lavare quella sensazione di sporco, andando a cancellare le impronte delle sue mani, e il suo fiato caldo che ti alitava sul collo. E il suo profumo… oh, il suo profumo! Perché un odore così bello e che prima avevi tanto desiderato al punto di volertene nutrire come fosse aria, ora deve apparire così odioso? Perché non si scrolla di dosso? La sua lingua umida sulla pelle, la senti ancora? Non è liscia e affettuosa come te la ricordavi, ma viscida e fredda come un serpente; si muoveva sinuosa nella tua bocca quasi a volerne esplorare ogni cavità, non ascoltando il tuo desiderio, il tuo volere, con nessuna brama d’incontrare la tua. L’atto più bello, nel momento in cui cercava di entrare dentro di te, quel movimento che tu avevi agognato da mesi, che avevi desiderato più di ogni altra cosa al mondo, come ha potuto trasformarsi all’improvviso in qualcosa di così disgustoso e rivoltante? E’ questo corpo, Claudia, il tuo corpo slanciato e perfetto che l’ha fatto impazzire, un corpo così bello da aver sedotto anche un uomo di Chiesa, tanto da fargli fare pensieri impuri. Senti che è colpa tua, e la tua colpa è quella di essere bella, bellissima. Quante volte, anche ai tempi del collegio cattolico, le ragazze si complimentavano con te per le tue gambe lunghe e sottili, per la tua vita stretta, per la tua struttura slanciata? Quante volte gli uomini si sono voltati a guardarti, o anche ti hanno sussurrato all’orecchio quelle parole “sei bellissima”? E ora piangi ancora più forte, stringendoti nell’accappatoio, perché quelle parole avresti tanto voluto sentirtele dire da lui nella realtà, mentre ti concedevi. Ti stringi nell’accappatoio perché senti di non sopportare più la vista del tuo stesso corpo, che ormai vedi come qualcosa di peccaminoso, così perfetto da apparire quasi demoniaco, così perfetto da incuterti terrore e non più orgoglio e compiacenza.

Piangeva ancora, agitandosi nel suo letto, incapace di dormire; un’attività che non credeva sarebbe mai più riuscita a compiere serenamente. L’unica cosa che le riusciva in quel momento era abbracciare disperata il suo cuscino, quello stesso cuscino che nei suoi sogni aveva diviso stretta a lui; quel cuscino impregnato dei loro sospiri, e su cui l’aveva visto dormire pacifico, la pelle del viso resa traslucida dal sudore che lui stesso aveva versato, e dalla saliva con cui lei l’aveva coccolato. Da mesi aveva sognato quel momento, e il sogno era sempre quello: era nel suo letto, sola, e fuori infuriava un temporale; i fulmini erano così frequenti e fitti da illuminare a giorno la sua camera, facendola rabbrividire per il terrore: aveva sempre avuto una paura matta dei fulmini, fin dall’infanzia; ne venne uno talmente vicino che la finestra minacciò di frantumarsi per il fracasso. Sobbalzò, stringendosi ancora di più nelle coperte. Proprio in quel momento, la porta si aprì, e lui venne, percorrendo la stanza a passo sicuro; si inginocchiò davanti al suo letto, guardandola come se tutta l’anima sua fosse racchiusa in quegli occhi, in quel corpo, guardandola come se volesse riprenderla; e lei non glielo negava mai, lo pregava con gli occhi di prenderla tutta, ora e subito, accarezzandogli il ciuffo rosso; poi veniva un altro fulmine, e lei si abbandonava debole e paurosa sul petto di lui.
“Ho paura, Gabriel!” mormorava sul suo collo.
“Non c’è niente di cui aver paura lì fuori, adesso ci sono qui io!” giungeva la sua risposta, carica di passione.
E lei si ritrovava a baciare quel ciuffo rosso, tremando di desiderio sotto le sue mani, offrendogli tutta sé stessa, dandosi a lui come non si era mai data a nessun altro uomo, mentre attorno a lei le mura della sua camera si scioglievano, diventavano neve candida e bianca, non fredda ma tiepida, che si muoveva dolcemente con loro, scivolando sui loro corpi nudi, impegnati ad incontrarsi. Claudia non sentiva più i fulmini, non li vedeva più: sentiva solo il respiro affannoso e caldo del suo amante, e il tepore del sole offuscato dalle nuvole bianche, sulla pelle. Quella sensazione del suo corpo nel suo era talmente forte e reale che al risveglio lo avvertiva ancora, come se l’avesse avuto davvero dentro di sé; sentiva di aver gridato di piacere perfino nel sonno.
Anche quella volta lei sentì il fulmine, così vicino da quasi spaccarle i timpani, anche quella volta lei si strinse a lui languida e vogliosa, dicendo quelle fatidiche parole:
“Ho paura, Gabriel!”
Lui sorrise, accarezzandole i capelli “non c’è niente di cui aver paura lì fuori” una pausa. Perché una pausa? Di solito quella frase continuava, era detta quasi tutta d’un fiato. Ma c’era qualcosa di strano in Gabriel, quella notte “perché l’unica cosa di cui devi aver paura sono io!!!” concluse la frase con un urlo, mentre i suoi occhi diventavano bianchi; Claudia si dimenava tra le fiamme dell’inferno, impotente, urlando pietà.
“Tenetela ferma, voi due. Dopo ne lascerò un po’ anche a voi” Claudia si voltò, e urlò di terrore: due demoni con la faccia da teschio erano alle sue spalle, e ora le cingevano il busto, tenendole stretti i polsi, per impedirle la fuga. Ma non era quella la cosa più terrificante: quei demoni non erano niente in confronto a quello che lui ora le stava facendo. Senza un bacio, senza un abbraccio, senza una carezza, stava entrando con forza dentro di lei tenendole le cosce strette alla sua vita, strappandole urla di dolore miste a gemiti di piacere; si muoveva talmente veloce da toglierle il respiro, tanto che fu invasa da una fitta di vertigini; solo le braccia possenti dei demoni le impedivano di cadere. Ma lui era troppo veloce, troppo brusco, attento solo a soddisfare il suo piacere, ad usare quel corpo per soddisfare i suoi bisogni, poco gli importava se lei nel frattempo sarebbe svenuta o anche morta, lui si sarebbe divertito fino all’ultimo. Claudia prese a piangere per il dolore e l’orgoglio di donna ferito; non poteva nemmeno accarezzarlo, sperando con quel gesto di trasmettergli un po’ del suo amore, ricordandogli così cosa volesse davvero; ma avvertiva che lui voleva il suo corpo, solo il suo corpo, non la sua anima. “Ti prego, Gabriel, abbi pietà! Smettila!” cercò di dire, ma le sue urla vennero soffocate dalle risate pazze dei due demoni che la stringevano e dai gemiti bruschi di lui, che ormai era appiccicato al suo corpo, tremando in preda all’orgasmo. Priva di fiato e sopraffatta da tutte quelle emozioni negative che le affollavano il cuore, Claudia svenne, cadendo sulle lenzuola bianche del suo letto. Si era risvegliata piangendo, capendo ormai che quella paura orribile era penetrata ormai anche nel suo sogno più bello e inconfessabile; non era più sicura nemmeno nei sogni.

“Siamo stati battuti, Ishtar!” il viso di Serventi si rifletteva bianco nello specchio della sua camera, lo stesso specchio da cui aveva visto il salvataggio di Giada da parte di Gabriel, e la possessione di quest’ultimo.
“Lo so, Simone, purtroppo non avevo previsto di perdere. Di tutti i demoni esperti nel possedere i corpi, sono io il più forte; sono l’unico in grado di sdoppiarmi e di possedere più persone contemporaneamente, e di solito non fallisco mai.” La voce del demone proveniva dalla sua mente, ma non toccava le sue labbra. Lo faceva per convenienza e per strategia: agli occhi del mondo, Serventi sarebbe sembrato un uomo normale, ma quell’involucro all’apparenza normale avrebbe nascosto un’anima profondamente tormentata e inquinata. Non che per inquinarla ci volesse altro, aveva capito subito il demone. “Hai l’anima più nera della pece, così nera che ho quasi paura di toccarla” gli aveva rivelato il demone poche ore fa. Era il posto adatto per lui, non doveva fare alcuna fatica per fargli commettere alcun peccato, dato che ci riusciva perfettamente da solo.
“E allora che cos’è successo? Perché sei ritornato strisciando a possedere completamente il mio corpo, ferito e deluso? Ho sentito, quando hai lasciato il corpo di quel prete da strapazzo, che un’altra anima entrava dentro di me. Sbaglio o hai avuto paura?” chiese Serventi con la mente, facendo un sorrisetto beffardo.
“In un certo senso… quella sensazione di disagio mista ad ansia voi umani la chiamate così, vero? Allora sì, ho avuto paura. Ma ho preso alcune informazioni che ci potrebbero essere utili: quella ragazza, ad esempio, ha un potere immenso, non dobbiamo lasciarcela scappare! Giada non m’interessava affatto prima, volevo solo prendere Gabriel, e quella donna, ma si è rivelata una vera sorpresa. Sai perché ti ho indemoniato, Simone?”
“Perché vuoi la mia anima?”
“Non solo per quello: per sapere che cosa avresti fatto, e che decisione avresti preso contro il tuo acerrimo nemico. Voglio conoscere a fondo il tuo odio, e sapere cosa farai per distruggerlo. La tua anima è così nera e carica d’invidia che non posso neanche controllarla. Voi esseri umani siete davvero interessanti! Ma c’è un essere umano fin troppo potente, e di cui dobbiamo stare attenti, se vogliamo vincere.”
“Lo so, quel Gabriel sa il fatto suo” rispose Serventi, digrignando con rabbia i denti.
“Non mi riferivo a lui; io parlavo di lei.”
“Giada Bernardo?”
“No, idiota: Claudia!”
 

Allora ragazze: ecco a voi il quinto capitolo, che è piuttosto un capitolo riempitivo, in cui Claudia ripensa a quello che è successo e in cui ho voluto descrivere i suoi sentimenti e le sue paure. Quando viene la scena di sesso (sognata) ho improvvisamente cambiato tempo di verbo e ho messo il corsivo perché da una parte ho descritto quello che di solito sognava e succedeva, e dall’altro quello che è successo la notte dopo il tentato stupro. Poi, Serventi e Ishtar ritornano. Spero di non avervi deluso con queste due parti un po’ descrittive e per la scena introspettiva di Claudia un po’ rozza, parti che probabilmente non vi avranno spiegato nulla, ma poco a poco i vostri dubbi si dissiperanno. Voglio scrivere una storia un po’ lunga. Scusate se ho fatto un capitolo che è un poema stile Divina Commedia in quanto a lunghezza XD. Anto.
  
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