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Autore: Athena1Arcadica    23/03/2012    2 recensioni
Questa è una fanfiction AU. Buffy lavora in un giornale ed un avvenimento spiacevole la porterà a conoscere Angel...
Genere: Drammatico, Romantico | Stato: in corso
Tipo di coppia: non specificato | Personaggi: Altri, Angel, Buffy Anne Summers, Dawn Summers, Willow Rosenberg
Note: AU | Avvertimenti: nessuno
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Capitolo 3.

Sedevo nell’ufficio della polizia ormai da più di due ore e non eravamo ancora nemmeno riusciti a parlare con un dannato poliziotto, sembrava che il mondo del crimine si fosse coalizzato tutto quel giorno per far impazzire centralini e grassi uomini unti di ciambelle.
-         Non dovremmo essere qui, ha detto che la uccideranno se diremo qualcosa alla polizia- dissi cercando di alzarmi per andarmene.
-         Noi non andiamo da nessuna parte. Resteremo qui fino a quando non avremo parlato con delle persone competenti. Non siamo in grado di gestire da sole una cosa simile te ne rendi conto?- disse Willow tirandomi di nuovo a sedere su quella dannata seggiola di legno scricchiolante. Non era la prima volta che provavo ad andare via di lì. I rapitori erano stati categorici e noi li stavamo sfidando senza alcun ritegno. Non sarebbe finita bene, ma non stavamo parlando della mia inutile vita, ma di quella di Dawn. Perché se l’erano presa con lei? Era solo una studentessa! Ed io ero l’unica famiglia che gli restava e non ero di certo una milionaria, allora perché? Cosa potevano mai volere da noi?
-         Summers?- tuonò una voce molto poco cortese.
-         Siamo noi- rispose Willow.
-         L’ispettore la sta aspettando- disse indicando svogliato una stanza alla sua sinistra.
-         Grazie- disse Willow tirandomi per un braccio in modo che la seguissi all’interno di quella stanza maledetta. Era buia, sporca e piena di fogli ovunque. L’odore di chiuso la infestava probabilmente in modo perenne. L’idea di parlare con quell’uomo mi terrorizzava, sentivo una morsa allo stomaco che si stringeva di più ad ogni passo. Stavo tradendo Dawn. Se le fosse successo qualcosa per colpa mia come avrei potuto perdonarmelo?
-         Buona sera- disse cortesemente Willow.
-         Chi di voi è Miss Summers?- tossì l’uomo nascosto da una delle pile di documenti più alta che io avessi mai visto.
-         Sono io- sussurrai.
-         Accomodatevi pure- disse più per abitudine che per reale cortesia.
-         Allora sua sorella è stata rapita? Ne è sicura?- continuò lui, era una mia impressione o in quella dannata stazione di polizia erano tutti scorbutici ed insensibili?
-         Certo che ne sono sicura!- mi alterai
-         Si calmi Miss Summers, sto solo cercando di fare il punto della situazione. L’agente Miller mi ha parlato di un possibile rapimento voglio essere sicuro che non sia una bravata da ragazzi- disse tentando di essere conciliante.
-         Dawn non è una stupida ispettore e chi sarebbe quest’agente Miller?- chiesi irritata.
-         L’uomo fuori la porta-
-         Bene può dire all’agente Miller che se si fosse degnato di chiedermi qualche altro particolare saprebbe che Dawn non è una stupida oca, ma una ragazza giudiziosa che è stata rapita da… da dei criminali che mi hanno proibito di parlare con voi ed io come una stupida sto qui a rischiare la sua vita quando voi lo trattate come un caso di serie B- risposi infuriata e scossa. Avevo sbagliato ad andare da questi idioti, ma cosa credevo? Da quando la polizia faceva il proprio lavoro?
-         Signora Summers si sieda cortesemente e mi dica ciò che sa e ciò che questi rapitori le hanno detto-
-         Buffy ti prego calmati. Stanno solo facendo il loro lavoro- disse Willow stringendo la mia mano tremante. Abbassai lo sguardo cercando di ignorare quell’uomo orribile al di là della scrivania.
-         Io-io stavo lavorando stamattina e…-
-         Dove lavora?- mi interruppe l’ispettore
-         Al Washington Journal Post, sono una giornalista- risposi mentre lui appuntava le mie parole.
-         Continui continui- disse facendomi un cenno con la mano rugosa.
-         Beh io stavo lavorando quando ho ricevuto una telefonata-
-         Che ore erano?-
-         Le undici più o meno-
-         Bene continui-
-         Beh io ho risposto e… e lui ha detto che l’avevano presa- dissi tremando
-         E’ certa che fosse un uomo?-
-         Sì, credo di sì- dissi sorpresa
-         Ha detto che “l’avevano presa” quindi bisogna presupporre che siano almeno in due- disse parlando più con se stesso che con me.
-         Dove si trovava sua sorella?-
-         A New York frequenta la Columbia è al secondo anno- dissi. L’ispettore annuì.
-         E dove vive?-
-         Nel campus dell’università- risposi
-         Da quanto non vede sua sorella?-
-         Da dicembre era tornata a casa per le feste di Natale-
-         E lei non è mai andata a trovarla all’università?-
-         No perché?-
-         Quindi non sa che tipo di vita faccia lì-
-         Che cosa sta insinuando?- dissi innervosendomi di nuovo, ma lui non mi degnò di nessuna risposta né di un minimo di considerazione.
-         Sa se frequentasse qualche ragazzo?-
-         No lei non ha nessun ragazzo non che io sappia almeno-
-         Capisco. Mi ripeta esattamente cosa le hanno detto i rapitori- disse come se parlare con me fosse una grandissima perdita di tempo.
-         Lui ha detto “L’abbiamo presa…”-
-         Solo questo?-
-         No- ringhiai irritata. Non capiva quanto fosse difficile per me parlarne?
-         Ed allora cos’altro le hanno detto?- ribattè lui altrettanto irritato.
-         Ha detto “L’abbiamo presa, abbiamo la tua bella Dawn e l’abbiamo fatto solo per te, non sei felice? Se andrai dalla polizia la uccideremo e non la ritroverai mai più”- dissi urlando. Iniziai a piangere per la rabbia.
-         L’ha detto ridendo! Lui stava ridendo!- dissi singhiozzando
-         Si calmi Miss Summers. Non ha chiesto niente né soldi né altro. Per quale motivo qualcuno dovrebbe avercela con lei?-
-         Non lo so! Non siamo una famiglia ricca e Dawn ha solo me! Ed è solo colpa mia se le hanno fatto questo- dissi crollando fra le braccia di Willow
-         Su Miss Summers non c’è motivo di pensare al peggio, sono sicuro che è solo una ragazzata, ma indagheremo lo stesso, vada a casa ora e cerchi di riposare- rispose bonario. Non avevo la forza di rispondergli né di guardarlo oltre. Ero sempre più convinta di aver fatto male a rivolgermi a loro. Scossi la testa uscendo da quella stanza di corsa seguita dalla voce di Willow che mi pregava di aspettarla, ma non avevo più alcuna intenzione di dar conto a nessuno delle mie azioni. Avrei aspettato che i rapitori si fossero fatti sentire e li avrei accontentati in ogni modo. Dovevo solo sperare che non scoprissero che ero andata dalla polizia o Dawn sarebbe morta.
Entrai in casa con l’anima in frantumi. Il mio cuore era già stato distrutto troppe volte per potersi ancora ricomporre, mi ero sempre domandata quante volte qualcosa poteva essere ferito e lacerato senza pietà prima di soccombere. Due? Tre? Purtroppo molte più di quelle che potremmo mai immaginare.
Ora toccava alla mia anima a quanto pareva.
Lasciai cadere il cappotto per terra, tolsi le scarpe e lanciai la valigetta lontano da me. Non accesi nessuna luce, desideravo solo sprofondare nell’oscurità ed esserne inghiottita. Mi sentivo ubriaca, confusa, intontita. Mi sembrava di danzare scalza sull’orlo di un baratro. Nel buio, da sola iniziai a ridere. Ballavo e ridevo, mentre realizzavo che l’unico mio desiderio era scivolare in quel baratro.
Lo volevo disperatamente.
Sbattei contro il tavolino di vetro nel mio soggiorno, caddi per terra distruggendolo che ancora ridevo. Mi fermai ad osservare i pezzetti di vetro che mi tagliavano in mille piccole righe rosse e la mia risata si trasformò in ansimi di dolore. Iniziai a respirare con fatica e la paura di sentire che l’aria mi veniva strappata dalla gola fu l’ultima goccia che fece traboccare me stessa dalle mie labbra in grida disperate. Urlavo con tutta la rabbia, la paura e la voglia di esistere che ancora mi restava. Sentivo colare il mio sangue bollente lungo il viso, le braccia e le gambe nude. Sentivo che ogni goccia che si allontanava da me, mi ustionava la pelle bruciandomi interamente nella consapevolezza che era la mia vita che stava andando via da me. Urlai per quelli che mi sembrarono giorni e mesi anche se forse furono solo pochi minuti. Mi consumai fino a non avere più voce. Rimasi immobile, oppressa dal peso del buio macchiato del mio sangue, pugnalata da pezzi di me stessa e da un silenzio che mi faceva impazzire. Se il mio corpo non aveva più la forza per disperarsi, la mia anima si dibatteva in preda alla furia in un muto urlo terrorizzato.

   
 
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