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Autore: Lilmon    23/03/2012    1 recensioni
Chi è l'invasore? L'invasore è un personaggio ostile, malvisto da qualunque popolazione. Giunge sulla terra degli altri, imponendo il suo potere e sottraendo ogni possibile bene riutilizzabile. L'invasore è crudele, l'invasore è un mostro.
Genere: Avventura, Science-fiction | Stato: completa
Tipo di coppia: non specificato
Note: nessuna | Avvertimenti: nessuno
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Salve. Mi scuso anticipatamente per questo secondo capitolo tecnico. Voglio però che il mio mondo sia chiaro a voi lettori; con la fine di questo capitolo, e con l'ottavo, prometto che la narrazione riprenderà normalmente. Buona lettura!


Cuore D'Ambra.


«Ho trovato moltissime isole, popolate di innumerevoli abitanti ed animali […]. Il suolo contiene molte miniere di metallo e vi è una popolazione molto numerosa.»


Passati tre giorni (ottantuno ore circa, di cui circa ventiquattro di lavoro), avevamo completato la base militare e l'infermeria. Nur aveva organizzato varie spedizioni all'interno dell'isola; i geologi avevano studiato le caratteristiche del campo magnetico prodotto dal nucleo: era stato proprio quello la causa dell'interferenza degli apparecchi radio delle navicelle, interferenza che si era interrotta in prossimità dell'isola, poiché essa respingeva il campo creando una specie di cappa. Un mio amico geologo, Amir Rubbash, mi spiegò tale concetto con un semplice esempio, -Pensa ad un telo, un lenzuolo che levita orizzontale nell'aria, questo rappresenterà il campo magnetico generato dal nucleo di Giove. Qualche centimetro sopra a questo ora poni un grosso piatto di qualsiasi materiale, insomma un qualunque oggetto che possa rappresentare quest'isola. Ora in quest'ambiente ideale, poni sotto al lenzuolo un ventilatore acceso, rappresentante la forza elettromagnetica del nucleo di minerali fusi. Cosa accadrà?-; i miei occhi si illuminarono, capii e risposi -Ma certo!! Il lenzuolo, cioè il campo magnetico, a contatto col piatto, l'isola, si ripiega su se stesso creando una vera e propria zona dove l'interferenza elettro-magnetica non agisce; sei un genio Amir!-. Mi sorrise. Poi aggiunse qualche dettaglio -Questo campo elettromagnetico eccita gli atomi di idrogeno presenti nell'aria, che, perdendo l'elettrone di cui dispongono, diventano protoni. È questa la causa dell'elettricità statica, ovvero la causa della presenza di elettroni liberi nell'atmosfera del pianeta-. Io mi opposi, -Ma la forza magnetica dell'isola di magnetite, non dovrebbe proteggere anche gli atomi di idrogeno presenti entro i suoi confini?-, Amir ridacchiò e rispose -Naturalmente, ma solo se gli atomi di idrogeno non fossero liberi di muoversi, e cioè fossero allo stato liquido o solido; ma sono allo stato aeriforme, e quindi gli ioni di idrogeno, o più semplicemente protoni, e i loro relativi ex-elettroni, che ora sono qua- ed indicò il cielo che dalla C.A.A. si tingeva di un colorito più scuro -Quei protoni ed elettroni chissà da che parte del pianeta provengono, probabilmente trasportati dal vento sono giunti qua da lontano-; capii che la mia domanda era stata stupida, non avevo calcolato che solo gli oggetti generati sopra l'isola, o comunque giunti protetti dal campo elettromagnetico del nucleo (come noi stessi), potevano essersi conservati integri. Dunque questa volta pensai ad una domanda più intelligente della precedente; ma ciò che pronunciai era più una curiosità -Però Giove è famoso per le sue tempeste incessanti; come mai non ne abbiamo ancora viste?-, Amir si mise a sedere, prese una penna e rigirandola tra le mani disse -Noi non abbiamo visto ancora tempeste elettriche perché essenzialmente non si verificano in prossimità delle isole. Mi devo scusare con te per le risposte che ti ho fornito prima, erano piuttosto imprecise e semplicistiche. Il campo magnetico non è composto da una sola grande onda, se così possiamo chiamarla, ma piuttosto da un'insieme di onde incessanti... Quasi come una “sfoglia”... Prima ti ho chiesto di pensare ad un solo lenzuolo, per semplificare la questione, ma forse avresti dovuto pensare ad una pila di lenzuoli-, non capivo, lui continuò, -Di questi lenzuoli impilati uno sull'altro, pensane per comodità anche solo cinque, sotto l'azione del ventilatore alcuni tenderanno a piegarsi di più, altri meno, altri magari persino formeranno strani rigonfiamenti. La natura del campo elettromagnetico, per quanto intensa, è poi molto simile a quest'esempio; stiamo comunque parlando infatti di onde con un altissima frequenza, forza e velocità, e dunque molto instabili. In conclusione come quei lenzuoli, anche le onde magnetiche non si piegano all'unanimità, ma prendono forme e direzioni diverse. La forma che racchiude l'isola non immaginarla tanto come una solida campana, quanto più come i petali di un bocciolo di rosa-, ero perplesso, ma meravigliato. Amir prese un foglio e facendo un disegnino mi spiegò -Ecco. La concentrazione di elettroni fuori dall'isola cambia molto gradualmente rispetto a quella nell'isola, se per esempio dividiamo la zona tra il fuori (a sinistra) e il dentro i confini dell'isola (a destra) in quattro parti, e facciamo finta che queste tre righe di separazione siano le onde del campo elettromagnetico, (procedendo da sinistra verso destra) se nella prima sezione avremo cento elettroni, nella successiva ne avremmo settantacinque, perché venticinque saranno stati trattenuti dalla prima onda del campo elettromagnetico, nella terza sezione ne avremo solo più cinquanta, e dentro l'isola circa venticinque-, avevo capito che Amir era un genio, -Per concludere dunque le tempeste elettriche, i fulmini insomma, si verificano solo nelle zone più lontane dall'isola, dove la concentrazione di elettroni è maggiore, e dunque l'energia statica dell'aria diventa molto instabile, tanto da doversi liberare violentemente-. Lo ringraziai molto. In dieci minuti Amir mi aveva spiegato tantissime cose e così me ne andai soddisfatto.
Finita la costruzione dei due edifici iniziammo quella del laboratorio di ricerca. In quei giorni Nur era piuttosto nervosa; colsi l'occasione e andai a parlarci. Avevano costruito per lei una specie di capanno, che lei pretendeva fosse chiamato “gabinetto” (ma quel luogo della parola forse prendeva il significato più sgradevole). Bussai e, aperta la porta, mi fece entrare. Le chiesi cosa avesse e lei mi rispose -Non capisco Sylar, abbiamo organizzato tre spedizioni su questa maledetta isola, l'abbiamo setacciata da cima a fondo, ma non abbiamo trovato nessuna forma di vita animale. Sono disperata. Non voglio tornarmene a casa solo con delle stupide piantine da "regalo all'ultimo minuto"-, le risposi, -Magari su quest'isola non ci sono, magari questa è un'isola deserta-, lei si girò di scatto, i suoi occhi spalancati sembravano in procinto di fuoriuscirle dalle orbite; rispose -Quest'isola? Questa? Tu... Dunque tu ritieni esserci altre isole su questo pianetucolo. Ma certo! Ma certo!-, stava scatenando le braccia in aria come se qualcuno dall'alto dovesse vedere la sua eccitazione, -Ma certo! Tante piccole Madagascar, tante piccole Australie! Sei un genio, sono un genio! Va', preparati! Andremo ad esplorare questo gigante gassoso e troveremo tutte le sue maledette isole volanti!-. Mi trascinò con lei fuori dal suo “gabinetto”, e poi urlando fece un annuncio in grande stile, -Fermate i lavori!-.
Tutti squadravano la "generalessa" molto perplessi. -Ho detto, fermate i lavori! Non voglio un inutile laboratorio su un'isola fluttuante sprovvista di fauna!-. Nessuno capiva le parole della genetista, che continuava imperterrita -Ci saranno altre isole di magnetite su questo immenso pianeta. Ognuna deve possedere necessariamente una sua flora ed una sua fauna caratteristiche, che sulle altre isole non si ritrovano, a meno che due isole siano in comunicazione ma questo è un dettaglio. E' un po' lo stesso concetto del Madagascar o dell'Australia: Queste isole completamente isolate, appunto, dal resto del pianeta hanno permesso il mantenimento e lo sviluppo di certe razze di flora e di fauna che sul resto del pianeta non sono presenti; pensate al canguro australiano o al lemure del Madagascar. Il caso ha voluto che noi atterrassimo proprio su un'isola deserta-, ridacchiò portandosi la mano davanti alla bocca ma poi riprese, -Io voglio, pretendo, esigo che il mio laboratorio di ricerca sia installato su un'isola provvista di fauna!-. Tutti erano allibiti. Il primo a prendere parola fu il capitano Thomas -Signora, mi scusi se la contraddico, ma ciò significherebbe la costruzione di una seconda C.A.A. e la spesa di energie e tempo utili per-, Nur lo interruppe, -Caro signor Valliage, non capisce l'importanza che avrebbe per voi se noi riuscissimo a studiare alcune forme di vita animale? Potremmo indicarvi la loro composizione organica, potremmo indicarvi il loro punto debole, voi potreste imparare con che mezzi scalfire il nemico che le due ambascerie non sono riuscite nemmeno a contenere. Una dose di arsenico stende qualunque essere terrestre-. Il capitano Valliage portò la mano destra al mento, con la sinistra si asciugò la fronte corrucciata e poi disse -E va bene, troviamo questa “Nuova Australia”-. Nur sorrise compiaciuta.
In esplorazione partirono dieci delle trenta scialuppe, tre con tutti i ricercatori stipati come acciughe (io ero ancora riuscito a sedermi), due con i militari, tra cui il capitano, e le ultime cinque con la totalità degli operai e degli ultimi materiali rimasti per l'edificazione di una seconda C.A.A. (che rimase più piccola rispetto alla prima). Una volta decollati potevamo comunicare solo attraverso il codice Morse. Dopo un'ora di viaggio avvistammo un'isola, questa disponeva di una immensa foresta, quasi una giungla. Mentre atterravamo un biologo sulla mia nave urlò -Un uccello!-; mi raccontarono poi che in quell'istante Nur aveva sussurrato -Lo sapevo io!-. Sorvolammo con la nave la boscaglia sino a trovare un luogo adatto alla costruzione della seconda cupola. Dopo venti minuti di ricerche, la terza nave trovò una radura, ci segnalò la sua posizione, e ci ritrovammo tutti in quel luogo. Subito appurammo che la fauna era realmente presente su quell'isola: un gruppo di animali stava pascolando in quel punto. Erano molto simili in grandezza a dei maiali e di essi avevano anche il caratteristico naso, ma erano completamente ricoperti da una folta peluria che ricadeva persino sui loro occhi, ostacolandone, credo, la vista. Come mettemmo piede sull'isola, questi strani esseri fiutarono il nostro odore extraplanetare (chissà che odore avessero sentito) e scapparono a gambe levate verso l'interno del bosco. Nur prese la parola, ed attraverso il microfono installato nella tuta disse -Questo luogo è perfetto! Cominciamo i lavori! Lavoreremo anche di notte ed una volta completata la C.A.A. voi militari potrete tornarvene sulla vostra isola deserta-. Il comandante Valliage rispose ironicamente -Sissignora-. Così i lavori di edificazione iniziarono e, con turni anche di dieci ore consecutive, la cupola fu pronta in un giorno e mezzo (cinquanta ore circa). L'installazione del depuratore era come sempre l'ultimo passo. All'inizio del terzo giorno infine potemmo respirare liberamente all'interno della cupola. Nei due giorni successivi ci adoperammo per costruire il laboratorio di ricerca e i dormitori degli scienziati. Completato, l'edificio pareva un grande cubo ricoperto di pannelli solari, che servivano per l'approvvigionamento dell'energia elettrica. Passati cinque giorni, alla mattina del sesto, salutammo i soldati (rimasero con noi venti unità) e gli operai (di questi ne trattenemmo solamente cinque o sei); ci lasciarono a disposizione due navette con quattro piloti. Nur alla vista delle navette che decollavano disse -Finalmente quello scorbutico di Valliage e i suoi tirapiedi levano le tende-; i venti soldati rimasti sull'isola la fulminarono con gli occhi.
Ci preparammo per l'esplorazione e lo studio della seconda isola. I cartografi ci dissero che necessitavano almeno, in quel frangente, dei nomi delle due isole, Nur disse -Dunque la prima la potremmo chiamare...-, ci pensammo tutti su, e, dopo esserci confrontati, battezzammo la prima isola "Alfa Giovia" (letteralmente:"La prima di Giove"), poiché la prima isola su cui era approdata la missione; per la seconda scegliemmo "Zògera" (Letteralmente:"Ospitante animali"), poiché quella era la sua caratteristica fondamentale. Dopo queste formalità, partimmo in esplorazione della foresta. Ad ognuno di noi venne data un'arma da fuoco, per difenderci da potenziali attacchi di animali feroci. A metà del primo giorno d'esplorazione potevamo concludere che su Zògera la specie dominante era quella dei mammiferi. Non vi era infatti ombra di altre tipologie di animali, se non alcuni uccelli ovipari che concludemmo essere emigrati lì da una terza ipotetica, ma quasi certa, isola. Durante la serata di quel sesto giorno, sezionammo qualche animale. Io mi concentrai sull'osservazione delle cellule. Erano molto simili a quelle degli animali terrestri: membrana fosfolipidica, nucleo contenente informazioni ereditarie, citosol, organuli ed apparati interni circondati da membrana del tutto analoghi ai nostri. Un'importante scoperta arrivò da un mio collega biologo, un trentenne di origine francese, che si accorse di una stranezza nel sistema nervoso delle specie di mammiferi che aveva analizzato. Il loro sistema nervoso poteva condurre segnali elettrici molto più potenti di quelli umani. Per la precisione cento volte più potenti, e se dunque il sistema nervoso di un essere umano ha una potenza media di settanta millivolt, il sistema nervoso di quei mammiferi raggiungeva i sette volt. Una scarica elettrica improponibile per qualsiasi animale terrestre. Nur era pensierosa; capii che stava elaborando qualcosa. Una seconda importante scoperta ci venne comunicata da un biologo sudafricano, analizzando l'epidermide di alcuni di quei mammiferi aveva scoperto che creava una resistenza all'energia elettrica, inoltre nei punti in cui le cellule formavano i pori, presenti anche negli animali terrestri, vi erano speciali proteine di membrana capaci di scambiare elettroni con l'esterno; in conclusione i mammiferi di quell'isola non sembravano solo capaci di resistere all'energia elettrica, ma anche di poterla assorbire, e forse anche utilizzare. Il come questi animali impegnassero gli elettroni catturati nell'ambiente circostante, venne ipotizzato da Nur che collegò le due scoperte; ci spiegò -Molto probabilmente il sistema nervoso di questi animali, con un potenziale elettrico di sette volt, si serve oltre che dei segnali prodotti dal cervello, molto deboli, anche di quei famosi elettroni presenti nell'atmosfera e provenienti dall'eccitamento degli atomi di idrogeno provocato dal campo elettro-magnetico del pianeta-, piano piano tutte le tessere, prima confuse e disordinate, stavano componendo un interessantissimo mosaico, -Questo processo deve essere naturale per gli animali, quanto la respirazione, o il battito del cuore. Questo pianeta è un gioiello del Darwinismo! Se questi animali non si fossero infatti adattati in qualche modo all'energia elettrostatica a cui questo pianeta li sottopone incessantemente, sarebbero ora tutti morti! Anzi, forse la vita non si sarebbe proprio sviluppata! Invece sia vegetali che animali riescono a sopravvivere in queste condizioni, pessime per noi, ma vitali per loro. Un qualsiasi essere vivente che da qua si spostasse senza un'adeguata protezione sulla Terra, morirebbe in poco meno di un giorno!-. Eravamo tutti estasiati. E con quelle fondamentali scoperte, concludemmo il primo giorno d'esplorazione (sesto da quando eravamo atterrati). Prima di coricarmi io, sentitomi solo, misi al collo il mio cuore d'ambra.
Il giorno dopo organizzammo altre spedizioni, addentrandoci sempre più nella boscaglia. Io mi ritrovavo in un gruppetto di quattro persone, compreso il mio amico Amir. Durante l'esplorazione parlammo; mi chiese -Ehi, Sylar, a te ogni tanto manca la Terra?-, io risposi, -La scorsa notte molto-, sentivo il cuore d'ambra premuto sul petto, sotto la tuta; lui mi disse -Io per nulla, ho lasciato laggiù una vita triste e monotona, e cos'ho ricevuto in cambio? Questo!- e spalancò le braccia. In quello stesso istante un animale gigante, con degli artigli enormi, saltò giù da una pianta ed aggredì uno di noi quattro. Ero terrorizzato, mi buttai in un cespuglio, iniziammo a sparare sull'animale; il ricercatore assalito giaceva in una pozza di sangue, il suo casco era rotto e il suo volto era arso per la temperatura e l'energia elettrostatica dell'ambiente. Credetti di star per vomitare, mi rialzai, stolto, dando la schiena all'animale che scaraventandosi contro di me mi fece schiantare contro un albero; caddi supino per terra. L'animale mi tirò un'artigliata sul petto. La mia tuta si lacerò. Quel poco che capii in quegli attimi: il mio petto s'infiammò, sentivo le ferite cuocersi, qualcosa che mi strattonava il collo, era il cordino del ciondolo d'ambra, poi una luce bianca. Svenni. Aprii gli occhi, intontito, persone in camice bianco. Svenni una seconda volta.
Mi risvegliai in un letto d'ospedale (erano passati due giorni ma per me potevano essere trascorsi due minuti come cent'anni). Intorno a me degli strani esseri eretti, sembravano rettili, cinque. La mia attenzione si focalizzò su un essere con una maschera nera, dei tubi ai lati di essa. In una mano, con il braccio teso spasmodicamente, una spada luminosa. Parlavano, ma una strana lingua.
Svenni un terza ed ultima volta.

  
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