Il fanciullino
Egli è
quello, dunque, che ha paura al buio, perchè al buio vede o
crede di vedere; quello che alla luce sogna o
sembra sognare, ricordando cose non vedute mai; quello che
parla alle bestie, agli alberi, ai sassi, alle nuvole, alle stelle: che
popola l'ombra di fantasmi e il cielo di dei. Egli è quello che
piange e ride senza perchè, di cose che sfuggono ai nostri sensi
e alla nostra ragione. Egli è quello che nella morte degli
esseri amati esce a dire quel particolare puerile che ci fa sciogliere
in lacrime, e ci salva. Egli è quello che nella gioia pazza
pronunzia, senza pensarci, la parola grave che ci frena. Egli rende
tollerabile la felicità e la sventura, temperandole d'amaro e di
dolce, [...]. Egli ci fa perdere il tempo, quando noi andiamo per i
fatti nostri, ché ora vuol vedere la cinciallegra che canta, ora
vuol cogliere il fiore che odora, ora vuol toccare la selce che riluce.
E ciarla intanto, senza chetarsi mai; e, senza lui, non solo non
vedremmo tante cose a cui non badiamo per solito, ma non potremmo
nemmeno pensarle e ridirle, perchè egli è l'Adamo che
mette il nome a tutto ciò che vede e sente. Egli scopre nelle
cose le somiglianze e relazioni più ingegnose. Egli adatta il
nome della cosa più grande alla più piccola, e al
contrario. E a ciò lo spinge meglio stupore che ignoranza, e
curiosità meglio che loquacità: impicciolisce per poter
vedere, ingrandisce per poter ammirare. Nè il suo linguaggio
è imperfetto come di chi non dica la cosa se non a mezzo, ma
prodigo anzi, come di chi due pensieri dia per una parola. E a ogni
modo dà un segno, un suono, un colore, a cui riconoscere sempre
ciò che vide una volta.
(Giovanni Pascoli, Il fanciullino)