Capitolo
13 – Scelta
La
tiepida acqua nelle vasche era cristallina, rilucente al chiarore
senza provenienza del Paradiso. Dei larghi gradini di pietra
scendevano dal bordo candido – al livello del pavimento
– fino al
fondo, permettendo così alle visitatrici delle terme
d’immergersi
più comodamente. Su uno di essi era seduta Leliel, immersa
fino al
ventre, composta come ad una riunione ufficiale: ormai assuefatta a
tale atteggiamento, non abbandonava il proprio contegno nemmeno sola.
I capelli biondi raccolti sulla nuca con uno spillone, la schiena
spoglia – sorprendentemente priva di cicatrici – e
dritta, le
mani intrecciate sul ventre, sembrava quasi temere una visita
improvvisa, mentre in realtà quella nicchia delle terme era
riservata alle Autorità: la sua pace non sarebbe stata
disturbata,
poiché era l’unica donna in un collegio di uomini
– prima
in un collegio di uomini, pensò con un moto
d’orgoglio.
Solo
la sua allieva poteva talvolta accedervi, con il suo permesso. Era
una di quelle occasioni.
Percepì
la sua essenza avvicinarsi, calma ed imperscrutabile come le aveva
insegnato ad essere, e poco dopo il rumore dei suoi passi regolari
risuonò nel corridoio. Non vi erano porte, alle terme, ma la
vasca
di quella nicchia era sistemata in modo che dall’ingresso non
si
scorgesse nulla – riserbo concesso solo alle
Autorità e, in
un’altra sala, ai Censori. Perciò
l’allieva si fermò
rispettosamente prima dell’entrata, come avrebbe fatto con un
uscio, e disse con voce distaccata: «Eccomi,
maestra.»
Leliel
si sciolse i capelli, che ricaddero fin oltre le scapole, nascondendo
la mancanza di cicatrici alla schiena. Posato lo spillone sul
pavimento asciutto, come se lo avesse tolto prima
d’immergersi, la
inviò ad entrare. L’allieva, con la pelle chiara e
la chioma
bionda umide, era avvolta in un telo bianco: prima di accedere alle
sale con le vasche bisognava spogliarsi e sciacquarsi, per non
portare polvere all’interno, anche se non si aveva intenzione
d’immergersi.
«Hai
terminato prima del previsto.» le fece notare Leliel,
voltando
appena il capo verso di lei.
«Gli
Strateghi si sono mostrati molto disponibili nel fornirmi le
informazioni di cui necessitavo.» esitò
«Ho sbagliato nel venire a
cercarti? Desideravi rimanere sola?»
«No,
Sachiel, non temere. Il tuo zelo è lodevole.»
«Ti
ringrazio, maestra.»
«Come
ti sono sembrate le mansioni degli Strateghi?»
Un’altra
esitazione, che l’avrebbe forse fatta sorridere divertita, se
quelle continue incertezze non fossero state biasimevoli in un
cherubino dal talento di Sachiel. Conosceva la sua allieva e sapeva
già cos’avrebbe pensato nel vedere da vicino
l’attività delle
fasce indaco.
«Sono
ammirata e onorata per l’esperienza e la serietà
delle nostre
guide.»
«Ma?»
La
vide mordersi il labbro inferiore. L’avrebbe rimproverata per
quella dimostrazione d’insicurezza, se l’argomento
fosse stato
meno importante; si ripromise, comunque, di farglielo notare una
volta terminato il discorso.
«Ma...
temo che non sia adatto a me. Non ritengo di essere abbastanza
meticolosa e... pronta,
per un incarico del genere.»
«Troppe
responsabilità?»
«Sì.»
«Non
per nulla, gran parte degli Strateghi sono Arcangeli – tutti
i
condottieri sul campo, almeno. Sono i più adatti a guidare.
Mentre
la tua essenza non sembra affatto predisposta a svilupparsi in un
arcangelo, cherubino.»
Sachiel
era una promessa di serafino – una grande, gloriosa promessa
– ma
preferì non dirglielo, volendo mostrarsi per il momento
un’insegnante esigente e severa.
La
giovane chinò il capo senza ribattere, mortificata.
«Non
devi avere timore delle responsabilità, Sachiel.»
«Desideri
che dopo il mio Sviluppo io chieda un apprendistato tra gli
Strateghi, maestra? Mi stai dicendo questo? Perdonami, non
capisco.»
«Desidero
che tu non sprechi le tue potenzialità, ma non ho intenzione
d’importi un ruolo per cui non ti senti adatta. Sei davvero
sicura
di non volerlo?»
«Sì,
io... troppe decisioni, troppe responsabilità,
non...»
«Sachiel,
ti ho già chiesto più volte di parlare in modo
chiaro. Non
farfugliare così.»
«Chiedo
perdono.»
Leliel
represse a fatica un sospiro. Apprezzava l’evidente rispetto
che
Sachiel portava agli adulti – e a lei in particolare, in
quanto sua
insegnante e Autorità –, ma troppo spesso si
traduceva in
incertezza e timore. Non poteva certo farle notare che con i
Cherubini parlava in modo più disinvolto, adatto ad
un’allieva con
le sue potenzialità, perché sarebbe stato come un
invito a trattare
gli adulti con troppa confidenza; a volte, però, avrebbe
davvero
voluto. Così insicura non avrebbe percorso molta strada,
altrimenti,
per quanto fosse talentuosa.
«Porgimi
il telo, Sachiel, per favore.»
L’allieva
si affrettò a raccogliere da terra il tessuto e a
porgerglielo. Lei,
alzatasi in piedi senza pudore – erano tra donne, in fondo,
non
c’era alcuno sguardo lascivo a cui doversi celare
–, lo prese e
se lo avvolse delicatamente intorno al corpo. Quando fosse stato
asciutto, avrebbe stretto il seno nelle fasce che giacevano sul
pavimento, poiché trovava sconveniente esibire le proprie
forme, se
non aveva le ali esposte che le impedivano di avvolgersi il torace
con il tessuto.
Un
tempo, prima che prendesse quell’abitudine, alcuni avevano
insinuato che usasse il proprio corpo fin troppo attraente per
corrompere i suoi superiori e avanzare di grado.
Divenuta
Autorità, li aveva fatti punire uno ad uno per pensieri
impuri –
tanto che in molti si erano chiesti perché non avesse
cercato un
posto tra i Censori, se amava così profondamente accusare e
condannare. Anche questi avevano poi pagato la propria mancanza di
rispetto.
«Tra
gli Strateghi potresti diventare grande, Sachiel.» le
spostò dietro
l’orecchio una ciocca di capelli sfuggita alla crocchia, con
un
contatto che poteva essere sia invito all’ordine sia una
brusca
carezza «Per un serafino, è il primo passo per
divenire poi
Censore, o Autorità.»
«Sono
onorata che tu mi ritenga degna di ambire a tale ruolo,
maestra.»
«Ma
non sono queste le tue aspirazioni.» fece schioccare la
lingua sul
palato, contrariata «Perché vuoi sprecare
così il tuo talento,
Sachiel?»
«Non
credo di essere in grado di... sostenere tutte queste
responsabilità,
maestra.»
«Crescerai.
Maturerai.»
«Avrò
tempo di aspirare a ruoli importanti una volta che sarò
maturata,
maestra.» le rispose con voce conciliante. Diplomatica,
negoziatrice: sarebbe davvero diventata un ottimo serafino.
«A
volte penso davvero che dovresti avere più ambizioni,
Sachiel.»
sospirò, senza più nascondere la propria
disapprovazione.
Il
cherubino chinò il capo, mordendosi il labbro – di
nuovo. Le aveva
ripetuto più volte di non farlo.
«Non
volevo contrariarti, maestra...» esitò per
l’ennesima volta,
prima di dare voce al suo timore più pressante:
«...o deluderti.»
«So
che servirai sempre il Paradiso al meglio delle tue
possibilità, e
le tue possibilità non mi deludono, né mi
deluderanno, se
continuerai ad impegnarti.» si sedette su una delle panche
addossate
alla parete, frizionandosi la pelle con il telo «Il problema,
Sachiel, è che la tua mancanza di fiducia rischia di fartele
apparire minori di quanto siano in realtà. Se non
t’interessano
gli Strateghi, a cosa aspiri?»
«In
realtà non lo so, maestra.»
«I
Serafini hanno ampia scelta.» guardò in viso
l’allieva,
rispettosamente in piedi, composta, a qualche passo da lei
«Eppure,
in realtà, hanno le imposizioni più rigide. Non
possiamo sprecare
l’essenza di un serafino come Custode o Vegliante, o come
Geniere,
o... ma perché te lo dico? Tu non vuoi
responsabilità.»
«Non
voglio deluderti, maestra.» abbassò lo sguardo sul
pavimento umido
«E intendo assumermi le mie responsabilità
– intendo servire il
Paradiso al mio meglio. Temo solo di non essere pronta a guidare
altre persone.»
Troppo
insicura, troppo fragile. Come un effimero fiore della dimensione
umana. Quanto sarebbe durata, dopo lo Sviluppo, senza più la
sua
protezione? Temeva di scoprirlo. Poteva solo sperare che il suo
timore reverenziale verso gli adulti si attenuasse, una volta che
Sachiel lo fosse divenuta a sua volta, o davvero sarebbe rimasta
schiacciata dalle ambizioni altrui.
«Diverrai
un serafino, Sachiel.» le disse con sicurezza, reprimendo a
fatica
un sorriso nel vedere la luce orgogliosa che all’improvviso
le
aveva ravvivato lo sguardo «Non perdo il mio tempo ad
istruire un
allievo perché si sviluppi in un angelo, né
perché lui sprechi le
sue potenzialità. Quindi, nonostante questa tua biasimevole
insicurezza, diverrai un serafino. Questo è fuori
discussione.»
«Sono
onorata dalle tue parole, maestra.»
«Ma
la strada di un serafino è segnata, che tu lo voglia o meno.
L’apprendistato tra gli Strateghi e, ottenuta la fascia,
l’insegnamento, per condividere il proprio sapere. Se hai la
fortuna d’essere promettente, con l’esperienza puoi
ottenere un
posto tra i collaboratori delle Autorità o dei Censori
– e infine
nel loro collegio.»
«Hai...
maestra, hai sempre detto che viene concessa a tutti la
possibilità
di scegliere.»
«Non
se c’è la possibilità che un serafino
compia la scelta
sbagliata.»
«...dovrò
divenire una Stratega?»
«I
Serafini sono troppo pochi per permetterci di sprecarli: molti, molti
meno degli Angeli, e persino meno degli Arcangeli. Ma gli Arcangeli,
se non altro, sono per natura portati al comando e alla lotta; noi
dobbiamo adattarci ad un ruolo che non sempre ci sembra quello
adatto, invece. Essere un serafino è difficile, Sachiel,
perché la
nostra potenza è faticosa da gestire, ma soprattutto
perché ci
vengono richieste decisioni gravose. Sacrifici.»
«...dovrò
divenire una Stratega?» ripeté, con evidente
sforzo nel mantenere
la voce ferma e neutra.
Leliel
si alzò con un inutile sospiro. Fissò
l’allieva, temendo ancora
una volta per il suo futuro; poi, in una dimostrazione
d’affetto
che concedeva assai raramente, le sfiorò la guancia con la
punta
delle candide dita.
«Parlerò
con i responsabili degli Esecutori Spirituali. So che cercano un
apprendista.»
«Ti
ringrazio, maestra.» mormorò l’allieva,
gli occhi lievemente
socchiusi per assaporare meglio il suo tocco, senza riuscire a
mascherare la propria felicità con la dovuta apparenza
distaccata.
Per una volta, però, forse avrebbe potuto rinunciare a
rimproverarla.
«Ma
ultimamente hanno ben poche occupazioni. Si sta spostando tutto sul
piano fisico.» allontanò la mano e
tornò a sedersi, poggiando la
schiena spoglia contro la parete «Perciò, Sachiel,
potrai –
dovrai – avere anche un’altra mansione.»
«Sì,
maestra?»
«Preparati
in fretta, va’ nella dimensione umana.»
accompagnò le parole con
un cenno imperioso della mano, incurante della confusione
dell’allieva per quell’ordine improvviso
«La sesta classe sta
facendo lezione. Dovrebbe essere quasi il momento di dividere gli
allievi, ognuno con un compagno del ciclo superiore. Cerca Cassiel,
una femmina, lineamenti da orientale umana. Secondo gruppo, sotto la
guida dell’angelo Tagas... a meno che non l’abbiano
già spostata
al quarto, dell’arcangelo Khamiel. Pensi di
ricordarlo?»
«Cassiel,
femmina, secondo gruppo, di Tagas, o quarto, di Khamiel. Nel caso di
omonimie, quella con i lineamenti degli Umani
d’Oriente.» ripeté
Sachiel, nonostante lo smarrimento.
«Ottimo.
Di’ al suo insegnante che ti ho ordinato io stessa di
prenderla in
custodia, nel caso sia già accompagnata da un altro
allievo.»
«Posso
chiedere cosa devo fare, maestra?»
«Osservarla.
E comunicarmi, una volta tornata, se secondo te è pronta per
la
settima classe, o eventualmente anche per il ciclo superiore. Non
badare troppo all’incarico che assegnerà
l’insegnante al gruppo,
ti concedo la libertà di metterla alla prova come preferisci
–
sempre nei limiti della vostra sicurezza e della discrezione,
naturalmente. Non deve rendersi conto che è un
esame.»
«Come
desideri, maestra.» esitò, per
l’ennesima volta «Ma... la
seconda mansione di cui mi parlavi? Perdonami, non voglio insistere,
ma temo di non aver capito ciò che intendevi.»
Leliel
si preparò mentalmente a leggere la gioia sul viso di
Sachiel, e non
venne delusa, quando le disse: «Prima di accettarti come
apprendista
insegnante, preferisco metterti alla prova.»
«Ti...
ti ringrazio, maestra.»
«Va’,
ora.»
La
osservò allontanarsi con forzata calma, la schiena spoglia
rigida,
le braccia lungo i fianchi.
...aveva
dimenticato di rimproverarla.
Non
che servisse a molto criticare le sue continue dimostrazioni
d’insicurezza: lo faceva da quando l’aveva scelta
come sua
allieva – un tempo esiguo, rispetto alla durata media del
ciclo
superiore – e ancora non era riuscita ad estirpare quei gesti
istintivi, come toccarsi i capelli o mordersi il labbro.
Nessuno
dei Cherubini che aveva istruito si era mai mostrato così
incerto; e
dire che con i compagni Sachiel era invece così sicura,
così
orgogliosa. Ci rifletteva di continuo, eppure non era ancora riuscita
a trovare un rimedio e l’allieva era ormai ad un passo
dall’età
adulta. Poteva non autorizzarla a svilupparsi, ma per quanto ancora?
Il Consiglio le chiedeva sempre più spesso quando il
cherubino
sarebbe stato pronto. Se avesse ritardato troppo, in attesa che
Sachiel maturasse, le avrebbero ordinato di concederle il permesso
–
un allievo non poteva tentare lo Sviluppo, senza
l’approvazione del
proprio maestro, ma all’insegnante si poteva imporre di
acconsentire.
E
i sussurri! Sachiel forse non li udiva, così ingenua, ma lei
sì –
lei vi era cresciuta in mezzo e poteva immaginare le parole delle
serpi ancor prima che le sibilassero. Un cherubino così
promettente,
perché rallentare la sua gloriosa maturazione? Forse temeva
che i
Censori, nell’esaminare la sua allieva, vi trovassero qualche
vizio? Forse non la riteneva abbastanza dotata da superare la prova?
Forse sapeva che non sarebbe stata in grado di gestire la potenza di
un serafino? Non sarebbe stata certo la prima volta. Come dimenticare
quel traditore, unitosi ai Demoni appena dopo lo Sviluppo? E quello
più recente, l’arcangelo apprendista Stratego, che
non era stato
nemmeno in grado di sopravvivere alla prima incursione nemica?
Ma
d’altronde cosa ci si poteva aspettare da una donna come lei,
senza cicatrici alla schiena? Da una donna così arida da non
permettere nemmeno all’allieva di chiamarla per nome? Da una
donna
con sangue corrotto nelle vene, sangue sbagliato, sangue marcio? Il
frutto non cade mai lontano dall’albero, dicevano gli Umani,
e la
loro saggezza popolare non aveva forse un fondamento di
verità?
Nessuno
ricordava i tanti altri Arcangeli e Serafini che aveva offerto al
Paradiso, Guardiani, Strateghi, persino collaboratori di
Autorità e
di Censori. Nessuno pensava a come la loro Circoscrizione fosse
divenuta più famosa e celebre, da quando vi era lei alla
guida.
Permettere
a Sachiel di non seguire la strada tradizionale, divenendo Esecutrice
anziché Stratega, era un rischio; ma sarebbe stato un
rischio anche
imporle un ruolo che non sentiva adatto a sé, o ritardare il
suo
Sviluppo sperando che maturasse più sicurezza.
...in
qualunque modo fosse andata, sarebbe stata un’altra macchia
sulla
sua reputazione.
E
non poteva permetterlo, non ora che stava per essere esaminata per
ottenere un incarico più influente. Se avesse affrontato
degnamente
la rovinosa situazione nella dimensione umana, avrebbe di certo
ottenuto un ruolo come collaboratrice del Consiglio; e, quando uno
dei suoi membri avesse rinunciato alla carica, avrebbe potuto
prendere il suo posto. Il più giovane serafino entrato a far
parte a
tutti gli effetti dell’assemblea più influente di
tutte le
Circoscrizioni; la prima donna che avesse conquistato quel ruolo
seguendo il lungo percorso stabilito dalla burocrazia, senza che le
fosse assegnato per la sua appartenenza agli Antichi.
Poteva
solo sperare che l’allieva compisse le scelte giuste e non
disonorasse la sua già compromessa fama di ottima insegnante
– o
che la nuova che aveva individuato, Cassiel, si sviluppasse tanto in
fretta e tanto gloriosamente da oscurare anche il fallimento
di Sachiel.
Non
aveva per nulla bisogno di un’altra
macchia sulla propria
reputazione.
*
* *
Bruciava.
Dentro. Tante
piccole unghie bollenti affondate in lei, nel suo corpo, nella sua
testa. E un artiglio gelido a lacerarla. Uno stridio la stava
assordando, ma non poteva essere ancora l’essenza di Anane,
perché
ormai le Percezioni erano abbandonate nel nulla e c’era solo
quel
dolore assurdo e incomprensibile. Qualcosa che la stava trascinando
verso di sé a costo di strapparla in due – e lo
stava facendo, la
stava strappando.
Faceva...
male.
«Madre...
madre, cosa
facciamo?»
«Aspettiamo,
cara.
Prima o poi smetterà.»
«Ma...»
un
singhiozzo, poi una mano le accarezzò il viso
«Amitiel...»
«Cara,
non piangere.
Sai che m’infastidisce.» un sospiro «Oh,
Sephon, eccoti. Temevo
di doverti richiamare fino al tramonto.»
A
fatica aprì le
palpebre. Era in piedi, notò: Anane la sosteneva tra
sé e un tronco
d’albero, come una marionetta inerme. Il viso del cherubino,
ad un
soffio dal suo, era alterato e in lacrime per la preoccupazione. Ai
margini del suo campo visivo, un uomo piuttosto esile sembrava
parlare da solo – con Eisheth, a quanto aveva capito, ma non
riusciva a vedere la donna.
«Madre,
ha aperto gli
occhi.» esclamò Anane, ricevendo una risposta
disinteressata, di
cui Amitiel non capì la provenienza. Dov’era il
demone?
«I
Custodi passeranno
ogni cinque tramonti.» disse riflessiva Eisheth, o qualcuno
che
aveva la sua voce «Ci serve che manchino un controllo, cinque
non
basteranno, con lei in queste condizioni. Pensi di riuscire a celarci
per dieci tramonti, Sephon?»
«Dipende
dal numero.»
«Di
me non devi
preoccuparti... solo di Michael. Pensi di farcela? Sì?
Anane,
richiamalo allora, o farà una scenata da ragazzina isterica,
se
scoprirà che la sua cara Amitiel
è stata male e noi non lo
abbiamo chiamato subito.»
«Perdonami,
Eisheth,
ma in questa forma la tua Influenza è molto...
ridotta.» l’uomo
si schiarì la voce, incerto «Sei sicura di poterla
esercitare bene
sui Custodi?»
«...forse
hai ragione.
Chiama... Liwet, ha un’essenza piuttosto esile, riuscirai a
celare
anche lei, sì?»
L’uomo
dispiegò le
rosse ali da demone e si alzò in volo, sgusciando tra le
chiome
degli alberi.
Un
altro strappo a
lacerare la pace che Amitiel aveva quasi trovato. Le sfuggì
un
gemito.
«Tranquilla,
cara,
passerà tra poco.» la rassicurò la voce
di Eisheth con una
risatina.
Lei
si guardo intorno,
ma ancora non la vide. Stanca, si liberò dalla stretta di
Anane e si
lasciò scivolare lungo il tronco, ad occhi chiusi, fino a
trovarsi
rannicchiata tra le radici nodose.
«Su,
su, tesoro.»
ridacchiò la voce di Eisheth, vicinissima.
Non
capì se fosse
diretta a lei o ad Anane, ancora piangente, ma il suo fiato –
letteralmente – sul collo la fece rabbrividire come se le
avesse
sussurrato una minaccia. Sollevò le palpebre di scatto.
...un
bambino?
Un’altra
fitta le
fece chiudere gli occhi.
*
* *
«Oh,
finalmente.
Iniziavo a temere che la tua essenza non si stancasse più di
agitarsi.» ridacchiò Eisheth «Ma cosa
pensavi di fare, sciocchina,
con quelle Percezioni così estese? Non sei un po’
troppo immatura
per cercare qualcuno in questo modo?»
Sospirò,
esausta.
Aveva smesso di soffrire, non udiva più quello stridio
assordante,
né provava più quegli strappi a... a qualcosa,
dentro di sé, che
ancora non era riuscita a identificare. Però si sentiva
stanca, e...
irritata? Non riusciva a definire bene il vago fastidio che
serpeggiava in lei, ma c’era e questo bastava. Non aveva
bisogno di
un motivo preciso per sentirsi nervosa.
«Cara,
posso capire
che tu tenga gli occhi chiusi, è una reazione naturale, ma
non mi
nascondi comunque l’essenza, è inutile.
Perciò, da brava, metti a
tacere l’istinto e apri gli occhi. Parlare con qualcuno che
non mi
guarda è francamente molto irritante.»
...quella
voce. Così
ipocrita, così leziosa, così falsamente materna.
Spalancò le
palpebre, infastidita, ma ammutolì ancor prima di trovare
qualcosa
da sbottare.
Non
era stato uno
scherzo della sua mente confusa, prima: quello che aveva davanti era
effettivamente un bambino. Il bambino che, nel vicolo, sembrava
fissare lei e gli altri Angeli, non il gatto sofferente. Il bambino,
forse, che nella pianura saltellava lontano, all’orizzonte,
lungo
una circonferenza che aveva lei come centro.
«Possessione.»
le
spiegò quel fanciullo dalla voce di donna, con un largo
sorriso «Un
giochetto molto carino, sì? E molto discreto, se fatto bene.
Quei
Custodi non si sono nemmeno accorti di me.»
«Anane?»
mormorò,
senza trovarla accanto a sé. Preferì ignorare
l’inquietante
giochetto di Eisheth.
«L’ho
mandata da
Sephon a concordare gli ultimi dettagli. Stava diventando davvero
fastidiosa, la sua immotivata preoccupazione.»
«...Michael?»
«Arriverà.
Se non
fosse stato trattenuto, sarebbe stato qui prima di me, conoscendo la
sua impazienza.» commentò, con
l’ennesima risatina irritante «Oh,
penso sia arrivata Liwet ad influenzare i Custodi. Si stanno
allontanando. Nonostante lo scherzetto della tua essenza, pare che
stia andando tutto bene, sì?»
«Cos’è
successo?»
‘ Cos’era
quel dolore assurdo?’ avrebbe
voluto chiedere, ma preferì mantenersi neutra.
«È
successo che i
giovani si sopravvalutano sempre.» avvicinò il
viso tondo da
bambino per schioccarle un bacio sulla fronte «Hai esteso
troppo le
Percezioni, sciocchina. Troppo sforzo per un’essenza troppo
immatura. Ma ora è passato, sì?»
Senza
attendere
risposta, si voltò e saltellò tra gli alberi,
canticchiando
qualcosa. Era così irritante. La trattava con una confidenza
offensiva, con una falsità nauseante, con... con un
comportamento da
Eisheth, non trovava altra definizione.
Ringhiò,
infastidita,
provocando una risata del demone.
«Anane
è prossima
allo Sviluppo, te l’ha detto?» le chiese quello,
tornando vicino a
lei.
No,
si rese conto
Amitiel. Non gliel’aveva detto. Non avevano avuto molte
possibilità
di parlare, di recente, però... però Eisheth lo
sapeva e lei no.
Lei, che si considerava come una sorella – sì,
erano tutti
fratelli, però loro due lo erano un po’
di più. Lei, che
era sua amica. Perché Anane non le aveva detto una cosa
così
importante? Perché doveva saperlo quella donna
insopportabile,
mentre lei ne era all’oscuro?
Si
sentiva messa da
parte. Offesa.
«Mi
è mancata tanto,
sai?» mormorò Eisheth, annuendo con espressione
esageratamente
triste «Ma finalmente mia figlia potrà cadere.
Sperando che non sia
ingrata quanto suo fratello... un caduto.» sbuffò
«Un caduto.
Dopo tutto quello che ho fatto per lui, poteva almeno diventare un
demone, sì? Ma sono sicura che Anane sarà
più riconoscente.
Prossima allo Sviluppo! Quasi non ci credo. Mi sembra un attimo fa
che aveva ancora gli squarci sanguinanti... Come passa in fretta il
tempo, per le madri che vedono crescere i figli,
sì?»
Non
poteva essere sua
madre. Non davvero. Non esistevano nemmeno più, le madri.
C’era
solo il Fuoco della Venuta. Perché quella donna
intollerabile
cercava di turbarla in quel modo? Possibile che si divertisse nel
confonderla?
...era
un demone.
Naturale che si divertisse.
«Diventerà
di certo
un angelo... povera cara, la sua mancanza di talento è
davvero
desolante. Ma tra i Demoni non avrà problemi.»
«Come
puoi essere
sicura della sua Caduta?» le chiese, mossa dal bisogno di
sfidare
quelle convinzioni, quella confidenza, quella possessività
di
Eisheth nei confronti di Anane «Ha aspettato fino ad ora,
perché
non potrebbe rimanere in Paradiso?»
«Oh,
sciocchina, sei
davvero divertente.» il bambino saltellò attorno
all’albero
contro cui era seduta, ridendo «Per lo Sviluppo, non
è ovvio?»
Amitiel
soffocò a
malapena un ringhio. Non capiva – le mancava qualcosa per
comprendere, lo sapeva lei e lo sapeva anche Eisheth, ma non si
degnava di spiegarle nulla. E come si permetteva di trattare Anane
come un oggetto, come poteva essere così sicura che fosse sua,
mentre era libera di decidere se cadere o no, se diventare un demone
o un caduto, se... se restare con lei in Paradiso o abbandonarla. Ma
non avrebbe mai scelto di abbandonarla, quindi Eisheth si sbagliava.
Doveva sbagliarsi.
Il
bambino si fermò di
fronte a lei con espressione delusa, smettendo di ridere e
abbandonando le mani lungo i fianchi. Mormorò:
«...oh. Non è
ovvio.»
«No.»
ringhiò
«Evidentemente no.»
«Non
insegnano più il
rispetto, in Paradiso? Sei fortunata, cara, che non voglia sopportare
gli strepiti di Michael. Altrimenti in questo momento ti starei
strappando la sanità mentale... e non solo quella.»
Il
tono con cui lo
disse, senza una reale inflessione minacciosa, ma anzi quasi
divertito, complice, la fece rabbrividire. In
special modo
quando, a metà della frase, studiò le proprie
unghie rosicchiate
con sguardo critico.
«Non
è ovvio.»
mormorò, allarmata e all’improvviso più
rispettosa «Potresti
spiegarmelo?»
«Così
va meglio.»
annuì soddisfatta e tornò a saltellare tra gli
alberi, alzando la
voce per farsi sentire anche a distanza «Per lo Sviluppo,
sì? Un
cherubino non può cadere.»
«...davvero?»
«Be’,
in realtà
può, ma non è una vera e propria Caduta.
L’essenza dei Cherubini
è troppo immatura per mutare in quella di uno
sconsacrato.»
«Un
cherubino caduto
rimane un angelo?»
«No.»
rise il demone.
Amitiel
aspettò che
aggiungesse qualcosa, ma ottenne solo un’altra risatina.
Eisheth si
stava divertendo a confonderla volutamente, si rese conto con rabbia.
Ma aveva bisogno di comprendere, perciò trattenne le
emozioni e
ammise: «Non capisco.»
«L’essenza
di un
cherubino non è né angelo né
sconsacrato.» le spiegò finalmente
«È immatura, indefinita, ambigua. Persino il suo
colore muta spesso
– di solito è rossa, come le ali, ma... oh,
sapessi che spettacoli
ho visto, a volte.» mosse le mani in ampi gesti, entusiasta
«Bianche. Nere. Grigie. E anche violacee, bluastre, ocra...
spesso,
prima dello Sviluppo, assume il colore della fascia che poi si
indosserà. O meglio» schioccò la lingua
sul palato con espressione
saccente «il colore della fascia è lo stesso
dell’essenza, non il
contrario. Sono state scelte in base a questo, le varie
tonalità, lo
sapevi?»
«...lo
Sviluppo di
Anane.» mormorò, esausta. Trattenere
l’irritazione le costava
davvero molta dell’esigua energia rimastale.
«Oh,
sì, cara, hai
ragione. Be’, subito dopo lo Sviluppo cadrà,
è ovvio. E diventerà
di certo un demone... anche se la transizione è un
po’ più
dolorosa, è di certo un ruolo migliore per lei... come
caduto
davvero non sarebbe per nulla adatta, sì?»
«Ha
aspettato fino ad
ora. Magari vorrà rimanere in Paradiso.»
«Non
dire sciocchezze,
cara. Se ha aspettato fino ad ora, è per lo Sviluppo, non
per
altro.»
Non
per te.
«Ma
che importa se
l’essenza di un cherubino non può marcire?
Avrebbe potuto
cadere comunque, se avesse voluto, ma non l’ha
fatto.»
«Solo
perché è una
codarda.» ridacchiò «Lo Sviluppo, senza
il Fuoco, è molto più
doloroso. Teme di soffrire, per questo.»
Non
per te.
«...lo
Sviluppo è
doloroso?»
Non
sapeva nulla dello
Sviluppo: ai Cherubini troppo immaturi non veniva permesso di
assistervi, per non turbarvi, dicevano gli adulti.
Questo
avrebbe dovuto farle venire qualche dubbio, effettivamente.
«Mettiamola
così,
ignorantella.» sospirò Eisheth, in tono esasperato
«Se dovessi
perdere le piume ancora rosse, distruggere organi inutili,
svilupparne altri, riformare tutto il sangue perso, irrobustire le
ossa... non saresti la persona più serena e tranquilla mai
esistita,
sì?»
Rabbrividì.
Era
questo, lo Sviluppo? La distruzione di un corpo perché
potesse
rinnovarsi?
«Questo
con il Fuoco,
naturalmente – rende il tutto meno traumatico, meno doloroso.
E...
oh, forse questo non dovrei dirtelo, potrei turbarti.»
«Che
cosa?» chiese,
incapace di trattenersi.
Eisheth
sorrise di
nascosto, un ghigno che mal si addiceva al corpo infantile che stava
manovrando.
«Senza
il Fuoco, è anche più violento –
l’essenza si sente esposta, in
pericolo, e reagisce con più rapidità. Le piume
cadono, quasi
strappate. Gli organi non si consumano, ma vengono rigurgitati uno ad
uno... anche quelli che, in condizioni normali, non
comunicano con la gola. Delle lacerazioni spaventose. Gli organi da
adulto ricrescono così in fretta che spezzano le ossa
attorno a sé,
a volte... hanno funzioni diverse da quelli dei Cherubini, e anche
dimensioni, posizioni. Un vero massacro.» sgranò
gli occhi chiari
del bambino «Vogliamo parlare delle ossa? Devono ispessirsi,
irrobustirsi... specialmente nel caso di Arcangeli e Serafini, per le
ali, sì? Lacerano la pelle, le membrane, tutto
ciò che si oppone
alla loro crescita. Spesso gli stessi organi che prima le avevano
spezzate.»
Amitiel
serrò gli
occhi, atterrita. Non aveva idea che fosse così spaventoso.
«Oh,
non preoccuparti,
cara. Senza Fuoco dello Sviluppo, spesso l’essenza... bara,
possiamo dire così.» annuì compita
«Si sviluppa in arcangelo,
perché è il corpo che meglio può
sopportare tutto questo dolore.
Peccato che non tutti possano gestire la potenza degli Arcangeli...
spesso chi non è adatto finisce ammazzato al primo scontro,
o
consumato dalla propria stessa essenza. Hai mai visto una persona
morire consumata? No? Oh, è davvero uno spettacolo
te-»
«Eisheth.»
Amitiel
sussultò. Non
aveva minimamente avvertito Michael avvicinarsi, o atterrare a
qualche passo di distanza da loro due: la sua voce la colse
impreparata, facendole alzare lo sguardo di scatto verso di lui, che
però fissava Eisheth, furioso.
«Le
spiegavo,
Michael.» si giustificò quella con un ghigno
«Me lo ha chiesto
lei.»
«E
tu perché le fai certe domande?»
ringhiò al cherubino «Non l’hai
capito che si diverte, a-» si bloccò e
sgranò gli occhi «Cosa
cazzo hai fatto
all’essenza?»
«Su,
Michael, non
aggredirla, non è certo colpa sua.»
ridacchiò Eisheth.
Li
udì discutere –
il demone divertito, il caduto furioso – ma non li
ascoltò,
esausta.
Voleva
solo andare via. Parlare con Anane, magari, e chiederle se quello che
diceva sua madre era
vero, se sul serio era rimasta in Paradiso solo per lo Sviluppo e non
perché c’era lei. O forse solo dormire, ma dormire
del sonno degli
Angeli, senza sogni, non di quello popolato di incubi che talvolta
doveva subire.
Lontano
da quella donna
crudele che si divertiva a spaventarla e nausearla e ferirla, lontano
da Michael che le ringhiava contro e la fissava con occhi furiosi
–
e tutte le domande che aveva, tutti i dubbi, tutti i pensieri
sparivano in confronto all’enorme stanchezza che la stava
invadendo.
Era...
ferita. E
sfinita. E offesa. E delusa. Era troppe cose insieme, che non
facevano altro che confonderla ancora di più.
Voleva
avere scelta –
e avrebbe scelto senza dubbio di fuggire, in quel momento. O di non
aver mai incontrato nessuno degli Sconsacrati... magari nemmeno
Anane.
Non
si accorse che
Eisheth se n’era andata, saltellando tra gli alberi,
finché le
mani di Michael non la costrinsero ad alzarsi, rudi. Si
ritrovò a
fissare i suoi occhi grigi, ardenti di rabbia.
«Cos’hai
fatto
all’essenza?» le ringhiò ad un soffio
dalle sue labbra,
affondando le unghie nelle sue spalle.
Le
ali reagirono con un
violento fremito che lacerò la pelle irritata attorno
all’attaccatura, così che gli squarci stillarono
gocce di sangue
bianco che le imbrattò la divisa. Soffocò un
gemito.
Era
stanca. Perché non
lo capiva? Perché non la lasciava in pace?
Voleva
avere scelta –
fuggire, dimenticare, riposare.
Gli
occhi grigi che la fissavano furiosi, però, le dicevano che
non
l’aveva: lei era stata
scelta e, per questo, si trovava incatenata a quell’uomo di
cui in
realtà non conosceva nulla. Per cosa stava tradendo il
Paradiso,
lei? Per cosa l’aveva tradito? Per qualche informazione, per
qualche risposta, per qualche attenzione? Per ritrovarsi poi con le
sue unghie affondate nella carne, gli squarci doloranti, la testa
pesante e una domanda ringhiata come una minaccia?
Voleva
fuggire
dimenticare risposare.
Ma
non aveva scelta,
perché era stata scelta.
***
Angolo autrice
Come sempre, grazie a chi ha inserito la storia in una
delle tre liste e in special modo a chi commenta! Consigli, critiche e
commenti sono sempre ben accetti (:
Spero che questa versione di Leliel non vi dispiaccia u.u Ha anche un
cuore, quella donna - sepolto molto in fondo. Se qualcuno si stesse
interrogando sull'effettiva utilità della scena, posso solo
dire che alcuni personaggi vanno introdotti lentamente, mostrandoli a
piccoli sprazzi. Ognuno ha il suo ruolo e il suo modo di adempirvi.
Una nota sul "Cosa cazzo hai fatto all'essenza?" di Michael.
Può sembrare un modo di parlare troppo attuale e per questo
ho avuto qualche dubbio sull'inserirlo, ma ogni lingua ha le sue
imprecazioni, anche la loro. Mentre un angelo non avrebbe di certo
usato un termine simile, qui sta parlando un caduto, per giunta
piuttosto alterato; sul fatto che Amitiel capisca la parola, quando
invece non avrebbe mai dovuto nemmeno sentirla... be', è
amica di Anane. Questo spiega tutto.
Grazie ancora e a domenica prossima! (:
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